DON ANTONIO

lunedì 15 agosto 2011

Dal Trattato di Teologia Morale. 4.Valore della speranza 5.Necessita' della speranza

1. Valore della speranza.

Il valore della speranza è immenso per quello che dà e per quello che promette. La speranza cristiana da all'uomo un nuovo grado di vita, potenziandone al massimo la natura ed il volere: non è forse vero che la dignità morale di un essere si misura dal suo volere, e che la misura del volere è nel suo oggetto? L'anima protendendosi verso il futuro, in Dio, respira già, pregustandola, l'aria beata di Dio. Non solo. Le promesse divine conferiscono all'uomo la massima sicurezza, gli danno quasi il senso dell'onnipotenza: "io posso ogni cosa in Colui che mi da forza" (118). Solo su questo terreno può fiorire la vittoriosa persuasione che resiste e trionfa di fronte ai compiti più ardui. Di qui l'invitta fermezza nella prova, nella sicura fiducia che l'aiuto divino non sarà mai inferiore alla sua violenza. Di qui la certezza "che né la morte, né la vita, né Angeli, né Principati, né presente, né futuro, né ciò che ci sovrasta, né quel che ha da essere, né fortezza, né altezza, né profondità, né qualsiasi altra cosa creata sarà in grado di separarci dall'amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore" (119). Di qui infine la trasformazione del dolore e la casta letizia cristiana, che trae alimento dalla stessa sofferenza e che si rinnova ogni giorno nell'attesa del Signore vicino (120).
"Chiunque ha questa speranza in Lui, santifica se stesso come egli pure è santo" (121). Per la speranza il cristiano non si piega più sui beni di questo mondo se non in quanto sono dei mezzi, per assicurare la nostra salvezza. Egli vede che la sanità del corpo, la fortuna ed il successo nelle vicende umane non hanno relazioni necessarie con la salvezza eterna; possono farvi ostacolo, come possono facilitarla.
Ed allora attende bene al senso della gerarchia dei valori; si attacca unicamente ai beni dell'anima; si rende conto di tutto ciò che è accessorio, terreno. La speranza acquista sviluppo, come la fede, dalla contemplazione delle cose divine, dell'amore divino in particolare.
Vivere di speranza, come vivere di fede suppone una vita interiore; suppone l'uomo capace di liberarsi dal sensibile per vivere secondo lo spirito e di lasciarsi guidare dal lume divino che la fede ci dà.
La speranza è così la virtù ottimistica per eccellenza, la virtù più umana, come è stato detto, perché essa è la sicurezza indefettibile che il cielo è aperto, la virtù accessibile, l'avvenire sicuro, purché non frapponiamo ostacoli. Sapere che Dio veglia su di noi, che tutto finirà bene, che ad ogni istante la grazia ci da tutto ciò che è necessario per trionfare, si può immaginare qualche cosa di più efficace per mettere le nostre anime in un'atmosfera di felice sicurezza: una sorgente più efficace di pace e di entusiasmi?
È per questo che un santo triste non si può immaginare; è per questo che il martire è pieno di gioia e di confidenza anche nelle più terribili prove. Si può cogliere qui nel vivo il legame tra fede e speranza. Il coraggio del martire davanti alla morte è testimonianza dell'intensità della sua fede. Ma è la speranza, in primo luogo, che gli dà l'audacia di affrontare i supplizi, perché la sua audacia è fatta di confidenza in Dio.

2. Necessità della speranza.

È nell'attesa della futura salvezza che il presente ha significato. Senza la speranza la nostra vita soprannaturale non avrebbe senso. Non è forse la grazia il seme della gloria? ed il seme non è, per definizione, promessa, aspettazione, principio? D'altra parte la nostra attesa sarebbe ingiustificata ed assurda, se non riposasse sulle promesse di Dio e sull'aiuto di Cristo. Per questo la speranza cristiana, così come l'abbiamo descritta, fatta di desiderio e di fiducia, è indispensabile per conseguire la salvezza; in essa noi siamo stati salvati (122).
Per questo stesso motivo non esiste condizione di vita e grado di santità da cui la speranza debba o possa essere esclusa. Ne la speranza può essere intesa, come è parsa ad alcuni, aspettazione disinteressata di un'eternità, in cui trionferà l'amore: quasi che il desiderio e l'attesa della propria felicità costituissero un calcolo Incompatibile con lo stato del perfetti. L'amore ordinato di sé non è incompatibile con il più perfetto amore di Dio; anzi il primo condiziona in un certo senso il secondo, non essendo possibile l'amore dell'oggetto, se il soggetto non ama se stesso. Del resto codesto amore trova la sua piena giustificazione nell'adeguazione perfetta della volontà umana con la volontà divina: non vuole forse Dio la nostra felicità? non è forse continuo nel Vangelo e nella predicazione degli Apostoli il richiamo amoroso e premuroso alla mercede copiosa dei cieli, alla retribuzione dell'eredità, alla corona incorruttibile che attende gli atleti dello spirito? (123). Pertanto il così detto amore disinteressato, inteso come atteggiamento abituale ed esclusivo dello spirito, oltre ad essere psicologicamente assurdo, è teologicamente erroneo. Per questo la Chiesa lo ha condannato (124).
In particolare esiste l'obbligo di sperare in Dio, appena raggiunta l'età di discrezione, in fine di vita, e anche più volte nel decorso di un anno. Si deve inoltre sperare, quando risulta necessario per vincere una tentazione grave contro la speranza od altra virtù, quando l'adempimento di un precetto richiede la speranza, e dopo esserci resi colpevoli di peccato di disperazione (125). Chi adempie fedelmente gli altri suoi obblighi di religione esercita almeno implicitamente anche la speranza e quindi soddisfa al precetto di sperare; conviene tuttavia fare spesso atti formali di speranza. Sebbene si debba sperare in Dio senza nessuna esitazione, la speranza però può crescere in fermezza, ossia in intensità.

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