DON ANTONIO

venerdì 19 agosto 2011

L'escatologia in San Giovanni





L’Escatologia di Giovanni si differenzia un po’ dall’escatologia di Matteo, Marco e Luca. Cosa pensa Giovanni del futuro del cristiano e della Chiesa? La differenza principale che l’apostolo Giovanni presenta nella sua escatologia, rispetto ai sinottici, è che mentre per Matteo, Marco e Luca la speranza del cristiano è quasi interamente riversata sul futuro, cioè sull’atteso ritorno di Cristo, il giorno del Figlio dell’uomo a cui seguirà il giudizio e l’instaurazione del Regno messianico che non avrà più fine, Giovanni, pur lasciando intatta questa prospettiva del Regno di Dio che si deve compiere nel futuro, pone l’accento sul presente del credente. Per Giovanni il futuro ultimo, il destino finale del singolo uomo e l’esito del giudizio di Dio è anticipato nell’oggi e precisamente nell’atteggiamento che il cristiano assume personalmente nei confronti della Parola del Vangelo. Mentre i sinottici utilizzano spesso l’immagine della Parusia finale del Figlio dell’uomo, in Giovanni non troviamo un accento marcato su questo ritorno glorioso del Figlio. Per Giovanni la persona umana, nel momento in cui si incontra con Cristo nell’oggi della predicazione, decide già il suo destino ultimo e quindi ogni speranza cristiana non deve essere proiettata unicamente nell’attesa di un giorno e di un’ora che non sappiamo. I battezzati determinano il loro destino fin da ora nella posizione che prendono davanti a Cristo; in un certo senso il giudizio di Dio si compie già in questa posizione presa dal singolo uomo davanti al vangelo: il giudizio finale non farà che confermare le decisioni con cui la persona ha dato un orientamento alla propria vita, in bene o in male. In particolare, i sacramenti del Battesimo e dell’Eucaristia, rappresentano il vertice della possibilità di incontrare personalmente il Cristo risorto. Il Logos che si è fatto carne, e che si è reso presente nel mondo, divide dinanzi a sé l’umanità non per un’azione forense compiuta da Lui - perché il giudizio di Dio non consiste in una sentenza emessa dal Cristo - ma è l’umanità stessa che dinanzi al Logos prepara la sentenza definitiva con l’atteggiamento che prende. In Gv 9,39 si narra la duplice guarigione del cieco nato, Cristo prima gli dà la vista degli occhi e successivamente incontrandolo gli dice: “Tu credi nel Figlio dell’uomo? Ed egli disse: Io credo Signore”; in questo momento il cieco nato riceve la seconda guarigione, quella più importante, perché Cristo gli dona la vista dello spirito dopo avergli donato la vista degli occhi, e poi aggiunge: “Io sono venuto in questo mondo per giudicare, perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi” (9,39). Ma in che senso davanti a Cristo quelli che non vedono cominciano a vedere e quelli che vedono diventano ciechi? Il cap. 3 di Giovanni è un testo che completa la prospettiva e dà la chiave d’interpretazione di questo detto di Cristo: “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo” (v. 17). La presenza di Cristo nel mondo rappresenta un giudizio già operante sull’umanità, in quanto l’umanità decide per Lui o contro di Lui, e in questo senso vanno intese le parole “Chi crede in Lui non è condannato, ma chi non crede è già stato condannato perché non ha creduto nel nome dell’Unigenito Figlio di Dio” (3,18). Cristo non dice: ”Chi non crede io lo condanno”, questa espressione non si trova mai nel vangelo di Giovanni; Cristo non compie un’azione giudicante verso l’uomo ma pone Se Stesso davanti all’uomo, e l’uomo davanti a Lui prende una posizione che si specifica come atto di fede o come incredulità. Questa posizione presa dall’uomo dinanzi al Logos fatto carne prepara la sentenza definitiva, e in un certo senso la anticipa se questa posizione di incredulità fosse portata avanti dal singolo uomo fino all’ultimo istante della sua vita come una sua opzione di fondo. Il giudizio finale non riserverà, secondo Giovanni, alcuna particolare sorpresa: sappiamo già la posizione che abbiamo preso e che sarà confermata nell’ultimo giorno. La prima lettera di Giovanni, a proposito dell’essere figli di Dio, dice che non è stato rivelato cosa comporta l’essere figli, ma già sappiamo di esserlo fin da ora; quindi non soltanto per il giudizio finale ma anche per il nostro statuto di figliolanza, per la nostra identità di figli di Dio, è tutto contenuto già nel presente, e non c’è da aspettare se non la rivelazione piena dell’essere figli ma a livello ontologico nulla di nuovo rispetto a quello che siamo già.Nel vangelo di Giovanni c’è anche una linea antropologica particolarmente originale che mette in relazione l’opera del Messia con l’opera del Creatore. Per Giovanni, il Creatore ha iniziato la sua opera creatrice in quella settimana originaria, ma la sua opera non è finita: essa ha bisogno di essere portata a compimento da Cristo. L’opera di Cristo comincia nello stesso giorno in cui il Creatore aveva terminato la sua opera, quando dopo la creazione dell’uomo, una volta infuso lo spirito vitale, Dio entra nel suo riposo: il sesto giorno. Infatti, la prima rivelazione del Messia avviene a Cana, al termine di un periodo di sei giorni. Infatti, all’inizio del cap. 2 si fa menzione di un tempo determinato: “Tre giorni dopo”. Questa indicazione sembra agganciarsi alla successione cronologica che inizia con la predicazione del Battista. In Gv 1,19 si parla della dichiarazione del Battista (che ha luogo in un giorno iniziale); in 1,29 viene detto “il giorno dopo” (e sarebbe perciò il secondo giorno), così pure in 1,35 e in 1,43 (terzo e quarto giorno), mentre in 2,1 hanno luogo le nozze di Cana “tre giorni dopo...”. E poiché nella consuetudine ebraica questa espressione include sempre il primo della serie, allora le nozze di Cana avvengono nel sesto giorno a partire dalla prima testimonianza del Battista. Il terzo giorno va calcolato dunque dal v. 1,43. Questo periodo di 6 giorni, che apre il libro dei segni, richiama il testo di Gn 1,26-31, dove il sesto giorno è il giorno della creazione dell'uomo; esso è anche il giorno in cui il Messia inizia la propria attività. L'ultima tappa della creazione si prolunga nella prima tappa del ministero del Messia. Nella prospettiva Giovannea l'opera creatrice di Dio nei confronti dell’umanità non è ancora completa, finché l’uomo non raggiunga la possibilità di vivere in pienezza, grazie al dono dello Spirito che lo introduce nella adozione divina e nella vita eterna.Come si è visto, nel sesto giorno della serie, per la prima volta il Messia si rivela ad Israele e comincia la sua opera donando la sovrabbondanza del vino che è simbolo dello Spirito, ovvero un amore nuovo ritrovato nel rapporto con Dio; era proprio questo che mancava all’uomo uscito dalle mani di Dio nel sesto giorno della creazione. Così come, ancora una volta, un altro periodo di sei giorni prepara il Messia a completare la sua opera (cfr 12,1), un’opera completata dall’alto della croce nell’effusione dello Spirito (cfr. 19,30): in quel momento la creazione dell’uomo è completa. L’azione creatrice di Dio, iniziata nella settimana primordiale, si conclude sul Golgota; l’effusione dello Spirito dona la pienezza della vita che Gesù aveva ripetutamente promesso ai suoi discepoli.
http://www.cristomaestro.it/corso/giovanni/escatologia.html

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