DON ANTONIO

martedì 30 agosto 2011

Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo

«Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo». Questo è il tema del Convegno Ecclesiale che in programma a Verona dal 16 al 20 ottobre 2006. È il quarto convegno della Chiesa italiana, dopo quello di Roma del 1976, di Loreto del 1985 e di Palermo del 1995. Nel Convegno Nazionale, che ricorre circa ogni dieci anni, la Chiesa vuole far convenire tutti i credenti, in particolare i laici, a interrogarsi sulle scelte cristiane e sull’impegno nel mondo per l’epoca presente. L’argomento per il Convegno di Verona ha cercato una felice sintesi tra il tema della speranza e la considerazione del laico come testimone. Il punto di sintesi è avvenuto attorno alla speranza “cristiana”, che ha la sua figura personale in Gesù Risorto.

La scelta del tema sta in continuità con il cammino precedente della Chiesa italiana, ma vuole anche introdurre un motivo di novità. La continuità si esprime nel riprendere il percorso delle comunità cristiane d’Italia, concentrato nei decenni precedenti sul rapporto Vangelo-fede e Vangelo-carità. Il tema della speranza non intende solo completare la triade cristiana, ma mettere a fuoco l’aspetto “escatologico” del Vangelo, cioè l’elemento per cui il Vangelo pur essendo nel mondo e per il mondo, non è tuttavia del mondo.

Il motivo di novità va però precisato: la speranza che il credente attesta non è semplicemente l’aspetto di futuro della vita umana, il fatto che le realizzazioni presenti hanno sempre un “altro” e un “oltre” da attendere e da sperare. L’accento cristiano è che la speranza ha il volto di Gesù risorto, è una persona, è l’esperienza sconvolgente di trasformazione e di trasfigurazione che la risurrezione di Gesù semina nel grembo della storia.

Nel Convegno di Verona questo è collegato con il tema della testimonianza del credente. La risurrezione è accessibile solo attraverso la testimonianza dei primi credenti e può essere compresa anche oggi solo nella novità di vita, di visione culturale e di pratica personale e sociale che i credenti sanno offrire al mondo. Allora a tema non è tanto il laico nella sua differenza dalle altre vocazioni ecclesiali, ma la figura del testimone e del racconto che egli è capace di narrare e di suscitare di nuovo nel tempo attuale. Il credente come testimone di speranza: questo è lo specifico del Convegno di Verona! L’enfasi cade su ciò che unifica i credenti prima di ciò che li distingue, perché siano tutti testimoni nella vicenda stupenda e drammatica di questo inizio millennio.

La “traccia di riflessione”, preparata per il Convegno di Verona, ha offerto alcune scansioni che declinano l’argomento: il Risorto come sorgente della speranza di tutti e per tutti; il testimone che può e deve dire in carne e ossa la speranza del Risorto; il racconto della testimonianza con le sue dinamiche nel tempo presente; e, infine, il tema dell’“esercizio della speranza”, cioè dell’agire storico con cui i credenti abitano gli spazi della vita per seminarvi germogli di speranza. Questi spazi della vita sono articolati nei cinque ambiti (vita affettiva, lavoro e festa, la fragilità della vita umana, le forme della trasmissione e comunicazione, la cittadinanza) sui quali i partecipanti all’evento della Chiesa italiana dovranno misurarsi.

Per questo il tema del Convegno di Verona è orchestrato sul canovaccio dalla Prima lettera di Pietro, una lettera affascinante che ci dona un’immagine dei cristiani delle origini nella struggente condizione di “stranieri e pellegrini”, che “rendono ragione della loro speranza”. Rendere ragione non è solo un atto della carità intellettuale, ma è un esercizio storico, un compito e un rischio della libertà. Ormai alla porte dell’evento ecclesiale dobbiamo favorire questo esercizio, perché trovi nel momento alto della celebrazione del Convegno di Verona il suo punto di incontro e di scambio. Si aprono tre piste di ricerca che fanno da sfondo al lavoro di Verona.

La prima pista di ricerca invita a ripensare il primato dell’evangelizzazione nella prospettiva della speranza cristiana. La speranza cristiana non è solo l’attesa di futuro, ma conduce a fissare lo sguardo su Gesù Risorto, sorgente della testimonianza. Questo è il dono più grande che i cristiani possono dare al mondo. L’offuscamento della coscienza di fede, con al centro il Crocifisso risorto, paralizza le forme della comunicazione del Vangelo oggi. La difficoltà di trasmissione non sta tanto nella mancanza di adeguati linguaggi, ma la parola cristiana si rinnova quando si alimenta a un incontro vivo con il Risorto che è esperienza di conversione, di missione e di relazione per la chiesa e il credente. Per comunicare il Vangelo è necessario continuamente vivere del e nel Vangelo della risurrezione.

All’inizio del terzo millennio la sfida cruciale consiste nel mettere in luce il tratto “escatologico” della fede cristiana. Esso non riguarda solo l’aldilà, ma la speranza con cui vivere l’oggi. In un tempo ripiegato sull’immediato, i credenti sanno che per vivere bene il presente non bisogna perdere la bussola della speranza. Essi hanno – come sottolinea di continuo Papa Benedetto – una visione positiva della vita, un grande sogno dell’amore tra uomo e donna, un’immagine alta della vocazione, un’idea forte della convivenza sociale, non solo perché sono ingenuamente ottimisti, ma perché sanno e vivono il fatto che il Risorto è il Signore della storia.

Occorre, dunque, che i cristiani mostrino il potere trasformante della “speranza viva” del Risorto sull’immagine e la concezione della persona, l’inizio e il termine dell’esistenza, la cura delle relazioni quotidiane, la qualità del rapporto sociale, la sollecitudine verso il bisognoso, i modi della cittadinanza e della legalità, le forme della convivenza tra le culture e i popoli. In un parola, si tratta di mostrare che il Vangelo della risurrezione di Gesù non riguarda solo il destino futuro della persona e del mondo, ma la novità con cui si vive il presente, come “pellegrini e stranieri” che hanno la mente lucida e il cuore libero per dare un originale contributo alla costruzione della città e del mondo attuale.

La seconda pista ci presenta l’obiettivo più specifico del Convegno di Verona. La Chiesa italiana ha imparato che il primato dell’evangelizzazione si trasmette nella Chiesa come testimonianza. Allora la testimonianza è il nome per dire che la Chiesa può comunicare il Risorto agli uomini solo nella sinfonia di tutte le vocazioni cristiane. Il Convegno dovrà, perciò, interrogarsi coraggiosamente non tanto sul posto dei laici nella Chiesa, ma sui modi con cui tutte le vocazioni e le missioni della Chiesa costruiscono la comunità credente come segno vivo del Vangelo per il mondo.

Non si tratta di pensare a una faticosa distribuzione dei compiti o una sterile rivincita dei ruoli tra pastori e laici, tra religiosi e impegnati nel mondo. La cosa necessaria è la cura cordiale e amorevole della qualità della testimonianza cristiana, del valore della radice battesimale, del cammino con cui gli uomini e le donne, le famiglie, i ragazzi, gli adolescenti, i giovani e gli anziani danno futuro alla vita e costruiscono storie di fraternità evangelica.

I grandi temi pastorali della Chiesa italiana proposti in questa prima parte del decennio (il primo annuncio della fede, l’iniziazione cristiana, il volto della parrocchia, la domenica) devono trovare nel solco della testimonianza il terreno di una nuova nascita della vita ecclesiale e dell’impegno nel mondo.

Ma non sarà possibile fare questo che a due condizioni. La prima è che la Chiesa – soprattutto la Chiesa locale e la parrocchia – sia essa stessa uno spazio della comunione sinfonica e cattolica, dove tutti sono soggetti e responsabili della missione. La seconda è che nella Chiesa si apra una stagione di fiducia per i laici, le famiglie, i giovani, le persone che cercano nelle comunità cristiane un incontro di senso prima che un luogo di impegno. Non sarà possibile costruire la comunità credente come luogo della testimonianza se essa non diventerà la dimora dove tutti trovano una casa per camminare e per narrare racconti di speranza.

Di qui la terza pista che il Convegno di Verona propone ai cristiani d’Italia: la testimonianza come “esercizio del cristianesimo”. Che il cristianesimo sia una pratica appare evidente a tutti, e anche la dottrina e i valori morali cristiani devono custodire la novità della vita cristiana, capace di animare le forme della vita umana. Se non appare evidente anzitutto questo, che essere cristiani è una “via” e una “vita” nuova, è difficile rendere ragione della speranza dell’“uomo nuovo” e della “nuova creatura”, che è la tessera del cristiano nel mondo.

Il testimone e la Chiesa, allora, potranno avventurarsi ad “esercitare” la speranza negli spazi della vita, solo abbeverandosi alla sorgente della risurrezione e abitando la chiesa come una dimora che fa crescere e fa vivere meglio. È molto importante intendere l’esercizio della speranza non semplicemente come un “mettere in pratica” alcuni valori presupposti e che sono semplicemente da realizzare nell’impegno del mondo.

La testimonianza non ha prima di tutto la forma dell’impegno per gli altri, ma quella di un “esercizio del cristianesimo”, con cui si entra negli spazi della vita umana, messi a tema per il Convegno di Verona (la vita affettiva, il lavoro e la festa, i modi della trasmissione e della comunicazione, la fragilità della vita umana, la cittadinanza), per trasformarli e trasfigurarli, e così farli diventare attraenti per tutti gli uomini.

La Chiesa e il credente abitano questi mondi, ne assumono i linguaggi e le forme della vita, per purificarli e dischiuderli a dire il Vangelo della speranza nelle esperienze della vita odierna. Il credente non tratta l’esperienza del mondo semplicemente come il teatro del proprio agire, ma sa che può essere lievito e luce solo entrando in gioco con la libertà degli altri, degli uomini e delle donne di oggi. Quest’opera esige il discernimento concreto con cui viviamo la vita umana alla luce del Vangelo. Per questo non bisogna pensare alla testimonianza anzitutto come un impegno, ma coma la vita ordinaria stessa, capace di realizzare quello che san Paolo chiama il “culto spirituale”, cioè la vita nella carità, la comunione nell’amore con Dio e tra di noi. Come ha ben detto il Papa nella sua prima enciclica: «Il programma del cristiano – il programma del buon Samaritano, il programma di Gesù – è “un cuore che vede”» (n. 31,b). Per fare bisogna vedere e per vedere bisogna agire: questo è l’esercizio del cristianesimo!

In questo contesto la libertà dei credenti diventa il crocevia di incontri, e talvolta anche di discernimenti critici, che portano a comunicare la speranza cristiana dentro la figura incerta e, tuttavia, aperta del mondo attuale. Questo “esercizio” è l’obiettivo pratico del Convegno di Verona. È una grande impresa immaginare il cristiano e la Chiesa, con nel cuore la speranza del Risorto, dentro gli ambiti della vita umana, perché nel tempo postmoderno diventino ancora luoghi di esperienza vitale e spazi per sognare il futuro. Non possiamo cedere alla rasse-gnazione. Sarebbe una cattiva testimonianza: in questo modo diremmo che crediamo più a noi stessi che al Signore della vita.

Questa coscienza appassionata decreterà la fecondità dell’assise ecclesiale di Verona. Basterà che l’evento del Convegno pratichi in modo emblematico questo “esercizio” nella fiducia e nell’ascolto ai racconti di speranza che gli altri porteranno con sé. Per scambiarli in quei giorni di intensi incontri e poi irradiarli nei normali percorsi della vita quotidiana nel cammino che verrà dopo Verona.

http://www.dongnocchi.it/html/cstamp06/cs055.htm

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