DON ANTONIO

giovedì 18 agosto 2011

Speranza Cristiana. Parte prima e seconda






La speranza cristiana provoca una sorgente di senso e chiede di rimanere fedeli a una fede certa, mentre la speranza umana è solo un appiglio per non naufragare nel mare delle difficoltà e dei disastri. Tuttavia vi è la tendenza di considerare la speranza cristiana come un’utopia, come un voler tendere a un qualcosa che non si può raggiungere e di conseguenza di essere esposti all’incertezza e alla delusione. Manca, in definitiva, la certezza di poter raggiungere il traguardo prefissato.

Nella lettera agli Efesini l’Apostolo Paolo menziona: "Ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d’Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio in questo mondo" (Ef 2,12). L’Apostolo sapeva che i gentili avevano una religione mitologica zeppa di dèi e miti e dai quali non proveniva nessuna speranza. Popoli che brancolavano in un mondo buio e il cui destino era oscuro, per questo Paolo rende evidente l’elemento che distingue i cristiani: "Conoscono Dio e in Dio hanno un futuro", sanno, in definitiva, che la loro vita non finisce nel vuoto".

Il Cristiano spera e crede nell’intervento del Signore Gesù a favore del suo popolo e questa speranza, in Paolo, acquista un tratto escatologico poiché si tratta di un incontro, direi definitivo, tra il credente e Gesù Cristo. Questo incontro particolare cambia l’esistenza, poiché le stupende regole morali evangeliche devono tradursi nell’agire dell’uomo cristiano. L’agire del credente non poggia quindi su un pensiero filosofico, ma su una persona che è il Figlio Unigenito di Dio, cioè Dio. "Tu però rimani saldo in quello che hai imparato e che credi fermamente. Conosci coloro da cui lo hai appreso e le sacre Scritture fin dall'infanzia: queste possono istruirti per la salvezza, che si ottiene mediante la fede in Cristo Gesù" (2 Tm 3,14-15).

Il cristiano è ricolmo di speranza poiché Gesù è al centro di tutta la Sacra Scrittura. L‘esistere del credente deve essere segnato da un trasporto docile verso il suo Maestro. A tal proposito dice il Salmo: "Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare ad acque tranquille mi conduce". L'esperienza della Parola è dunque origine e meta della vita cristiana che trascende e anima la speranza del credente.

La relazione tra fede e speranza è intrinsecamente collegata a Cristo che è il fondamento e motivo della stessa esistenza. "La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede" (Eb 11,1). Solo se il credente ha fiducia in Gesù, può sperare e la speranza, da parte sua, può nutrire e custodire la fede. Con questo presupposto ciò che si crede diventa ciò che si spera: "Il Dio della speranza vi riempia, nel credere, di ogni gioia e pace perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito santo" (Rm 15,13).

La speranza, non va dimenticato, è certezza nel futuro in forza di una realtà presente determinata da quella Presenza che la fede ci indica. Il cristiano testimonia la speranza vivendo nella fede realizzando così l’essenza del suo esistere. La speranza, che affonda le radici nell’amore, non delude: "In speranza infatti siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza; infatti, ciò che uno vede, come potrebbe sperarlo? Ma, se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza" (Rm 8,24).

L'uomo moderno spesso pensa solo a se stesso e ricerca unicamente ciò che lo rassicura, così sbarra verso la strada verso un futuro e verso la speranza!

L’uomo che spera è una persona che in continuazione ha cercato ed è stato raggiunto del Risorto. È bene ripetere che cercare Gesù è il presupposto per incontrarlo. Solo che cerca trova: "abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella legge, e i Profeti: Gesù, figlio di Giuseppe di Nazareth" (Gv 1,41-45).

Il messaggio biblico è un itinerario di conversione: "Voi sapete che non ha prezzo di cose effimere, come l’argento e l’oro, foste liberati dalla vostra condotta, ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo" (1 Pt 1,18-19). Il testimone della speranza è chi annunzia la "promessa della vita è in Cristo Gesù" (2 Tm 1,1) e racconta l’esperienza di un incontro che ha toccato la sua vita, il suo cuore nonostante la propria debolezza e fragilità.

Credere nel Risorto apre a quella speranza di chi sa tenere lo sguardo fisso in Gesù Cristo nostro Signore il quale ci ha aperto le porte dell’eternità.

La speranza cristiana e strettamente connessa sia alla fede sia alla carità, compagne di viaggio che la abbandonano mai. La speranza non può deludere perché sorge dalla fede e si alimenta con l’amore. "La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori". (Rm 5,5). Ecco che l’amore di Dio è dunque il sostegno e il fondamento della speranza, in forza del suo Amore potremo superare tutto ciò che è motivo di sofferenza: "cinque volte dai Giudei ho ricevuto i trentanove colpi, tre volte sono stato battuto con le verghe, una volta sono stato lapidato, tre volte ho fatto naufragio, ho trascorso un giorno e una notte in balia delle onde". (2 Cor 11,24).

Dio ha rivelato e promesso all’uomo una speranza certa: "Vi è un futuro definitivo nell’eternità", questo dovrebbe cambiare il modo di vivere per attendere una gioia che mai avrà fine dove il tempo non ci sarà più.

La speranza vince sempre la paura, poiché dona il coraggio non rimanere fermi, di aprire la porta per varcare la soglia e mettersi alla sequela di Cristo, e trovare il Lui il senso della vita. Si troveranno così nuovi orizzonti che compenseranno il presente e doneranno un futuro radioso.

L’eternità oltre a richiamare il senso della morte mette in seria crisi il significato dell’esistenza umana. La morte incute paura e si trasmette a tutte le altre paure umane. La morte, sotto tutti i punti di vista, è uno scacco per l’essere umano poiché dal punto della materia l’uomo nasce per morire. E un destino tragico evidenziato da un filosofo il quale disse: "Non è la morte che mi spaventa, ma l’idea della morte". L'idea di non essere mai più e di essere inghiottiti dal nulla terrorizza l'intelletto. Dinanzi a questa verità, dove non alberga la speranza, emerge la disperazione.

La morte, poi, induce a riflettere sul perché dell’esistere, ossia se l’uomo è legato solo alla materia che nasce, si sviluppa e al tempo stabilito si corrompe per esserci mai più, oppure vi è una luminosa risposta che placa il sapere e si trova nel trascendente. Quel trascendente svelato da Dio dove si muore per rinascere a nuova vita, ed è un sapere che supera ogni altra conoscenza umana.

Da come abbiamo esaminato, la morte è il naturale epilogo dell’esistenza umana, ma questo infausto destino è contrario all’anelito di vita che è insito in ogni creatura, poiché è tragico perdere il senso dell’esistere per sprofondare nel nulla. E come potremo conciliare il tempo con il senza-tempo, il finito con l’infinito? L’intelligenza umana può solo intuire vagamente la dimensione, dove non vi è il tempo che scorre senza tuttavia comprenderlo pienamente. I pensieri, le parole, le espressioni umane che sono limitate, finite e astratte, potranno mai esprimere questa situazione? Solo per grazia divina si può arrivare a comprendere tale realtà. Ecco dunque la necessità di un senso di vivere nonostante si debba morire, un significato che permetta di far nascere la speranza.

La prima condizione per dare un valore alla vita è sperare, la seconda è lasciarsi illuminare da Cristo, morto e risorto. Lui, Figlio unigenito di Dio, si è incarnato donandosi alla storia per poi ascendere al Cielo. Lì, la vita eterna non va concepita in senso temporale, ma come una dimensione che non avrà mai fine. L’uomo sarà posto alla presenza di Dio e parteciperà alla sua vita con una gioia talmente ineffabile da non essere concepita dalla limitata mente umana.

Il destino escatologico dell’uomo si attua e si esprime, dunque, nel dirigere il suo sguardo nell’orizzonte di Dio, dove c’è ad attenderlo la vera vita. «II tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel vangelo» (Mc 1,15). È saggio porre la speranza in Cristo per ritrovare il motivo dell’esistere e il senso della speranza umana.

Dice il Siracide: "Il Signore ha fatto l’uomo dal principio e l’ha lasciato in balia del suo consiglio" (Sir 15,14). Prosegue il Deuteronomio: "Io ti ho proposto la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza, amando il Signore tuo Dio, obbedendo alla sua voce e tenendoti unito a lui". (DT 30, 19-20). Solo scegliendo il bene e rifiutare il male si può ottenere la salvezza e vivere in relazione con Dio.

Il Vangelo ci parla ancora in modo più esplicito: "Chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà" (Mc 8,35). È questa una promessa che va ad alimentare la speranza.
Dopo la morte di Gesù seguì il silenzio, ma dopo tre giorni risorge con corpo glorioso e distrugge la morte. Sì, la risurrezione di Gesù apre anche per noi un vero futuro e non come un semplice avvenire, ma un orizzonte reale di vita e risurrezione.

Questa realtà non sta solo nel domani, ma già al presente, si può dire che è sempre attuale e in ogni momento, poiché dal mio comportamento, dal modo di vivere, ossia dalle mie decisioni e dalle mie libertà dipende il mio futuro di gloria oppure no con Dio.

Se l'uomo è fatto per amare ed essere amato, non gli resta che sperare l'amore. Ma l'uomo sa che l'Amore è Dio e che nulla potrà separarlo dal suo Amore. «Questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Gal 2,20).

È l’Amore infinito e gratuito di Dio che salva. Questa è quella speranza che l’uomo ardentemente desidera: "Unirsi intimamente a Cristo per raggiungere il vero amore e la felicità, per appagarsi in Lui eternamente".

Nelle corde di ogni cuore umano c’è il desiderio di esistere per sempre, di essere totalmente e per sempre amato. La morte non può essere la tomba che mette fine a queste sublimi aspirazioni.

Con l’avvento di Cristo la storia è trasformata, perché ci ha svelato la sua più intima verità: "L’uomo ha un futuro di gloria". Il futuro è già nell’oggi, qui e ora. L’uomo può dunque guardare la realtà in modo più vero e profondo, poiché l’eternità inizia da come si vive la vita quotidiana. In altre parole, mantenendo lo sguardo sulla vita eterna si affrontano in modo diverso e più costruttivo la vita, la sofferenza e la morte.

http://digilander.libero.it/speran/spera/escatologica.htm

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