DON ANTONIO

domenica 28 agosto 2011

Suor Anna Maria Vissani. Una meditazione


Il «sangue» è la vita, e il «Signo¬re» è Gesù Risorto. Il Sangue del Signore è Cristo stesso nella pienezza della vita e che effonde su noi l'Acqua della Vita.
È il «Mistero della salvezza»! Mistero di chiarezza sfolgorante: perché il Sangue del Signore rivela il «senso» della vita umana. Mistero di novità innovatrice: perché il Sangue del Signore dà «senso compiuto» alla vita umana.
Il Sangue del Signore è Mistero di luce e di novità: rivelazione e apocalisse, unica e ultima, che rilancia incessante¬mente la storia e ne segna il compimen¬to, trasfigurando la allo stesso tempo. Il Sangue di Gesù è “il sigillo della Nuova ed eterna Alleanza”, che in ogni Eucaristia celebriamo, annunciamo e confermiamo con il nostro personale e comunitario coinvolgimento.
Ogni «incontro» con questo Mistero illumina gli occhi e modifica il cuore, proiettando sempre più lontano: verso quella profondità ultima dove la speranza getta l'ancora nel Fondo di Dio.

1 . L'uomo e il suo desiderio
È vivo nel cuore dell'uomo un desiderio aperto all'infinito:
- il desiderio di giungere fino alla «gloria di Dio», come a uno «spazio» che lo definisca;
- il desiderio di entrare nel «gioco del cielo», che Matilde di Magdeburgo ha descritto con la forza del suo genio poetico: «Là saremo lieti e liberi, veloci, potenti e amorosissimi, limpidi, e, per quanto possibile, eguali a Dio».
Nel Cristo, consegnato alla morte e ri¬suscitato dalla Potenza di Dio, appare, come su lontano orizzonte, ciò che non siamo, ma il cui desiderio ci divora. Appa¬re l'Uomo divenuto Dio; l'Uomo cui Dio ha dato la propria «gloria».
«Divenire Dio è il colmo del desiderio», insegnava Basilio il Grande, facendo eco a quanto Ireneo aveva già descritto sull'uomo «capax Dei», creatura finita che porta l'infinito, o sull'uomo «gloria Dei».
Più tardi, Gregorio di Nazianze darà dell'uomo la definizione più autentica¬mente cristiana: «un essere divinizzabile». E Giovanni della Croce di¬rà che l'uomo è chiamato a divenire «Dio per partecipazione».
Il Cristianesimo è una storia di «divi¬nizzazione». «Perché Dio si è fatto uomo?» - si domandava Maestro Eck¬hart - «Perché io possa essere generato come Dio stesso».
Il Cristo rivela chi è l'uomo, perché egli non è soltanto un uomo, ma l'Uomo: l'uomo compiuto, perché Uomo-Dio. Egli è Colui che compie in se stesso l'umana realtà divinizzandola, e compie ogni uo¬mo facendolo divenire ciò che egli stesso è. Umanizzandolo lo divinizza e diviniz¬zandolo lo umanizza. Ma lasciando intat¬ta la sua umanità.
Perché l'uomo sia transformato in Dio, non basta che Dio si faccia uomo. È ne¬cessario che Dio-fatto-Uomo muoia e ri¬sorga. Risorgere non è tornare a una vita anteriore alla morte, ma passare a una Vita Totalmente-Altra.
Ha scritto K. Rahner: <Aprendo l'orizzonte del desiderio uma¬no, il Cristo rivela Dio come Potenza di Vita per l'uomo. Ma questa rivelazione egli la compie concretamente nella pro¬pria vita, attraverso tutte le tappe della sua traiettoria. Egli «salva» in tal modo l'uomo, liberandolo e attirando lo in una «forma» di esistenza simile alla sua.

2 - La salvezza e il Sangue
Nel Cristianesimo, chi dice salvezza di¬ce «sangue», «Sangue» e salvezza forma¬no un binomio perfetto. Il Cristianesimo infatti, prima di essere un messaggio, è un'esperienza di salvezza. Deve dunque necessariamente integrare in sé tutti gli aspetti dell'esistenza umana, particolar¬mente la sofferenza e la morte.
È quanto dimostra la Lettera agli Ebrei mediante la simbolica rutilante del lin¬guaggio sacrificale. Diciamo «simbolica rutilante»: perché non è il sangue e la morte «materialisticamente» interpretati che aprono l'accesso a Dio per una comu¬nione con lui in vista d'una pienezza dell'umano; ma è la verità interiore e personale, espressa nel rito simbolico.
Nell'Epistola agli Ebrei, tutta la perso¬na di Gesù è avvolta come da un vestito di sangue; e tutta la sua vita è compresa come un «sacrificio»: il sacrificio definiti¬vo, compiuto «una volta per tutte».

Esistenza e sangue.

L'essenziale dell'esistenza di Gesù ¬quell'essenziale che dà il senso a tutta la sua vita - è espresso fin dalla sua prima apparizione nel mondo:
«Entrando nel mondo, Cristo dice:
Tu non hai voluto né sacrificio né of¬ferta ... Allora ho detto: Ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà» (10,5-7).
Il primo momento del «sacrificio» di Gesù, è significato dalle parole: «Ecco, io vengo». Non si comincia il sacrificio sen¬za procurarsi il sangue, simbolo della vi¬ta di colui che desidera entrare interior¬mente nell'azione rituale.
Le parole «Ecco, io vengo» ottengono il «sangue», cioè la vita reale di Gesù, il quale diviene così attore del «sacrificio ».
Il «sangue» di Gesù è la sua vita immersa in un mondo dove l'uomo vive drammati¬camente il «non-senso» della condizione umana, e avverte acuto il bisogno vitale di rivelazione.
Gesù diviene «partecipe» di questa con¬dizione umana (2, 14s), ma la vive avendo un punto di riferimento nuovo e unico, che fa di lui l'agente d'una trasformazio¬ne. Egli non riferisce la sua vita alla «paura della morte» (5,8), ma alla «obbe¬dienza» (5,8) che è ascolto e adesione alla «volontà di Dio» (10,9). Dio infatti vuoI fare della condizione umana un cammino verso la vita e la «perfezione».
A questo primo momento dell'azione sacrificale, il «sangue» di Gesù è l'espres¬sione simbolica della vita stessa di Gesù nel suo svolgimento storico; vita che comporta l'inserimento totale nella con-dizione umana e, nello stesso tempo, la differenza da questa. Perché Gesù non obbedisce alla «paura della morte», ma alla volontà del Dio della vita.
Morte e sangue.
Gesù «traversa» la condizione umana, estremamente fragile come quella di un «velo» e impastata di paura e oscurità.
Nella costante e radicale rinuncia «alla gioia che gli era posta innanzi», ossia alla felicità del potere e della ricchezza, e nel¬la sopportazione della «grande ostilità dei peccatori», egli «si sottopone alla croce» (12,1-3).
«Fuori della porta della città» (13,1-3), entra nella zona della morte, compiendo cosi la «traversata del velo» che separa lo spazio dell'uomo da quello di Dio. E nel¬lo spazio divino getta l'àncora che si pianta nel fondo, sicuro e saldo, del «san¬tuario», cioè d'una vita perfetta presso Dio.
A questo secondo momento dell'azione sacrificale, il «sangue» è la vita di Gesù; vita che, grazie alla «obbedienza» alla pa¬rola di verità, è sfuggita alla «paura della morte», ma non alla morte.
Il «sangue», perciò, è un sangue «versa¬to»: è la vita di Gesù spinta nella morte da quanti si oppongono al suo cammino su una via di verità e di fragilità.
Ma l'interrogativo fondamentale dell'uomo rimane: la vita di Gesù è cadu¬ta nel vuoto e nel nulla, come la vita di ogni altro uomo? Il suo «sangue» è stato «versato» invano? Gesù è forse, anche lui, una «passione inutile», come amava dire Sartre?
Nulla, a questo punto, è ancora risolto.

Risurrezione e sangue.

La risposta all'interrogativo umano, e dunque il conseguimento della salvezza, è situato al terzo momento del sacrificio.
Il «sangue» ossia la vita di Gesù, intro¬dotta nello spazio divino e messa in co¬munione con Dio, raggiunge la sua «per¬fezione»: «Egli per sempre si è assiso alla destra di Dio» (10,12).
Il «sacrificio» unico di Gesù è ora com¬piuto. Gesù, con tutta la sua vita, attra¬verso la morte quale finale logico della sua «obbedienza», si è avvicinato a Dio, è entrato nella comunione con Dio e vi ha trovato la propria «perfezione». E la per¬fezione, concretamente, è la risurrezione.
A questo livello ultimo, il «sangue» di¬viene la vita di Gesù «resa perfetta» da Dio. Il «sangue» è la vita; e il «sangue» del «sacrificio» compiuto è la vita risorta: è Gesù risorto.
Identità sorprendente tra «sangue» e ri¬surrezione! È questo «sangue» della ri¬surrezione che salva: è il «Sangue del Si¬gnore», totalità d'una vita pervenuta, me¬diante la «obbedienza» alla verità fino al¬la morte, alla pienezza della risurrezione.
Il «Sangue del Signore» è la vita di Ge¬sù divenuta «perfetta», dunque compiuta, in Dio.
In questo modo, una «via nuova e vi¬vente è stata inaugurata per noi attraver¬so il velo della carne» (10,20). La «paura della morte» cede il posto ad una piena certezza; il «non-senso» non ha più luogo perché è fiorita la speranza.
3 - La speranza che viene dal Sangue del Signore
Dietro Gesù, uomo in cammino, deciso ad andare fino in fondo, diveniamo anche noi esistenze in cammino. La «via» è aperta: possiamo avvicinarci a Dio, avan¬zare verso di lui.
Possiamo fare della nostra vita un cam¬mino coraggioso e sicuro verso l'avveni¬re, che il «Sangue del Signore» ci rivela e ci offre.
Il «Sangue del Signore», infatti, è «il sangue dell'aspersione»: è una vita resti¬tuita ma trans-formata, perché arricchita dalla Vita stessa di Dio. È «il sangue dell'aspersione dalla voce più eloquente di quello di Abele» (12,24).
Il «Sangue del Signore» è divenuto un sangue di rivelazione: un «sangue che parla». Dio parla definitivamente median¬te questo «sangue», mediante questa vita che, attraverso la morte, è giunta alla «perfezione».
Il «Sangue del Signore» è divenuto la Parola centrale dell'annuncio della fede: perché la vita <C'è in noi un «già» aperto e un «non¬ancora», siamo impegnati ad «andare sempre più lontano» nella quotidiana te¬nace promozione dell'umano.
Sappiamo bene che, proprio divenendo più umani nella giustizia e nell'amore, di¬veniamo più divini. Perché là dove l'uo¬mo, con la qualità della sua vita, diviene umano, il Cristo risorto è presente e atti-vo dinivizzandolo, con l'Energia della propria Vita. Per il «Sangue del Signore» la storia umana, che il cristiano fa e nel¬la quale si fa, diviene storia divina.



La speranza non disancora dalla storia.
Non è possibile alcun compimento uma¬no prescindendo dal compimento del mondo e del cosmo, che formano come la carne storica dell'uomo.
Nel servizio quotidiano dell'uomo, il cristiano assume la storia mettendola in movimento verso il futuro della sua «per¬fezione» nel «sangue del Signore»
La speranza che ci viene dal «Sangue del Signore è una speranza per la terra: non è un'evasione dalla vita presente. Feuerbach l'ha combattuta, perché malsana e smobilitante. Nietzsche ha invitato ad abbandonarla, per ridare all'uomo il gusto della terra.
Pur non identificandosi con le speranze umane, la speranza che viene dal «San¬gue del Signore» le assume e le realizza. Perché fa guardare tutte le realtà «dal punto di vista della liberazione», secondo la parola di Adorno; la liberazione me¬diante il dono del Sangue, secondo la parola della fede. .
Se la liberazione dell'uomo mediante il Sangue dà una forma tipica alla speran¬za, questa interviene nella storia di spie¬gando tre modalità.
La speranza che viene dal «Sangue del Signore» è una speranza che entusiasma. Il «Sangue del Signore» apre all'esistenza umana un orizzonte inavvertito e radical¬mente nuovo: l'orizzonte della nostra «perfezione», che è un orizzonte di festa. La speranza dal Sangue è dunque un ger¬me di giovinezza permanente.
La speranza che viene dal «Sangue del Signore» è una speranza che trasforma, rendendo gli uomini inventivi nel cercare mezzi più efficaci per migliorare i rap¬porti sociali secondo i valori della giusti¬zia e dell'amore. Ogni relazione umana, promossa nella verità, ha un peso di eter¬nità. La speranza dal Sangue è dunque un germe di libertà nella giustizia e nell'amore.
La speranza che viene dal «Sangue del Signore» è una speranza che consola. La consolazione dal Sangue non è una distil¬lazione di oppio. È rifiuto dell'insuccesso, della sofferenza e della morte come realtà definitive. La proclamazione della speranza che viene dal Sangue partecipa misteriosamente della Potenza della Ri¬surrezione, e toglie all' esistenza umana quel carattere di «passione inutile» nella quale Sartre voleva imprigionarla. La speranza dal Sangue è dunque un germe di trasfigurazione dell'esistenza umana che diviene, secondo la parola di Kierkegaard, «passione per il possibile».

Conclusione
Il «Sangue del Signore» è davvero Mi¬stero di chiarità e di novità: evento apo¬calittico di luce che trans-figura e di pa¬rola che trans-significa.
Il «Sangue del Signore» è l'Energia d'una Vita che fora lo spessore della «carne», dissolve l'impenetrabile tenebra della morte e apre la «via» che conduce l'umanità alla «vita perfetta» presso Dio, al «riposo» dopo la lunga marcia dell'esi¬stenza.
La speranza che nasce dal «Sangue del Signore» è attesa, nel giubilo, del compi¬mento di un «già» divino che possediamo, divorati ogni giorno dal desiderio del «non-ancora».
La speranza dal Sangue è attesa, non passiva: perché implica il dono della vita nella verità e la solidarietà con la storia dove gli uomini intrecciano desideri, sfor¬zi e realizzazioni in vista d'un mondo più umano e perciò divinizzabile.


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