DON ANTONIO

mercoledì 29 febbraio 2012

La parola della domenica 4 Marzo 2012 (Casati) Monastero di Bose




Gn 22, 1-2.9a.10-13.15-18
Rm 8,31b-34
Mc 9,2-10
"Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e, li portò sopra un monte alto".Perché sul monte? Perché loro soli? Perché in un luogo appartato?E quali saranno stati i pensieri dei tre discepoli, mentre faticavano sul sentiero dietro Gesù?Capivano e non capivano.O forse sì, una cosa cominciavano a capire: che la vita dietro il Rabbi di Nazaret, dietro quel Maestro, dopo i primi entusiasmi, cominciava ad essere una vita in salita, in salita come il sentiero che li portava sul monte.Pochi giorni prima il Maestro aveva freddato la frenesia di miracoli, il prurito dell'eccezionalità delle folle: a questa generazione nessun segno.E poi aveva duramente rimproverato Pietro, che si era come ribellato all'idea che Gesù, il Messia, sarebbe stato ripudiato dalle autorità, ucciso, risuscitato dopo tre giorni.Era tutto così in salita? Così difficile da capire?
Uno che dice: "Chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita, a causa mia e del Vangelo, la salverà"?Avrà poi ragione?Lui che non raduna truppe, lui che non frequenta quelli "giusti", quelli che contano, lui che non si fa pubblicità, lui che è un umile, un mite. sarà vincente o sarà perdente? Perdiamo o salviamo la vita a seguirlo?Sono domande che anche noi, a volte, sentiamo salire al cuore. Ed è come se avessimo bisogno di una conferma. Forse sta qui il significato della Trasfigurazione."Si trasfigurò davanti a loro", proprio davanti a loro tre, Pietro, Giacomo e Giovanni, proprio loro che avrebbero dovuto sopportare ben altra visione, una trasfigurazione al contrario, nell'orto degli ulivi, quando l'avrebbero visto sudare sangue, e l'anima triste da morire.Loro, proprio loro, in particolare dovevano essere confermati.E si trasfigurò davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: "nessun lavandaio sulla terra" - nota Marco con il colore della sua ingenua fantasia - "potrebbe renderle così bianche".La luce che abitava nel segreto il Figlio dell'uomo, per un attimo si era come liberata: irraggiava sul volto, perfino sulle vesti.È come quando il cuore è in festa, e la festa si comunica al volto e di festa sono anche i vestiti: un irraggiamento totale.E la voce dalla nube dice: "Questi è il mio Figlio prediletto. Ascoltatelo".Come a dire: non vi siete sbagliati. Vi siete chiesti se vale proprio la pena di seguirlo, di seguire uno che è mite e umile, uno che va a perdere la vita? Vale la pena. Ascoltate lui.Avevano bisogno della conferma sul monte, loro che avrebbero dovuto sopportare ben altro monte, quello del Calvario.La trasfigurazione come una conferma, come un velo alzato sul futuro, il futuro più futuro di Gesù di Nazaret, il futuro più futuro dei suoi discepoli.A volte si dice che sono le prove a rendere forti le tue spalle, a renderle sempre più capaci di reggere una prova ancora più grande. Come se lì, nella prova, fosse il collaudo.Il mistero della Trasfigurazione viene invece a dirci che, solo se hai visto una luce, puoi affrontare il grande buio del Venerdì Santo, il buio dei giorni più difficili della vita.Pietro, in una sua lettera, come un testamento, lo ricordava alla sua comunità: ricordava la voce udita sul monte a "conferma solidissima della parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l'attenzione come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei vostri cuori".La stella del mattino non si è ancora levata, i giorni, i nostri, non sono facili. Credere nella sobrietà, nella mitezza, nell'umiltà, nella limpidezza, sembra perdente.Ma tu che hai celebrato il mistero della Trasfigurazione, scendi dal monte con questa conferma.Porta sul volto, come Mosè, la gloria di Dio, quella che irraggiava dal Signore sul monte.
Fonte: sullasoglia

martedì 28 febbraio 2012

Esaltazione della Santa Croce. 8




Omelie.org - autori vari


Una sfida e una opportunità
La festa dell?esaltazione della croce ricorre ogni sette anni in domenica e sostituisce la liturgia del tempo ordinario perché il suo contenuto è profondamente Cristologico. Indipendentemente dalla sua origine storica, nell?anno liturgico questa festa è come un richiamo al grande mistero del triduo pasquale, e specificamente al giorno del venerdì santo (un po? come il Corpus Domini ci fa rivivere alla fine del tempo pasquale il mistero del giovedì santo). Dipende da noi ?sopportare? questa liturgia fuori dalla serie ordinaria o farla diventare una opportunità pastorale di evangelizzazione, magari collegandola alla festa dell?Addolorata (15 settembre) che si comprende alla luce di questa.
Il titolo con cui la tradizione ci ha trasmesso questa festa rappresenta a sua volta una difficoltà e una opportunità: si può infatti ?esaltare? la croce, che è stata per Gesù e per moltissimi altri uno strumento di morte? (immaginiamoci che entrando in Chiesa troviamo una sedia elettrica al centro?). È possibile esaltare la morte? Se nella liturgia partecipasse un nostro amico che frequenta poco la Chiesa che cosa penserebbe di noi? Che senso ha questa festa? Può aiutarci ad entrare più profondamente nel mistero cristiano e dare un passo avanti nella fede? Le letture ci danno una risposta.

Un racconto
Si racconta che nel suo cammino attraverso il deserto il popolo di Israele non sopportò la fatica del viaggio, nauseato com?era dal cibo leggero della manna. Questa sofferenza fece nascere nel popolo il sospetto che Dio non volesse davvero liberarlo ma farlo morire, e per questo sentirono nostalgia della schiavitù (che per lo meno li manteneva in vita). La ribellione contro Mosè e contro Dio provocò la risposta divina: Dio mandò serpenti brucianti e quello che doveva essere un cammino di libertà si trasformò in una prigione di morte. Quando il popolo si rese conto dell?accaduto chiese aiuto a Mosè che ricevette da Dio l?ordine di costruire l?immagine di un serpente e issarlo su un?asta affinché fosse visibile da tutti. Chi infatti lo guardava dopo essere stato morso restava in vita. Nell?antico Oriente ai serpenti si riconosceva un potere sanante: il racconto risente di questa credenza ma attribuisce il potere della cura a Dio, della cui potenza il serpente di bronzo è soltanto un segno: guardarlo significa credere in Dio, che ha dato a Mosè quest?ordine. La cura fisica diventa il cammino e il segno di una cura più profonda e interiore: quella della fede, che toglie il sospetto e la disperazione (Dio ci ha abbandonati!) e porta a confidare di nuovo totalmente in Dio.

Un discorso
Durante il dialogo notturno con Nicodemo Gesù, dopo aver rivelato la condizione per entrare nel Regno, cioè nascere dall?alto, dall?acqua e dallo Spirito, rivela a questo maestro di Israele i misteri del Regno, le ?cose del cielo?. Lo può fare perché Egli è disceso dal Cielo e dice ciò che sa. Per parlare di queste ?cose celesti? fa un paragone tra l?episodio del serpente nel deserto e il Figlio dell?uomo, che sarà innalzato perché chi crede possa avere la vita. Anticipa in questo modo il senso della sua crocifissione (essere innalzato) e della sua morte. Per comprenderla, dice Gesù a Nicodemo e a noi, dovete ricordare la storia di Israele che nel deserto ha perso la fiducia nel suo Dio, si è sentito abbandonato, ma quando ha sperimentato l?angoscia della morte è ritornato a Dio e Dio gli è venuto incontro. Come il serpente, così il Figlio dell?uomo deve essere innalzato: perché tutti possano volgere a lui lo sguardo, e riconoscere in lui ciò che Dio fa per tutti; vedendo Dio che si dona in Gesù fino alla fine, possano superare il sospetto che Dio sia contro il loro bene e felicità. Le parole di Gesù che seguono spiegano di fatto la sua morte in croce come una consegna totale di Dio: consegna ciò che ha di più caro, il Figlio unico, perché tutti possano vederlo, e vedendo possano credere che Dio sta dalla loro parte. Credere questo significa avere la vita eterna; quando questa fiducia ha raggiunto il fondo del cuore, nulla può minacciare la vita, neppure la morte. Dio vuole soltanto la vita dell?umanità, non vuole giudicare o condannare, ma portare a compimento il suo progetto di creazione. Questa vita la può sperimentare soltanto chi crede, chi guardando il crocifisso vede, per fede, il segno dell?amore donato fino in fondo e non la prova di un Dio adirato o vendicativo.

Un inno
Nel brano della lettera ai Filippesi l?inno antico che Paolo ha ricevuto dai cristiani canta l?obbedienza di Gesù al Padre ?fino alla morte, e morte di croce? e l?esaltazione che il Padre fa del Figlio risuscitandolo dalla morte. Il Padre esalta il Figlio che ha accettato di obbedire fino al dono della vita; questo è il senso più corretto dell?esaltazione della croce, cioè il crocifisso che manifesta pienamente il cuore di Dio mentre dona la sua vita. La croce è segno della obbedienza di Gesù: non un?obbedienza forzata a una volontà superiore e non compresa, ma una adesione interiore che accompagna tutta la vita, fino a costargli tutta la vita. La vittoria di Gesù sulla morte non viene, per così dire, dopo il brutto momento della crocifissione, ma consiste nell?affidarsi totalmente nelle mani del Padre sentendosi sicuro, anche quando deve affrontare la morte.

Che significa esaltare la croce?
La croce è da esaltare perché è da guardare (per questo è messa in alto nelle nostre chiese). Non ha senso però per se stessa, ma per colui che su di lei fu innalzato. E Gesù non rivela Dio per il fatto che muore, ma per il motivo e il modo con cui dona la sua vita. Allora guardando la croce, contemplandola, siamo invitati a credere che Dio sta presente nella nostra vita come Gesù ce lo ha mostrato umanamente; siamo invitati a riconoscere che Dio ci ama nelle alterne e a volte tragiche situazioni della vita. La fede è questo sguardo capace di andare oltre la superficie, capace di riconoscere in un uomo che muore torturato una persona profondamente libera e realizzata, che sa amare fino in fondo.
Dio ci conceda che il nostro sguardo, formato così sulla croce di Gesù, possa guardare di nuovo al dolore umano, nostro e di chi ci sta accanto, riconoscendovi un senso, chiamandolo con il nome di ?croce?, ed esso non sia più un peso disperante e inutile, privo di senso. Infatti ciò che non riusciamo a sopportare non è il dolore o le difficoltà della vita, ma il non senso del dolore. La festa dell?esaltazione della croce, che ci presenta ancora una volta la ?buona notizia della croce?, non è un invito doloristico alla sopportazione passiva di chi non può reagire alle situazioni, ma la proposta di credere che nulla di ciò che accade sta fuori dalla mano di Dio che ci educa anche con il dolore per farci nascere (i dolori del parto) per una vita nuova, la sua.

Commento a cura di Padre Gianmarco Paris


Totustuus


Nesso logico tra le letture
Il termine "esaltazione" accomuna i testi dell'odierna liturgia. In contrasto con tante altre esaltazioni, sia nel passato che nel presente della storia umana, il cristianesimo esalta senza paura e con arditezza la Croce. La esalta come medicina di Dio, capace di guarire le malattie degli israeliti nel deserto (prima lettura). La esalta come "albero della vita" in cui Gesù è stato innalzato e dal quale offre a tutti noi la vita eterna (Vangelo). La seconda lettura fa il passaggio tra l'esaltazione di Gesù sulla croce all'esaltazione di Gesù fatta da Dio, suo Padre, alla gloria del cielo, dove ha ricevuto "il nome che al di sopra di ogni nome". Per questo, tutta la creazione, e noi con essa, ci postriamo davanti a Gesù Crocifisso per esprimergli con il cuore il nostro amore e la nostra gratitudine adorante.

Messaggio dottrinale
Perche Gesù è esaltato sulla croce e noi, cristiani, celebriamo l'esaltazione della Croce? Cosa c'è per noi nella Croce che non ci sia altrove? Sappiamo che la croce è simbolo dell'estrema sofferenza, icona del più sconvolgente e terrificante dolore: qualcosa di orribile, da rifiutare ad ogni costo. Gesù Crocifisso, invece, ha "redento" la croce, facendo di essa uno strumento efficace del suo amore fino alìestremo dolore, fino al limite estremo dell'humanum. E così la Croce diventata medicina di Dio, albero della vita, strumento di salvezza.

1. Medicina di Dio
Il popolo di Dio cammina nel deserto. Manca l'acqua, manca il pane e la carne per alimentare tutti. Il popolo si ribella e si lamenta. Rivolge lo sguardo nostalgico verso l'Egitto, luogo della schiavitù, e non dove dovrebbe guardare, verso la terra promessa, luogo della libertà. Yahweh, grande educatore del suo popolo, mandò loro le malattie perche riflettessero e si pentissero della loro infedeltà. E dopo il pentimento del popolo, giunse la misericordia di Dio: "Fatti un serpente e mettilo sopra un'asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita", (prima lettura). Il serpente era simbolo del Dio guaritore, non solo in Grecia ma in tutta la cultura del Mediterraneo orientale. Gesù non ha paura di usare questo simbolo e applicarlo a se stesso: "E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, cosi bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna" (Vangelo). Gesù Crocifisso è il vero medico che guarisce l'uomo da ogni malattia e donandogli vita per sempre.

2. Albero della vita
Non pochi Padri della Chiesa hanno identificato la croce con l'albero della vita nel paradiso. Nel racconto della Genesi viene proibito di mangiare dei frutti di esso. Ma Gesù, vera vita e vero albero di vita, ci offre da mangiare dei frutti di questo albero della vita che è la Croce. "Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui" (Vangelo). Non è l'uomo che prende i frutti, ma questi gli vengono donati da Gesù, fratello dell'uomo e Figlio di Dio. L'uomo è chiamato da Dio a ricevere la vita come dono, non a strapparla come conquista.

3. Strumento di salvezza
Yahweh, con la mediazione di Mosè, diede al suo popolo la vita, ma sopratutto la salvezza, in quanto lo salvò dalla tentazione di ritornare in Egitto, cioè allo stato di schiavitù. Gesù, esaltato sulla croce ed elevato in cielo mediante la risurrezione dai morti, è diventato per tutti gli uomini redenzione e salvezza. Al canto al Vangelo abbiamo proclamato: "Noi ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo perché con la tua croce hai redento il mondo". Nella lotta contro il peccato e nelle battaglie per un'umanità migliore, Cristo Crocifisso e Risorto è lo stendardo di forza e di salvezza.

Suggerimenti pastorali
1. Il lungo cammino della croce
La croce dell'uomo, come la croce di Cesù, percorre un lungo cammino, perché ha inizio con la vita. Per questo Gesù, nel Vangelo secondo Luca, esorta i suoi seguaci: "Prendete la croce ogni giorno e seguitemi". In questo cammino non siamo soli. Ci accompagna Gesù e ci accompagnano i nostri fratelli nella fede, e tanti altri non cristiani che pure portano la loro croce con dignità, fortezza e nobiltà di spirito. Potremo anche dire che nella storia umana c'è una sola grande Croce, quella di Cristo. La croce di ogni uomo, la tua e la mia, quella dei tuoi cari, dei tuoi amici di lavoro, dei tuoi compagni di scuola, è un pezzettino dell'unica Croce, cioè la Croce di Cristo. La mia croce non la porto solo io, ma l'ha portata sul Calvario e adesso la porta con me Gesù Crocifisso, facendola così più leggera e, soprattutto, con la forza della redenzione e della salvezza. Da qui la necessità di non amare un "Cristo senza croce", ma piuttosto amare "la croce con Cristo". È confortante pensare che Gesù e io portiamo insieme l'unica nostra croce.

2. Impara a leggere nella tua vita e in quella degli altri i frutti della Croce.
La prima e naturale reazione dell'uomo davanti alla croce è la paura e la fuga. In ogni uomo, infatti, c'è un rifiuto istintivo della sofferenza e del dolore, senza distinzione di età o di sesso, di razza, professione o stato di vita. L'uomo non è nato per soffrire, e quindi deve educarsi alla sofferenza, deve, cioè, imparare a soffrire.
Si impara a soffrire scoprendo il valore della sofferenza, i buoni frutti che produce l'albero del dolore. È chiaro, per esempio, che l'uomo diventa più uomo se accetta il dolore come parte del suo processo di crescita e maturazione. L'aver "digerito bene" il dolore fa sì che l'organismo umano nel suo insieme si trovi in buona forma e possa affrontare le diverse vicende della vita con successo e con grande dignità. D'altro canto, da cristiani noi riconosciamo il valore redentivo della sofferenza se unita a quella di Cristo. Neppure una stilla di dolore perde il suo valore quando è messa nel calice della passione e morte di Gesù Cristo. Questa è la nostra certezza di fede, questa la nostra speranza, questo il nostro desiderio più intenso e la nostra gioia. L'esaltazione redentrice della croce nei nostro cuore e nella nostra vita, nel cuore e nella vita dei nostri fratelli, è il modo migliore d'interpretare tante sofferenze dell'esistenza umana.


don Marco Pratesi
Il serpente di fuoco

Nel suo lungo cammino Israele si trova ancora in difficoltà. Di fronte alle fatiche e ai disagi viene a prodursi una situazione di tedio, scoraggiamento, insofferenza, demoralizzazione. La lamentela degli israeliti palesa un orizzonte totalmente buio: siamo in cammino verso la morte, verso il nulla. Essa inoltre non accusa esplicitamente Dio (è ben rischioso!), ma solo Mosè, quasi si trattasse di un cammino voluto soltanto da lui. Le coordinate sono del tutto smarrite, e il disorientamente assume l'aspetto della nausea e dell'accidia.
All'accidia segue in modo provvidenziale uno scossone, perché adesso, con l'arrivo dei serpenti, il male si fa aperto, incalzante, minaccioso. Anzi, insuperabile: qui si deve proprio sperare soltanto nella buona sorte, perché contro i serpenti non c'è nulla da fare, chi è morso muore senza scampo. Il testo usa una espressione strana ma molto suggestiva: «serpenti di fuoco» (v. 6, versione CEI: «brucianti»). Tale modo di esprimersi si riferisce al loro colore rosso, oppure al dolore bruciante che il loro morso infligge?
A questo punto c'è la presa di coscienza: accidia e lamentela sono finalmente percepite come un comportamento negativo, che provoca morte. Ecco la richiesta dell'intercessione di Mosè, quindi nuovamente l'accoglienza del suo ruolo nel piano di Dio e di ciò che egli in esso rappresenta, cioè l'alleanza.
La risposta di Dio è un segno. Nell'antico oriente il serpente era anche simbolo di vita e guarigione, e assai probabilmente si risente qui tale influsso. Chi guarderà al segno sarà salvato. Il segno di vita riproduce in qualche modo la causa di morte, sia per la forma sia per il colore. L'ordine di Dio infatti prescrive a Mosé di fare un serpente «di fuoco» (v. 8, la CEI omette la precisazione) ed è pertanto preferibile pensare che il materiale impiegato sia piuttosto il rame, di colore rosso vivo, con chiaro riferimento al fuoco dei serpenti. La lingua ebraica infatti (come del resto il greco e il latino) non distingue chiaramente tra rame e bronzo (che è quasi tutto rame).
La presentazione del segno consente una verifica: quella della fede. La salvezza è offerta, ma è richiesto comunque qualcosa: guardare al segno, il che implica fiducia in Mosè e in Dio. Poiché quel serpente non può avere in sé nessun potere sanante se non quello che Dio stesso gli conferisce, e alzare gli occhi a lui è un atto di fede nella parola data da Dio attraverso Mosè: «chi si volgeva a guardarlo era salvato non da quel che vedeva, ma solo da te, Salvatore di tutti» (Sap 16,7).
Lì, in quel serpente rosso, io vedo la causa di morte trasfigurata in causa di vita. C'è una metamorfosi, non un'abolizione; una trasformazione, non una cancellazione. Non posso saltare il male e la morte. Ma se io credo, la morte diventa vita, perché proprio lì io scopro che mi sbaglio, e di grosso, quando entro nell'orizzonte dell'accidia e interpreto l'azione di Dio come un portarmi verso il nulla.
Non solo. Mentre i serpenti mortiferi sono molti, il segno vivificante è uno solo: da molte morti a una sola salvezza (cf. Rm 5,15-16). Posso morire da solo, ma non salvarmi da solo. Posso perdermi per le mie strade, ma essere liberato solo in un popolo che crede.
Il serpente di rame sarà conservato nel tempio di Gerusalemme finché il pio re Ezechia, per evitare tentazioni idolatriche, lo distruggerà (cf. 2Re 18,4). Oramai il segno innalzato sul mondo per la salvezza di chi crede sarà soltanto Gesù crocifisso e risorto (cf. Gv 3,14-15).

I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano - EDB nel libro Stabile come il cielo.

Foglietto 26 febbraio 2012 (Famiglie Visitazione)



Marco 1,12-15
1) In quel tempo (nel testo c’è: e subito) lo Spirito sospinse Gesù nel deserto: c’è continuità assoluta coni vv precedenti, che narrano il Battesimo del Signore. Dunque lo stesso Spiritoche discese su Gesù durante il Battesimo sospinse(lett: gettò fuori) Gesù nel deserto. Il verbo così decisoe quell’avverbio “sùbito” esprimono la forza irresistibile dellavolontà salvifica di Dio Padre che dopo l’investitura del Battesimo getta Gesùdentro le contraddizioni della vicenda umana.

2) Nel deserto rimase quaranta giorni, tentatoda Satana: nei paralleli di Mt e Lc la tentazione si manifestò alla fine,quando Gesù ebbe fame a seguito del digiuno. In Mc le tentazioni appaiono comecomponenti ordinarie della vita di quei quaranta giorni. Gesù assume in pieno nellasua carne il combattimento della vita di ogni uomo. Dice S. Agostino (Esposizione sui salmi, salmo 60): Cristo prese da te la sua carne, ma da sé latua salvezza, da te la morte, da sé la tua vita, da te l'umiliazione, da sé latua gloria, dunque prese da te la sua tentazione, da sé la tua vittoria. Ilnumero quaranta richiama i quarant’anni di Israele nel deserto. Dopo essere statotestimone di prodigi che Dio ha operato in Egitto, anche Israele venne spintonel deserto, tappa necessaria del suo cammino verso la terra promessa. Gli anninel deserto sono stati il tempo della prova, della caduta per tanti israeliti,ma anche il tempo della vicinanza di Dio, della comunione con lui.
3) Stava con le bestie selvatiche e gli angelilo servivano: tutto il quadro è di grande pace e di vicinanza a Dio.L’annotazione sulle bestie può essere interpretata non tanto come una vittoriasulle bestie malvagie, quanto come una riconciliazione con le creature di Dio.Il tutto sembra richiamare la predicazione profetica sui tempi messianici comeOs 2,16-20. Nel v 16 il profeta parla del deserto come luogo dell’incontro diDio con Israele: la condurrò nel desertoe parlerò al suo cuore e al v 20 si dice: In quel tempo farò per loro un’alleanza con gli animali selvatici e gliuccelli del cielo e i rettili del suolo; arco e spada e guerra eliminerò dalpaese, e li farò riposare tranquilli. La diaconia degli angeli è laconferma che il Signore, anche se insidiato dai demoni, ha conservato la suapace, ha sperimentato la consolazione divina.
4) Il tempo è compiuto e il regno di Dio èvicino: è dal deserto che parte la missione. La salvezza dell’uomo, iltempo nuovo, non verrà dalle potenze del mondo, ma da Gesù con la forza cheviene dal contatto con Dio suo Padre.
5) Convertitevi e credete nel Vangelo: inGesù, la potenza salvifica di Dio si è fatta vicina agli uomini: ora c’èl’invito ad abbandonare le strade già battute dell’idolatria, della fiducia inpersone o cose che non possono salvare e a credere, ad affidarsi al Vangelo.

Genesi 9,8-15
1) A motivodella malvagità degli uomini Dio aveva mandato le acque del diluvio che avevanofatto perire ogni essere vivente che simuove sulla terra (cfr. Gen 7,21). Il Nuovo Testamento riprende il diluviocome figura del Battesimo: Dio, nella suamagnanimità, pazientava nei giorni di Noè, mentre si fabbricava l'arca, nellaquale poche persone, otto in tutto, furono salvate per mezzo dell'acqua. Quest'acqua,come immagine del battesimo, ora salva anche voi. (1Pt 3 20b-21a).Dalle acque del Battesimo ogni cristiano emerge come Uomo nuovo.
2) La ripresadella vita dopo il diluvio è l’inizio di una creazione nuova. Impressiona lagrande sproporzione tra Dio da una parte e questa piccola comunità di 8persone, le uniche sopravvissute sulla faccia della terra. Cfr. I cieli sono i cieli del Signore, ma laterra l’ha data ai figli dell’uomo (Sal 115,16).
3) Dio disse a Noè e ai suoi figli con lui …:il brano è un discorso che Dio fa a Noè e ai suoi figli. Nella prima parte (vv9-11) Dio manifesta la sua volontà di stabilire un’alleanza.
4) … la mia alleanza con voi e con i vostridiscendenti dopo di voi, con ogni essere vivente che è con voi,…: l’alleanzasarà con l’umanità intera e con ogni vivente, con la promessa di non mandarepiù le acque del diluvio. Nessun essere vivente è escluso (cfr. alla fine delVangelo di Marco il mandato dato da Gesù agli apostoli: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura»(Mc 16,15).
5) Non sarà più distrutta alcuna carne dalleacque del diluvio, né il diluvio devasterà più la terra: queste parole sono molto forti,commoventi e struggenti perché usate da Dio quando confermerà il suo immensoamore per Gerusalemme, sposa del Signore: «Ora è per me come ai giorni di Noè, quando giuraiche non avrei più riversato le acque di Noè sulla terra; così ora giuro dinon più adirarmi con te [Gerusalemme] e di non più minacciarti» (Is 54,9).
6) Questo è il segnodell'alleanza»: l’“alleanza” occupa un posto centrale nei racconti dellacena e quindi nelle preghiere eucaristiche che ascoltiamo dire dal sacerdoteogni volta che celebriamo la Santa Messa. Facendo attenzione possiamoconstatare che la parola “alleanza” viene pronunciata dal sacerdote solo sulcalice (il sangue del Signore) e non sul pane. Il sangue versato sul legnodella croce, è simboleggiato dall’acqua del diluvio e dal legnodell’arco. Del legame tra acqua e sangue parla Giovanni: Egli è colui che è venuto con acqua esangue, Gesù Cristo; non con l'acqua soltanto, ma con l'acqua e con il sangue.Ed è lo Spirito che dà testimonianza, perché lo Spirito è la verità (1Gv5,6).
7) Pongo il mio arco sulle nubi, perché sia ilsegno dell'alleanza tra me e la terra: la funzione dell’arco posto«orizzontalmente» sulle nubi è solo quella di ricordare a Dio la sua promessa,fatta del tutto unilateralmente. La Croce invece, infissa “verticalmente”nella terra e rivolta al cielo non è un semplice ricordo al Padre maessa stessa porta appeso il frutto della Vita: Gesù Cristo. Chi si ciba diquesto frutto ha la vita eterna e noi lo riceviamo nella Messa nella quale noicelebriamo non la semplice “memoria” del sacrificio del Signore ma il suo “memoriale”.Cioè il sacrificio del Signore, avvenuto una volta per sempre, è resopresente “realmente” e noi possiamo cibarcene nel suo Corpo e nel suoSangue.

1Pietro 3,18-22
1) Fratelli, anche Cristo è morto una volta persempre per i peccati, giusto per gli ingiusti,per ricondurvi a Dio; messo amorte nel corpo, ma reso vivo nello spirito: la morte di Gesù vienericordata nella lettera per dare coraggio ai fedeli dispersi nel Ponto, nellaGalazia, nella Cappadocia, nell'Asia,e nella Bitinia. Nelle sofferenze chepatiscono sono invitati a non rendere male per male, ad essere umili,misericordiosi e comprensivi. E chi potrà farvi del male, se sarete ferventinel bene? Se poi dovete soffrire per la giustizia, beati voi! Non sgomentateviper paura di loro e non turbatevi, ma adorate il Signore, Cristo, nei vostricuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranzache è in voi (1Pt3,13ss).
2) E nello spirito andò a portare l’annuncioanche alle anime prigioniere, che un tempo avevano rifiutato di credere: leparole che seguono ci dicono che queste anime prigioniere sono quelle di tutticoloro che al tempo di Noè avevano rifiutato di credere alla sua predicazione,e che sono state punite col diluvio: immagine e simbolo di tutta l’umanità: oraanche loro, insieme a tutte le altre anime, ricevono l’annuncio Pasquale. IlVangelo di Matteo allude a questa visita del Cristo agli inferi: i sepolcrisi aprirono e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono (Mt27,52).
3) Quest’acqua, come immagine del battesimo, orasalva anche voi: il diluviodiventa come l’acqua del fonte battesimale: uccide il peccato e fa risorgere avita nuova.
4) Egli è alla destra di Dio, dopo essere salitoal cielo e avere ottenuto la sovranità sugli angeli, i Principati e le potenze: la vulgata latina di S.Girolamoaggiunge: accettando la morte affinché diventassimo eredi della vita eterna.Gesù pur nella gloria dei cieli, continua ad accettare la morte e a patiresofferenza, nella carne dei troppi che subiscono ingiustizie.

SPIGOLATURE ANTROPOLOGICHE

Mi sembra molto preziosa la “presenza” del patto con Noè,presente in tutte le Scritture di questa domenica: esplicitamente nella prima enella seconda lettura. Presente anche nel brano evangelico con l’accenno alle“bestie selvatiche” che ci portano all’arca e alla “nuova creazione” che escedal diluvio. È molto importante che questa “alleanza” sia un evento checoinvolge tutta la creazione e tutta la storia, con parole che riprendonoquelle della prima creazione, e che dunque riguardano e si rivolgono all’interaumanità! Questo dato fondamentale afferma che per la fede ebraico-cristiana viè un cammino comune per tutta l’umanità, cammino che la comunità credente èchiamata ad “anticipare” e a testimoniare. Tale è dunque la fine e il fine ditutta la storia. Con molta prudenza si potrebbe anche cogliere un’ipotesi dirisposta alla domanda “tremenda” circa quello che io chiamo “il mistero delMale”, di cui nulla si dice per la sua origine, il suo significato… il suo“perché?”. Si potrebbe azzardare di dire che questo “scontro” negativo con ilMale vuole portare l’intera umanità alla consapevolezza che “da soli non sipuò”, e che il fine di tutto è l’Amore, quello che il credente conosce nellafede, e nella vita secondo la fede. Però personalmente sento il “male” troppogrande e troppo grave per pensarlo semplicemente come una “via verso il bene”.
Lasciando da parte questo problema troppo complesso eforse insolubile, prendiamo atto oggi in modo forte che Dio entra in ogni modonella creazione e nella storia condividendo con l’umanità il problema del male,concretamente presente nella figura del Satana tentatore. La vita è esposta almale, e aggredita dal male. È significativo per questo che, come ben commentail nostro “foglietto”, mentre nelle memorie evangeliche di Matteo e di Luca(Giovanni non ha questa memoria!) la tentazione è un “episodio” che avvienealla fine dei quaranta giorni, qui la tentazione del Satana è presente pertutto il tempo dei quaranta giorni. E siccome i “quaranta” sono simbolo dell’interaesistenza umana, che va dalla liberazione dall’Egitto –ma oggi potremmo direanche “dall’uscita dall’arca di Noè” che oggi Pietro dice essere figura delbattesimo– fino all’arrivo alla Terra Promessa, che oggi noi guardiamo come laCasa del Padre, la tentazione del Satana accompagna l’intera esistenza umanache Dio viene ad assumere in Gesù. Dunque le tentazioni del Vangelo di Marcosono immagine e “icona” dell’esistenza umana che Gesù vive con noi e per noi.
Le “bestie selvatiche” sono dunque tutti gli elementi ditutta la creazione e di tutta la storia: con le “bestie selvatiche” Gesù “sta”,con la stessa fedeltà e radicalità con le quali “rimane nel deserto” per tuttii quaranta giorni. Il “Vangelo di Dio” di cui ancora ci parla il testo di Marcoè dunque la Buona Notizia: Dio vive con noi, tra noi e in noi! Gesù è “Dio connoi”! La sapienza di questa domenica è allora quella che ci insegna come “stareal mondo”! Dice che stiamo “nel deserto”, e dunque in una condizione di radicalepovertà –perché tutti siamo poveri!– e che questo “deserto” conosce la potenzadell’essere amati, e quindi soccorsi e salvati! Dunque un’esistenza che “nonbasta a se stessa”, ma vive del bene che si riceve dall’Altro e dagli altri. Equesto, sempre! Per tutti i quaranta giorni. E quindi non ricevere e non darel’amore è vivere sotto il regime di Satana, una parola che, come il termine“diavolo”, dice un’esistenza sotto accusa e condannata alla divisione, allamiseria della solitudine. Per questo, “gli angeli” che ci servono sono tutticoloro che ci vogliono bene e ci soccorrono. Per la fede, sono tutti mandati daquel Mistero dell’Amore che ci ama!

www.famigliedellavisitazione.it

lunedì 27 febbraio 2012

Nonostante la violenza, Dio dà la vita!di Raymond Gravel




La Quaresima ci parla dell'Alleanza, o piuttosto delle Alleanze che Dio fa con l'umanità, col suo
popolo e con noi. La parola alleanza si dice berit in ebraico, diatheke in greco e testamentum in
latino. Tutta la Bibbia è un'Alleanza, o piuttosto due Alleanze: l'antica o prima che chiamiamo
Antico Testamento, e la nuova o seconda che chiamiamo Nuovo Testamento. In queste due alleanze,
Dio si dice, si rivela. Prende il volto che gli si dà: a volte un Dio potente, vendicatore e perfino
meschino; a volte un Dio pieno di misericordia, di perdono e d'amore. Non lo si può conoscere
veramente che a partire da ciò che si dice di lui. Fortunatamente c'è evoluzione nella conoscenza e
nel riconoscimento del nostro Dio, di modo che, più si procede nel tempo, più si presenta un volto
di Dio che è Amore, perché si sa di essere amati da lui. E, siccome la vita è un cammino, una strada,
un sentiero nuovo, scopriamo, in seguito, che Dio, poiché è Amore e ci ama, ci accompagna,
cammina con noi e ci dà la vita.
Durante tutta questa Quaresima B, i testi biblici che ci sono proposti ci parlano di violenza e di
alleanze. Benché questi testi provengano da fonti e autori diversi, ci sono come due fili conduttori
che fanno sì che si assomiglino. Ma perché la violenza? È voluta da Dio? Fa parte della creazione?
Ogni giorno, ogni settimana, sentiamo storie orribili: donne, bambini, uomini, persone vulnerabili
soffrono per tragedie, per drammi familiari, per oppressione, per condanna, per discriminazione, per
rifiuto, per esclusione, ecc... Che cosa possiamo comprendere? Dove è Dio in tutto questo? Che
cosa ricavare dai testi biblici di oggi?
1. L'armonia. In tutte le civiltà, si trovano dei racconti sulla creazione del mondo, dove Dio o gli
dei creano l'armonia, senza violenza alcuna. Nella Bibbia, Genesi 1-2 è un bell'esempio di questo
mondo ideale, di questo mondo senza violenza. La domanda che sorge è la seguente: questo mondo
ideale è realmente esistito? Evidentemente no! E perché? Per le caratteristiche della materia che
compone il nostro mondo. La materia si consuma, si rovina, si deteriora, si degrada, invecchia,
soffre e muore. Ma siccome l'armonia fa parte dei nostri desideri e dei nostri sogni più folli, noi in
quanto umani, essendo più che materia, ci troviamo a sperarla più di qualsiasi altra cosa.
Ricordiamo quello che diceva il profeta Isaia: “Il lupo dimorerà insieme con l'agnello, la pantera si
sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un fanciullo li guiderà.
La vacca e l'orsa pascoleranno insieme; si sdraieranno insieme i loro piccoli. Il leone si ciberà di
paglia, come il bue. Il lattante si trastullerà sulla buca dell'aspide; il bambino metterà la mano nel
covo di serpenti velenosi” (Is 11, 6-8). Il profeta continua a sperare questo mondo ideale, senza
violenza, con l'arrivo di un nuovo David, il Messia di Dio, che i cristiani hanno riconosciuto
attraverso il Cristo risorto. Nonostante la sua venuta, la violenza è continuata, ma questo non ha
impedito ai cristiani di ogni tempo di desiderare e di sperare l'armonia. Da qui viene l'importanza di
combattere la violenza, pur assumendola, poiché fa parte della nostra realtà umana.
2. L'arcobaleno. Nella prima lettura di oggi, abbiamo un bell'esempio con cui l'autore biblico del
libro della Genesi esprime questo desiderio d'armonia, riprendendo il mito della distruzione del
mondo attraverso il Diluvio e la sua ricreazione attraverso Noè (che significa: nuova creazione) e la
sua famiglia e tutti gli animali saliti con loro nell'arca, affinché la vita possa continuare, nonostante
la violenza delle intemperie. In ogni tempo, le tempeste, gli uragani, i cicloni, i temporali, i diluviseminano la distruzione. Fa parte della nostra realtà. Dopo le grandi tempeste, quando il sole torna,
capita spesso che appaia in cielo l'arcobaleno, che ci dice che la tempesta è terminata. È un arco,
quindi un'arma da combattimento; ma quando quest'arma appare nel cielo con le sue tinte
multicolori, significa la fine della violenza. I credenti dell'antichità vi hanno visto Dio che depone le
armi per dire agli umani che la vita è più forte della morte. L'arcobaleno, quindi, è diventato un
segno di alleanza tra Dio e l'umanità.
3. Il deserto. Anche la sofferenza e la morte fanno parte della nostra condizione umana. Dio
propone quindi una nuova alleanza, una seconda alleanza, anch'essa con il segno della violenza: la
passione e la morte di Gesù di Nazareth, che l'evento di Pasqua è venuto a confermare. I cristiani di
Marco, rileggendo retrospettivamente l'avvento di Gesù, vi hanno scoperto un doppio movimento:
1) Gesù è stato, nella sua esistenza terrestre, colui che la resurrezione ha manifestato pienamente,
cioè il Cristo, il Signore, che realizza finalmente la profezia di Isaia “stava con le fiere e gli angeli
lo servivano” (Mc 1,13b).
2) Gesù è stato, dal battesimo alla morte, colui che realizza pienamente l'alleanza di Dio con il
popolo di Israele “Subito dopo (il battesimo) lo Spirito lo sospinse nel deserto e vi rimase quaranta
giorni, tentato da Satana” (Mc 1,12-13a). Il popolo d'Israele, salvato da Mosè, aveva passato 40
anni nel deserto, tentato anch'esso da Satana (l'Avversario). Il deserto è il vuoto, il luogo della
tentazione dove si scopre l'essenziale. Ma ci vogliono 40 giorni o 40 anni per scoprirlo.
Nel vangelo di oggi, Marco propone dunque una ri-creazione, dove Gesù che è appena stato
battezzato, si ritrova nel deserto sospinto dallo Spirito, per 40 giorni (tempo di conversione, di
cambiamento, di trasformazione), per rifare l'Armonia: “stava con le fiere e gli angeli lo
servivano” (Mc 1,13b). In quanto cristiani, dobbiamo prendere la via del deserto, il cammino della
conversione e della trasformazione per rifare, anche noi, l'Armonia, perché essa non è mai acquisita
una volta per tutte. Per questo, l'appello del Cristo risorto, ripreso da Giovanni Battista, è a noi che
si rivolge oggi: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete alla Buona
Notizia” (Mc 1,15). In altre parole: l'ora è venuta, dona la tua vita!
4. La gratuità della salvezza. Sulla strada, si cammina, si procede, si indietreggia, si cade, ci si
rialza. L'autore della prima lettera di Pietro (seconda lettura di oggi) ci ricorda che, a causa del
Cristo di Pasqua, siamo certi di arrivare a un buon porto, alla fine della strada: “Cristo è morto una
volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio” (1Pietro 3,18a). La sua
salvezza è talmente potente che è perfino retroattiva: “E in spirito andò ad annunziare la salvezza
anche agli spiriti che attendevano prigionieri della morte” (1Pietro 3,19). Che significa che il
Cristo risorto libera tutti, che la sua salvezza è per tutti, anche per coloro che sono morti prima di
lui... Come è possibile che dei cristiani, oggi, ne dubitino ancora? La sola richiesta che ci viene
fatta, è la conversione. Ma attenzione! Il teologo francese Michel Hubaut scrive: “La conversione
non si pone innanzitutto su un piano morale. Convertirsi non è innanzitutto passare dal vizio alla
virtù! La conversione è un atto di fede, una lunga e difficile apertura di tutto il nostro essere alla
venuta imprevedibile di Dio”.
La salvezza, non la si merita. Ci è donata gratuitamente. Cristo, nuova Alleanza, ci dice che tutti
sono salvati, a causa della fedeltà sconcertante del nostro Dio. La fedeltà di Dio è sconcertante,
perché, per esserci, occorre che ci siamo anche noi. Padre Bernard Pitaud scrive: “Vera fedeltà a se
stessi è solo quella che si apre al bene dell'altro. Essere fedele, è, in un modo o in un altro, lasciare
se stessi per andare verso un altro, davanti al quale devo rispondere del mio impegno. La fedeltà è la
virtù del tempo, ma non è fedele al tempo, è fedele a qualcuno”, e questo qualcuno, per Dio, siamo
noi...
Per terminare, il racconto di Marco è veramente una nuova Genesi, una nuova creazione, l'inizio di
un mondo nuovo. L'esegeta francese Jean Debruynne scrive: “Per iniziare la Quaresima, Marcomette il mondo in movimento. Dopo il battesimo da parte di Giovanni, lo Spirito spinge Gesù nel
deserto. Si assiste alla creazione di un mondo nuovo. È una nuova Genesi. Lo Spirito di Dio che
aleggiava sulle acque del Giordano al battesimo di Gesù lo spinge nel deserto perché il deserto è la
terra informe e vuota dell'inizio del mondo. Gesù vive qui tra le fiere. L'Uomo non è ancora nato.
La nascita dell'Uomo nuovo, è appunto la vocazione di Gesù. L'arresto del Battista sarà il segnale:
convertitevi e credete alla Buona Notizia!”.
Aggiungerei che perfino questa nuova creazione comincia nella violenza, dopo l'arresto e la
decapitazione di Giovanni Battista, per completarsi ancora nella violenza con la crocifissione e la
morte di Gesù di Nazareth. Tutto è violenza, ma non è la violenza ad avere l'ultima parola: Pasqua
ce lo ha mostrato. Per questo motivo, Dio che ci ama, non smette di camminare al nostro fianco, e
donna la Vita

SOFFERENZA DI DIO,SOFFERENZA DELL’UOMO



Il tema di questo nuovo anno pastorale 2009 - 2010, “Sofferenza di
Dio, sofferenza dell’uomo”, mantiene un legame con i temi trattati
negli anni precedenti. Dio sostiene la ‘nostra fragilità’ di uomini
redenti dal Cristo, con la ‘sua Parola’ che ci consola e ‘ci risana’. Dio
ha voluto manifestare il suo grande amore donandoci suo Figlio,
Gesù, che ci salva sulla croce.

Questo tema è in sintonia con la Chiesa di Torino che nel 2010
celebrerà una esposizione straordinaria della Sindone e vedrà la visita
di Papa Benedetto XVI. In questo anno, 2009, ricorre inoltre il
venticinquesimo anniversario della lettera apostolica di Papa
Giovanni Paolo II, “Salvifici Doloris”, sul senso cristiano della
sofferenza umana. Tutto questo richiama fortemente il tema di questo
nuovo anno pastorale.

Premessa

Da sempre la sofferenza e il dolore costituiscono una grande domanda per l’umanità, ancora di più il
dolore innocente.

Sant’Agostino soleva dire che ogni uomo in quanto tale è “una grande domanda”. Ciò significa che nel
cuore dell’uomo vi è l’interrogativo della sofferenza e del dolore.

Perché la sofferenza, perché il dolore? Il grido di dolore accomuna tutti!

Alla sofferenza si può rispondere in maniera diversa:

con ‘disfattismo’, cioè con la ricerca della morte, del suicidio, dell’eutanasia;
con ‘ribellione’ nel tentativo di contrastarla o allontanarla;
con ‘accettazione’, nella fede dell’Amore di Dio per noi.

Come si è comportato Gesù nei confronti della sofferenza?

Gesù di fronte al soffrire

Gesù è il buon samaritano che non perde occasione per trarre fuori dal baratro della sofferenza chi
incontra sulla sua via. Il teologo Piero Coda, nel suo libro dal titolo: “Quando a soffrire è il Figlio
dell’uomo” (1), si sofferma su due pagine del Vangelo di Marco, la prima sulla guarigione del paralitico
(Mc 2,1-12) e la seconda sulla morte di Gesù in croce (Mc15).

Trovandosi di fronte il paralitico che gli viene calato innanzi, Gesù prima gli rimette i peccati,
annunciandogli in questo modo che Dio lo ama, e poi lo guarisce.

Scegliendo di andare liberamente incontro alla morte in croce, invece, Gesù si cala dentro la sofferenza.
La figura profetica del Servo di Jahwéh (cf Is capp. 42-53) preannuncia la missione di Gesù. Ancora Piero
Coda precisa: “Dio salva in questo modo: attraverso il giusto suo servo che adempie fino in fondo la
missione che gli è stata confidata, rispondendo con ferma adesione alla volontà di Dio al rifiuto,
all’ingiustizia, all’oppressione” (2). Il culmine del suo soffrire sta nel grido: “Dio mio, Dio mio, perché mi



hai abbandonato?” (Mc 15,14).

Il grido di Gesù, attraverso l’interrogativo ‘perché’?, manifesta il significato ultimo del suo patire. Il grido
ci dice che il suo patire non è solamente fisico e psichico, derivante dall’essere stato inchiodato sulla
croce, e questo basterebbe già di per sé. Il soffrire di Gesù è lancinante, perché vissuto anche moralmente
e spiritualmente come un fallimento della sua missione: viene condannato dall’autorità religiosa giudaica, i
suoi discepoli si disperdono e Lui si sente abbandonato dal Padre suo!

Giovanni Paolo II, nella Lettera Apostolica “Salvifici Doloris”, al n° 18, spiega che queste parole di Gesù
sul Golgota: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, “nascono sul piano dell’inseparabile
unione del Figlio col Padre, e nascono perché il Padre “fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti” (Is
53,6) e sulla traccia di ciò che dirà San Paolo “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò
da peccato in nostro favore (2 Cor 5,21). Insieme con questo orribile peso, misurando ‘l’intero’ male di
voltare le spalle a Dio, contenuto nel peccato, Cristo, mediante la divina profondità dell’unione filiale
col Padre, percepisce in modo umanamente inesprimibile questa sofferenza che è il distacco, la ripulsa
del Padre, la rottura con Dio. Ma proprio mediante tale sofferenza egli compie la Redenzione, e può
dire spirando “Tutto è compiuto” (Gv 19,30).

Gesù non ha conosciuto peccato, ma ha provato prendendole su di sé, le conseguenze dolorose del
peccato che il Papa Giovanni Paolo II indica con le parole ‘distacco’, ‘ripulsa’ e ‘rottura’ con Dio.

L’affidamento di Gesù al Padre

L’affidamento di Gesù al Padre si esprime concretamente attraverso la sua preghiera nell’orto del
Getsemani, durante l’arresto che avviene in un clima di violenza da parte degli uomini, con risposte nel
segno dell’amore non violento da parte di Gesù.

Il senso profondo dell’avvenimento della croce è vissuto da Gesù in ossequio alla volontà di Dio
sperimentando la sua impotenza: si consegna inerme agli uomini; e provando il non intervento di Dio che
potrebbe salvarlo.

Il grido di Gesù sulla croce “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, non è un grido di
disperazione, ma un grido che esprime l’affidarsi a Dio nella prova estrema della morte. Dio non può
essere sordo al grido del Figlio e lo accoglie e attraverso lo Spirito Santo lo trasmette a tutta l’umanità.

Il valore universale della sua morte è sottolineata dal centurione romano, da uno che dunque non è sotto la
Legge, che esclama: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio” (Mc 15,39).

Gesù sceglie liberamente e consapevolmente di donare la sua vita per la salvezza degli uomini (cf Gv
10,18). Si identifica con l’agnello pasquale che, sacrificato, salva la vita degli uomini, che prende su di sé i
peccati della moltitudine e li espia con la sua sofferenza redentrice. Naturalmente questo in obbedienza e
nella fedeltà al volere del Padre che si esprime in un grande amore per l’uomo fino a dare la vita.

Il volto di Dio come Padre e il dolore del mondo

Nella preghiera al Getsemani, Gesù provando tristezza, paura, e angoscia si rivolge a Dio con questa
espressione: “Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che
voglio io, ma ciò che vuoi tu” (Mc 14,36).

E’ molto importante che Gesù ci faccia conoscere Dio come Padre: questo ci conforta e ci dà forza per
affrontare i nostri momenti difficili. Ma la sofferenza a volte è così intensa, pesante da sembrarci priva di
senso al punto da mettere in dubbio che Dio sia veramente Padre! Che Padre è, se permette una
sofferenza così atroce?

Questo è l’interrogativo ricorrente durante i secoli ogni qual volta l’uomo si trova di fronte e dentro la
sofferenza; è l’interrogativo affrontato da tanti scrittori, filosofi e teologi e mai risolto, se non quando si



giunge all’accettazione della sofferenza come ‘mistero’ che ci riguarda tutti, di un mistero che trova senso
pieno non solamente nella morte in croce di Gesù, ma nella sua risurrezione. Solo con Lui abbiamo la vita
nuova, la vita eterna!

La fecondità dell’umana sofferenza

“Perché mi hai abbandonato?”: una domanda filiale che ha come risposta il silenzio paterno. Non una
domanda senza risposta, osserva il card. Angelo Scola, perché anche il silenzio è una risposta!

Non è forse questa l’esperienza di ognuno di noi di fronte alla sofferenza altrui? Il restare zitti, il non
sapere che cosa dire!

Gesù non ha cercato di cancellare il dolore attraverso una teoria più brillante delle altre, ma ha compiuto
un’opera di totale immedesimazione nella sofferenza illuminandone il significato profondo: la
collaborazione alla Sua redenzione del mondo.

La sofferenza di Cristo sulla croce ci salva e dà senso anche alla nostra sofferenza. S. Paolo così scrive ai
cristiani di Colossi: “Ora io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che,
dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1, 24).

E’ chiaro che la sofferenza va combattuta! La scienza medica è chiamata a tentare ogni via per far
regredire il più possibile la malattia, la sofferenza e anche la morte, che mantengono però un significato
nell’economia della vita umana.

Il Papa Benedetto XVI ci ricorda nell’Enciclica “Spe Salvi”, che la sofferenza fa parte del mistero stesso
della persona umana e che “eliminarla completamente dal mondo non sta nelle nostre possibilità
semplicemente perché…nessuno di noi è in grado di eliminare il potere del male, della colpa che – lo
vediamo - è continuamente fonte di sofferenza” (Spe Salvi n° 36).

Nella sofferenza, lieti!

Chi può eliminare il potere del male è solo Dio!

Proprio per il fatto che Gesù Cristo è venuto nel mondo per rivelarci il disegno divino della nostra
salvezza, ancora il Papa Benedetto XVI ci suggerisce che la fede ci aiuta a penetrare il senso di tutto
l’umano e quindi anche del soffrire. Esiste quindi un’intima relazione fra la Croce di Gesù – simbolo del
supremo dolore e prezzo della nostra vera libertà – e il nostro dolore che si trasforma e si sublima quando
è vissuto nella consapevolezza della vicinanza e della solidarietà di Dio.

Il Santo Cottolengo, parlando ai suoi figli in più occasioni ribadisce come Lui si sarebbe stupito se nella
Piccola Casa non ci fossero delle difficoltà, delle contrarietà; nello stesso tempo ricorda loro l’importanza
della sofferenza unita a quella di Gesù in croce. Così ad esempio, leggiamo in “Detti e pensieri”:
“…accettate con calma i dolori e le croci che Dio vi manda…” (3), dice loro: “…sono prove, sono
carezze della sua mano” (4). Sulla malattia afferma: “Se il Signore ci visita con malattie e tribolazioni,
siamone contenti e rassegnati; queste, sono segno che Iddio è contento di noi” (5).

Il nostro Santo dà dei suggerimenti molto pratici nell’ aiutare a cogliere il senso delle contrarietà e delle
difficoltà. Così leggiamo sempre in “Detti e pensieri”: “Nelle perplessità, dubbi, o malinconie non state
a gemere, o sospirare; ma portatevi avanti al Santissimo Sacramento; qui, qui, qui, sforzate il vostro
cuore. Egli saprà consolarvi più che tutte le creature insieme”(6). Se questo non era possibile, suggeriva:
“…portatevi col pensiero e col cuore dal luogo in cui vi trovate, e mandate via ogni affanno che fa
torto alla vostra professione” (7).

Conclusione



La regola d’oro per vivere bene da figli di Dio nella Piccola Casa, il Cottolengo la sintetizza in questo
motto:

“Croce e Divina Provvidenza,Divina Provvidenza e croce, sono due cose che combinano” (8).

Gesù che è l’espressione dell’amore misericordioso di Dio ci salva dando la vita per noi. Egli invita anche
noi ad amare nello stesso modo; per questo ci conduce per mano sulla via della sofferenza e della croce
perché accanto alla sua, anche la nostra sofferenza, sia segno di amore per i fratelli. In questo anno
pastorale sforziamoci di camminare in questa direzione, nella ricerca gioiosa della volontà di Dio, nella
certezza che Dio, Padre buono e Provvidente ci vuole comunque sempre bene!

Torino, Piccola Casa, 2 settembre 2009

Padre Aldo Sarotto

1) P. Coda: “Quando a soffrire è il Figlio dell’uomo”, ed. Camilliane, Torino 2009, pp. 112
2) P. Coda, o.c. p. 61
3) Giuseppe Cottolengo: “Detti e pensieri”, Edilibri Milano 2005, pp.176, n° 294
4) Giuseppe Cottolengo, o.c., n° 60
5) Giuseppe Cottolengo, o.c., n° 208
6) Giuseppe Cottolengo, o.c., n° 117
7) Giuseppe Cottolengo, o.c., n° 261
8) Giuseppe Cottolengo, o.c., n° 66.

sabato 25 febbraio 2012

I domenica di Quaresima (Famiglie della Visitazione)




I domenica di Quaresima (Famiglie della Visitazione)
Matteo 4,1-11
1In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. 2Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. 3Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». 4Ma egli rispose: «Sta scritto:
Non di solo pane vivrà l’uomo,
ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».
5Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio 6e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti:
Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo
ed essi ti porteranno sulle loro mani
perché il tuo piede non inciampi in una pietra».
7Gesù gli rispose: «Sta scritto anche:
Non metterai alla prova il Signore Dio tuo».
8Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria 9e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». 10Allora Gesù gli rispose: «Vattene, Satana! Sta scritto infatti:
Il Signore, Dio tuo, adorerai:
a lui solo renderai culto».
11Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.

1) Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto: nel battesimo di Gesù (cfr. vv immediatamente precedenti) si
aprono i cieli e lo Spirito scende su Gesù. In obbedienza allo Spirito, Gesù nel deserto è immerso dentro la stessa lotta con le potenze del male che ogni uomo è costretto ogni giorno ad affrontare: lui è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato (Ebr 4,15).
2) Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti: il deserto, i quaranta giorni e le citazioni del Deuteronomio sono un riferimento molto chiaro ai quaranta anni di Israele nel deserto. Come è successo ad Israele, come è tipico della condizione umana, Gesù sperimenta la debolezza: alla fine ebbe fame.
3) Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane: trovarsi affamati nel deserto non sarebbe di per sé una situazione negativa se ci si fida di Dio, Gesù è stato condotto lì dallo Spirito. La tentazione è la situazione pericolosa, per cui, proprio mentre l’uomo potrebbe sperimentare la bontà di Dio, si insinua il nemico, mette in dubbio che Dio Padre possa intervenire: l’uomo è da solo con la sua fame, si deve arrangiare. Il demonio suggerisce che Gesù faccia un miracolo.
4) Ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio: Gesù cita Dt 8,3, è l’esperienza di Israele che nel deserto ha pensato che Dio non potesse provvedere il cibo. Gesù insegna che non si deve permettere al demonio di strappare la parola di Dio seminata nel cuore dell’uomo. È quella parola che tiene vivo l’uomo nel rapporto di fiducia con il Padre.
5) Allora il diavolo… lo pose sul punto più alto del tempio: il demonio invita Gesù ad uscire dalla condizione in cui Dio lo ha messo, troppo in basso. Chi ascolterà un predicatore figlio di un falegname di Nazareth? Il demonio suggerisce una evasione clamorosa dalla realtà, questo planare dal pinnacolo, magari sulla spianata piena di gente, una manifestazione più appropriata per il Messia.
6) Non metterai alla prova il Signore Dio tuo: Gesù cita il passo (Dt 6,16) in cui si ricorda l’episodio di Meriba. Israele protesta, perché Dio con loro si è sbagliato e li fa morire di sete nel deserto. Gesù dice che il Padre con lui è stato buono, invita a non ascoltare il demonio, a rifiutare la menzogna per cui ci sono vite sbagliate o inutili.
7) Il diavolo… gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria: è la tentazione della potenza, della ricchezza. Senza mezzi adeguati come potrà Gesù avere successo nella sua missione? Tutte queste cose io ti darò: si tratta dunque di cose nella disponibilità del demonio, ma sono idoli esigenti. Seducono l’uomo perché sono come dèi potenti che trasmettono l’idea della sicurezza, della vita tranquilla.
8) Il Signore, Dio tuo, adorerai a lui solo renderai culto: Dt 6,13 è la conclusione del discorso sulle case, le vigne, gli oliveti… che Israele troverà nella terra promessa, che non sono frutto del suo lavoro o della sua conquista, ma doni di Dio. Da lui, non dagli idoli, può venire ciò che sazia il cuore dell’uomo.
9) Degli angeli… lo servivano: ciò che Gesù non ha chiesto con un miracolo, Dio dona al suo figlio diletto che si è affidato alla sua volontà.



Genesi 2,7-9; 3,1-7
27Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente.
8Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. 9Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male.
31Il serpente era il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto e disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino”?». 2Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, 3ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: “Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete”». 4Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! 5Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male».
6Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. 7Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.

1) Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo: l’uomo (ebr.: Adàm) trae dal suolo (Adamàh) il suo nome. Questo nome indica che l’uomo è innanzitutto caratterizzato dalla sua originaria fragilità, dal suo essere fatto di polvere, tratta dalla terra. Tu fai ritornare l’uomo in polvere quando dici: ritornate figli dell’uomo (Sal 90,3).
2) Soffiò nelle sue nari un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente: è stupefacente che Dio si pieghi con amore sulla debolezza di questo essere così piccolo, al punto da donargli, a differenza di ogni altra creatura angelica o terrestre, il suo stesso soffio vitale. In questo modo la fragilità dell’uomo è avvolta e protetta dalla presenza di Dio stesso. Così nell’uomo si manifesta in pienezza che la creazione è un atto salvifico di Dio, vittorioso sul nulla, da cui le creature sono tratte.
3) Poi il Signore piantò un giardino in Eden e vi collocò l’uomo: l’uomo è il custode della creazione: Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino dell’Eden perché lo coltivasse e lo custodisse (Gen 2,15).
4) [Il serpente] disse alla donna: È vero che Dio ha detto (lett.: ha forse Dio detto) non dovete mangiare di alcun albero del giardino? Cioè: è possibile che Dio abbia detto di non mangiare i frutti di uno di questi alberi? E se Dio l’avesse anche detto, perché obbedire ad un simile comandamento? L’insinuazione implicita del serpente è che tutto quanto è stato creato esiste perché se ne usufruisca senza limiti. A questo il serpente aggiunge una falsità, in quanto estende la proibizione del divieto di mangiare i frutti dell’albero della conoscenza del bene e del male a tutti gli alberi, con lo scopo di presentare Dio come un tiranno. La dialettica del serpente nei confronti dei progenitori, secondo il racconto biblico, vuole rappresentare il movimento del male nel cuore dell’uomo.
5) Rispose la donna… Dio ha detto: Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete: la donna dice una cosa non vera perché Dio non aveva proibito di toccare l’albero. In termini moderni potremmo dire che la donna pecca di “fondamentalismo”, aggiungendo indebitamente al precetto di Dio, forse per rafforzarlo, una sua ulteriore proibizione. Ma questo gioca a vantaggio del serpente. Secondo un racconto ebraico il serpente spinge a questo punto la donna contro l’albero, dimostrandole che toccandolo non muore.
6) Non morirete affatto! Anzi Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi: qui si manifesta tutta la tortuosità della malizia demoniaca. Il Satana, invidioso di Dio (Sap 2,24), induce la donna a trasgredire il comandamento insinuando che è Dio ad essere invidioso dell’uomo, in quanto timoroso che l’uomo diventi pari a Lui. Ma la realtà è del tutto opposta da come la presenta il tentatore, perché Dio per primo, con il dono del Suo Spirito, desidera per amore di rendere l’uomo partecipe della sua vita divina (2Pt 1,4). In realtà il maligno è invidioso del rapporto fra Dio e l’uomo e vuole distruggerlo.
7) E sareste come Dio, conoscendo il bene ed il male: qui il termine conoscere indica una conoscenza che scaturisce da una profonda esperienza del suo oggetto. Il serpente vuole comunicare la sua orgogliosa solitudine, inducendo i progenitori a rifiutare il dono che Dio fa a loro di se stesso, per indurli invece a perseguire una propria autodivinizzazione di rapina. È la conoscenza di questa cattiva e violenta solitudine, ciò che Dio proibisce all’uomo con il comandamento, non per togliergli qualcosa, ma perché tale conoscenza porta alla morte ed è estranea al cuore di Dio. Egli è infatti comunione d’amore (1Gv 4,7).
8) Allora la donna vide che l’albero era… desiderabile: sono le parole del serpente a piacere alla donna, per cui il tentatore non ha neanche bisogno di invitarla esplicitamente a mangiare il frutto proibito, tanto esso è diventato appetibile.
9) Conobbero d’esser nudi: la nudità, di cui Adamo ed Eva ora si accorgono (Gen 2,25), è l’essersi privati del comandamento di Dio, da cui erano protetti. È dunque l’aver smarrito la presenza di Dio che li avvolgeva, coprendo la loro originaria nudità di creature fatte di polvere.


Romani 5,12-19
12Fratelli, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, e così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato… 13Fino alla Legge infatti c’era il peccato nel mondo e, anche se il peccato non può essere imputato quando manca la Legge, 14la morte regnò da Adamo fino a Mosè anche su quelli che non avevano peccato a somiglianza della trasgressione di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire.
15Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia di Dio e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo si sono riversati in abbondanza su tutti. 16E nel caso del dono non è come nel caso di quel solo che ha peccato: il giudizio infatti viene da uno solo, ed è per la condanna, il dono di grazia invece da molte cadute, ed è per la giustificazione. 17Infatti se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo.
18Come dunque per la caduta di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera giusta di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione, che dà vita. 19Infatti, come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti.

1) A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato, la morte: a causa dell’invidia del diavolo che ha portato alla disobbedienza Adamo, la morte è entrata nel mondo. Dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire (Gen 2,17). L’uomo creato da Dio per l’incorruttibilità, ha conosciuto la morte: con il sudore del tuo volto mangerai il pane, finché non ritornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere ritornerai (Gen 3,19).
2) In tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato. Fino alla legge c’era il peccato: la morte dilagò su tutti gli uomini per il fatto che tutti rispetto alla legge sono peccatori. Dio ha rinchiuso tutti nella disobbedienza per usare a tutti misericordia: maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici… Gesù disse loro: chi di voi è senza peccato , getti per primo la pietra contro di lei (Gv 8,4ss).
3) Adamo è figura di colui che doveva venire: Adamo il primo di tutti gli uomini, è una figura di Cristo, il primogenito di tutta la creazione: Il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l’ultimo Adamo divenne spirito datore di vita (1Cor 15,45). A causa della disobbedienza di Adamo si ebbe in tutti gli uomini una condanna, mentre per l’obbedienza di Gesù tutti gli uomini sono stati costituiti giusti: Gesù prese il calice, rese grazie e lo diede loro, dicendo: bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti, per il perdono dei peccati (Mt26,28).


SPIGOLATURE ANTROPOLOGICHE

Ci troviamo oggi al punto di suprema divaricazione tra l'antropologia biblica e quella più istintiva e diffusa nelle antropologie mondane. La Parola di Dio oggi celebrata porta al quesito fondamentale:Tutto è conquista? Oppure: tutto è dono? Nella figura biblica delle origini Dio dona all'uomo tutta la creazione. La proibizione di mangiare dell'albero della conoscenza del bene e del male non è un limite alla totalità del dono, ma la sua conferma. L'albero segna appunto il confine tra dono e conquista. Il non possesso di quel frutto è l'affermazione che tutto è dell'uomo perchè tutto è ricevuto da Dio . Mangiare di quell'albero sarà, nella stessa affermazione del Tentatore - "Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male" - conquista della divinità, furto a Dio della sua stessa divinità. Ma si tratta di un inganno! Non si deve pensare che lo scopo ultimo del Tentatore sia quello di indurre l'uomo alla "disobbedienza", a quello che noi chiamiamo il "peccato". Per questo è necessario portare l'attenzione sul tema della nudità. E se c'è tempo, conviene ascoltare per intero la memoria della creazione in Genesi 2,7-25, dove si dice della creazione della donna e, al v 25 di quel testo, si afferma che "tutti e due erano nudi, l'uomo e sua moglie, e non provavano vergogna". Non possiamo qui entrare in tutto il tema complesso e importante della nudità. Chiediamoci solo perché "prima" della disobbedienza del frutto dell'albero proibito "non provavano vergogna", mentre "dopo" si dice che "si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture". Notate che questo "aprirsi gli occhi" era argomento del Tentatore come conferma del loro "essere come Dio". Invece, si accorgono della loro nudità.
Questo è il motivo: nella comunione profonda della loro relazione d'amore erano coperta, abito l'uno dell'altro. La disobbedienza spezza la loro relazione. Il tentativo della conquista allo stesso modo spezza la relazione d'amore tra Dio e la sua creatura prediletta. La creatura amata non è più protetta dalla relazione di comunione con Dio. Si trova scoperta nella sua nudità creaturale. Era stata creata per la comunione. Ora è esposta alla sua solitudine, e questo conferma e accentua il suo istinto di conquista. Lo stesso dominio dell'uomo sulla donna in tutte le culture è segno della stessa aggressività dell'uomo nei confronti di Dio! Le religioni si espongono ad essere o a diventare tecniche e metodi di "conquista" della divinità!
Nella profezia ebraica e nel suo compimento in Gesù di Nazareth, la storia sarà la storia della ricerca da parte di Dio della sua creatura amata e perduta, della sua sposa amata e perduta. Il Figlio di Dio, Gesù, viene mandato perché in Se stesso manifesti la pienezza della comunione divina come dono e come fisionomia figliale della vita umana: vita nuova dei figli di Dio. La stirpe di Adamo - cioè tutta l'umanità - portata a quella pienezza di comunione figliale con Dio profetizzata dalle narrazioni delle origini. Torna quindi in Gesù la categoria del dono, pienamente realizzato nel suo sacrificio d'amore di Gesù. Il primato assoluto della "relazione" - e qui si potrebbe estendere il pensiero fino al mistero stesso del Dio Trinitario - è il grande "sì" nuziale che ogni esistenza è chiamata a dare. Con il dono evangelico Gesù percorre con l'umanità la via nuova dell'amore, in contrapposizione alle vie vecchie della guerra e dell'omicidio. Ad ogni tentazione del "Nemico", Egli risponde "sta scritto", perché nella Parola del Signore sta la pienezza della grande via della comunione e la definitiva sconfitta della solitudine di Caino. Ogni esistenza è chiamata ad essere volto e voce dell'amore
di Dio

http://alzogliocchiversoilcielo.blogspot.com/2011/03/i-domenica-di-quaresima-famiglie-della.html

venerdì 24 febbraio 2012

QUARESIMA Istruzioni d’uso (Alberto Maggi)



QUARESIMA Istruzioni d’uso (Alberto Maggi)
Posted: 22 Feb 2012 11:35 AM PST
Con il mercoledì delle ceneri inizia la quaresima. Per comprendere il significato di questo periodo occorre esaminare la diversa liturgia pre e post-conciliare.
Prima della riforma liturgica, l’imposizione delle ceneri era accompagnata dalle parole “Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai”, secondo la maledizione del Signore all’uomo peccatore contenuta nel Libro della Genesi (Gen 3,19). E con questo lugubre monito iniziava un periodo caratterizzato dalle penitenze, dai sacrifici e dalle mortificazioni.
Oggi l’imposizione delle ceneri è accompagnata dall’invito evangelico “Convertiti e credi al vangelo”, secondo le prime parole pronunciate da Gesù nel Vangelo di Marco (Mc 1,15). Un invito al cambiamento di vita, orientando la propria esistenza al bene dell’altro e a dare adesione alla buona notizia di Gesù. L’uomo non è polvere e non tornerà polvere, ma è figlio di Dio, e per questo ha una vita di una qualità tale che è eterna, cioè indistruttibile, e per questo capace di superare la morte.
In queste due diverse impostazioni teologiche sta il significato della quaresima.
Mai Gesù nel suo insegnamento ha invitato a fare penitenza, a mortificarsi, e tanto meno a fare sacrifici. Anzi, ha detto il contrario: “Misericordia io voglio e non sacrifici”(Mt 12,7). I sacrifici centrano l’uomo su se stesso, sulla propria perfezione spirituale, la misericordia orienta l’uomo al bene del fratello. Sacrifici, penitenze, mortificazioni infatti non fanno che centrare l’uomo su se stesso, e nulla può essere più pericoloso e letale di questo atteggiamento.
Paolo di Tarso, che in quanto fanatico fariseo era un convinto assertore di queste pratiche, una volta conosciuto Gesù, arriverà a scrivere nella Lettera ai Colossesi: “Nessuno dunque vi condanni in fatto di cibo o di bevanda, o per feste, noviluni e sabati… Se siete morti con Cristo agli elementi del mondo, perché come se viveste ancora nel mondo, lasciarvi imporre precetti quali: Non prendere, non gustare, non toccare? Sono tutte cose destinate a scomparire con l’uso, prescrizioni e insegnamenti umani, che hanno una parvenza di sapienza con la loro falsa religiosità e umiltà e mortificazione del corpo, ma in realtà non hanno alcun valore se non quello di soddisfare la carne” (Col 2,16.20-23).
Paolo aveva compreso molto bene che queste pratiche centrano l’uomo su se stesso, nel miraggio di una impossibile perfezione spirituale, tanto lontana e irraggiungibile quanto grande è la propria ambizione. Per questo Gesù invita invece al dono di sé, immediato e concreto, tanto quanto è grande la propria capacità di amare.
La quaresima non è orientata al venerdì santo, ma alla Pasqua di risurrezione. Per questo non è tempo di mortificazioni, ma di vivificazioni. Si tratta di scoprire forme nuove, originali, inedite, di perdono, di generosità e di servizio, che innalzano la qualità del proprio amore per metterlo in sintonia con quello del Vivente, e così sperimentare la Pasqua come pienezza della vita del Cristo e propria.
Per questo oggi c’è l’imposizione delle ceneri. Pratica che si rifà all’uso agricolo dei contadini che conservavano tutto l’inverno le ceneri del camino, per poi, verso la fine dell’inverno, spargerle sul terreno, come fattore vitalizzante per dare nuova energia alla terra.
Ed è questo il significato delle ceneri: l’accoglienza della buona notizia di Gesù (“Convertiti e credi al vangelo”), è l’elemento vitale che vivifica la nostra esistenza, fa scoprire forme nuove originali di amore, e fa fiorire tutte quelle capacità di dono che sono latenti e che attendevano solo il momento propizio per emergere.
Auguri!
Alberto Maggi
Fonte: STUDIBIBLICI


Mercoledì delle Ceneri (Enzo Bianchi)
Posted: 22 Feb 2012 09:19 AM PST
Bose, 22 febbraio 2012
Mercoledì delle Ceneri
Omelia di ENZO BIANCHI Matteo 6,1-6.16-18
Ascolta l'omelia:

Abbiamo ascoltato il vangelo di questo giorno, inizio del nostro cammino quaresimale. Nel «discorso della montagna» Gesù chiede che il comportamento, le azioni del cristiano non cerchino nessuna ricompensa presso gli uomini, ma la attendano soltanto da Dio. Dio è un Padre che vede nel segreto, che legge i nostri cuori, è colui al quale nulla di noi e delle nostre profondità è nascosto. Testimoni dell’operare del cristiano sono dunque Dio e gli altri.

Ma da chi noi vogliamo la ricompensa? Questa è la vera domanda a cui ci obbliga il vangelo di oggi. Che noi facciamo condivisione dei nostri beni, cioè che ci impegniamo in atti di carità e di amore; che noi viviamo nella giustizia e obbedendo alla volontà di Dio; che noi digiuniamo e ci dedichiamo anche a una disciplina vissuta con sacrificio e a caro prezzo, da chi vogliamo essere visti e ricompensati? Da chi vogliamo essere riconosciuti? Questa è una domanda decisiva, forse non nella vita degli uomini, per i quali non si pone, non fosse altro perché nella nostra società si respira la legge del contratto («Io ti do e dunque tu mi darai»). Ma a livello cristiano le cose non stanno così. Possiamo tradurre le parole di Gesù in questo modo: che senso ha, che bontà contiene l’atto di fare del bene a un altro per ottenerne il contraccambio? Che senso ha fare delle azioni molto buone per l’altro, se con quelle azioni vogliamo sedurlo, farcelo amico, averlo dalla nostra parte? Che senso ha che un cristiano preghi o digiuni, se poi misura queste azioni sul risultato che potrebbero avere presso gli altri e non in se stesse, davanti a Dio?
Una cartina di tornasole che ci aiuta a discernere se il nostro atteggiamento è evangelico o mondano è il nostro rapporto con la correzione fraterna. Nel suo messaggio per la Quaresima di quest’anno Benedetto XVI richiama alla correzione fraterna, chiede che in questa Quaresima la chiesa si eserciti nella correzione fraterna come necessità all’interno della comunità cristiana per un vero, autentico ed evangelico rapporto gli uni con gli altri. Il papa commenta un versetto della Lettera agli Ebrei: «Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone» (Eb 10,24). Ecco l’impegno quaresimale, che anche noi accogliamo quest’anno: si tratta di pensare, di meditare, di esercitarci alla correzione fraterna in questo «tempo favorevole» (2Cor 6,2) alla conversione.
Questo in primo luogo perché c’è una responsabilità verso il fratello che richiede di fare attenzione a lui: il verbo usato è katanoeîn, che significa guardare con consapevolezza l’altro e gli altri, non per spiarli ma perché si sente nei loro confronti la responsabilità. Non c’è fraternità senza responsabilità, e siccome oggi siamo carenti di responsabilità, di conseguenza siamo carenti di vera fraternità: scambiamo la fraternità con le emozioni, con il sedurci a vicenda, con atteggiamenti in cui vogliamo l’altro dalla nostra parte, sulle nostre posizioni. Guardare l’altro è un’operazione decisiva nella vita comunitaria cristiana, e non a caso il verbo katanoeîn ricorre più volte nelle esortazioni apostoliche; è addirittura applicato al guardare con attenzione e consapevolezza Gesù Cristo (cf. Eb 3,1). È un atteggiamento che deve essere assolutamente inciso nella nostra postura cristiana. Certo, si può guardare l’altro con occhio malvagio, avverte Gesù (cf. Mt 6,23; 20,15); ci sono persone che quando guardano un altro mettono – per così dire – gli occhiali da sole, per vedere in lui tutto oscuro o per non vedere affatto; ci sono poi quelli che guardano l’altro già da lui sedotti…
Guardare l’altro nel modo in cui ci esorta a farlo l’autore della Lettera agli Ebrei deve condurre all’operazione conseguente: elénchein (cf. Mt 18,15; Ef 5,11), correggere, ammonire. La correzione deve avvenire come frutto della responsabilità che ognuno di noi ha dell’altro, perché l’edificazione di un corpo, di una comunità può avvenire solo se c’è la responsabilità l’uno verso l’altro; perché l’edificazione di qualsiasi costruzione, che sia la società, che sia una comunità, che sia la chiesa, è possibile se c’è una correzione degli errori che sono ineliminabili nella vita umana. La correzione è un vero servizio di amore. Quando però parliamo di correzione dobbiamo stare attenti, perché è un’operazione che richiede molta intelligenza, che esige un ricorso alla ragione, non ai sentimenti o alle emozioni.
Innanzitutto ciò che dice la qualità di una correzione è la sua intenzione: perché noi correggiamo l’altro? Lo correggiamo perché lo amiamo oppure per umiliarlo, per deprimerlo, o semplicemente perché ci abitano degli antichi risentimenti che prima o poi nella vita fraterna dobbiamo scaricare contro il malcapitato di turno, magari incolpevole? Molto, molto prima di correggere dobbiamo stare attenti alla causa che ci spinge a farlo: perché vogliamo correggere l’altro? Senza una risposta evangelica a questa domanda è meglio tacere.
Dal perché si corregge si deve poi passare al contenuto di quello che si dice correggendo l’altro. Correggere l’altro, infatti, non significa dire tutto quello che si vuole. A volte nelle nostre vite sembra che esista solo una polarizzazione tra due estremi: da una parte il mutismo, dall’altra il parlare senza limiti. No, c’è il parlare sapendo ciò che si dice, che non deve rispondere semplicemente all’ultima nostra emozione o alla reazione suscitata dall’aver udito qualcosa che non concorda con il nostro pensiero. Le cose che si dicono hanno un peso, le parole nel loro contenuto possono essere offensive, possono essere vere e proprie armi: ma noi non possiamo correggere un altro offendendolo ancora di più, anche se è il meccanismo forse più naturale. Non si può dire tutto, non è vero che c’è la libertà di dire tutto: bisogna dire ciò che è conforme a una correzione e a un’edificazione dell’altro, non ciò che lo mortifica ancora di più!
Questo è il secondo livello della correzione. Infine, e solo in ultimo luogo, conta anche il modo in cui si fa una correzione. Questo è di ordine molto inferiore, perché dipende molto dal carattere delle singole persone: ci sono persone che hanno un contenuto cattivo della correzione piangendo, altre che hanno un contenuto buono urlando… Non che il modo non debba essere conforme alla correzione, ma è l’ultima cosa: prima vengono il suo perché e il suo contenuto. Altrimenti noi non facciamo un lavoro di correzione e dunque di costruzione di un corpo, bensì un lavoro di disgregazione.
Lo scopo della correzione – conclude Benedetto XVI – è camminare insieme nella carità, è apprestare tutto per diventare il corpo di Cristo. Se sappiamo correggerci a vicenda, sapremo anche fare le cose attendendo la ricompensa da Dio. Se invece attendiamo una ricompensa oggi dagli altri, non faremo correzione: faremo sempre, in ogni caso, mormorazione, il più grande peccato secondo l’Esodo e secondo tutti i processi con cui si forma e cresce una comunità. Così ci avverte il cammino quaresimale di Israele nel deserto.
ENZO BIANCHI

Fonte: monasterodibose

Commento alle letture 26 febbraio 2012 (G.Bruni )Monaco a Bose



Letture:Letture: Gen 9,8-15; 1 Pt 3,18-22; Mc 1,12-15.
«Lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana»
1. Il tempo di quaresima viene e si consegna con pagine che parlano di Gesù e in Gesù a noi e di noi, egli infatti è la parola nascosta nella pagina che parla al nostro udito, parola che apre gli occhi sulla nostra nascosta verità. Una opportunità unica, domenica dopo domenica, a cominciare con il racconto della tentazione di Gesù.

2. Un racconto estremamente conciso, due soli versetti, in cui a ogni vocabolo è sotteso un universo di storia e di significati: «E subito lo Spirito lo sospinse nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da satana. Stava con le fiere selvatiche e gli angeli lo servivano» (Mc1,12-13). Il «subito», caratteristica di Marco (Mc1,18.20.21.29.42; 2,12…), lega la tentazione a quanto la precede, la proclamazione di Gesù come Figlio amato e unico nella sua relazione con il Padre, Figlio su cui scende lo Spirito o Soffio divino (Mc1,10-11) il quale immediatamente, simile a forte vento, lo spinge nel luogo della prova, il «deserto», e per un tempo preciso, «quaranta giorni». Il fatto che sia lo Spirito a smuovere un Gesù, forse riluttante (cf Mc 14,35-36), qualifica ciò che sta per accadere come «tentazione-prova» diversa dalla «tentazione-astuzia». La prima è da Dio, e solo questa lo è (Gc 1,13), quella ad esempio patita da Abramo, Isacco e Giacobbe (Gdt 8,26-27), da Israele nel deserto (Dt 8,2; 13,4) e in definitiva da ogni uomo sotto il sole (Gb 7,17-18). Sì, «la vita è un combattimento» (Gb 7,1). Scopo di tale prova poi è il «saggiare il cuore», il verificare cioè se il sì a Dio e alla sua via regge o soccombe alla «tentazione-astuzia», il cui prototipo narrativo è la seduzione patita da Adamo ed Eva, e nei progenitori ciascuno legga se stesso. Tentazione la cui mira è la «rovina del cuore» iniettando in esso una immagine perversa di Dio e della sua via, un Dio subdolamente nemico della intelligenza, della libertà e della felicità dell’uomo, un Dio da cui emanciparsi in nome della propria dignità e della propria realizzazione. Gesù è il riassunto di questa trama millenaria, rivive la tentazione-prova evento dello Spirito, della iniziativa cioè del Padre, e la tentazione-astuzia evento di satana, l’avversario.Un faccia a faccia per quaranta giorni, evocazione dei quarant’anni di Mosè e di Israele nel deserto e dei giorni di Elia nel deserto, numero che dice compiutezza. Nel cammino dell’uomo vi sono tempi necessari di prova che vanno interamente consumati, a cui non si può sfuggire anche se correttamente non desiderati. Un occhio contro occhio nel deserto e non casualmente, nel suo essere luogo ostile, appuntato di oasi e senza appigli, non si danno alternative all’aut-aut, all’o-o, esso diventa la metafora del che cosa può diventare l’uomo in base alla risposta data a Dio o al suo contendente. E quale sia stata la risposta di Gesù lo dice la stupenda immagine del suo stare pacifico e pacificante in compagnia di fiere e di angeli, in armonia con il mondo terrestre e celeste e in rapporti di lieti annunci nei confronti del mondo umano (Mc1,14-15).L’intenzione dell’evangelista è chiara: Gesù è il nuovo Adamo e l’Israele riuscito, in lui la creazione è ricondotta al suo in principio e il sogno isaiano della riconciliazione cosmica (Is 11,1-9) si adempie. In lui il segno che il sì a Dio non significa diminuzione dell’uomo ma nascita a primavera per l’uomo, oasi di ospitalità nel deserto ostile della vita, oasi di novità amica nella consuetudine di giorni nell’inimicizia.
3. Questa parola è rivolta a noi e parla di noi ricordando che prima o poi, sulle orme del Maestro, giunge il tempo della grande prova: « Il Signore è in mezzo a noi, si o no?» (Es 17,7). E altresì ricordando che è possibile uscirne vincitori in Cristo: «Per essere stato messo alla prova ed avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova» (Eb 2,18). L’importante è non essere trovati soli quando le ragioni del no, e ciascuno ha le sue, sembrano imporsi con ragionevolezza alla coscienza; l’importante è l’entrare nella prova e il vivere la prova in sua compagnia facendo proprio il suo sì che dichiara, nonostante tutto, che Dio è amore e che vuol fare dei messi alla prova delle umanissime oasi in pace e di pace alla carovana dei pellegrini della vita, e a ogni animale , fiore e angelo. Una maniera altissima di essere che nessuna seduzione può strappare dal cuore, iniziati a sapere chi ti mette alla prova per plasmarti in uomo vero e chi solo per strapparti alle mani del vero vasaio.

Preghiera. Oggi 24 febbraio



Preghiamo - Inserimento 24 Febbraio 2012 Sei Catechesi di Giovanni Paolo II

La creazione degli esseri puramente spirituali che la Sacra Scrittura chiama ANGELI

Padre, tu mi ami

Padre, tu mi ami:
tu sai ciò che fai,
tu hai esperienza
e non sbagli i colpi...

Tu sei l'artista;
io sono la pietra da scolpire,
tocca a te fissarmi
nella tua forma.

Le prove sono un sacramento
della tua volontà:
fa' che io non renda inutili
questi tuoi gesti,
con le mie impazienze.

EDEL QUINN

giovedì 23 febbraio 2012

Riflessioni sulle letture 26 febbraio 2012 (Manicardi)Monaco a Bose



Gen 9,8-15; Sal 24;1Pt 3,18-22; Mc 1,12-15

Questo il messaggio delle letture della prima domenica di Quaresima: dopo aver giudicato il peccato dell’umanità con il diluvio, Dio riafferma la sua volontà di salvezza universale stringendo con Noè un’alleanza con ogni carne e con tutta la terra (I lettura); Gesù combatte il tentatore nel deserto e la sua vittoria è una ritrovata comunione tra cielo e terra (vangelo); il Cristo risorto scende agli inferi per proclamare il vangelo anche ai ribelli, ossia a chi era morto nel rifiuto di Dio. Scende cioè a proclamare la fedeltà di Dio alla sua promessa di salvezza universale (II lettura).

Marco presenta la tentazione come la prima azione spirituale: è lo Spirito ricevuto nel battesimo che spinge Gesù al faccia a faccia con Satana, cioè con la possibilità del male. E il luogo della tentazione, per Gesù come per ogni uomo, è il cuore. Lo Spirito di Dio non spinge a fughe in paradisi spiritualistici, a evasioni misticheggianti, ma alla difficile impresa di discernere il proprio cuore, riconoscere le spinte di divisione da Dio e di idolatria che lo traversano e farvi regnare la volontà di Dio. La tentazione è una possibilità che ci situa di fronte a una scelta tra bene e male, tra fede e idolatria: “La tentazione rende l’uomo o idolatra o martire” (Origene). Per questo essa implica un senso morale e il discernimento tra ciò che è bene e ciò che è male. In questo senso, di fronte all’indistinzione tra bene e male, all’in-coscienza del bene e del male e all’indifferenza dell’agire, la tentazione oggi più grave è la scomparsa della tentazione.
Chi riconosce la tentazione viene situato in un combattimento interiore per respingere la seduzione del lasciarsi vivere, dell’abdicare a ciò che è serio e profondo, dell’abbandonare la fedeltà al Signore. E la fatica della lotta può spaventare e ripugnare.
Il combattimento di Gesù nel deserto è celato dietro all’annotazione del suo restare costantemente tentato da Satana per quaranta giorni e l’esito vittorioso della lotta è espresso dalla comunione tra angeli e bestie selvagge che si crea attorno a lui, attestando così il compimento del tempo messianico. La pace tra il cielo e quel luogo di morte che è il deserto, manifesta la pace messianica annunciata dai profeti con immagini analoghe (cf. Is 11,6-7; 65,25) e che abbraccia l’intera creazione (cf. Os 2,20).
Nel deserto Gesù fa dunque una molteplice esperienza. Anzitutto di solitudine: Gesù è solo nel luogo solitario. Lì obbedisce alla Parola e allo Spirito di Dio che l’hanno proclamato Figlio di Dio al battesimo (cf. Mc 1,9-11). Lì è messo alla prova e incitato al peccato, alla disobbedienza. E lì egli dà prova di perseveranza: nel deserto non diserta. La tentazione crea il credente provato, saldo. Nella tentazione Gesù convive con le bestie selvagge, addomestica le presenze mostruose, le potenze selvagge e violente che traversano il cuore umano: “È dal cuore che escono le cattive intenzioni” (Mc 7,21). Infine, Gesù conosce la presenza divina: “gli angeli lo servivano”. L’angelo vicino a chi lotta è immagine che indica la presenza di Dio che si fa sentire al cuore della lotta della preghiera e della tentazione (cf. Lc 22,41-44).
Vittorioso sul tentatore e instauratore della pace messianica, Gesù può proclamare il compimento del tempo e l’avvento del Regno di Dio. Ma l’annuncio di ciò che Dio ha operato diviene esigenza per l’uomo: “Convertitevi e credete al vangelo”. La conversione è risposta e responsabilità del credente di fronte al dono del Signore. Non consiste in un miglioramento di atteggiamenti esteriori, ma nella fede nel vangelo, dunque in un ri-orientamento radicale del proprio essere alla luce della volontà di Dio manifestata nella persona di Gesù. Credere al vangelo è un concreto affidarsi al vangelo, “che è potenza di Dio” (Rm 1,16), un porre i propri passi sui passi del Signore. E seguire Gesù significa seguirlo anche nelle sue tentazioni e nella sua lotta, certi per fede che nella nostra lotta lui stesso combatterà e ci guiderà a conversione.
LUCIANO MANICARDI
Comunità di Bose

mercoledì 22 febbraio 2012

Lectio divina letture patristiche. I QUARESIMA



DOMENICA
«DELLE TENTAZIONI NEL DESERTO»
I Domenica di Quaresima B
Mc 1,12-15; Gen 9,8-15; Sal 24; 1 Pt 3,18-22
Colletta II
Dio paziente e misericordioso,
che rinnovi nei secoli la tua alleanza con tutte le generazioni,
disponi i nostri cuori all'ascolto della tua parola,
perché in questo tempo che tu ci offri
si compia in noi la vera conversione.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...
La «buona notizia», che ci viene dall’ascolto delle letture odierne può essere sintetizzata in questo
modo: Dio è con noi nella lotta per la vita e va innanzi, come alleato e amico, per liberarci dalla morte e
avviarci verso la pienezza dell’esistenza. Con instancabile “passione” per l’uomo, studia di far breccia nel
cuore umano, troppo spesso angosciato dalla tristezza, abbrutito dall’odio, per proporgli la strada
dell’amore e del dialogo salvifico con lui.
Come già abbiamo detto e poi verificato, testi alla mano, lo scorso anno, ribadiamo ancora una
volta che la Quaresima «prepara» alla Resurrezione: ma solo come tempo.
Come contenuti, invece, celebra la Resurrezione, in specie nelle sue Domeniche (sulla duplice indole cf
SC 109 e 110 del Concilio Vaticano II).
Nel lezionario domenicale, che comprende i tre cicli di letture, è stato disposto che l’anno A, sia come il
prototipo di quello che deve essere questo tempo liturgico. Per la grande importanza che i brani biblici del
Ciclo A hanno in rapporto all'iniziazione cristiana è data la possibilità di proclamarli anche negli anni B e
C, specialmente se ci sono dei catecumeni. Sono stati perciò conservati, nella I e nella II domenica, i temi
tradizionali delle tentazioni del Signore e della Trasfigurazione, che per di più sono comuni ai tre cicli,
ma sono stati ricuperati, per le domeniche III, IV e V, gli Evangeli classici della Quaresima catecumenale:
la samaritana, il cieco nato e la resurrezione di Lazzaro.
Queste domeniche negli anni B e C, si occupano di aspetti del mistero pasquale e della chiamata alla
conversione.
Comunità monastica di Pulsano – Lectio divina I Domenica di Quaresima B
www.abbaziadipulsano.org
1/6
La domenica delle Palme si concentra sulla proclamazione della Passione del Signore, letta ogni
anno nel testo di uno degli evangelisti sinottici, esattamente come si fa nelle domeniche I e II nelle quali
gli episodi delle tentazioni e della trasfigurazione sono presi da uno dei detti evangelisti.
L'episodio delle tentazioni proclamato dalla liturgia di questa domenica, non è solo un momento decisivo
nella vita di Gesù, ma è, più ancora, il dramma di Adamo nel paradiso terrestre, di Israele nel deserto e di
ogni cristiano in questa vita.
«Eri in Cristo ed eri tentato tu» dirà sant'Agostino, mentre il prefazio della messa ci svela il senso di
questa prima domenica quaresimale:
Egli (Gesù) consacrò l'istituzione del tempo penitenziale
con il digiuno di quaranta giorni,
e vincendo le insidie dell'antico tentatore
ci insegnò a dominare le seduzioni del peccato,
perché celebrando con spirito rinnovato il mistero pasquale
possiamo giungere alla Pasqua eterna.
Tutti gli altri testi biblici e liturgici di questa dom. girano intorno a questo grande contenuto
fondamentale; le letture dell’A.T. ci presentano i primi momenti dell'uomo e del popolo di Dio, momenti
di tentazione e di caduta. Le seconde letture completano il messaggio facendoci riflettere sul peccato, sul
battesimo e sulla fede.
Il cristiano vincerà la tentazione solo se terrà sempre presente il grande avvertimento, valido per l'intera
Quaresima e per l'intera vita: «Non di solo pane vive l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di
Dio» (Mt 4,4 = Dt 8,3; vedi versetto del canto all’evangelo). Cibo principale del credente è lo stesso
cristo, che ci si offre sulla duplice mensa della Parola e del sacramento:
Il pane del cielo che ci hai dato, o Padre,
alimenti in noi la fede,
accresca la speranza,
rafforzi la carità,
e ci insegni ad avere fame di Cristo,
pane vivo e vero,
e a nutrirci di ogni parola che esce dalla tua bocca.
Per Cristo nostro Signore.(Dopo Com.).
Il contesto della pericope evangelica è il battesimo del Giordano, immediatamente precedente, e
l'inizio della predicazione in Galilea. La breve informazione marciana sul digiuno di 40 giorni nel deserto
e sulla tentazione è ampliata da Matteo e Luca in una triplice tentazione. Una fonte scritta comune per Mt
Comunità monastica di Pulsano – Lectio divina I Domenica di Quaresima B
www.abbaziadipulsano.org
2/6
e Lc non è ovvia; se c'è una fonte comune, uno dei due evangelisti l'ha sfruttata con una certa libertà. Le
citazioni bibliche sono identiche nei due evangeli. L'ordine della seconda e della terza tentazione è
invertito in Lc rispetto a Mt; l'ordine di Mt sembra avere un crescendo deliberatamente voluto.
Il brevissimo brano evangelico di Marco è distinto in due momenti molto diversi:
 Primo momento (vv. 12-13) è quello delle tentazioni di Gesù, sulle quali Marco non dice altro.
 Il secondo momento (vv. 14-15) è quello degli inizi del ministero pubblico in Galilea.
Sempre laconico, Marco concentra grandi temi che la catechesi apostolica certamente sviluppava.
Per dare maggior respiro alla brevissima pericope delle tentazioni (1,12-13), il brano liturgico propone
anche i due versetti seguenti (vv. 14-15) che presentano l'inizio della predicazione di Gesù in Galilea.
Non dimentichiamo però che gli stessi versetti sono già stati letti nella 3a domenica del Tempo ordinario.
Esaminiamo il brano
vv. 12-13 Appena un accenno a quanto dicono gli altri due sinottici; una narrazione brevissima con uno
stile semplice e descrittivo. Il brano evangelico proposto in questa domenica è estremamente ridotto. Sarà
opportuno comunque rimanere fedeli al testo del secondo evangelista e non cedere alla tentazione di
commentare la versione più nota degli altri due.
«Lo Spirito lo sospinse nel deserto»: L'evangelista adopera un verbo quasi violento: ekbállei è un
presente storico, da ek-bállō (= 'gettare fuori'), e indica l'azione di spingere qualcuno fuori da un
ambiente. Con forza cioè lo Spirito Santo lo tirò fuori dalla folla che circondava il Battista, per spingerlo
nella solitudine del deserto, luogo tipico della prova e della verifica. L'evangelista vuole così sottolineare
che a tale azione spirituale Gesù fu docile.
«lo Spirito»: tò pneûma con articolo anche in greco; il che rimanda spontaneamente allo Spirito Santo
menzionato prima (vv. 8 e 10). Gesù non va nel deserto di sua spontanea volontà. Quello stesso Spirito
che rese possibile la sua generazione (Mt 1,20) ed era venuto visibilmente su di lui per mostrare a tutti il
compiacimento del Padre (Mc 1,10-11), ora lo conduce nel deserto come aveva condotto il popolo eletto
(Dt 8,2).
Secondo la tradizione, teatro delle tentazioni fu la zona desertica intorno a Gerico (deserto della Giudea),
non lontano dal luogo del battesimo (zona, sempre secondo la tradizione, individuata con El Maghtas,
circa 9 Km a est-sud est di Gerico).
I visitatori di Tell es-Sultan (la Gerico dell'A/T.) godono un'ottima vista del tradizionale Monte delle
Tentazioni (la tradizione risale al VII secolo) sulla cui cima Satana offrì a Gesù tutti i regni della terra a
patto che si prostrasse per adorarlo.
II nome arabo della montagna, Jabal Quruntul, deriva evidentemente dalla parola francese quarante
introdotta dai crociati in ricordo dei quaranta giorni delle tentazioni.
Comunità monastica di Pulsano – Lectio divina I Domenica di Quaresima B
www.abbaziadipulsano.org
3/6
«deserto»: è il luogo della penitenza e della prova, ma anche dell'incontro con Dio e della preghiera (Os
2,16).
In vari testi è presentato pure come il luogo in cui Satana vaga (Mt 12,43; Lc 11,24; Tb 8,3; Is 13,21;
34,14).
Soprattutto, però, si deve tenere presente l'esperienza unica di Israele, che nel deserto aveva ricevuto la
sua formazione. In qualche modo da Dio e saggiato nella sua fedeltà all'alleanza sinaitica, e «tentatore» a
sua volta di Dio nell'esigere da lui continui interventi miracolosi (cf Dt 8,2-6; Sal 95,8-10).
«quaranta giorni»: cifra tonda, consacrata dalla tradizione biblica.
«tentato»: in gr. peirázō nel linguaggio biblico ha un duplice significato: «mettere alla prova, saggiare» e
«far deviare dalla retta via». Nel nostro brano prevale il secondo significato e l'azione deve intendersi
estesa per tutti i 40 giorni (cf participio presente in greco).
«da satana»: trascrizione dall'ebr. satan, aramaico satana, che significa propriamente «il nemico»,
«avversario» (cf 1 Re 11,14.23), l'accusatore dell'uomo per rovinarlo e rovinare il Disegno divino (cf tutto
Giobbe).
I LXX lo resero con «diavolo» (alla lettera «il divisore», gr. dia-bàllò,) e così fanno pure Mt e Lc nelle
narrazioni parallele.
Marco usa sempre «satana» (cfr. 3,23.26; 4,15; 8,33).
II genere delle tentazioni non è precisato, ma la vita di Gesù sulla terra sarà tutta punteggiata da un
continuo combattimento contro le potenze del male, impersonate da satana, il nemico di Dio (cfr. 3,22-
27).
«stava con le fiere»: è una notazione esclusiva di Me. Gli animali più comuni del deserto sono: gazzelle,
sciacalli, lupi, iene, serpenti e anticamente in Palestina non mancavano nemmeno i leoni.
Per Giovanni Crisostomo (vescovo e dottore della Chiesa, nato nel 347 e morto il 14 sett. del 407) e per
alcuni esegeti, anche moderni, questo particolare ha un valore semplicemente descrittivo, quasi a
sottolineare la realtà della permanenza di Gesù nel deserto.
Per altri, invece si deve interpretare come un parallelismo con Adamo nel paradiso terrestre; egli è come
il nuovo e perfetto Adamo che vive nel giardino del mondo in pace con tutte le creature.
Naturalmente non nel senso che gli animali selvatici insidiano la vita di Gesù o che sono strumenti nelle
mani di satana; ma più semplicemente come un ritorno a quella pace, serena e tranquilla, con tutti gli
esseri della natura, che Adamo godeva prima del peccato. E' la pace di chi è vicino a Dio e gode della sua
protezione (cfr. Sal 91,13; il celebre brano di Is 11,6-8).
«gli angeli lo servivano»: il verbo dell'originale greco (diakonéō) può essere preso nel senso particolare
di «servire a mensa, apparecchiare il cibo» (cfr. Mc 1,31) e indicherebbe che Gesù viene «servito» dopo
aver digiunato.
Comunità monastica di Pulsano – Lectio divina I Domenica di Quaresima B
www.abbaziadipulsano.org
4/6
Oppure si prende nel senso più generico di «assistere, stare presso qualcuno per prestargli dei servizi»
(cfr. Sal 91, dove sono ricordate le prove, il demonio, le fiere e gli angeli; si veda anche in 1 Re 19,8,
dove Elia è servito da un angelo nel deserto). Quale che sia il particolare sta ad indicare una
singolarissima assistenza da parte di Dio, il quale non permette che il suo eletto soccomba alla fame, alla
tentazione o a qualunque altro male; ma indica anche la superiorità e la vittoria di Gesù su satana, vittoria
che da Marco non è riportata esplicitamente.
Gesù si lasciò guidare dallo Spirito nel momento cruciale della riflessione e della decisione: la rivelazione
del Giordano l'ha presentato come il Messia, ma non era così scontato e sicuro capire chi fosse il Messia,
che cosa dovesse fare e come dovesse farlo. Gesù deve scegliere. E vuole scegliere secondo la volontà di
Dio.
Marco non esplicita le tentazioni di Gesù; ma trasmette solo la notizia del ritiro di Gesù nel deserto e la
presentazione del fatto che è stato tentato. Durante tutta la sua vita si è ripetutamente posto il problema
della sua messianicità: la gente che lo ascolta e lo applaude ha tante idee diverse del Messia, ognuno
vorrebbe che Gesù corrispondesse alla propria. I suoi stessi discepoli hanno consigli da dargli e proposte
alternative; di fronte all'annuncio della passione, Pietro lo prende in disparte e lo rimprovera; fino
all'ultima tentazione sulla croce, quando molti gli gridano: «Salva te stesso scendendo dalla croce!» (Mc
15,30). Durante tutta la sua vita Gesù è stato tentato di scegliere altre strade e altri modi.
vv. 14-15 - «Giovanni fu arrestato»: nell'accenno dell'arresto Gv Battista è mostrato precursore anche
nella passione, oltre che nella nascita e nella predicazione di Gesù.
Nell'esporre, sia pure in sintesi, la predicazione del maestro, Mc è più specifico degli altri evangelisti; la
delinea infatti non con due (Mt 4,17) ma con quattro fasi:
1. «il tempo è compiuto» riassume il senso della storia della salvezza, nella quale più che la
quantità (chrònos), conta la qualità del tempo (kairòs).
2. «il regno di Dio è vicino»: Dio si è avvicinato agli uomini e fa sentire la sua presenza
nell'opera salvifica di Gesù; ma spetta agli uomini rispondere alla chiamata e sottomettersi
docilmente alla sua sovranità, facendo quanto Gesù richiede con i due imperativi:
convertitevi e credete.
3. «convertitevi»: (gr. metanoéō) non è un semplice riconoscimento dei propri errori, ma di un
cambiamento radicale dell'uomo; cambiamento che è poi un ritorno a Dio da cui l'uomo si
era allontanato con il peccato.
4. «credete all’evangelo»: credete in forza dell’evangelo.
«si è avvicinato»: La forma verbale di engízō non significa che è un po' più vicino di prima, ma afferma
che è proprio qui, è arrivato, ci siamo! Lo stesso verbo ritorna ancora sulle labbra di Gesù, quando nel
Getsemani sveglia gli apostoli per dire loro che il traditore «è qui» (Mc 14,42) e, mentre ancora sta
Comunità monastica di Pulsano – Lectio divina I Domenica di Quaresima B
www.abbaziadipulsano.org
5/6
parlando, Giuda gli si accosta. Dunque Gesù dice che «il regno di Dio è qui!»: finalmente Dio interviene
per prendere in mano la sorte del mondo e cambiarla. E nella persona stessa di Gesù Dio è all'opera per
cambiare il mondo.
Colletta I
O Dio, nostro Padre,
con la celebrazione di questa Quaresima,
segno sacramentale della nostra conversione,
concedi a noi tuoi fedeli di crescere
nella conoscenza del mistero di Cristo
e di testimoniarlo con una degna condotta di vita.
Per il nostro Signore...
lunedì 20 febbraio 2012
Abbazia Santa Maria di Pulsano
Comunità monastica di Pulsano – Lectio divina I Domenica di Quaresima B
www.abbaziadipulsano.org
6/6