DON ANTONIO

mercoledì 31 agosto 2011

LE VERITÀ TRASCURATE DELLA SPERANZA CRISTIANA

Vista la diffusa ignoranza sulla divina Rivelazione e il dilagare del malefico relativismo, fattori
che alimentano il clima di rassegnazione e di sconforto verso il futuro, oggi la vera urgenza è di
educare alla speranza. Nonostante ogni domenica i cristiani nella S. Messa riaffermino: “…
proclamiamo la Tua resurrezione nell’attesa della Tua venuta”, sembra che molti vivano la
quotidianità senza questa sconvolgente e gioiosa verità. Pertanto, è necessario ritornare ad
annunciare le verità dimenticate della speranza teologale e testimoniare, con il proprio stile di vita,
“la potenza della risurrezione di Cristo” che “ci ha rigenerati a una speranza vivente”.
“Benedetto sia il Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha
rigenerati a una speranza vivente mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una eredità
incorruttibile, incontaminata e inalterabile. Essa è conservata nei cieli per voi che dalla potenza di Dio
siete custoditi, mediante la fede, per la salvezza che sta per essere rivelata negli ultimi tempi.[…] Chi vi
potrà fare del male, se siete zelanti nel bene? Ma se anche doveste soffrire per la giustizia, beati voi! Non
vi sgomentate per paura di loro, né vi turbate, ma glorificate la santità del Signore, Cristo, nei vostri cuori,
pronti sempre a render conto a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Ma fatelo
con mitezza e rispetto, mantenendo una buona coscienza, affinché, nel momento stesso in cui si parla
male di voi, rimangano svergognati quelli che calunniano la vostra buona condotta in Cristo.
(1Pt 1,3-6; 3,13-16)
Siamo rigenerati a una speranza vivente mediante
“LA POTENZA DELLA RISURREZIONE DI LUI”.
Oggi c'è un’inflazione nell'uso di molti termini dei quali non si conosce appieno il significato, tra questi
c’è la parola “speranza”, la quale è di sicuro, tra le tre virtù teologali, la più misconosciuta.
I credenti sono chiamati a riacquistarne il vero significato. Sembra, infatti, che i cristiani, non tenendola
nella debita considerazione, abbiano perso il coraggio di annunciarla e testimoniarla con la loro vita. Per
molto tempo forse ci siamo impegnati a dar ragione della nostra dottrina, dimenticandoci l’importanza
delle “ragioni del cuore” (per un maggior approfondimento v’invito a visitare il sito:
www.famigliagemagi.com). Allo stesso modo, impegnati nel difendere i nostri principi morali, ci siamo
distolti dal considerare necessaria, per la vita di un cristiano, la virtù della speranza, la quale, di fatto, è
sempre più trascurata, anche nelle stesse omelie. La mia esperienza a scuola con gli alunni e in
parrocchia con i genitori, riguardo alla diffusa rassegnazione, alla tristezza, alla disperazione e alla paura
d’imminenti fenomeni catastrofici, suffraga il letargo quasi mortale in cui viviamo.
La speranza cristiana è così poco comprensibile, per noi del XXI secolo, perché siamo figli di una
mentalità pragmatica, che segue i valori di una società fondata sull’edonismo, sul desiderio di possesso,
sull’egoismo, sulla competizione e sulla fretta. Tutto deve essere realizzato subito, perché siamo sempre
più incapaci di discernere i momenti propizi, le città, di fatto, sono diventate fabbriche di edonisti tristi e
disperati (vedi a tal proposito la mia meditazione sul sito web).
Forse è opportuno non dare niente per scontato e chiarirci le idee su
CHE COS’È LA "SPERANZA”.
La speranza è la seconda delle tre virtù teologali, dette così perché sono donate da Dio all’uomo, per
realizzare il suo progetto, quello di farlo partecipe della sua stessa natura divina. Tra le tre virtù c’è
un’osmosi: la speranza scaturisce dalla fede, la quale è sostenuta dalla speranza (“Abramo…ebbe fede
sperando contro ogni speranza” Rm 4,18), e si alimenta della carità che spera (“La speranza poi non
delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato
dato” Rm 5,5; “la carità… tutto spera” 1Cor 13,7). Poiché, la speranza è strettamente legata alla fede,
essa è il bastone che ci sostiene nel cammino verso Dio, come pure è lo strumento che, nutrendosi della
carità, ci permette di lavorare con forza e con gioia per il Suo Regno.
La speranza indica qualcosa da venire, l’attesa di un evento che, nella fede, è certo che accadrà, ma
dal punto di vista umano potrebbe anche non accadere.
LE VERITÀ TRASCURATE DELLA SPERANZA CRISTIANA
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Probabilmente, la speranza è la più laica delle virtù teologali per il semplice motivo che anche il solo
sperare in un bene mondano, come avere dei progetti, il lottare per un credo politico…, è sempre fonte di
energia, di carica vitale nei momenti bui della vita.
La speranza, quindi, è una sorgente di forza per vivere in modo diverso; essa pone l’uomo nella
condizione di vivere per qualcosa che migliori la sua condizione materiale e morale. La sua vita non ha
senso se non s’impegna in qualche campo (filosofico, morale, scientifico, ecc.). Victor Frankl, uno
psicoterapeuta austriaco, deportato nel campo di sterminio di Auschwitz, aveva notato che non tutti i suoi
compagni di prigionia sopportavano le sofferenze allo stesso modo. Coloro che credevano o speravano in
qualcosa, vivevano più a lungo rispetto a chi viveva senza nessuna speranza.
È opportuno chiarire che la speranza cristiana non va confusa con una ragionevole previsione di
buon esito dei progetti umani. La nostra speranza non è una semplice proiezione di quello che vorremmo
essere o fare, non è il sogno di un mondo migliore realizzabile solo nella vita terrena. Pur non essendo
avulsa dalla realtà di questo mondo, la speranza cristiana va oltre, guarda alle cose di lassù, al Cielo, alla
dimensione ultraterrena. Essa ci porta a vedere i semi del Regno di Dio, di un mondo nuovo già presente
in mezzo a noi, grazie all’intervento di Dio che si è manifestato nella vita, morte e risurrezione di Gesù.
Infatti, noi affermiamo che il centro della nostra fede è Cristo risorto, nostra speranza!
San Paolo ci spiega il motivo per cui il cristiano spera e qual è il segreto della nostra speranza, quando,
focalizzando la centralità del grandioso Evento pasquale di Cristo come il fondamento della nostra
speranza, afferma: “Non vogliamo lasciarvi nell’ignoranza, fratelli, circa quelli che sono morti, perché non
continuiate ad affiggervi come gli altri che non hanno speranza. Noi crediamo, infatti, che Gesù è morto e
risuscitato; così anche quelli che sono morti, Dio li radunerà per mezzo di Gesù insieme con lui” (1Ts
4,13-14).
Dunque, la speranza umana, pur necessaria, s’identifica solo parzialmente con la virtù teologale (con
l'atteggiamento del cristiano), in quanto la speranza cristiana (dono che viene dall’alto) è fondata su un
evento storico. Infatti, l'affermazione “rigenerati a una speranza vivente” è motivata dalla risurrezione di
Gesù dai morti. Di conseguenza, la nostra speranza è una Persona che ha un nome che “è al di sopra di
ogni altro nome”: Gesù Cristo, il Risorto. Ecco perché, proprio nel tempo della ragione debole e del
disincanto in cui ci troviamo, occorre riuscire a dire con vigore che Cristo è la ragione della speranza che
è in noi. Se tutto appare relativo, scorrevole e oscuro, Gesù è il nostro punto stabile e luminoso. Se tutto
sembra passeggero, Cristo è per sempre ed è l’unico che promette e realizza la nostra eternità.
CHIAMATI A “DIFENDERE” LA NOSTRA SPERANZA
Il primo Papa, San Pietro, ci esorta a essere testimoni della nostra fede: “pronti sempre a render
conto… della speranza che è in noi.” (che il testo greco dice: “pronti sempre alla difesa, a rispondere in
difesa”). Siamo chiamati a saper rispondere in difesa, dunque, ma sempre “con mitezza e rispetto” (3,16).
Da qui, l’importanza di fare sempre coincidere la verità con la carità, perché la sorgente originaria di ogni
speranza è l’amore di Dio.
È vitale difendere la “speranza”, perché ci sono molte cose (tra cui l’opera malefica di satana) che la
insidiano e la vogliono strappare dal nostro cuore. Afferma la Sequenza letta nel giorno di Pasqua: “Morte
e Vita si sono affrontate in un prodigioso duello. Il Signore della vita era morto; ma ora, vivo, trionfa...
Cristo, mia speranza, è risorto; e vi precede... ”.
È vero che Cristo nostra speranza ha vinto il duello. Il Signore della vita ormai ha l’ultima parola sulla
morte. C’è da dire, purtroppo, che questo duello è ancora in atto nella storia, nella società e soprattutto
dentro di noi: siamo combattuti tra il peccato e la grazia, tra l’egoismo e l’amore, tra la paura e la fede, tra
la disperazione e la speranza. Cristo, tuttavia, ci ha dato le armi per vincere questo duello: la Parola, la
preghiera e il suo amore; ci ha dato la Santa Chiesa e i sacramenti, ci ha dato sua Madre, Maria
Santissima, “Stella della speranza”, la Corredentrice che vincerà l’antico serpente. Afferma Giovanni
Paolo II nel suo libro Oltre le soglie della speranza: “la vittoria verrà per mezzo di Maria”, Colei che ha
avuto da Dio un ruolo unico e originale nella storia di salvezza, quello di cooperare con Cristo alla
redenzione del genere umano. Le continue e recenti apparizioni mariane stanno confermando la profezia
del Papa.
.C’è, quindi, una verità fondamentale che va rimarcata: il Regno di Dio deve venire e vincere prima
dentro di noi, solo così si realizzerà la vittoria della civiltà dell’amore. Dobbiamo “vaccinarci” contro
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l’epidemia della disperazione, tentazione che sta sempre in agguato.
Oggi la disperazione è un sentimento molto diffuso nel mondo. Non possiamo sottovalutare come il
maligno riesce a spargere i semi del suo odio e del suo veleno più con la disperazione e lo
scoraggiamento, che con tutte le altre seduzioni. Il diavolo agisce disseminando la disperazione nel cuore
dell'uomo, portandolo a non credere più nell'amore e nella misericordia di Dio.
Il “Menzognero” fa di tutto per indurci a credere che Dio non ci ama, vuole farci sentire un rifiuto, un
abominio senza speranza. Per questo la nostra speranza sta, innanzitutto, nella potenza dell'amore di
Dio. È importante crescere nella conoscenza di Dio e del suo amore, altrimenti, la nostra fede resta
distorta e quando preghiamo non otteniamo le grazie da Gesù perché non sappiamo sperare, non
sappiamo pregare in spirito e verità, perché non abbiamo fatto ancora una vera esperienza del suo
amore. Il nostro rapporto immaturo con Dio è palese quando pensiamo: “Siccome faccio delle buone
opere e digiuno ho dei meriti verso Dio. Io prego sempre, per cui Dio deve farmi questa grazia… ecc.”.
Questa mentalità è tutta sbagliata e manifesta un cattivo rapporto con Dio, la poca fiducia nella sua
volontà, il nostro tentativo di strumentalizzarlo.
L’immaturità religiosa porta l'uomo inevitabilmente a vivere senza speranza, privo di vitalità, perché
nel suo cuore non c’è più amore dentro. Per vincere il combattimento spirituale e smascherare le
menzogne propinate dai media, è importante confidare, soprattutto, nell’aiuto della Vergine Maria e usare
le armi della fede: la preghiera e il discernimento. Ci esorta San Paolo: "Rivestitevi dell'armatura di Dio,
per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia, infatti, non e contro creature fatte di carne è
di sangue, ma contro i principati e le potestà… contro gli spiriti del male che abitano le regioni celesti" (Ef
6,11-12). La grande disperazione porta a tirarsi fuori volontariamente dalla storia di salvezza che Dio
vuole realizzare con noi; molto spesso, purtroppo, ci si rende conto troppo tardi del grandissimo errore
commesso.
Pertanto, il disperare può diventare il peccato contro lo Spirito Santo, quando, cioè, non si fa agire
la Grazia, come quando si sente la chiamata dall’Alto, un fuoco che brucia dentro, e dire no (qui penso a
quante vocazioni soffocate non solo dall’abulia spirituale del chiamato, ma dal cattivo discernimento di chi
è preposto che, facendo calcoli matematici, in questo modo spegne lo Spirito).
Siamo chiamati tutti a fare la nostra parte. Se saltiamo giù dalla scena di questo mondo, pensando
che il nostro ruolo non c’interessa più, Dio troverà anche un altro attore che ci sostituisca, ma verrà il
giorno in cui ci renderemo conto della grande occasione perduta e resterà in noi la disperazione di aver
vissuto una vita forse inutile. La vera speranza, quindi, è l'antitesi della disperazione e dell'angoscia, è il
desiderio di una conoscenza che vada oltre i confini della finitezza umana.
La speranza cristiana, perciò, è qualcosa di più che essere felici sulla terra. Essa non è un’attesa
passiva, è una partenza, un mettersi in cammino, un tendere verso qualcosa, anzi, verso Qualcuno,
usando i talenti (i carismi) ricevuti in dono. Dunque, la seconda virtù teologale, così misconosciuta e
incompresa, è l’elemento basilare della nostra vita e non solo dal punto di vista umano. Infatti, soltanto
l’amore di Dio rende tutto più chiaro; anche quando non capiamo e siamo avvolti dalle tenebre del
peccato e della morte, la speranza diventa qualcosa di più del motore dell’esistenza: “Mi stringevano funi
di morte... Mi opprimevano tristezza e angoscia e ho invocato il nome del Signore: «Ti prego, Signore,
salvami». Buono e giusto è il Signore, il nostro Dio è misericordioso. Il Signore protegge gli umili: ero
misero ed egli mi ha salvato. Ritorna, anima mia, alla tua pace, poiché il Signore ti ha beneficato; egli mi
ha sottratto dalla morte, ha liberato i miei occhi dalle lacrime, ha preservato i miei piedi dalla caduta.
Camminerò alla presenza del Signore sulla terra dei viventi” (Sal 116,3-9).
La fede in Cristo risorto, nostra speranza, ci mette nella condizione di scoprire dentro di noi che cosa
ci mantiene in vita per fare leva e uscire dalla nostra possibile situazione di depressione. La speranza è
l’ossigeno della nostra esistenza e chi non spera non vive, ma vegeta. La speranza è necessaria all’uomo
soprattutto per lottare contro quello che reputa il nemico più assurdo e imbattibile che da sempre lo
insegue senza tregua sino alla fine: l’idea della morte.
È certo che Cristo nella Parusia apparirà trionfante, portando la sua liberazione dalla morte. Ecco
perché l’atteggiamento del cristiano è di speranza e non di paura, nonostante le difficoltà della vita.
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C’è da considerare che: ANCHE DIO SPERA.
Dio, come sempre, prende l’iniziativa, ebbene, anche nella speranza “Dio ci ha prevenuto”, perché Lui
spera in noi. L’amore per l’uomo peccatore, il timore di perderlo e l’ansia per la sua salvezza: “ha fatto
tremare il cuore di Dio del tremore stesso della speranza. Ha introdotto nel cuore stesso di Dio la
teologale speranza” (diceva Charles Péguy, scrittore e poeta francese).
Il Creatore, che è tutto e ha tutto, ha qualcosa da sperare proprio da noi peccatori. A causa della
nostra libertà si è messo nella condizione di dover sperare, di attendere un sì da noi liberi di poter
peccare. Il Padre Buono “ha messo nelle nostre mani, nelle nostre deboli mani, la sua speranza eterna”
(dice ancora Péguy). Ogni conversione dell’uomo “è coronamento di una speranza di Dio”:
Ecco perché noi cattolici non crediamo nella predestinazione, bensì confidiamo nella speranza di Dio
che ci ha creati con un desiderio, con la speranza di averci nel suo Regno, confidando nella capacità
dell’uomo di riconoscere il suo grande amore e la sua salvezza.
Un altro aspetto da considerare: ANCHE LE ANIME SPERANO.
Nel passato, la difficoltà ad accogliere la verità sulla risurrezione dei corpi era legata alla cultura
greca, in particolare alla dottrina di Platone sull'immortalità dell'anima, accompagnata da una marcata
disistima per il corpo. Pertanto, era impensabile che l'anima liberata dal corpo ritornasse alla sua
prigionia, e che questo ritorno fosse un traguardo glorioso. San Paolo sperimenterà, infatti, l'ostilità dei
greci nell’Areopago di Atene circa la verità della risurrezione dei corpi: “Quando sentirono parlare di
risurrezione di morti, alcuni lo deridevano, altri dissero: Ti sentiremo su questo un'altra volta." (At 17,32).
La Rivelazione, invece, attesta non solo la storicità della risurrezione di Gesù, ma che tutti insieme
formiamo in Cristo una sola famiglia (crediamo nella comunione dei santi), la Chiesa, terrestre e quella
celeste sono un’unica realtà. Perciò, le anime del Purgatorio sperano molto nell’aiuto delle nostre
preghiere, poiché confidano di passare presto a miglior vita e contemplare il volto di Dio.
Le anime nel Paradiso, che godono già della gloria di Dio, invece, intercedono per noi. Esse, quindi,
pregando per noi, hanno fiducia in noi, sperano nella nostra salvezza. Inoltre, bisogna considerare che la
loro condizione beata, pur godendo della felicità della visione divina, non è ancora pienamente compiuta,
manca a loro la carne, manca il corpo risorto e trasfigurato.
La risurrezione finale è speranza di felicità dell'anima individuale. Per il cristianesimo, infatti, ha
importanza non solo l’anima, ma tutto l’uomo, poiché, senza il corpo, siamo incompleti. Pertanto l’anima,
separata dal corpo a causa della morte, si trova in uno stato di attesa della resurrezione del corpo: "Di
questo gioisce il mio cuore, esulta la mia anima; anche il mio corpo risposa al sicuro, perché non
abbandonerai la mia vita nel sepolcro…" (Sal 15,9-10). Per questo motivo, per l'anima dei defunti la
speranza nella risurrezione dei corpi è certezza, in quanto: “Ciò che si spera, se visto, non è più
speranza” (Rm 8,24).
L’anima in paradiso potrà godere della piena beatitudine solo quando il suo corpo sarà trasfigurato.
Solo allora si avrà il compimento del progetto di Dio sull’uomo che diventerà ciò per cui è stato creato:
essere veramente l’uomo dell’eternità, partecipe della stessa natura di Dio.
La speranza cristiana va intesa, quindi, come: “La passione dell’uomo per le inaudite e inconcepibili
possibilità della Speranza che Dio nutre nelle sue creature ”.
Tra le inaudite possibilità della Speranza c’è la partecipazione dell’uomo alla vita di Dio, c’è, quindi, la
gioia dell’anima e del corpo, nell'attesa della parusia, della risurrezione della carne: “Nell'attesa di quel
giorno, il corpo e l'anima del credente già partecipano alla dignità di essere « in Cristo »” (CCC 1004). La
speranza cristiana contiene la restaurazione integrale della persona; quindi anche la trasformazione totale
del corpo, che diverrà spirituale, incorruttibile e immortale (cfr 1Cor 15,35-53). L’ultimo libro sacro ci
rivela: “E Colui che sedeva sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose»; e soggiunse: «Scrivi,
perché queste parole sono certe e veraci. Ecco sono compiute! Io sono l`Alfa e l`Omega, il Principio e la
Fine. A colui che ha sete darò gratuitamente acqua della fonte della vita. Chi sarà vittorioso erediterà
questi beni; io sarò il suo Dio ed egli sarà mio figlio.” (Ap 21,5-7).
Proprio perché Dio fa nuove tutte le cose, anche il creato spera. Dice san Pietro: “…secondo la
sua promessa, noi aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova” (2Pt 3,13.).
È sorprendente e misterioso ciò che San Paolo afferma in Romani (8.19-20): “La creazione stessa
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attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio… e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla
schiavitù della corruzione…”. Esiste un anelito molto profondo non solo in noi, ma addirittura nel cuore di
tutto il creato per un’altra dimora. L’universo e il mondo presente, con tutta la loro meravigliosa bellezza,
non possono paragonarsi alla felicità che ci aspetta quando Dio nella parusia farà cieli nuovi e terra
nuova.
MA… COME SI PUÒ TRASMETTERE LA SPERANZA CHE È IN NOI?
È opportuno sottolineare che San Pietro non dice: la speranza di cui avete appreso la dottrina,
date l’annuncio, ma dice: “la speranza che è in voi”. Si può comunicare la speranza solo se si spera
veramente; e veramente si spera solo se in noi c’è l’amore sperante di Dio, se è Dio che spera in noi e
attraverso di noi. Solo allora anche noi possiamo “tutto sperare, tutto sopportare” (cfr 1 Cor 13,7), con la
forza dell’amore, che ci fa essere veri testimoni gioiosi di speranza viva.
L'uomo sembra aver perso la consapevolezza della gratuità dell'amore di Cristo, invece, è proprio
l’esperienza della verità e della totale gratuità dell'amore di Dio che ci fa acquistare la speranza. Quindi, la
speranza si trasmette con il racconto della nostra speranza, dell’Incontro personale con Lui che ha
cambiato la nostra vita. Oggi come ieri, si può comunicare la speranza solo attraverso un “racconto”, nel
quale il testimone dice come si è lasciato plasmare e riempire la vita dall’incontro sconvolgente con il
Risorto. “Poiché nella speranza siamo stati salvati” (Rm 8,24), nella speranza vivente si diventa,
gradualmente, veri cristiani nella fedeltà.
Tutta la Bibbia è un racconto di speranza. L’A.T. ci presenta la speranza nella figura di Abramo;
colui che, “chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza
sapere dove andava” (Eb 11,8); e così, “sperando contro ogni speranza”, è divenuto “padre di tutti noi”
(Rm 4,16-18). La speranza è parte integrante della storia del popolo di Israele, l’attesa del Messia è
mantenuta viva dai numerosi profeti (vedi Isaia, Geremia, Osea, Sofonia, Ezechiele, Amos, Aggeo,
Malachia, ecc.). Il popolo ebraico attendeva un nuovo liberatore dalle sue diverse schiavitù. In particolare,
era la maggioranza paziente che sperava nella venuta del Messia. Lo aspettavano con ansia gli smarriti
di cuore, i ciechi, gli storpi, i poveri di Jahvè (cfr. Is 40), quelli che la Sacra Scrittura chiama gli anawim, gli
schiavi e gli oppressi, coloro che vivono di stenti e, per questo, hanno imparato ad aprire il cuore a Dio.
Essi sono i miti delle beatitudini, perché hanno un atteggiamento di speranza e di fiducia totale in Dio.
Il Vangelo è per gli Anawim ed è più di un libro sacro, è una Persona, è il Verbo di Dio incarnato,
morto e risorto per la nostra liberazione. Il racconto della speranza, quindi, non è riportare una vicenda
del passato, bensì, è narrare l’incontro del testimone con il Risorto per far sorgere, in chi vede e ascolta, il
desiderio di cercare Gesù e decidere di mettersi alla sua sequela.
La testimonianza non narra solo il contenuto della speranza cristiana, ma indica anche il cammino per
conquistarla. È fondamentale fare questa esperienza per la conversione. Solo l’incontro con il Risorto
trasforma la mentalità e la vita dei credenti, e sostiene il loro impegno per la costruzione della civiltà
dell’amore.
Oggi si parla di emergenza educativa, piuttosto
LA GRANDE EMERGENZA DI OGGI È EDUCARE ALLA SPERANZA
Ci chiediamo: Nelle nostre comunità cristiane è alimentata la speranza di un rinnovamento?
Quale speranza c’è in noi? Sono molti coloro che non desiderano avere un cuore nuovo, piuttosto, una
macchina nuova… ecc. Tante volte riponiamo la nostra speranza e la nostra sicurezza sul denaro, sul
lavoro, sulla carriera, sugli idoli… Queste sono sicurezze effimere, che ci creano solo ansie e problemi.
Fino a quando non siamo capaci di staccarci dalle sicurezze del mondo, non potremo mai riporre la
nostra speranza in Cristo. Solo in Lui c’è garanzia di realizzazione, Egli è la presenza reale in mezzo a
noi dell’amore divino in persona “Sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del tempo" (Mt 28,20). Dio, con il
dono dello Spirito di speranza, ci porta verso la piena comunione con Lui, con noi stessi e con il prossimo.
COME EDUCARCI CONCRETAMENTE ALLA SPERANZA?
La “Spe salvi” ci aiuta a fare discernimento: “Ogni agire serio e retto dell’uomo è speranza in atto” (n.
35). È opportuno far parlare il Papa Benedetto XVI: “Per educare alla speranza, è anzitutto necessario
aprire a Dio il nostro cuore, la nostra intelligenza e tutta la nostra vita, per essere così, in mezzo ai nostri
fratelli, suoi credibili testimoni… Anzitutto la preghiera, con la quale ci apriamo e ci rivolgiamo a Colui che
è l’origine e il fondamento della nostra speranza. Attraverso la preghiera impariamo a tenere il mondo
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aperto a Dio e a diventare ministri della speranza per gli altri. Desidero sottolineare piuttosto
quell’atteggiamento e quello stile con cui lavora e si impegna colui che pone la sua speranza anzitutto in
Dio. E’ in primo luogo un atteggiamento di umiltà, che non pretende di avere sempre successo, o di
essere in grado di risolvere ogni problema con le proprie forze. Ma è anche, e per lo stesso motivo, un
atteggiamento di grande fiducia, di tenacia e di coraggio: il credente sa infatti che, nonostante tutte le
difficoltà e i fallimenti, la sua vita, il suo operare e la storia nel suo insieme sono custoditi nel potere
indistruttibile dell’amore di Dio; che essi pertanto non sono mai senza frutto e privi di senso. In questa
prospettiva possiamo comprendere più facilmente che la speranza cristiana vive anche nella sofferenza,
anzi, che proprio la sofferenza educa e fortifica a titolo speciale la nostra speranza.”.
LA DIACONIA DELLA SPERANZA.
È vero, questo tempo è buio, ma solo di notte si vedono bene le stelle (P. Casaldáliga).
I diaconi, come tutti i credenti, sono chiamati a brillare, a essere stelle nella notte. Il ministero ordinato
del diacono, aperto alla carità fraterna e alla promessa della risurrezione, si pone come segno ministeriale
della speranza cristiana. Deve essere evidente a tutti che noi diaconi se abbiamo sentito la chiamata al
servizio è perché c’è stato un incontro intimo con Lui. Per questo è proprio dei diaconi amministrare il
servizio della speranza cristiana, in particolare attraverso la diaconia della parola e della dedizione
prestata agli ultimi e ai piccoli in nome di Cristo.
L’episodio dell’incontro del diacono Filippo con l’etiope ci insegna come svolgere il nostro
ministero: Gli parlò l’angelo del Signore: “Alzati e va verso il mezzogiorno sulla strada che discende da
Gerusalemme a Gaza; essa è deserta” (Atti 8,26).
Afferma il card. S. Piovanelli: “Quelle parole alzati e va sulla strada sono particolarmente adatte ai
diaconi: il diacono abbina il carattere clericale del sacramento con il carattere laicale della condizione di
vita. Per il diacono è più facile obbedire all’ordine di andare sulla strada, lui che, in un certo modo, sulla
strada c’è già. Sembra che l’angelo gli dica: sulla strada non c’è nessuno, la strada è deserta ma tu non
aver paura, vacci lo stesso e incontrerai qualcuno che ha bisogno di te; ma bisogna correre avanti sino a
raggiungere l’uomo nella sua situazione e, camminandogli accanto, offrirgli l’occasione di invitarti a salire
per ascoltare quello che ha da dirti: figura di tutta la Chiesa che cammina accanto all’uomo nella storia.
L’episodio di Filippo si conclude con queste parole: “L’eunuco proseguì pieno di gioia il suo cammino”. I
diaconi contagiano di gioia le persone che incontrano. Vivendo intensamente la diaconia della speranza, i
diaconi effettivamente aiutano l’uomo di oggi a proseguire pieno di gioia il suo cammino nella storia.”
Chiediamo al Signore che ci conceda di essere fedeli alla nostra vocazione, ovvero, di essere dei
servi anche inutili, di restare nell’umiltà, nella consapevolezza di essere delle “lampadine” che si possono
accendere e illuminare solo se si lasciano attraversate dalla “corrente” dello Spirito Santo. Rendiamo
grazie a Dio che ci ha donato Maria Santissima, Stella della Speranza, la quale ci insegna che se siamo
umili, Dio può fare gradi cose in noi. In Lei si è realizzato ciò che Gesù disse sulla montagna:
“Beati gli anawim, i poveri in spirito…”, perché essi saranno veri ministri della Speranza.
Sì, perché, i veri servi sono “i poveri di Dio”, essi non si sentono superiori agli altri, confidano solo in Dio e
la loro unica ambizione è di servire, perché solo i servi permanenti saranno chiamati amici da Dio.
Ringraziamo il Signore Dio che libera quanti sperano in Lui e facciamo nostra la preghiera del
salmista che ci insegna come pregare in spirito e verità: “Solo in Dio riposa l'anima mia, da lui la mia
speranza" (Sal 62,2). Con perseveranza, sostenuti dallo Spirito di speranza che Dio ha effuso nei nostri
cuori, invochiamolo: “Vieni, Signore Gesù”. Questo è il grido struggente che tutta la Chiesa innalza al
Signore in attesa della Sua venuta: “Lo Spirito e la sposa dicono: «Vieni!». E chi ascolta ripeta: «Vieni!»…
(Cristo) Colui che attesta queste cose dice: «Sì, verrò presto!». Amen. Vieni, Signore Gesù. La grazia del
Signore Gesù sia con tutti voi. Amen!” (Ap 22,17.20).
Quarto, Napoli 13 - 04 – 2010 mario d’agosto

http://www.diocesipozzuoli.org/uploads/tinymce/9/SPERANZA.pdf

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