DON ANTONIO

sabato 27 agosto 2011

Figli con la speranza della resurrezione


C’è un modo per arrivare al cuore della secolarizzazione odierna in termini
comprensibili a tutti. La secolarizzazione implica, a livello antropologico, una fragilità
affettiva. Una fragilità che dipende da una incapacità di “gratuità”, di riconoscere il
gratuito della e nella vita. La conseguenza è il venir meno della gratitudine, del
ringraziamento. Agostino, nel De Civitate Dei, coglie qui il punto di differenza tra le
“due” città: la città di Dio è la città di coloro che sono grati, la “Civitas mundi” è la
società degli ingrati. Nel mondo odierno una umanità “narcisista” (C. Lasch, G.
Lipovetsky) pretende l’affetto, equiparato a un diritto, senza l’onere del contraccambio.
Questo corrode e distrugge i rapporti, generando risentimento. Se questo è il contesto, si
comprende l’interesse dell’ultimo volume di Javier Prades López, Nostalgia di
resurrezione. Ragione e fede in Occidente, appena edito da Cantagalli, i cui saggi
ruotano, in larga misura, attorno alla polarità gratuità-risentimento.
Nato da una serie di lezioni tenute durante i corsi estivi dell’Università Complutense di
Madrid, il testo esordisce con una domanda essenziale: «È possibile la gratuità oggi?».
A questa domanda si tende, per lo più, a rispondere in forma negativa. Due sono,
secondo Prades, le obiezioni. La prima è data dall’esperienza del male che, dilagante in
forma abnorme durante il XX secolo, ha reso del tutto problematica l’ipotesi di
un’origine buona della vita. In questo quadro pessimistico - ed è la seconda obiezione -
ogni comportamento apparentemente disinteressato appare, in realtà, al servizio di
interessi particolari. Nulla è gratuito, tutto è dovuto come diritto, proprietà. Come
evidenzia l’autore, con sottile penetrazione, v’è come una ritrosia dell’uomo odierno a
beneficiare di un dono: accettare qualcosa è divenire dipendenti e la dipendenza è
umiliazione. Gioca qui, come un substrato nascosto, l’ideale moderno dell’autonomia
del soggetto, il quale non può legarsi agli altri, al mondo, a Dio.
Tra risentimento e gratitudine
Confessare il bisogno di essere amati è come riconoscere una patologia, il segno di una
debolezza. Giustamente Prades osserva come questo muro - la secolarizzazione come
aridità del cuore, burocratizzazione, scomparsa della dimensione personale -, non può
essere superato sul piano naturale. L’alternativa tra risentimento e gratitudine può
essere sciolta solo a partire da una presenza amabile del divino. Presenza reale tale che
incontrandola, nel suo riverbero umano, l’uomo possa esser grato di essere al mondo.
Diversamente la realtà appare ultimamente impenetrabile, opaca nel suo velo di dolore e
di morte. La percezione del non esser voluti, di essere «di troppo» (Sartre) - come il
concepito non desiderato - si impone come premessa di ogni possibile ribellione. «A
che servirebbe l’esser nati se non fossimo riscattati?» si chiede l’autore.
Qui trova forma quella «nostalgia di resurrezione», di redenzione, che si palesa anche
in talune delle voci più significative della cultura, di ieri e di oggi, da Wittgenstein, a
Horkheimer, all’ultimo Habermas.
Esperienza filiale
L’accettazione dell’essere presuppone, oggi, l’esperienza di un grande amore, come
Romano Guardini aveva ben compreso e come von Balthasar afferma nel finale del
quinto volume di Gloria indicando nel cristiano, a fronte del nichilismo diffuso, il
custode della meraviglia metafisica dell’essere, colui in cui vibra la commozione di
fronte al miracolo dell’esistenza. Prades cita san Tommaso: «L’amore è il dono
originario. Solo grazie a esso qualsiasi cosa ci sia data si trasforma in dono» (Summa
Theologiae). Questo implica una dinamica, una certezza acquisita mediante
un’esperienza. Partendo da von Balthasar, per il quale è nell’affetto originario della
madre che si forma, nel bambino, la percezione primordiale della bellezza-bontà-verità
dell’essere, Prades evidenzia come è questa esperienza filiale che introduce al rapporto
con Dio. Amati come figli riconosciamo la presenza di un Padre. Si è atei perché non si
è più figli, fratelli. Si è orfani. Il disamore del mondo contemporaneo è alla radice della
non fede. Per questo «Inoltre, la filiazione del cristiano nei confronti di Dio Padre può
costituire il punto di partenza per una riflessione intorno all’esperienza religiosa in sé».


http://www.diesselombardia.it/imgdb/FILOSOFIAMassimoBorghesiAlcuoredellasecolarizzazioneodierna.pdf

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