DON ANTONIO

venerdì 19 agosto 2011

Sperare oggi!





“Mio Dio, spero dalla tua bontà, per le tue promesse e per i meriti di Gesù Cristo nostro Salvatore, la vita eterna e le grazie necessarie per meritarla con le buone opere che io debbo e voglio fare. Signore, che io possa goderti in eterno.“È una preghiera dolcissima! Quando ero bambino, in Oratorio, la si recitava quotidianamente unitamente all’Atto di Fede e di Carità. Io la recito tutt’ora poiché essa mi ricorda che la virtù della speranza è propria di ogni cristiano e non può essere differentemente. Ogni cristiano, infatti, dovrebbe ripetere con l’orante del salmo 26: “Se contro di me si accampa un esercito il mio cuore non teme; se contro di me divampa la battaglia anche allora ho fiducia” applicando a se stesso quanto l’Apostolo Paolo lodava nella figura di Abramo che “credette, saldo nella speranza contro ogni speranza” (Romani 4,18). La speranza geme nell’anima di ogni uomo consumandosi nell’attesa struggente di essere appagata. Essa è dono di Dio come la Fede e la Carità. Oggi più che mai si sente necessario il desiderio di tornare a sperare. In una società intrisa di nichilismo che riduce gli esseri umani “a banali accidenti di un processo intrinseco alla materia“e per tanto “prodotti corruttibili” della materia stessa questa esigenza diventa ancor più vera e attuale. Come, dunque, oggi si può sperare? Risponderei a siffatta domanda semplicemente con: avendo fede! Credere in quell’unico vero Dio in tre persone uguali e distintamente. Credere per tanto nel Padre, per mezzo del Figlio, morto e risorto, nello Spirito Santo. Non ci può essere speranza se non c’è fede! E se la speranza va via via spegnendosi è perché di pari passo anche la lampada della fede ha bisogno di nuovo olio per continuare a risplendere. Dio accende in me la virtù della speranza quando io ho acceso in me il desiderio di credere abbandonandomi totalmente ed incondizionatamente nel suo mistero. Lo attesta l’autore sacro della Lettera agli Ebrei quando afferma che “la fede è fondamento delle cose che si sperano“. La speranza, dunque, che germoglia dalla fede diventa attesa dell’impossibile; speranza – questa – che si fa attesa, nonostante le ansie, le insicurezze, le tentazioni e lo stesso peccato, attesa di essere associati anche noi, insieme ai santi, a cantare l’alleluia celeste. Confessa Guglielmo di Saint-Thierry nelle sue Meditazioni: “Tu, Signore, sei la mia fede, tu sei la mia speranza“. Bene, in tale contesto, si inserisce ciò che dice il benedettino Jacques Leclercq il quale asserisce che “la speranza non è una virtù passiva, una pseudo-fiducia fondata su non so quale magia dell’avvenire. La speranza porta in se stessa tutto il compito di fare, è tutto ciò che devo fare di me“. Tutto ciò si fonda in maniera mirabile su alcune verità che possiamo riassumere in tre: a) Dio può tutto, b) Dio amore mi ama immensamente, c) Dio è fedele alle promesse; sicché animato da fede salda in nell’Onnipotente misericordioso e fedele non posso sentirmi né solo, né orfano ma innestato, per amore, in quel piano di salvezza che si realizza in Cristo nostro unico Salvatore. Credo sia in questa prospettiva che si inseriscono le vicende della santa africana Giuseppina Bakhita che il Santo Padre Benedetto XVI propone al numero 3 della sua seconda enciclica Spe Salvie dei tanti testimoni sorti nelle pieghe di una storia spesso travagliata ed inquieta. “La mia speranza – dice padre Jacques Leclercq – ha un nome, un volto: il Nome ed il Volto di Gesù“.

Nella Sacra Scrittura emergono numeroseconnessionicon il tema della speranza. Abbiamo già fatto riferimento alle vicende del Patriarca Abramo: la sua fede diventa fiducia nel futuro promesso da Dio (Genesi 12, 1-3; 13,14-18). Anche nelle vicende del profeta Geremia emerge limpida la fiducia che nonostante tutto è posta in Dio. Particolari sono anche le circostanze in cui Giobbe è “costretto” ad abbandonarsi di fronte all’incomprensibilità del disegno divino. Dall’antico al nuovo Testamento la virtù della speranza segna un percorso sfolgorante che giunge a Cristo, per mezzo del quale ogni uomo della terra può finalmente accedere ad un nuovo rapporto con Dio: un rapporto di fiducia, di abbandono e dunque di relazione. La storia si apre con una promessa e si chiude con la realizzazione della stessa, promessa ripresa dall’Apostolo delle Genti in numerosi punti delle sue epistole. In maniera particolare I Tm 1,1 dove Paolo afferma che la nostra speranza è Cristo. Questa lettera fa emergere chiaramente l’importanza della speranza nella vita cristiana. Essa è l’atteggiamento tipico del vivere cristiano. Ogni cristiano deve fare un tuffo nel passato riportandosi a quella che era l’ansia escatologica delle prima comunità cristiane, le quali credevano fermamente in un repentino ritorno del Signore. Importante, a tal proposito la formula di preghiera che riecheggiava nei momenti di culto e che l’Apostolo Giovanni ci consegna alla fine dell’Apocalisse “Vieni, Signore Gesù“. Particolare interesse ha, poi, il capitolo ottavo della lettera ai Cristiani di Roma, denominato da alcuni esegesi il capitolo della speranza. Il tema di detto capitolo è la vita nello Spirito, che significa anche la vita nella speranza. Il fedele che vive nella speranza, vive nello Spirito e porta con se i germi della resurrezione e dunque di quella promessa di essere un giorno “eredi di Dio, coeredi di Cristo” partecipi della sua gloria. Nel corso della storia la speranza cristiana ha subito un “processo” e ha avuto diverse contestazioni. Indubbiamente il processo alla speranza parte da un processo alla fede cristiana.Marx, denuncia la falsità religiosa. Per Marx la religione “è il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore…“, in una parola “l’oppio dei popoli“. Non avrebbe nessun senso credere e quindi sperare. Sulla scia di Marx si inserisce Nietzsche il quale dichiara la speranza la “virtù dei deboli” che farebbe dei cristiani uomini rassegnati, estranei al progresso del mondo, degli illusi. E di illusione parla anche Freud, il quale in una delle sue opere più importanti Il futuro dell’illusionenomina la fede religiosa proprio come semplice illusione. La religione distoglierebbe i cristiani dalla lotta per la promozione umana. Accanto a questi citati possiamo inserire anche Kant ed Hegel.

Abbiamo detto che la speranza è l’atteggiamento tipico e distintivo di ogni cristiano. Colui allora che professa la fede in Dio e per mezzo delle opere buone aspetta per goderlo in eterno non può vivere in un clima di disperazione, scoraggiamento e presunzione. Pecca il cristiano che si dispera poiché paralizza gli sforzi, seppur piccoli, per fare il bene e per superare le difficoltà. Dice a tal proposito Sant’Isidoro: “commettere una colpa è la morte dell’anima; ma disperare e discendere all’inferno“. Pecca il cristiano che si scoraggia, che perde la sua fiducia nel Signore e nel suo amore senza limiti. Pecca chi vive nella presunzione: a) confidenza nelle proprie forze per il raggiungimento della salvezza, b) insipiente attesa della celeste beatitudine e del perdono senza la propria collaborazione (quest’ultima nasce dalla superbia, Sant’Agostino ci ricorda che “qui fecit te sine te, ne salvabit te sine te“). Colui che vive la virtù della speranza, non si scoraggia, non si dispera, non è presuntuoso ma vive il suo essere cristiano in un clima di timore di Dio, di fiducia e di totale abbandono a Colui che tutto può. Quando la mia vita si scontra con la croce come posso sperare e aver fede? Il Maestro stesso ci consegna in molti passi del NT alcune risposte: uno fra tanti il testo delle beatitudini evangeliche che tracciano il cammino del cristiano in una personale e intima esperienza di Dio. Nel brano delle beatitudini (Matteo 5,1-12) l’autore sacro dona una consolante certezza: a coloro che piangono Qualcuno asciugherà le lacrime, a coloro che sono nella sofferenza Qualcuno lenirà il dolore versandovi, come il Samaritano, l’olio della consolazione e il vino della gioia, a coloro che sono in situazioni di miseria e povertà, a coloro che sono nella desolazione, nell’incertezza, nello scoraggiamento qualcuno, quel Qualcuno, non mancherà di porli sulle sue spalle. Spesso capita, soprattutto a coloro impegnati in una pastorale, di visitare gli ammalati. La pastorale per le persone che riversano nella sofferenza è una delle più delicate. Quando ci si trova dinnanzi a quanti soffrono spesso non si trovano le parole o meglio non si trovano quelle giuste. Poi ci si accorge che quelle parole che non si ha il coraggio di proferire le si trovano sul volto, nei gesti, e nelle stesse parole di quanti dovevano essere da noi incoraggiati e sostenuti. E diventano loro “maestri” e discepoli che insegnano dalla una delle cattedre più eloquenti: il letto dove riversano nel dolore! Questo di percepisce soprattutto quando abbracciando il crocefisso lo baciano con zelo e fervore. Quella croce unita al loro stato precario di salute fisica diventa la fonte per affrontare, con speranza, il grande mistero del dolore. Non si può aver paura della croce! Si è detto precedentemente che sperare è l’atteggiamento tipico e distintivo di ogni cristiano, così pure amare la croce, la propria croce deve essere l’atteggiamento tipico di chi crede. Non credo di svelare nulla di nuovo in particolare, questo saggio, infatti, vuole essere un riproporre in maniera spicciola una grande virtù che va via via scomparendo: la speranza! C’è urgentemente bisogno di ritornare alla contemplazione della croce e del crocefisso. In tempi non molto recenti, quando la fede cristiana era ancora madre feconda nelle nostre famiglie ci si recava innanzi al crocefisso a pregare. Oggi, e fatti recenti lo hanno dimostrato, il crocefisso viene rifiutato. La croce è scandalo, provoca vergogna, per questo se ne vuole eliminare ogni traccia e segno. La croce, allora, per il cristiano è la fonte viva, direi quasi vivissima di speranza. Una speranza che è provata con il fuoco! Perché sperare oggi? Perché c’è bisogno di uscire fuori urgentemente dal proprio egoismo e aprirsi a Dio, nella odierna cultura che rifiuta Dio c’è l’ esigenza di tornare a respirare a pieni polmoni l’Infinito di Dio, la sua bellezza perdendosi in quell’abisso di Carità che è il cuore del Padre. Se avessimo speranza andremmo meglio noi e andrebbe meglio certamente il mondo e l’umana società. Carità, Fede e Speranza sono le basi su cui costruire la vita cristiana. Credo però che la speranza dovrebbe, leggendo i segni dei tempi, esser posta al centro. Speranza che è fiducia (fede) di costruire la propria vita sulle Verità rivelate da Dio per conseguire ciò che esse contengono e promettono con le nostre buone opere (carità-amore). In cielo, al tramonto della nostra vita, non avremo bisogno di credere perché vedremo Colui che qui in terra abbiamo creduto e gusteremo eternamente la sua beatitudine, non avremo bisogno neppure di amare perché ci perderemo in Colui che è amore. Credo però che rivivremo quell’abbandono in Dio, andremo tra le sue braccia e guardando nei suoi occhi rileggeremo così tutto ciò che è stato nella nostra vita, gli diremo il nostro amore e canteremo per sempre a Lui il nostro rendimento di grazie. La speranza cristiana nasce dall’ascolto, la fiducia stessa nasce dall’ascolto e l’ascolto nasce dalla relazione. La relazione con Cristo è un rapporto che ci porta a prendere i lineamenti del Suo Volto che poi sono i lineamenti dell’uomo umile, del semplice, di chi si scopre povero e, nel labirinto dell’incertezza, bisogno di Dio. Interponiamo l’intercessione di Maria Vergine “erede della speranza dei giusti d’Israele“, la quale è l’immagine più perfetta di colei che ha incarnato la speranza poiché fu pienamente dipendente da Dio e totalmente orientata verso Lui.
http://www.centroculturaleitalianogiovannipaoloprimo.net/2011/03/01/la-speranza/

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