DON ANTONIO

lunedì 3 ottobre 2011

Sperare e pensare di Jürgen Moltmann

in Teologia della speranza, Brescia, 1970, 26-29.
(...) Nel Medioevo Anselmo di Canterbury aveva fissato il principio che da allora è rimasto normativo per la teologia: fides quaerens intellectum - credo ut intelligam. Tale principio vale anche per la escatologia, e può darsi che oggi sia estremamente importante per la teologia cristiana seguire il principio: spes quaerens intellectum - spero ut intelligam. Se davvero la speranza sostenta, sostiene e fa avanzare la fede, se trascina il credente nella vita di amore, la speranza è anche la forza che mette in azione e sospinge il pensiero della fede, la sua conoscenza e la sua riflessione sulla natura umana, sulla storia e sulla società. La fede spera per conoscere ciò che crede. Perciò tutta la sua conoscenza, in quanto anticipatoria, frammentaria e preludente al futuro che è stato promesso, è affidata alla speranza. E viceversa, per lo stesso motivo, la speranza che nasce dalla fede nella promessa di Dio, diventa lo stimolo del pensiero, la sua molla, il suo tormento, la fonte della sua inquietudine. La speranza, sempre sospinta in avanti dalla promessa di Dio, mette in luce l'orientamento escatologico e la provvisorietà escatologica di tutto il pensiero situato nella storia. Se la speranza conduce la fede sul terreno del pensiero e della vita, essa non può più distinguersi, come speranza escatologica, dalle piccole speranze che tendono verso scopi raggiungibili e cambiamenti visibili nell'ambito della vita umana, basando tale distinzione sul fatto di confinare queste speranze in un ambito diverso e di considerare il proprio futuro come ultraterreno e puramente spirituale. La speranza cristiana è diretta verso un novum ultimum, verso la nuova creazione di tutte le cose ad opera del Dio della risurrezione di Cristo. Essa apre così una prospettiva di futuro che ricomprende ogni cosa, anche la morte; essa può e deve ricondurre in quella prospettiva anche le limitate speranze di rinnovamento della vita, suscitandole, relativizzandole e orientandole.

In queste speranze di maggiore libertà dell'uomo, di riuscita nella vita, di giustizia e dignità per il prossimo, di dominio delle possibilità naturali, essa distruggerà la presunzione poiché essa non trova in questi movimenti la salvezza che attende e non accetta che queste utopie e la loro realizzazione la riconcilino con il presente stato di cose. Queste visioni di un futuro migliore, più umano e più pacifico nel mondo essa le supera fondandosi sulle sue "migliori promesse" (Ebr. 8,6), perché sa che nulla è 'molto buono' finché 'ogni cosa non sia nuova'. Tuttavia essa non cercherà di distruggere in nome di una 'fiduciosa disperazione' la presunzione che c'è in questi movimenti di speranza: in quelle presunzioni si nasconde più speranza autentica che non nello scettico realismo, e anche una maggiore verità. Contro la presunzione non serve la disperazione che dice "in fondo tutto rimane sempre uguale", ma serve soltanto il correttivo della salda speranza che si articola in pensiero e azione. Il realismo, e men che meno il cinismo, non sono mai stati buoni alleati della fede cristiana. Se però la speranza cristiana distrugge la presunzione che si trova nei movimenti che guardano al futuro, non lo fa a beneficio proprio, ma per distruggere i germi di rassegnazione che si annidano in quelle speranze e che si palesano al più tardi nel terrorismo ideologico delle utopie nelle quali la sperata riconciliazione con l'esistenza diventa una riconciliazione forzata. Ma così i movimenti che cercano di trasformare la storia vengono ricompresi nella prospettiva del novum ultimum della speranza. Essi sono accolti e portati avanti dalla speranza cristiana. Diventano dei movimenti precursori e pertanto anche provvisori. Le loro finalità perdono la propria rigidezza utopistica e diventano perciò finalità provvisorie, penultime e quindi modificabili. Di fronte a questi impulsi che orientano la storia dell'umanità, la speranza cristiana non può attenersi testardamente al passato e alla realtà data alleandosi con l'utopia dello statu quo. Ma è invece chiamata e autorizzata a operare una trasformazione creativa della realtà, perché essa ha speranza per l'intera realtà. Infine la speranza della fede diventa essa stessa una fonte inesauribile cui attinge la immaginazione creativa e inventiva dell'amore. Essa provoca e produce costantemente un pensiero anticipatore che è. pensiero d'amore per l'uomo e per il mondo, affinché le nuove possibilità che emergono assumano una forma consona alle cose future promesse, affinché per quanto possibile si creino qui le cose migliori possibili, poiché le cose promesse sono nell'ambito del possibile. Essa susciterà quindi costantemente la "passione per ciò che è possibile", l'inventiva e l'elasticità per autotrasformarsi, per uscire dal vecchio e adattarsi al nuovo. Da questo punto di vista la speranza cristiana ha sempre operato in senso rivoluzionario nella storia del pensiero delle società che ne sono state toccate. Spesso però quegli impulsi erano attivi non nella cristianità ecclesiastica ma in quella settaria. Con danno dell'una e dell'altra.

Ma in che modo si può avere una conoscenza ed esercitare una riflessione sulla realtà a partire dalla realtà escatologica? Lutero ha avuto una volta un lampo di ispirazione al riguardo, ma né egli stesso né la filosofia protestante l'hanno realizzato. A proposito del1' 'aspettazione della creazione' di cui Paolo parla in Rom. 8,19 egli scrive nel 1516: "L'apostolo pensa e ragiona sulle cose in modo diverso dai filosofi e dai metafisici. Infatti i filosofi volgono lo sguardo al presente delle cose e riflettono soltanto sulle loro qualità e caratteri. Invece l'apostolo ci fa distogliere lo sguardo dalla contemplazione dello stato presente delle cose, dalla loro essenza e qualità, e fa sì che lo rivolgiamo a quello che esse saranno in futuro. Infatti egli non parla dell'essenza o dell'attività della creazione né dell'actio o passio o del moto ma, usando un termine teologico nuovo e singolare, parla dell'attesa della creazione (expectatio creaturae)". Per noi è importante il fatto che egli, fondandosi su una comprensione teologica della 'aspettazione della creazione' e della sua attesa, esiga un nuovo modo di pensare riguardo al mondo, un modo di pensare in categorie di aspettazione che sia consono alla speranza cristiana. Fondandosi sulle prospettive promesse a tutta la creazione nella risurrezione di Cristo, la teologia dovrà giungere a una sua propria, nuova riflessione sulla storia degli uomini e delle cose. Sul terreno del mondo, della storia e della realtà complessiva, l'escatologia cristiana non può rinunziare all'intellectus fidei et spei. L azione creativa sgorgante dalla fede è impossibile senza un nuovo modo di pensare e di progettare, che nasca dalla speranza.

Riguardo alla conoscenza, alla comprensione e alla riflessione sulla realtà, ciò significa per lo meno che nell'atmosfera della speranza i concetti teologici non diventano dei giudizi che fissano la realtà così com'è, bensì delle anticipazioni che svelano le sue prospettive e le sue possibilità future. I concetti teologici non fissano la realtà, ma vengono allargati dalla speranza ed anticipano l'essere futuro. Essi non seguono zoppicando la realtà, non la guardano con gli occhi notturni della civetta di Minerva, ma la illuminano mostrandole il suo futuro. La loro conoscenza non è determinata dalla volontà di dominio, ma dall'amore per il futuro delle cose. "Tantum cognoscitur quantum diligitur" (Agostino). Sono dunque concetti che vengono compresi entro un processo di movimento e che suscitano movimenti e trasformazioni pratiche.

"Spes quaerens intellectum" è il primo passo verso l'escatologia e, quando riesce, diventa docta spes.

http://www.dimensionesperanza.it/dossier-speranza/item/476-sperare-e-pensare-jürgen-moltmann.html

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