DON ANTONIO

sabato 24 settembre 2011

12.IL MALE.Saggio teologico del cardinale Charles Journet Professore al Seminario Maggiore di Priburgo

2. LA CONDIZIONE NATURALE DI OGNI CREATURA LIBERA
a) Ogni creatura libera ha per essenza la possibilità di aderire o di non
aderire a Dio.
I) Soltanto all'Essere che è regola a se stesso, soltanto a Dio, è impossibile,
per essenza, allontanarsi dalla regola; Dio soltanto è per natura infallibile,
non suscettibile di peccato.
Ogni creatura, in quanto dipendente dal suo Creatore, ha, per essenza, la
sua regola suprema al di fuori di se stessa, nascosta nel mistero
dell'assoluta trascendenza del suo Creatore.
Ed ogni creatura intelligente e libera ha, per essenza, la possibilità, la
capacità di aderire o di non aderire, attraverso ad un atto di scelta, alla sua
regola misteriosa ed assolutamente trascendente. Sopprimere la possibilità,
la capacità della scelta, supporre una creatura libera, uomo od angelo (5),
che sia per natura (non parliamo ora di ciò che Dio può fare per mezzo del
Suoi interventi gratuiti e del Suoi liberi favori) nell'impossibilità e
nell'incapacità di peccare, significa supporre una creatura che sia regola
suprema a se stessa, una creatura che sia il Creatore. “Se c'è libero arbitrio,
bisognerà che la creatura possa aderire o non aderire alla Causa da cui
dipende. Orbene, dire che non può peccare, sarebbe come dire che non
può aderire alla sua Causa; donde nasce la contraddizione” (6).

2) Dio può non creare degli esseri liberi, ma, se ne crea, essi possono
sbagliare. Chiedergli di fare una volontà creata che non possa sbagliare,
significa chiedergli di fare una volontà creata che sia la regola stessa del
suo modo di agire, che non abbia dunque nulla al di sopra di sé su cui
regolarsi, in poche parole, una volontà creata che sia nello stesso tempo
creata ed increata.
La questione della peccabilità radicale delle creature libere è affrontata da
san Tommaso nella Summa a proposito dell'angelo: “L'angelo - egli dice -
come una qualsiasi creatura ragionevole, se lo si considera nella sua
natura, può peccare; e, se accade che una creatura non possa peccare, ciò
le deriva da un dono della grazia, non dalla condizione della sua natura...
Il solo atto che non può deviare dalla rettitudine è quello la cui regola si
identifica con la virtù dell'agente. Se, in realtà, la mano dell'artigiano fosse
la regola stessa del taglio che egli deve produrre, l'artigiano non potrebbe
mai tagliare il legno per traverso; il suo taglio sarebbe infallibilmente
esatto; ma diversamente esso può essere esatto o no. Orbene la volontà
divina è la sola che sia la regola della sua azione, non essendoci nulla al di
sopra di essa... E' dunque soltanto nella volontà divina che il peccato non
può esistere. In qualunque volontà di una creatura, il peccato può
intervenire proprio in ragione della sua natura” (7).
Di conseguenza, se si considera l'ordine della natura, facendo astrazione
degli interventi puramente gratuiti di Dio, si dirà che è altrettanto
impossibile a Dio fare una creatura impeccabile, quanto fare un circolo
quadrato.

b) L'ambivalenza della creatura libera è voluta in considerazione del suo
bene.
I) Abbiamo detto or ora che Dio può non creare degli esseri liberi, ma che,
se ne crea, essi potranno sbagliare. E' impossibile per Dio creare un essere
libero senza creare un essere con una facoltà naturalmente bivalente e che
può o conformarsi alla regola suprema od allontanarsene.
Osserviamo incidentalmente che queste specie di impossibilità, come
quella di fare un circolo quadrato, rivelano senza dubbio un difetto; ma
sarebbe vano cercarlo in Dio, esso è insito nell'oggetto proposto, che,
essendo contraddittorio, distrugge se stesso: “Le cose che implicano
contraddizione - dice san Tommaso - non cadono sotto l'onnipotenza
divina, non essendo possibili in se stesse; perciò ci si esprime con maggior
esattezza, dicendo: esse non si possono fare, che dicendo: Dio non le può
fare” (8).
Creando un essere di capacità naturalmente bivalente, ciò cui Dio tende,
ciò che vuole direttamente, è dare a quell'essere la facoltà meravigliosa di
volgersi liberamente verso la regola suprema;, ma questa prima facoltà ha
come prezzo, in quel medesimo essere, la tremenda facoltà di allontanarsi
dalla regola suprema; questa seconda facoltà non è desiderata, ma è
tollerata come inseparabile dalla prima, diciamo cioè che è voluta soltanto
indirettamente e per accidente.

2) Poter peccare non significa peccare: si pecca soltanto per un libero atto
di scelta. E di questo atto, giova ripeterlo, Dio non è in alcun modo
responsabile; è impossibile che Egli lo voglia sia direttamente che
indirettamente o per accidente.
Poter peccare ed effettivamente non peccare, suppone un atto di libera
preferenza, di libero amore. E simili atti sono così cari a Dio che
giustificano ai Suoi occhi tutta l'opera della creazione e in particolare
quella degli esseri liberi.

c) Eccellenza della creatura libera.
I) “La natura che può peccare e non peccare è buona”, dice san Tommaso
(9).
Nella prospettiva dell'agire, le nature degli uomini e degli angeli, che sono
fatte per superare se stesse, adattandosi ad una regola superiore, dalla
quale esse possono disgraziatamente discordare, si pongono senza dubbio
infinitamente al di sotto della pienezza della natura divina che non può
conoscere regole superiori, ma molto al di sopra dell'indigenza delle
nature animali, incapaci persino di percepire alcun invito a superarsi (10).
Nella prospettiva dell'essere, le nature degli uomini e degli angeli, che,
sebbene tratte dal nulla, sono spirituali ed immortali, si pongono assai al
di sotto dell'assoluta immutabilità divina che contemplano, ma molto al di
sopra delle nature animali sprofondate nel flusso delle cose periture e
senza domani (11).

2) Le creature libere, poiché sono le creature più alte, tratte dal nulla per
essere più delle altre vicine a Dio, sono travagliate da una duplice
tendenza e sottoposte ad una specie di soggezione. Da una parte, sono
attratte dalla Sorgente del loro essere, che possono conoscere ed amare,
dall'altra, continuano a subire la minaccia e la vertigine del nulla. In un
grande testo, in cui spiega che la tendenza verso il nulla non può venire da
Dio (che avrebbe precisamente soltanto da non intervenire per distruggere
ed annientare gli esseri) ma che resta inerente per essenza ad ogni creatura
ed è legata alle sue viscere, san Tommaso scrive: “Il non-essere non ha
causa propria, non ha causa per sé. Nessuna cosa infatti può essere causa,
se non in quanto essa ha l'essere, e l'essere è, di per sé, causa di essere. Di
conseguenza, causa della "tendenza al non-essere non può essere Dio, ma
piuttosto la creatura che contiene ciò in se stessa in quanto proviene dal
nulla. Dio potrebbe essere detto causa dell'annientamento della cose per
accidente, e cioè sottraendo loro l'azione per mezzo della quale le
conserva” (12).

d) L'elevazione all'ordine soprannaturale non sopprime l'ambivalenza
delle creature libere fino a quando sussiste lo stato di passaggio.
La natura degli uomini e degli angeli non è stata lasciata a se stessa ed
abbandonata alle sue sole esigenze. Essa è diventata il vaso nel quale Dio
ha versato la grazia soprannaturale. Ma questo non ha per nulla alterato,
finché essa rimane nello stato di passaggio, la sua forzata ambivalenza.
Elevati dalla grazia iniziale, l'uomo e l'angelo hanno conservata la facoltà
radicale di poter liberamente o aderire o rifiutare di aderire alla regola
superiore. “E' peculiarità della provvidenza divina - scrive san Tommaso -
guidare ciascun, essere secondo la sua natura, poiché, come dice Dionigi,
la provvidenza non è corruttrice, ma salvatrice delle nature” (13). A coloro
che pensavano che se. gli angeli fossero stati creati con la grazia abituale o
santificante, nessuno di essi avrebbe peccato. san Tommaso risponde nella
Summa, che la grazia, “sopravvenendo in un soggetto, lo inclina secondo
il modo stesso della natura di quel soggetto; orbene il modo di agire
proprio della natura intellettuale è di portarsi liberamente verso le cose che
vuole; di conseguenza, l'inclinazione della grazia non impone alcuna
necessità; colui che possiede la grazia può non servirsene e peccare” (14).

3. COME POTENZA ASSOLUTA, DIO POTEVA CREARCI SUBITO
NELLO STATO FINALE E DI BEATITUDINE

1) Dio non può creare degli uomini liberi che siano incapaci di peccare per
natura, ma può renderli incapaci di peccare per mezzo delle disposizioni
soprannaturali della Sua provvidenza. Questo è l'insegnamento di san
Tommaso: “Se una creatura ha il privilegio di non poter peccare, essa deve
ciò a un dono della grazia, non alla condizione della sua natura” (15). Così
gli angeli e gli eletti, saziati dalla visione immediata ed ininterrotta della
divinità, sono nella beata impossibilità di peccare. Essi aderiscono
immutabilmente a Dio per mezzo di un consenso che è, per così dire, al di
là della nostra divisione degli atti in necessari e liberi; essi sono liberati da
loro stessi e dalla loro fragilità essenziale poiché possiedono ed hanno più
di quanto sono. Non sono per questo privati del libero arbitrio, perché al di
sotto di quella adesione a Dio, che purifica forzatamente la loro volontà,
“esiste una quantità di cose che essi possono fare o non fare” (16).

2) Ciò che Dio fa nell'al di là per le Sue creature fedeli, al termine del loro
tempo di prova, non avrebbe potuto farlo di botto, creando gli angeli e gli
uomini nel cielo ed immergendoli subito nell'oceano della Sua beatitudine
infinita? Essi sarebbero stati dall'origine intrinsecamente incapaci di
peccare, “avendo in se stessi un principio di stabilità che li avrebbe
preservati totalmente dal peccato” (17).

Sì, Dio poteva fare ciò. Se si tiene conto della Sua potenza assoluta, cioè
di ciò che poteva fare conformemente alla Sua sapienza ed alla Sua bontà
infinita, si dirà senza esitazione che Egli poteva creare tutti gli angeli e
tutti gli uomini nella beatitudine celeste. Ed è vero che se Dio avesse
scelto questo partito il mondo non avrebbe conosciuto il peccato, sarebbe
stato migliore. Per lo meno sotto un certo aspetto: poiché in un mondo
immediatamente glorificato non ci sarebbe stato posto né per il perdono
della redenzione né per il mistero di un Cristo risuscitato e di una Chiesa
risuscitata.
Tuttavia non dimentichiamo che è un'illusione pensare che, in ragione
appunto della Sua bontà infinita, Dio fosse tenuto a creare, a creare un
certo mondo migliore di un altro, cioè a creare il migliore del mondi
possibili.

4. COME POTENZA ORDINATA, DIO CI HA CREATI NELLO
STATO DI PASSAGGIO
a) Il significato dello stato di passaggio.
I) Come potenza assoluta, se si considerano i mondi ch'Egli poteva fare
nella Sua sapienza e nella Sua bontà infinita, Dio poteva crearci nello stato
finale. Ma come potenza ordinata, se si considera il mondo che ha
liberamente decretato di fare, sempre nella Sua sapienza e bontà infinita,
Si è attenuto ad un altro partito, nel quale noi siamo creati, angeli e
uomini, nello stato di passaggio, con la possibilità di aderire o di non
aderire a Dio, e nel quale la beatitudine giunga come la conclusione di
un'avventura, come un termine, un frutto.

2) Tale partito è ancora buono; sotto alcuni aspetti potrà persino apparire
migliore; esso tiene conto, per beatificare la creatura, della legge, iscritta
nel suo stesso cuore, per la quale essa desidera di essere la cooperatrice di
Dio nell'opera di compimento dell'universo e nell'opera del suo proprio
compimento. In questo senso abbiamo detto che il privilegio della creatura
libera è di potersi superare.

Ricordiamo la testimonianza del Padre Eliseo del Martiri, che assicura
che quaggiù, secondo san Giovanni della Croce, “la somma perfezione di
qualunque soggetto nella sua gerarchia e nel suo grado è di salire e di
crescere, secondo il suo talento e le sue capacità, all'imitazione di Dio, ed
anche, il che è più mirabile e divino, fino ad essere il suo cooperatore
convertendo e riconducendo al bene le anime” (18).Anche l'Apostolo
aveva scritto: "Noi siamo i cooperatori di Dio” (I Cor., III, 9).

“La creatura sarebbe migliore - dice san Tommaso - se aderisse
costantemente a Dio. Tuttavia è buona quella creatura che può aderire e
non aderire a Dio” (19). Egli si riferisce a sant’Agostino (20) per spiegare
che ci sono ora nel cielo delle creature che aderiscono costantemente a
Dio, e sulla terra delle altre creature che possono ancora scegliere, e che
un universo nel quale sono rappresentati questi due stati della creatura,
quello del fiore e quello del frutto, è, sotto un certo aspetto, migliore.

3) Soltanto nello stato di passaggio, in cui l'ambivalenza naturale per ogni
creatura libera è rispettata in modo che può o aderire o rifiutare di aderire
alla Sorgente trascendente del suo essere per appoggiarvi la sua vita
morale, si può produrre il sommo atto di libera preferenza, per il quale Dio
è amato dalla creatura al di sopra di ogni cosa ed al di sopra di se stessa.
Questo atto così caro a Dio, che non può essere imposto (imporlo
significherebbe sostituirgli un atto d'un altro genere). Dio lo attende dalla
Sua creatura, ed è venuto a mendicarlo..

b) Il mistero dello stato di passaggio.
Esso è racchiuso in due parole. Dio vuole salvare tutti gli uomini: se essi
sono salvi, a Lui la gloria, se non lo sono, a loro la colpa. Se sono salvi, a
Lui la gloria. Infatti poiché Egli è l'autore ed il conservatore delle creature
libere, angeli o uomini, può, senza far loro violenza, senza toccare la
struttura metafisica della loro libertà (21), far loro pronunciare sotto una
mozione ininterrompibile il sì che le eleva infinitamente al di sopra di se
stesse, le trascina nella Sua orbita, apre loro le porte della Sua intimità e
della visione beata. La creatura ha, senza dubbio, l'iniziativa di quel sì,
senza la quale non sarebbe libera, ma l'iniziativa seconda. Nella linea del
bene, e del bene della salvezza, la prima iniziativa non può venire che da
Dio (22). Nessun angelo, nessun uomo adulto può entrare né progredire
nella vita soprannaturale, altrimenti che per l'effetto di una mozione
sovrana di Dio Salvatore. Non vi è alcuna creatura libera che non debba la
sua salvezza alla bontà divina.

Se non siamo salvati, a noi la colpa. Infatti, prima di farei entrare sotto la
mozione sovrana della Sua grazia, vi è un momento in cui Dio viene a
muovere la nostra anima secondo il trattamento richiesto dalla nostra
natura che ha la facoltà di aderire o di non aderire a Lui. In quel momento,
dipende da noi di opporci o no alla Sua volontà salvatrice universale, di
ostacolare o no i Suoi disegni, di frustrare o no le Sue premure; in poche
parole, prima di toccarci con la Sua mozione sovranamente efficace, Dio
ci tocca con una mozione a cui ci possiamo opporre. In questo caso, tutta
l'iniziativa del rifiuto viene soltanto da noi: in realtà, se Dio solo può
essere causa prima dell'essere e del bene, soltanto la creatura libera può
essere causa prima del male (23), essa sola può prendere l'iniziativa di fare
il nulla, di annullare in sé l'influsso divino. Nell'intenzione salvatrice
divina, la mozione che può essere resa vana è ordinata alla mozione che
non può essere frustrata come il fiore al suo frutto, come il granello di
frumento alla sua spiga; se essa non viene interrotta, cede tosto il posto
alla mozione salutare sovranamente efficace; se essa è interrotta, lo slancio
che porta tutte le creature ad agire, sarà, per colpa della creatura libera,
deviato verso il male (24). Nessun angelo, nessun uomo adulto è perduto
se non per aver liberamente respinto le premure divine.

Ecco il modo di agire normale ed ordinario della potenza divina ordinata.
La grazia in esso è data alle creature libere tenendo conto del trattamento
richiesto dalla loro natura che, essendo di per sé fallibile, può non aderire
a Dio.

2) Ma in questo medesimo mondo che dipende dalla Sua potenza ordinata,
Dio può pure, se vuole, concedere la Sua grazia, senza tenere conto del
trattamento richiesto dalla natura delle creature libere. Egli può fare del
miracoli, mandare loro, fin dal primo momento, invece della mozione
interrompibile, la mozione sovrana sotto l'impulso della quale esse
dovranno ancora acconsentire, dire di sì, ma non dovranno più deliberare o
scegliere fra il bene ed il male.

Egli può fare di più, può andare, scrive san Tommaso, “contro ciò che
esige l'ordine delle cose” (25) riducendo al silenzio, con la Sua
misericordia, quelli stessi che Gli resistono; oppure, come dice la Liturgia,
“forzare le nostre volontà anche ribelli” (26) (senza tuttavia ledere la
struttura metafisica del nostro libero arbitrio, che Egli solo può, poiché lo
ha creato, muovere dall'interno). .
Il governo del mondo rimane sempre quello della potenza divina ordinata;
ma questo governo comprende, oltre al suo esercizio normale ed
ordinario, un esercizio che bisogna chiamare eccezionale e straordinario,
per quanto lo si possa supporre frequente. Il primo esercizio lascia che si
producano le resistenze eventuali della creatura libera; il secondo esercizio
o previene tali resistenze o trionfa su di esse.

Riferendoci alla distinzione fra grazia operante e grazia cooperante,
diremo:
L'esercizio ordinario della potenza ordinata comporta, in un primo tempo,
una mozione generale ininterrompibile della grazia operante verso il bene
soprannaturale conosciuta sotto il nome di bene universale, in cui la
volontà consente senza deliberare; poi una mozione della grazia
cooperante coll'intenzione di aiutare la volontà a deliberare ed a scegliere;
tale mozione è decomponibile: finché essa tende a fare considerare la
regola dell'agire, rimane interrompibile; se non viene interrotta, è seguita
dall'impulso ininterrompibile che fa produrre l'atto salutare.

L'esercizio straordinario della potenza ordinata, invece, comporta di botto
una mozione speciale, non soggetta ad interruzione, della grazia operante
per cui la volontà consente all'atto salutare senza dovere decidere (27).
3) La distinzione. fra questi due esercizi, uno normale e l'altro eccezionale
della provvidenza, è sottolineata dall'autore del Court traité de l'existence
et de l'existant. “Dio - egli dice, - può, se vuole, portare di botto un
esistente creato ad un atto libero buono per mezzo di un'attivazione o
mozione ininterrompibile od infallibilmente efficace. Si tratta in questo
caso delle Sue libere predilezioni e del prezzi di riscatto pagati per le
anime nella comunione del santi. Fino a qual punto la Sua sapienza leghi
in ciò la Sua potenza, e quale sia la regola decisa dal Suo amore, quale lo
slancio di effusione di esso, ecco il mistero del misteri. Rimane il fatto
che, secondo l'ordine della natura, l'attivazione ininterrompibile è
preceduta dalle attivazioni interrompibili come il termine nel quale esse
fruttificano di per se stesse, quando l'annientamento della libertà creata
non le ha rese sterili” (28).

In uno scritto un po' anteriore, il medesimo scrittore aveva già distinto
quei due modi di agire della potenza ordinata: “Dio può, se vuole, attivare
verso l'atto buono la libertà creata mediante una mozione che, data, non
presuppone alcuna possibilità di sfuggirle (grazia efficace). Egli può pure,
secondo il corso ordinario delle cose, attivarvi la libertà creata per mezzo
di una mozione che abbraccia la possibilità che ci si possa sottrarre ad
essa. E quando la creatura non ha annientato per opera della grazia (il che
non è un merito da parte sua, né un atto, né una scelta, né un contributo
qualsiasi, poiché non prendere l'iniziativa del nulla non significa fare
qualche cosa, ma soltanto non muovere sotto l'azione divina), la mozione
divina o la grazia semplicemente sufficiente fruttifica essa stessa in
mozione o grazia efficace di per se stessa” (29).

c) Due testi di San Tommaso d'Aquino.
I due modi di agire della potenza divina ordinata, l'uno ordinario, l'altro
straordinario, sono messi in evidenza da san Tommaso nella Summa
Contra Gentiles.
Egli si riferisce al primo quando spiega: Come è ragionevole fare colpa
all'uomo di non volgersi verso Dio, sebbene non lo possa fare senza la
grazia (30): “Se nessuno può, per il movimento del suo libero arbitrio,
meritare o attirare la grazia divina, può tuttavia impedire a se stesso di
riceverla. Nel libro di Giobbe infatti (XXI, 14) sta scritto: "Essi hanno
detto a Dio: Allontanati da noi; non desideriamo conoscere le tue vie"; e
ancora (XXIV, 13), " Sono stati ribelli alla luce". E poiché dipende dal
nostro libero arbitrio di porre o no un ostacolo alla ricezione della grazia
divina, colui che pone questo ostacolo è legittimamente considerato
responsabile. Dio è infatti, per quanto Lo riguarda, pronto a concedere la
Sua grazia a tutti gli uomini, come sta scritto (I Tim., II, 4): " Egli vuole
che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità".
Ma sono privati della grazia coloro soltanto che in se stessi vi pongono un
ostacolo. Così, quando il sole illumina il mondo, si considera responsabile
colui che chiude gli occhi, se da ciò consegue qualche male, sebbene egli
non possa vedere senza la luce del sole”.
San Tommaso si riferisce al modo straordinario della potenza divina,
quando spiega: Come Dio libera alcuni dal peccato e ve ne lascia degli
altri (31): “Colui che pecca pone un ostacolo alla grazia, e, secondo
l'ordine normale delle cose, quantum ordo rerum exigit, non dovrebbe
riceverla affatto. Tuttavia Dio può agire al di fuori di questo ordine,
praeter ordinem rebus inditum, per esempio quando ridona la vista ad un
cieco o risuscita un morto; accade allora che, nella Sua bontà
sovrabbondante, Egli vada incontro col Suo soccorso a quelli stessi che
pongono un ostacolo alla grazia, che li distolga dal male e li converta al
bene.

“Però non dà la vista a tutti i ciechi né guarisce tutti gli ammalati: in quelli
che Egli guarisce, appaiono le opere della Sua potenza; negli altri è
conservato l'ordine naturale. Allo stesso modo, non va incontro col Suo
soccorso a tutti quelli che si chiudono alla grazia per distoglierli dal male e
convertirli al bene, ma soltanto a quelli nei quali vuole manifestare la Sua
misericordia; negli altri appare l'ordine della Sua giustizia. Dio, dice san
Paolo (Rom., IX, 22), volendo mostrare la Sua collera e fare conoscere la
Sua potenza, ha sopportato con grande pazienza del vasi di collera già
pronti per la perdizione, ed ha manifestato le ricchezze della Sua gloria
quanto ai vasi della misericordia preparati anticipatamente per la Sua
gloria” (32).

A ciò bisogna aggiungere che, se ci sono pochi miracoli per risuscitare i
morti, ve ne sono moltissimi per risuscitare i peccatori. Riguardo al
miracolo di Naim, sant'Agostino scrive: “La risurrezione del giovanetto ha
rallegrato sua madre vedova; la risurrezione spirituale del peccatori
rallegra ogni giorno la Chiesa, nostra Madre” (3).

5. LA CREAZIONE NELLO STATO DI PASSAGGIO, IN CUI
SOPRAGGIUNGE IL PECCATO, È COMPATIBILE CON L'INFINITÀ
DELLA BONTÀ DIVINA?
La risposta è chiara. Sì; se è vero che Dio non è assolutamente, in alcun
modo responsabile del peccato: 1. Né direttamente e positivamente,
spingendoci ad esso; 2. Né indirettamente e negativamente, non facendo
ciò che la Sua bontà è tenuta a fare per distogliercene (4). Consideriamo
ora la prima di queste due condizioni.

a) Che Dio non possa essere la causa diretta del peccato, è evidente.
Come pensare che Dio sia la causa del peccato direttamente e
positivamente, spingendoci ad esso? Dio, se è l'Assoluto, non può
distogliersi da Se stesso; e se crea, cioè se plasma degli esseri che derivano
da Lui non può, senza disfarli mentre li fa, volerli distogliere da Lui; non
può né volere non amare Se stesso, né volere non amare ed aizzare contro
di Sé gli esseri che ha fatto a sua somiglianza (35). .
“Non vi è bene - dice san Tommaso - che Dio possa preferire alla Sua
bontà, mentre può preferire questo bene finito a quell'altro bene finito”, il
bene di un tutto al bene di una parte; “di conseguenza, il male della colpa,
che distrugge l'ordine verso il bene divino, non è voluto da Dio in alcun
modo” (36). Il male delle nature particolari è tollerato, cioè voluto per
accidente, in vista del bene universale della natura la quale resta ordinata
al bene trascendente della divinità; il male della colpa, invece, essendo il
rifiuto diretto del bene trascendente della divinità, non può essere voluto
da Dio in alcun modo (37).

b) Secondo Calvino “i peccati non si fanno soltanto attraverso il permesso
di Dio, ma anche attraverso la Sua potenza”.
E' follia pensare che Dio possa volere farci peccare, eppure ci sono stati
degli spiriti che hanno sostenuto tale follia, in nome del Padri, in nome
persino della Bibbia.
Calvino ha il coraggio di scrivere: “Dio, per eseguire i Suoi giudizi per
mezzo del diavolo, che è il ministro della Sua ira, volge dove Gli pare
l'intendimento del cattivi, e muove la loro volontà ed aiuta il loro sforzo”.
Egli è persuaso che questa sia la dottrina di sant'Agostino: “sant’Agostino
stesso, nel quinto libro contro Giuliano, ritrattando l'antica opinione,
sostiene fermamente che i peccati non si fanno soltanto attraverso il
permesso o la sopportazione di Dio, ma anche attraverso la Sua potenza,
per punire gli altri peccati” (38). La distinzione fra la volontà ed il
permesso del male sarà in realtà, come abbiamo visto, respinta da Calvino:
“Alcuni ricorrono a questo punto alla differenza fra volontà e permesso,
dicendo che gli iniqui periscono perché Dio lo permette ma non perché lo
vuole. Ma perché diremo che lo permette, se non perché lo vuole? Tanto
più che non è affatto di per sé verosimile che sia soltanto per il permesso e
non per l'ordine di Dio, che l'uomo si sia acquistata la dannazione” (39). E
più avanti: “Ciò che io dico non deve sembrare per nulla strano: il fatto è
che Dio non soltanto ha preveduto la caduta del primo uomo, ed in essa la
rovina della sua posterità, ma che così ha voluto” (40). Anche in questo
caso l'intenzione divina per Calvino rimane santa ed irreprensibile.

c) In qual senso Dio acceca ed indurisce i peccatori?
I) Ma non ci sono del testi biblici per affermare che Dio getta Egli stesso
l'uomo verso il peccato? Per esempio, quello dell'Esodo (IV, 21; VII, 3;
XIV, 4): “Indurirò il cuore di Faraone”, riportato da san Paolo (Rom., IX,
18): “Usa misericordia a chi vuole ed indurisce chi vuole”. Oppure quello
di Isaia (VI, 9-10): “Va', e dirai a quel popolo: "Ascoltate e non
comprendete, vedete e non conoscete! ". Indurisci il cuore di quel popolo,
tura le sue orecchie, chiudi i suoi occhi. Che esso non veda con i suoi
occhi, che non oda con le sue orecchie, che il suo cuore non comprenda,
che non sia guarito una seconda volta”, riportato da Giovanni (XII, 39-40):
“Se non potevano credere, è perché Isaia ha detto ancora: " Egli ha
accecato i loro occhi ed indurito il loro cuore affinché non vedessero con i
loro occhi ed il loro cuore non comprendesse e non si convertissero ed io
non li guarissi"“(41). Questi testi non provano che Dio precipita alcuni
uomini nell'impenitenza finale, che è la peggiore delle colpe?

2) Rispondiamo prima di tutto che vi sono del testi evidenti di senso
contrario. Per esempio, quello di Ezechiele (XXXIII, Il): “lo sono vivente -
dice Jeova il Signore - non mi compiaccio affatto della morte del cattivo,
ma del fatto che il cattivo cambi strada e viva”. Oppure quello di Giacomo
(I, 13): “Che nessuno, quando è tentato, dica: "E' Dio che mi tenta".
Poiché Dio non potrebbe essere tentato dal male ed Egli stesso non tenta
nessuno: ma ciascuno è tentato dalla sua propria bramosia che lo attira e lo
lusinga”. Rispondiamo soprattutto che ciò che è metafisicamente
impossibile, non può essere né evidente né provato.

3) Che cosa possono dunque significare i, primi testi? “Quando Dio acceca
ed indurisce - spiega san Tommaso nel suo Commentario su san Giovanni
(XII, 39-40) - non si deve immaginare che Egli inoculi la malizia né che
spinga verso il peccato; ma soltanto che Egli cessi d'infondere la grazia.
Quando concede la grazia, è opera della Sua misericordia, quando la
rifiuta, è colpa nostra, e ciò accade perché Egli trova in noi un ostacolo,
causa huius quod non infundit est ex parte nostra, inquantum scilicet in
nobis est aliquid gratiae divina e repugnans. Dio, per ciò che dipende da
Lui, illumina ogni uomo che viene in questo mondo (Gv., I, 9); Egli vuole
che tutti gli uomini siano salvi e vengano alla conoscenza della verità (I
Tim., II, 4). E' soltanto quando ci siamo allontanati da Lui, che Egli ci
toglie la Sua grazia, sed quia nos a Deo recedimus, ideo gratiam suam
nobis subtrahit, secondo quanto è scritto: "Poiché hai respinta la
conoscenza, Io ti respingerò" (Osea, IV, 6), e: "La tua rovina viene da te,
o Israele, è da Me solo che ti viene l'aiuto" (42). Accade come se un uomo
chiudesse le imposte della sua camera ed io gli dicessi: "Non puoi vedere
perché la luce del sole ti ha abbandonato". Sarebbe forse colpa del sole?
No, ma di colui che si difende contro la luce, hoc non esset ex defectu
solis, sed quia ipse sibi lumen solare interclusisset. Quando san Giovanni
dice che gli Ebrei non potevano credere perché Dio li aveva accecati, vuol
dire che avevano essi stessi creato l'ostacolo che li doveva accecare,
secondo quanto è scritto nel libro della Sapienza (Il, 21): "E' la loro
malizia che li ha accecati"” (43).

Nel testo parallelo della Summa theologiae; san Tommaso completa il
paragone su esposto. Quando chiudo le persiane, si produce l'oscurità
senza che il sole abbia agito da parte sua. Ma se mi oppongo alla grazia,
Dio, che è un agente libero, può allora ritirare il raggio che mi inondava;
Egli mi acceca in questo senso, ma questa revoca della grazia è
conseguenza del mio rifiuto: “Causa della revoca della grazia non è
soltanto colui che rifiuta, ma anche Dio stesso, che, secondo il proprio
giudizio, non manda la Sua grazia... a coloro nei quali trova un ostacolo”
(44). Se Egli li abbandona alla dialettica del loro peccato, saranno loro
stessi che lavoreranno al loro accecamento ed al loro indurimento (45).
Questo è l'unico senso metafisicamente possibile, se si vuole interpretare
in un modo stretto e rigoroso i testi della Scrittura riguardo a Dio che
indurisce i peccatori (46). “Per perderVi, o mio Dio, bisogna
abbandonarVi. Te nemo amittit, nisi qui dimittit, e colui che Vi abbandona,
dove va, dove fugge se non dalla Vostra benevolenza verso la Vostra
collera?” (47).

d) Nell'azione del peccatore, ciò che vi è di essere risale a Pio; la
deviazione si ferma al peccatore.
Il peccato è un'azione concreta, ma disordinata, cioè privata della sua
ordinazione alla regola. Tutto quanto vi è di essere in tale azione risale a
Dio come unica causa prima ed universale dell'essere. Tutto quanto vi è di
privazione risale alla creatura libera come unica causa prima
dell'annientamento dell'essere. Pensiamo, dice san Tommaso, allo
zoppicamento; esso è un modo di camminare disordinato, tutto quanto c'è
di positività in esso risale fino ai centri. locomotori, tutto quanto vi è di
deviazione risulta dalla tibia curvata (48).
Troviamo la stessa teoria, ma più sviluppata, nel De malo (49). L'impulso
universale che trascina i viventi ad agire può essere ricevuto sia in una
pianta vigorosa, nella quale produrrà del sementi perfetti, sia in una pianta
debole, nella quale non darà che semi sterili. Allo stesso modo, la mozione
universale, che spinge le creature libere ad agire, può essere ricevuta in
due modi: o in una volontà ben disposta e rettamente ordinata; e in tal caso
l'azione sarà buona e risalirà totalmente a Dio come alla sua causa prima.
Oppure in una volontà che si sottrae alla giusta regola; e in tal caso
l'azione disordinata si decompone: quanto vi è in essa di essere risale a
Dio come alla sua causa prima, ma la deviazione deriva unicamente dal
libero arbitrio (50).

All'obiezione: la causa della causa è causa dell'effetto, la risposta è
semplice: “L'effetto che procede dalla causa intermedia non si riconduce
alla causa prima se non in quanto essa è conforme alla direzione della
causa prima: ma non se procede da una causa intermedia di direzione
contraria alla causa prima. Il padrone non può essere ritenuto responsabile
di ciò che Il servo fa contro il suo ordine. Così pure, il peccato che il libero
arbitrio commette contro il precetto divino non può risalire a Dio come
alla sua causa” (51).

Questa analisi di san Tommaso è profonda e chiara. Ma se si dimentica un
solo istante la definizione del male, e se si dimentica che il peccato è
un'azione, ma privata del suo ordine alla regola, immediatamente
scompare la distinzione fra ciò che esso deve da una parte a Dio e dall'altra
parte al libero arbitrio della creatura, e Dio, responsabile di quanto vi è di
essere nell'azione cattiva, apparirà come responsabile di quanto vi è di
deviazione nell'azione cattiva. In tal caso si varca la soglia del mistero per
inabissarsi nell'assurdo.

http://www.ministridimisericordia.org/Ilproblemadelmaleedeldolore/tabid/550/Default.aspx

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