DON ANTONIO

martedì 23 agosto 2011

Il compito del cristiano nel mondo. La speranza.





La parola di Gesù richiama la nostra riflessione su uno dei problemi più importanti e cruciali dei cristiani oggi. L’uomo moderno ha la profonda convinzione di avere un compito storico da svolgere sulla terra, un compito che è proporzionato alle sue possibilità sempre maggiori e che implica un reale dominio sull’universo. Il fine è questo: la promozione della comunità umana nel seno di una «città» sempre più fraterna.
Questa presa di coscienza si accompagna talvolta a una critica amara nei confronti della religione, che viene considerata la responsabile della secolare alienazione degli uomini. Molti assumono nei confronti della religione un atteggiamento di non considerazione, come se essa non avesse alcun apporto positivo da offrire.
La fede cristiana, vissuta integralmente, lungi dal suggerire rassegnazione ed evasione nei confronti dei compiti terreni dell’uomo, aiuta il credente ad assumere le proprie responsabilità nel raggiungimento degli obiettivi che si impongono alla coscienza moderna. Gli appelli del mondo attuale trovano una eco sempre più profonda in vasti strati del popolo cristiano, e fortunatamente non sono scarsi i cristiani coerenti che si assumono i ruoli della promozione, della liberazione e della costruzione di una città terrena più giusta ed umana. Il Vaticano II ha dedicato una parte importante dei suoi lavori all’analisi delle preoccupazioni dell’uomo del XX secolo, problemi in apparenza più profani che religiosi, sicché le reticenze o le assenze del cristiano di ieri in rapporto al suo impegno nel mondo, dovrebbero essere superate.

La costruzione della città terrena
Rimane, tuttavia, una domanda: la costruzione della città terrena è un compito importante, ma non è essa caduca? Costruendo la città degli uomini si contribuisce o no all’edificazione del regno di Dio? Non sono due regni diversi?
La speranza cristiana, certo, non si compie pienamente se non nel mondo futuro. Tuttavia essa mostra fin d’ora la sua efficacia: è una forza immensa nel mondo, è un fermento che lo fa lievitare, è un sale che dà senso e sapore allo sforzo umano di liberazione, all’impegno temporale. Non è alienazione, non è alibi. Non esistono due speranze: una terrena e l’altra celeste, la speranza è una sola: guarda alla realtà futura, ma, attraverso l’impegno cristiano, l’anticipa nella realtà terrestre.


Le aspirazioni del cuore, anima della preghiera

Dalla «Lettera a Proba» di sant'Agostino, vescovo
(Lett. 130, 8, 15. 17 - 9, 18; CSEL 44, 56-57. 59-60)
Quando preghiamo non dobbiamo mai perderci in tante considerazioni, cercando di sapere che cosa dobbiamo chiedere e temendo di non riuscire a pregare come si conviene. Perché non diciamo piuttosto col salmista: «Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per gustare la dolcezza del Signore e ammirare il suo, santuario»? (Sal 26, 4). Ivi infatti non c'è successione di giorni come se ogni giorno dovesse arrivare e poi passare. L'inizio dell'uno non segna la fine dell'altro, perché vi si trovano presenti tutti contemporaneamente. La vita, alla quale quei giorni appartengono, non conosce tramonto.
Per conseguire questa vita beata, la stessa vera Vita in persona ci ha insegnato a pregare, non con molte parole, come se fossimo tanto più facilmente esauditi, quanto più siamo prolissi. Nella preghiera infatti ci rivolgiamo a colui che, come dice il Signore medesimo, già sa quello che ci è necessario, prima ancora che glielo chiediamo (cfr. Mt 6, 7-8).
Potrebbe sembrare strano che Dio ci comandi di fargli delle richieste quando egli conosce, prima ancora che glielo domandiamo, quello che ci è necessario. Dobbiamo però riflettere che a lui non importa tanto la manifestazione del nostro desiderio, cosa che egli conosce molto
bene, ma piuttosto che questo desiderio si ravvivi in noi mediante la domanda perché possiamo ottenere ciò che egli è già disposto a concederci. Questo dono, infatti, è assai grande, mentre noi siamo tanto piccoli e limitati per accoglierlo. Perciò ci vien detto: «Aprite anche voi il vostro cuore! Non lasciatevi legare al giogo estraneo degli infedeli» (2 Cor 6, 13-14).
Il dono è davvero grande, tanto che né occhio mai vide, perché non è colore; né orecchio mai udì, perché non è suono; né mai è entrato in cuore d'uomo (cfr. 1 Cor 2, 9), perché è là che il cuore dell'uomo deve entrare. Lo riceviamo con tanta maggiore capacità, quanto più salda sarà la nostra fede, più ferma la nostra speranza, più ardente il nostro desiderio.
Noi dunque preghiamo sempre in questa stessa fede, speranza e carità, con desiderio ininterrotto. Ma in certe ore e in determinate circostanze, ci rivolgiamo a Dio anche con le parole, perché, mediante questi segni, possiamo stimolare noi stessi e insieme renderci conto di quanto abbiamo progredito nelle sante aspirazioni, spronandoci con maggiore ardore a intensificarle. Quanto più vivo, infatti, sarà il desiderio, tanto più ricco sarà l'effetto. E perciò, che altro vogliono dire le parole dell'Apostolo: «Pregate incessantemente» (1 Ts 5, 17) se non questo: Desiderate, senza stancarvi, da colui che solo può concederla quella vita beata, che niente varrebbe se non fosse eterna?
http://www.maranatha.it/Festiv2/ordinA/A29page.htm

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