DON ANTONIO

giovedì 13 ottobre 2011

SALVIFICI DOLORIS N.3

IL VANGELO DELLA SOFFERENZA
25. I testimoni della Croce e della risurrezione di Cristo hanno trasmesso alla Chiesa e all'umanità uno specifico Vangelo della sofferenza. Il Redentore stesso ha scritto questo Vangelo dapprima con la propria sofferenza assunta per amore, affinché l'uomo « non muoia, ma abbia la vita eterna »(80). Questa sofferenza, insieme con la viva parola del suo insegnamento, è diventata una fonte abbondante per tutti coloro che hanno preso parte alle sofferenze di Gesù nella prima generazione dei suoi discepoli e confessori, e poi in quelle che si sono succedute nel corso dei secoli.
E', innanzitutto, consolante — come è evangelicamente e storicamente esatto — notare che a fianco di Cristo, in primissima e ben rilevata posizione accanto a lui, c'è sempre la sua Madre santissima per la testimonianza esemplare, che con l'intera sua vita rende a questo particolare Vangelo della sofferenza. In lei le numerose ed intense sofferenze si assommarono in una tale connessione e concatenazione, che se furono prova della sua fede incrollabile, furono altresì un contributo alla redenzione di tutti. In realtà, fin dall'arcano colloquio avuto con l'angelo, Ella intravide nella sua missione di madre la « destinazione » a condividere in maniera unica ed irripetibile la missione stessa del Figlio. E la conferma in proposito le venne assai presto sia dagli eventi che accompagnarono la nascita di Gesù a Betlemme, sia dall'annuncio formale del vecchio Simeone che parlò di una spada tanto acuta da trapassarle l'anima, sia dalle ansie e ristrettezze della fuga precipitosa in Egitto, provocata dalla crudele decisione di Erode.
Ed ancora, dopo le vicende della vita nascosta e pubblica del suo Figlio, da lei indubbiamente condivise con acuta sensibilità, fu sul Calvario che la sofferenza di Maria Santissima, accanto a quella di Gesù, raggiunse un vertice già difficilmente immaginabile nella sua altezza dal punto di vista umano, ma certo misterioso e soprannaturalmente fecondo ai fini dell'universale salvezza. Quel suo ascendere al Calvario, quel suo « stare » ai piedi della Croce insieme col discepolo prediletto furono una partecipazione del tutto speciale alla morte redentrice del Figlio, come del resto le parole, che poté raccogliere dal suo labbro, furono quasi la solenne consegna di questo tipico Vangelo da annunciare all'intera comunità dei credenti.
Testimone della passione del Figlio con la sua presenza, e di essa partecipe con la sua compassione, Maria Santissima offrì un singolare apporto al Vangelo della sofferenza, avverando in anticipo l'espressione paolina, riportata all'inizio. In effetti, Ella ha titoli specialissimi per poter asserire di « completare nella sua carne — come già nel suo cuore — quello che manca ai patimenti di Cristo ».
Nella luce dell'inarrivabile esempio di Cristo, riflesso con singolare evidenza nella vita della Madre sua, il Vangelo della sofferenza, mediante l'esperienza e la parola degli Apostoli, diventa fonte inesauribile per le generazioni sempre nuove che si avvicendano nella storia della Chiesa. Il Vangelo della sofferenza significa non solo la presenza della sofferenza nel Vangelo, come uno dei temi della Buona Novella, ma la rivelazione, altresì, della forza salvifica e del significato salvifico della sofferenza nella missione messianica di Cristo e, in seguito, nella missione e nella vocazione della Chiesa.
Cristo non nascondeva ai propri ascoltatori la necessità della sofferenza. Molto chiaramente diceva: « Se qualcuno vuol venire dietro a me, ... prenda la sua croce ogni giorno »(81), ed ai suoi discepoli poneva esigenze di natura morale, la cui realizzazione è possibile solo a condizione di « rinnegare se stessi »(82). La via che porta al Regno dei cieli è « stretta ed angusta », e Cristo la contrappone alla via « larga e spaziosa », che peraltro « conduce alla perdizione »(83). Diverse volte Cristo diceva anche che i suoi discepoli e confessori avrebbero incontrato molteplici persecuzioni, ciò che — come si sa — è avvenuto non solo nei primi secoli della vita della Chiesa sotto l'impero romano, ma si è avverato e si avvera in diversi periodi della storia e in differenti luoghi della terra, anche ai nostri tempi.
Ecco alcune frasi di Cristo su questo tema: « Metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e a governatori, a causa del mio nome. Questo vi darà occasione di rendere testimonianza. Mettetevi bene in mente di non preparare prima la vostra difesa: io vi darò lingua e sapienza, a cui tutti i vostri avversari non potranno resistere, né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e metteranno a morte alcuni di voi; sarete odiati da tutti per causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo perirà. Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime »(84).
Il Vangelo della sofferenza parla prima in diversi punti della sofferenza « per Cristo », « a causa di Cristo », e ciò fa con le parole stesse di Gesù, oppure con le parole dei suoi Apostoli. Il Maestro non nasconde ai suoi discepoli e seguaci la prospettiva di una tale sofferenza, anzi la rivela con tutta franchezza, indicando contemporaneamente le forze soprannaturali, che li accompagneranno in mezzo alle persecuzioni e tribolazioni « per il suo nome ». Queste saranno insieme quasi una speciale verifica della somiglianza a Cristo e dell'unione con lui. « Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me ...; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia ... Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi... Ma tutto questo vi faranno a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato »(85). « Vi ho dette queste cose, perché abbiate pace in me. Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia: io ho vinto il mondo! »(86).
Questo primo capitolo del Vangelo della sofferenza, che parla delle persecuzioni, cioè delle tribolazioni a motivo di Cristo, contiene in sé una speciale chiamata al coraggio ed alla fortezza, sostenuta dall'eloquenza della risurrezione. Cristo ha vinto il mondo definitivamente con la sua risurrezione; tuttavia, grazie al rapporto di essa con la passione e la morte, ha vinto al tempo stesso questo mondo con la sua sofferenza. Si, la sofferenza è stata in modo singolare inserita in quella vittoria sul mondo, che si è manifestata nella risurrezione. Cristo conserva nel suo corpo risorto i segni delle ferite della Croce sulle sue mani, sui piedi e nel costato. Mediante la risurrezione egli manifesta la forza vittoriosa della sofferenza, e vuole infondere la convinzione di questa forza nel cuore di coloro che ha scelto come suoi Apostoli e di coloro che continuamente sceglie ed invia. L'apostolo Paolo dirà: « Tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati »(87).
26. Se il primo grande capitolo del Vangelo della sofferenza viene scritto, lungo le generazioni, da coloro che soffrono persecuzioni per Cristo, di pari passo si svolge lungo la storia un altro grande capitolo di questo Vangelo. Lo scrivono tutti coloro che soffrono insieme con Cristo, unendo le proprie sofferenze umane alla sua sofferenza salvifica. In essi si compie ciò che i primi testimoni della passione e della risurrezione hanno detto ed hanno scritto circa la partecipazione alle sofferenze di Cristo. In essi quindi si compie il Vangelo della sofferenza e, al tempo stesso, ognuno di essi continua in un certo modo a scriverlo: lo scrive e lo proclama al mondo, lo annuncia al proprio ambiente ed agli uomini contemporanei.
Attraverso i secoli e le generazioni è stato costatato che nella sofferenza si nasconde una particolare forza che avvicina interiormente l'uomo a Cristo, una particolare grazia. Ad essa debbono la loro profonda conversione molti Santi, come ad esempio San Francesco d'Assisi, Sant'Ignazio di Loyola, ecc. Frutto di una tale conversione non è solo il fatto che l'uomo scopre il senso salvifico della sofferenza, ma soprattutto che nella sofferenza diventa un uomo completamente nuovo. Egli trova quasi una nuova misura di tutta la propria vita e della propria vocazione. Questa scoperta è una particolare conferma della grandezza spirituale che nell'uomo supera il corpo in modo del tutto incomparabile. Allorché questo corpo è profondamente malato, totalmente inabile e l'uomo è quasi incapace di vivere e di agire, tanto più si mettono in evidenza l'interiore maturità e grandezza spirituale, costituendo una commovente lezione per gli uomini sani e normali.
Questa interiore maturità e grandezza spirituale nella sofferenza certamente sono frutto di una particolare conversione e cooperazione con la Grazia del Redentore crocifisso. E' lui stesso ad agire nel vivo delle umane sofferenze per mezzo del suo Spirito di verità, per mezzo dello Spirito Consolatore. E' lui a trasformare, in un certo senso, la sostanza stessa della vita spirituale, indicando all'uomo sofferente un posto vicino a sé. E' lui — come Maestro e Guida interiore — ad insegnare al fratello e alla sorella sofferenti questo mirabile scambio, posto nel cuore stesso del mistero della redenzione. La sofferenza è, in se stessa, un provare il male. Ma Cristo ne ha fatto la più solida base del bene definitivo, cioè del bene della salvezza eterna. Con la sua sofferenza sulla Croce Cristo ha raggiunto le radici stesse del male: del peccato e della morte. Egli ha vinto l'artefice del male, che è Satana, e la sua permanente ribellione contro il Creatore. Davanti al fratello o alla sorella sofferenti Cristo dischiude e dispiega gradualmente gli orizzonti del Regno di Dio: di un mondo convertito al Creatore, di un mondo liberato dal peccato, che si sta edificando sulla potenza salvifica dell'amore. E, lentamente ma efficacemente, Cristo introduce in questo mondo, in questo Regno del Padre l'uomo sofferente, in un certo senso attraverso il cuore stesso della sua sofferenza. La sofferenza, infatti, non può essere trasformata e mutata con una grazia dall'esterno, ma dall'interno. E Cristo mediante la sua propria sofferenza salvifica si trova quanto mai dentro ad ogni sofferenza umana, e può agire dall'interno di essa con la potenza del suo Spirito di verità, del suo Spirito Consolatore.
Non basta: il divin Redentore vuole penetrare nell'animo di ogni sofferente attraverso il cuore della sua Madre santissima, primizia e vertice di tutti i redenti. Quasi a continuazione di quella maternità, che per opera dello Spirito Santo gli aveva dato la vita, Cristo morente conferì alla sempre Vergine Maria una maternità nuova — spirituale e universale — verso tutti gli uomini, affinché ognuno, nella peregrinazione della fede, gli rimanesse insieme con lei strettamente unito fino alla Croce e, con la forza di questa Croce, ogni sofferenza rigenerata diventasse, da debolezza dell'uomo, potenza di Dio.
Non sempre, però, un tale processo interiore si svolge in modo uguale. Spesso inizia e si instaura con difficoltà. Già il punto stesso di partenza è diverso: diversa è la disposizione, che l'uomo porta nella sua sofferenza. Si può, tuttavia, premettere che quasi sempre ciascuno entra nella sofferenza con una protesta tipicamente umana e con la domanda del suo « perché ». Ciascuno si chiede il senso della sofferenza e cerca una risposta a questa domanda al suo livello umano. Certamente pone più volte questa domanda anche a Dio, come la pone a Cristo. Inoltre, egli non può non notare che colui, al quale pone la sua domanda, soffre lui stesso e vuole rispondergli dalla Croce, dal centro della sua propria sofferenza. Tuttavia, a volte c'è bisogno di tempo, persino di un lungo tempo, perché questa risposta cominci ad essere internamente percepibile. Cristo, infatti, non risponde direttamente e non risponde in astratto a questo interrogativo umano circa il senso della sofferenza. L'uomo ode la sua risposta salvifica man mano che egli stesso diventa partecipe delle sofferenze di Cristo.
La risposta che giunge mediante tale partecipazione, lungo la strada dell'incontro interiore col Maestro, è a sua volta qualcosa di più della sola risposta astratta all'interrogativo sul senso della sofferenza. Questa è, infatti, soprattutto una chiamata. E' una vocazione. Cristo non spiega in astratto le ragioni della sofferenza, ma prima di tutto dice: « Seguimi! ». Vieni! prendi parte con la tua sofferenza a quest'opera di salvezza del mondo, che si compie per mezzo della mia sofferenza! Per mezzo della mia Croce. Man mano che l'uomo prende la sua croce, unendosi spiritualmente alla Croce di Cristo, si rivela davanti a lui il senso salvifico della sofferenza. L'uomo non scopre questo senso al suo livello umano, ma al livello della sofferenza di Cristo. Al tempo stesso, però, da questo livello di Cristo, quel senso salvifico della sofferenza scende a livello dell'uomo e diventa, in qualche modo, la sua risposta personale. E allora l'uomo trova nella sua sofferenza la pace interiore e perfino la gioia spirituale.
27. Di tale gioia parla l'Apostolo nella Lettera ai Colossesi: « Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi »(88). Fonte di gioia diventa il superamento del senso d'inutilità della sofferenza, sensazione che a volte è radicata molto fortemente nell'umana sofferenza. Questa non solo consuma l'uomo dentro se stesso, ma sembra renderlo un peso per gli altri. L'uomo si sente condannato a ricevere aiuto ed assistenza dagli altri e, in pari tempo, sembra a se stesso inutile. La scoperta del senso salvifico della sofferenza in unione con Cristo trasforma questa sensazione deprimente. La fede nella partecipazione alle sofferenze di Cristo porta in sé la certezza interiore che l'uomo sofferente « completa quello che manca ai patimenti di Cristo »; che nella dimensione spirituale dell'opera della redenzione serve, come Cristo, alla salvezza dei suoi fratelli e sorelle. Non solo quindi è utile agli altri, ma per di più adempie un servizio insostituibile. Nel corpo di Cristo, che incessantemente cresce dalla Croce del Redentore, proprio la sofferenza, permeata dallo spirito del sacrificio di Cristo, è l'insostituibile mediatrice ed autrice dei beni, indispensabili per la salvezza del mondo. E' essa, più di ogni altra cosa, a fare strada alla Grazia che trasforma le anime umane. Essa, più di ogni altra cosa, rende presenti nella storia dell'umanità le forze della redenzione. In quella lotta « cosmica » tra le forze spirituali del bene e del male, della quale parla la Lettera agli Efesini(89), le sofferenze umane, unite con la sofferenza redentrice di Cristo, costituiscono un particolare sostegno per le forze del bene, aprendo la strada alla vittoria di queste forze salvifiche.
E perciò la Chiesa vede in tutti i fratelli e sorelle di Cristo sofferenti quasi un soggetto molteplice della sua forza soprannaturale.
Quanto spesso proprio ad essi ricorrono i pastori della Chiesa, e proprio presso di essi cercano aiuto ed appoggio! I1 Vangelo della sofferenza viene scritto incessantemente, ed incessantemente parla con le parole di questo strano paradosso: le sorgenti della forza divina sgorgano proprio in mezzo all'umana debolezza. Coloro che partecipano alle sofferenze di Cristo conservano nelle proprie sofferenze una specialissima particella dell'infinito tesoro della redenzione del mondo, e possono condividere questo tesoro con gli altri. Quanto più l'uomo è minacciato dal peccato, quanto più pesanti sono le strutture del peccato che porta in sé il mondo d'oggi, tanto più grande è l'eloquenza che la sofferenza umana in sé possiede. E tanto più la Chiesa sente il bisogno di ricorrere al valore delle sofferenze umane per la salvezza del mondo.
VII
IL BUON SAMARITANO
28. Al Vangelo della sofferenza appartiene anche — ed in modo organico — la parabola del buon Samaritano. Mediante questa parabola Cristo volle dare risposta alla domanda: « chi è il mio prossimo? »(90). Infatti, fra i tre passanti lungo la via da Gerusalemme a Gerico, dove giaceva per terra mezzo morto un uomo rapinato e ferito dai briganti, proprio il Samaritano dimostrò di essere davvero il « prossimo » per quell'infelice: « prossimo » significa anche colui che adempì il comandamento dell'amore del prossimo. Altri due uomini percorrevano la stessa strada: uno era sacerdote, e l'altro levita, ma ciascuno « lo vide e passò oltre ». Invece, il Samaritano « lo vide e n'ebbe compassione. Gli si fece vicino, ... gli fasciò le ferite », poi « lo portò a una locanda e si prese cura di lui »(91). Ed all'atto di partire, affidò sollecitamente la cura dell'uomo sofferente all'albergatore, impegnandosi a sostenere le spese occorrenti.
La parabola del buon Samaritano appartiene al Vangelo della sofferenza. Essa indica, infatti, quale debba essere il rapporto di ciascuno di noi verso il prossimo sofferente. Non ci è lecito « passare oltre » con indifferenza, ma dobbiamo « fermarci » accanto a lui. Buon Samaritano è ogni uomo, che si ferma accanto alla sofferenza di un altro uomo, qualunque essa sia. Quel fermarsi non significa curiosità, ma disponibilità. Questa è come l'aprirsi di una certa interiore disposizione del cuore, che ha anche la sua espressione emotiva. Buon Samaritano è ogni uomo sensibile alla sofferenza altrui, l'uomo che « si commuove » per la disgrazia del prossimo. Se Cristo, conoscitore dell'interno dell'uomo, sottolinea questa commozione, vuol dire che essa è importante per tutto il nostro atteggiamento di fronte alla sofferenza altrui. Bisogna, dunque, coltivare in sé questa sensibilità del cuore, che testimonia la compassione verso un sofferente. A volte questa compassione rimane l'unica o principale espressione del nostro amore e della nostra solidarietà con l'uomo sofferente.
Tuttavia, il buon Samaritano della parabola di Cristo non si ferma alla sola commozione e compassione. Queste diventano per lui uno stimolo alle azioni che mirano a portare aiuto all'uomo ferito. Buon Samaritano è, dunque, in definitiva colui che porta aiuto nella sofferenza, di qualunque natura essa sia. Aiuto, in quanto possibile, efficace. In esso egli mette il suo cuore, ma non risparmia neanche i mezzi materiali. Si può dire che dà se stesso, il suo proprio « io », aprendo quest'« io » all'altro. Tocchiamo qui uno dei punti-chiave di tutta l'antropologia cristiana. L'uomo non può « ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé »(92). Buon Samaritano è l'uomo capace appunto di tale dono di sé.
29. Seguendo la parabola evangelica, si potrebbe dire che la sofferenza, presente sotto tante forme diverse nel nostro mondo umano, vi sia presente anche per sprigionare nell'uomo l'amore, proprio quel dono disinteressato del proprio « io » in favore degli altri uomini, degli uomini sofferenti. Il mondo dell'umana sofferenza invoca, per così dire, senza sosta un altro mondo: quello dell'amore umano; e quell'amore disinteressato, che si desta nel suo cuore e nelle sue opere, l'uomo lo deve in un certo senso alla sofferenza. Non può l'uomo « prossimo » passare con indifferenza davanti alla sofferenza altrui in nome della fondamentale solidarietà umana, né tanto meno in nome dell'amore del prossimo. Egli deve « fermarsi », « commuoversi », agendo così come il Samaritano della parabola evangelica. La parabola in sé esprime una verità profondamente cristiana, ma insieme quanto mai universalmente umana. Non senza ragione anche nel linguaggio comune viene chiamata opera « da buon samaritano » ogni attività in favore degli uomini sofferenti e bisognosi di aiuto.
Quest'attività assume, nel corso dei secoli, forme istituzionali organizzate e costituisce un campo di lavoro nelle rispettive professioni. Quanto è « da buon samaritano » la professione del medico, o dell'infermiera, o altre simili! In ragione del contenuto « evangelico », racchiuso in essa, siamo inclini a pensare qui piuttosto ad una vocazione, che non semplicemente ad una professione. E le istituzioni che, nell'arco delle generazioni, hanno compiuto un servizio « da samaritano », ai nostri tempi si sono ancora maggiormente sviluppate e specializzate. Ciò prova indubbiamente che l'uomo di oggi si ferma con sempre maggiore attenzione e perspicacia accanto alle sofferenze del prossimo, cerca di comprenderle e di prevenirle sempre più esattamente. Egli possiede anche una sempre maggiore capacità e specializzazione in questo settore. Guardando a tutto questo, possiamo dire che la parabola del Samaritano del Vangelo è diventata una delle componenti essenziali della cultura morale e della civiltà universalmente umana. E pensando a tutti quegli uomini, che con la loro scienza e la loro capacità rendono molteplici servizi al prossimo sofferente, non possiamo esimerci dal rivolgere al loro indirizzo parole di riconoscimento e di gratitudine.
Queste si estendono a tutti coloro, che svolgono il proprio servizio verso il prossimo sofferente in maniera disinteressata, impegnandosi volontariamente nell'aiuto « da buon samaritano », e destinando a tale causa tutto il tempo e le forze che rimangono a loro disposizione al di fuori del lavoro professionale. Una tale spontanea attività « da buon samaritano » o caritativa può essere chiamata attività sociale, può anche essere definita come apostolato, tutte le volte che viene intrapresa per motivi schiettamente evangelici, specialmente se ciò avviene in collegamento con la Chiesa o con un'altra Comunità cristiana. La volontaria attività « da buon samaritano » si realizza attraverso ambienti adeguati oppure attraverso organizzazioni create a questo scopo. L'operare in questa forma ha una grande importanza, specialmente se si tratta di assumere compiti più grandi, che esigono la cooperazione e l'uso dei mezzi tecnici. Non meno preziosa è anche l'attività individuale, specialmente da parte delle persone, che sono ad essa meglio predisposte riguardo alle varie specie di umana sofferenza, verso le quali l'aiuto non può essere portato che individualmente e personalmente. L'aiuto familiare poi significa sia gli atti d'amore del prossimo, resi alle persone appartenenti alla stessa famiglia, sia l'aiuto reciproco tra le famiglie.
E' difficile elencare qui tutti i tipi ed i diversi ambiti dell'attività « da samaritano » che esistono nella Chiesa e nella società. Bisogna riconoscere che essi sono molto numerosi, ed anche esprimere la gioia perché grazie ad essi i fondamentali valori morali, quali il valore dell'umana solidarietà, il valore dell'amore cristiano del prossimo, formano il quadro della vita sociale e dei rapporti interumani, combattendo su questo fronte le diverse forme dell'odio, della violenza, della crudeltà, del disprezzo per l'uomo, oppure della semplice « insensibilità », cioè dell'indifferenza verso il prossimo e le sue sofferenze.
Enorme è qui il significato degli atteggiamenti opportuni da usare nell'educazione. La famiglia, la scuola, le altre istituzioni educative, anche solo per motivi umanitari, devono lavorare con perseveranza per il risveglio e l'affinamento di quella sensibilità verso il prossimo e la sua sofferenza, di cui è diventata simbolo la figura del Samaritano evangelico. La Chiesa ovviamente deve far lo stesso, addentrandosi ancora più profondamente — in quanto possibile — nelle motivazioni che Cristo ha racchiuso nella sua parabola ed in tutto il Vangelo. L'eloquenza della parabola del buon Samaritano, come anche di tutto il Vangelo, è in particolare questa: l'uomo deve sentirsi come chiamato in prima persona a testimoniare l'amore nella sofferenza. Le istituzioni sono molto importanti ed indispensabili; tuttavia, nessuna istituzione può da sola sostituire il cuore umano, la compassione umana, l'amore umano, l'iniziativa umana, quando si tratti di farsi incontro alla sofferenza dell'altro. Questo si riferisce alle sofferenze fisiche, ma vale ancora di più se si tratta delle molteplici sofferenze morali, e quando, prima di tutto, a soffrire è l'anima.
30. La parabola del buon Samaritano, che — come si è detto — appartiene al Vangelo della sofferenza, cammina insieme con esso lungo la storia della Chiesa e del cristianesimo, lungo la storia dell'uomo e dell'umanità. Essa testimonia che la rivelazione da parte di Cristo del senso salvifico della sofferenza non si identifica in alcun modo con un atteggiamento di passività. E' tutto il contrario. Il Vangelo è la negazione della passività di fronte alla sofferenza. Cristo stesso in questo campo è soprattutto attivo. In questo modo, egli realizza il programma messianico della sua missione, secondo le parole del profeta: « Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore »(93). Cristo compie in modo sovrabbondante questo programma messianico della sua missione: egli passa « beneficando (94), ed il bene delle sue opere ha assunto rilievo soprattutto di fronte all'umana sofferenza. La parabola del buon Samaritano è in profonda armonia col comportamento di Cristo stesso.
Questa parabola entrerà, infine, per il suo contenuto essenziale, in quelle sconvolgenti parole sul giudizio finale, che Matteo ha annotato nel suo Vangelo: « Venite, benedetti del Padre mio; ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi »(95). Ai giusti che chiedono quando mai abbiano fatta proprio a lui tutto questo, il Figlio dell'Uomo risponderà: « In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me » (96). La sentenza opposta toccherà a coloro che si sono comportati diversamente: « Ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me »(97).
Si potrebbe certamente allungare l'elenco delle sofferenze che hanno incontrato la sensibilità umana, la compassione, l'aiuto, oppure che non le hanno incontrate. La prima e la seconda parte della dichiarazione di Cristo sul giudizio finale indicano senza ambiguità come siano essenziali, nella prospettiva della vita eterna di ogni uomo, il « fermarsi », come fece il buon Samaritano, accanto alla sofferenza del suo prossimo, l'aver « compassione » di essa, ed infine il dare aiuto. Nel programma messianico di Cristo, che è insieme il programma del Regno di Dio, la sofferenza è presente nel mondo per sprigionare amore, per far nascere opere di amore verso il prossimo, per trasformare tutta la civiltà umana nella « civiltà dell'amore ». In questo amore il significato salvifico della sofferenza si realizza fino in fondo e raggiunge la sua dimensione definitiva. Le parole di Cristo sul giudizio finale permettono di comprendere ciò in tutta la semplicità e perspicacia del Vangelo.
Queste parole sull'amore, sugli atti di amore, collegati con l'umana sofferenza, ci permettono ancora una volta di scoprire, alla base di tutte le sofferenze umane, la stessa sofferenza redentrice di Cristo. Cristo dice: « L'avete fatto a me ». Egli stesso è colui che in ognuno sperimenta l'amore; egli stesso è colui che riceve aiuto, quando questo viene reso ad ogni sofferente senza eccezione. Egli stesso è presente in questo sofferente, poiché la sua sofferenza salvifica è stata aperta una volta per sempre ad ogni sofferenza umana. E tutti coloro che soffrono sono stati chiamati una volta per sempre a diventare partecipi « delle sofferenze di Cristo »(98). Così come tutti sono stati chiamati a « completare » con la propria sofferenza « quello che manca ai patimenti di Cristo »(99). Cristo allo stesso tempo ha insegnato all'uomo a far del bene con la sofferenza ed a far del bene a chi soffre. In questo duplice aspetto egli ha svelato fino in fondo il senso della sofferenza.
VIII
CONCLUSIONE
31. Questo è il senso veramente soprannaturale ed insieme umano della sofferenza. E'soprannaturale, perché si radica nel mistero divino della redenzione del mondo, ed è, altresì, profondamente umano, perché in esso l'uomo ritrova se stesso, la propria umanità, la propria dignità, la propria missione.
La sofferenza certamente appartiene al mistero dell'uomo. Forse essa non è avvolta quanto lui da questo mistero, che è particolarmente impenetrabile. Il Concilio Vaticano II ha espresso questa verità che « in realtà, solamente nel mistero del Verbo Incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo. Infatti..., Cristo che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione »(100). Se queste parole si riferiscono a tutto ciò che riguarda il mistero dell'uomo, allora certamente si riferiscono in modo particolarissimo all'umana sofferenza. Proprio in questo punto lo « svelare l'uomo all'uomo e fargli nota la sua altissima vocazione » è particolarmente indispensabile. Succede anche — come prova l'esperienza — che ciò sia particolarmente drammatico. Quando però si compie fino in fondo e diventa luce della vita umana, ciò è anche particolarmente beato. « Per Cristo e in Cristo si illumina l'enigma del dolore e della morte »(101).
Chiudiamo le presenti considerazioni sulla sofferenza nell'anno nel quale la Chiesa vive il giubileo straordinario, collegato all'anniversario della redenzione.
Il mistero della redenzione del mondo è in modo sorprendente radicato nella sofferenza, e questa, a sua volta, trova in esso il suo supremo e più sicuro punto di riferimento.
Desideriamo vivere quest'Anno della Redenzione in speciale unione con tutti coloro che soffrono. Occorre, pertanto, che sotto la Croce del Calvario idealmente convengano tutti i sofferenti che credono in Cristo e, particolarmente, coloro che soffrono a causa della loro fede in lui Crocifisso e Risorto, affinché l'offerta delle loro sofferenze affretti il compimento della preghiera dello stesso Salvatore per l'unità di tutti(102). Là pure convengano gli uomini di buona volontà, perché sulla Croce sta il « Redentore dell'uomo », l'Uomo dei dolori, che in sé ha assunto le sofferenze fisiche e morali degli uomini di tutti i tempi, affinché nell'amore possano trovare il senso salvifico del loro dolore e risposte valide a tutti i loro interrogativi.
Insieme con Maria, Madre di Cristo, che stava sotto la Croce (103), ci fermiamo accanto a tutte le croci dell'uomo d'oggi.
Invochiamo tutti i Santi, che durante i secoli furono in special modo partecipi delle sofferenze di Cristo. Chiediamo loro di sostenerci.
E chiediamo a voi tutti, che soffrite, di sostenerci. Proprio a voi, che siete deboli, chiediamo che diventiate una sorgente di forza per la Chiesa e per l'umanità. Nel terribile combattimento tra le forze del bene e del male, di cui ci offre spettacolo il nostro mondo contemporaneo, vinca la vostra sofferenza in unione con la Croce di Cristo!
A tutti, Fratelli e Sorelle carissimi, invio la mia Apostolica Benedizione.
Dato a Roma, presso San Pietro, nella memoria liturgica della Beata Maria Vergine di Lourdes, l'11 febbraio dell'anno 1984, sesto di Pontificato.
IOANNES PAULUS PP. II
________________________________________
(1) Col. 1, 24.
(2) Col. 1, 24.
(3) Rom. 8, 22.
(4) Cfr. IOANNIS PAULI PP. II Redemptor Hominis, 14. 18. 21. 22.
(5) Quod Ezechias subiit (cfr. Is. 38, 1-3).
(6) Sic ut Agar timuit (cfr. Gen. 15, 16), Iacob mente finxit (cfr. Gen. 37, 33-35), David expertus est (cfr. 2 Sam. 19, 1).
(7) Id Anna metuit, Tobiae mater (cfr. Tob. 10, 1-7; cfr. edam Ier. 6, 26; Am. 8, 10; Zac. 12, 10).
(8) Talis fuit Abrahae (cfr. Gen. 15, 2), Rachelis (cfr. Gen. 30, 1), Annae, Samuelis matris (cfr. 1 Sam. 1, 6-10), temptatio.
(9) Ut exsulum Babylonica lamentatio (cfr. Ps. 137 [136]).
(10) Quibus v. gr. affectus est Psaltes (cfr. Ps. 22 [21], 17-21), Ieremias (cfr. Ier. 18, 18).
(11) Sic ut accidit Iob (cfr. Iob 19, 18; 30, 1. 9), nonnullis Psaltibus (cfr. Ps. 22 [21], 7-9; Ps. 42 [41], 11; Ps. 44 [43], 16-17), Ieremiae (cfr. Ier. 20, 7), Servo patienti (cfr. Is. 53, 3).
(12) Quibus iterum oppressi sunt nonnulli Psaltes (cfr. Ps. 22 [21], 2-3; Ps. 31 [30], 13; Ps. 38 [37], 12; Ps. 88 [87], 9. 19); Ieremias (cfr. Ier. 15, 17) atque Servus patiens (cfr. Is. 53, 3).
(13) His Psaltes (Ps. 51 [50], 5), testes aerumnarum Servi (cfr. Is. 53, 3-6) et Zacharias Propheta (cfr. Zac. 12, 10) confusi sunt.
(14) Talia passi sunt tum Psaltes (cfr. Ps. 73 [72], 3-14), tum Qoelet (cfr. Qo. 4, 1-3).
(15) Haec perpessi sunt sive Iob (cfr. Iob 19, 19), sive Psaltes nonnulli (cfr. Ps. 41 [40], 10; Ps. 55 [54], 13-15), sive Ieremias (cfr. Ier. 20, 10); Siracides vero de hac miseria meditatur (cfr. Sir. 37, 1-6).
(16) Praeter plures Lamentationum locos, cfr. psalmistarum questus (cfr. Ps. 44 [43], 10-17; Ps. 77 [76], 3-11; Ps. 79 [78], 11; Ps. 89 [88], 51), prophetarum (cfr. Is. 22, 4; Ier. 4, 8; 13, 17; 14, 17-18; Ez. 9, 8; 21, 11-12). Cfr. etiam Azariae orationes (cfr. Dan. 3, 31-40), et Danielis (cfr. Dan. 9, 16-19).
(17) Cfr. e. gr. Is. 38, 13; Ier. 23, 9; Ps. 31 (30), 10-11; Ps. 42 (41), 10-11.
(18) Cfr. Ps. 73 (72), 21; Iob 16, 13; Lam. 3, 13.
(19) Cfr. Lam. 2, 11.
(20) Cfr. Is. 16, 11; Ier. 4, 19; Iob 30, 27; Lam. 1, 20.
(21) Cfr. 1 Sam. 1, 8; Ier. 4, 19; 8, 18; Lam. 1, 20-22; Ps. 38 (37), 9. 11.
(22) Meminisse iuvat radicem Hebraicam r" designare in universum quod malum est et bono oppositum (ţōb), nullamque admittere distinctionem inter sensum physicum, psychicum, ethicum. Invenitur etiam in substantiva forma ra' et rā'ā, significante sine discrimine sive quod malum est in se, sive malam actionem, sive etiam male agentem. In formis verbalibus praeter simplicem illam formam (qal), quae, varia quidem ratione, designat « aliquid malum esse », invenitur etiam forma reflexiva-passiva (niphal), id est « malum subire », « maio corripi », atque forma causativa (hiphil), « malum inferre » seu « irrogare » alicui. Cum autem careat lingua Hebraica verbo Graecae formae respondente, idcirco fortasse verbum id raro in versione a Septuaginta occurrit.
(23) Dan. 3, 27 s.; cfr. Ps. 17 (18), 10; Ps. 36 (35), 7; Ps. 48 (47), 12; Ps. 51 (50), 6; Ps. 99 (98), 4; Ps. 119 (118), 75; Mal. 3, 16-21; Matth. 20, 16; Marc. 10, 31; Luc. 17, 34; Io. 5, 30; Rom. 2, 2.
(24) Iob 4, 8.
(25) Iob 1, 9-11.
(26) Cfr. 2 Macc. 6, 12.
(27) Io. 3, 16.
(28) Iob 19, 25-26.
(29) 1, 29.
(30) Gen. 3, 19.
(31) Io. 3, 16.
(32) Act. 10, 38.
(33) Cfr. Matth. 5, 3-11.
(34) Cfr. Luc. 6, 21.
(35) Marc. 10, 33-34.
(36) Cfr. Matth. 16, 23.
(37) Ibid. 26, 52. 54.
(38) Io. 18, 11.
(39) Ibid. 3, 16.
(40) Gal. 2, 20.
(41) Is. 53, 2-6.
(42) Io. 1, 29.
(43) Is. 53, 7-9.
(44) Cfr. 1 Cor. 1, 18.
(45) Matth. 26, 39.
(46) Ibid. 26, 42.
(47) Ps. 22 (21), 2.
(48) Is. 53, 6.
(49) 2 Cor. 5, 21.
(50) Io. 19, 30.
(51) Is. 53, 10.
(52) Cfr. Io. 7, 37-38.
(53) Is. 53, 10-12.
(54) Iob. 19, 25.
(55) 1 Petr. 1, 18-19.
(56) Gal. 1, 4.
(57) 1 Cor. 6, 20.
(58) 2 Cor. 4, 8-11. 14.
(59) Ibid. 1, 5.
(60) 2 Thess. 3, 5.
(61) Rom. 12, 1.
(62) Gal. 2, 19-20.
(63) Ibid. 6, 14.
(64) Phil. 3, 10-11.
(65) Act. 14, 22.
(66) 2 Thess. 1, 4-5.
(67) Rom. 8, 17-18.
(68) 2 Cor. 4, 17-18.
(69) 1 Petr. 4, 13.
(70) Luc. 23, 34.
(71) Matth. 10, 28.
(72) 2 Cor. 12, 9.
(73) 2 Tim. 1, 12.
(74) Phil. 4, 13.
(75) 1 Petr. 4, 16.
(76) Rom. 5, 3-5.
(77) Cfr. Marc. 8, 35; Luc. 9, 24; Io. 12, 25.
(78) Col. 1, 24.
(79) 1 Cor. 6, 15.
(80) Io. 3, 16.
(81) Luc. 9, 23.
(82) Cfr. ibid.
(83) Cfr. Matth. 7, 13-14.
(84) Luc. 21, 12-19.
(85) Io. 15, 18-21.
(86) Ibid. 16, 33.
(87) 2 Tim. 3, 12.
(88) Col. 1, 24.
(89) Cfr. Eph. 6, 12.
(90) Luc. 10, 29.
(91) Ibid. 10, 33-34.
(92) Gaudium et Spes, 24.
(93) Luc. 4, 18-19; cfr. Is. 61, 1-2.
(94) Act. 10, 38.
(95) Matth. 25, 34-36.
(96) Ibid. 25, 40.
(97) Ibid. 25, 45.
(98) 1 Petr. 4, 13.
(99) Col. 1, 24.
(100) Gaudium et Spes, 22.
(101) Gaudium et Spes, 22.
(102) Cfr. Io. 17, 11. 21-22.
(103) Cfr. ibid. 19, 25.
http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html

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