DON ANTONIO

lunedì 10 ottobre 2011

LA MALATTIA: COME AFFRONTARLA CRISTIANAMENTE?

La Fede cristiana afferma che Dio non ha creato la malattia. Essa è entrata nel mondo a causa del primo peccato, commesso dall’uomo Adamo e dalla donna Eva, allorquando, tentati dal Diavolo, abusando della loro libertà, hanno disobbedito a Dio: volevano essere superiori allo stesso Dio e bramavano di conseguire il loro fine al di fuori di Dio. In seguito i peccati di ogni singola persona non faranno che accrescere il mondo delle sofferenze umane.
Dio quindi non vuole la malattia; non ha creato il male e la morte. Ma, dal momento in cui queste, a causa del peccato, sono entrate nel mondo, il suo amore è tutto proteso a risanare l’uomo, a guarirlo dal peccato e da ogni male e a colmarlo di vita, di pace e di gioia. Per questo ha inviato il Suo Figlio Gesù, che è morto e risorto per liberare l’uomo dal peccato e dalle sue conseguenze.
Qual è il senso della malattia?
La malattia, che tocca prima o poi tutti e coinvolge la persona a tutti i livelli (da quello fisico a quello psicologico, spirituale, morale), è, e rimane pur sempre un mistero, un enigma.
La scienza e la tecnica possono aiutare a trovare una risposta alla malattia. Esse possono curarla, alleviarla, eliminarla almeno in parte, ma non potranno mai eliminarla del tutto, e soprattutto non potranno mai dare una risposta soddisfacente agli interrogativi fondamentali che la sofferenza, la malattia, la stessa morte suscitano nel cuore dell’uomo.
Occorre approfondire il senso della malattia, del dolore, della sofferenza tenendo presenti anche i loro fondamenti medico-scientifici, storici, filosofici, biblici, teologici.
È importante in particolare approfondire i testi della S. Scrittura sulla visione della sofferenza, sul senso della morte.
Il senso ultimo di tali realtà lo si può scoprire soltanto alla luce della Fede cristiana: “Per Cristo e in Cristo riceve luce quell’enigma del dolore e della morte, che al di fuori del Vangelo ci opprime” (Gaudium et spes, 22).
Dio infatti non ha risparmiato la sofferenza e perfino la morte al Suo stesso divin Figlio Gesù, il quale vince il peccato e gli effetti di questo (la malattia, la sofferenza, la violenza e la morte) con la Sua morte in croce e soprattutto con la Sua Risurrezione.
E questa vittoria Cristo la riporta anzitutto per se stesso, distruggendo la morte con la Sua Risurrezione, e poi anche per noi. Infatti, mediante il Battesimo da Lui istituito, ci viene perdonato il peccato originale e risorgiamo alla vita dei figli di Dio. Durante poi tutto il corso della nostra vita quaggiù sulla terra, lottando contro il peccato e le sue conseguenze, riportiamo con Cristo la nostra vittoria, che per ora è parziale, in attesa di quella definitiva che Cristo attuerà per noi alla fine di questo mondo, allorquando ogni sofferenza, malattia, morte saranno da Lui definitivamente distrutte.
Pertanto, la sofferenza può diventare sereno abbandono alla volontà divina e partecipazione al sacrificio di Cristo.
Come si è comportato Cristo nei confronti dei malati?
Cristo, nella sua vita terrena, ha avuto una particolare predilezione verso i malati e i sofferenti. Infatti:
ha prediletto coloro che soffrono;
ha guarito molti ammalati, che a Lui ricorrevano con fiducia: tali guarigioni mostrano che Gesù è veramente ‘Dio che salva’;
non è venuto tuttavia per eliminare tutti i mali quaggiù, ma per liberare gli uomini dalla più grave delle schiavitù: quella del peccato, che è la causa di tutti i mali e sofferenze;
si è identificato con il malato: “Ero malato e mi avete visitato” (Mt 25,36); “Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie” (Mt 8,17);
ha affidato ai suoi discepoli il ministero della guarigione, dicendo loro: “Guarite gli infermi” (Mt 10,8);
ha istituito in particolare due Sacramenti per i malati: l’Eucaristia (in quanto Viatico) e il Sacramento dell’Unzione dei malati;
ha insegnato a quelli che lo seguivano a trascendere la sofferenza e a darle un significato salvifico;
ha invitato tutti i suoi seguaci ad essere disposti a soffrire con lui e come lui: “Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16,24);
ha assicurato il suo aiuto: “Ti basta la mia grazia: la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza” (2 Cor 12,9);
continua a essere con noi e per noi, soprattutto nei nostri momenti di sofferenza.
Ma Gesù Cristo ha fatto anche molto di più:
ha vissuto, Lui stesso, la sofferenza, fino alla morte e alla morte di croce;
non solo ha dato un senso al dolore, ma anche gli ha conferito un potere nuovo, una misteriosa fecondità;
ha vinto, risorgendo, la sofferenza e la morte, per sé e per noi.
Qual è il compito della Medicina?
Servire sempre la vita: promuovendola e difendendola dal suo concepimento fino al suo tramonto naturale. Anche quando sa di non poter debellare una grave patologia, dedica le proprie capacità a lenirne le sofferenze.
Riconoscere e rispettare (o almeno non escludere) la dimensione trascendente, morale e spirituale della vita umana.
Attuare e accrescere la ricerca e il progresso scientifico:
come strumento formidabile per migliorare le condizioni di vita e di benessere;
nel rispetto dell’intangibilità di ogni singolo essere umano;
evitando ogni volontà di sopraffazione e di dominio.
Fare continuamente un’attenta riflessione sulla natura stessa dell’uomo, sulla sua dignità di essere umano creato da Dio a sua immagine e somiglianza. Tale dignità inviolabile dell’uomo
pone l’uomo al centro e al vertice di tutto ciò che esiste sulla terra;
trova il suo fondamento:
nel mistero della Creazione, e in quello della Redenzione, operata da Gesù Cristo, il Figlio eterno di Dio, Verbo della Vita;
nella destinazione dell’uomo, il quale è chiamato ad essere figlio di Dio nel Figlio (Gesù Cristo) e tempio vivo dello Spirito Santo, nella prospettiva dell’eterna vita di comunione beatificante con Dio;
va rispettata in qualunque circostanza o condizione l’uomo si trovi e a qualunque stadio della sua crescita esso si trovi (embrione, feto, bambino, adulto, anziano o morente). Neppure la sofferenza, lo stato di incoscienza, l’imminenza della morte diminuiscono l’intrinseca dignità della persona.
Ricordare che il servizio della medicina alla vita e alla salute è sempre e comunque un servizio che rimanda al senso della sofferenza e della morte.
Lasciarsi vivificare dall’ispirazione cristiana, la quale non toglie nulla all’uomo e alla ricerca scientifica, ma anzi la sostiene, la illumina e la indirizza al vero e integrale benessere di ogni persona e di tutta la persona.
Non dimenticare mai che "la misura dell'umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente. Questo vale per il singolo come per la società. Una società che non riesce ad accettare i sofferenti e non è capace di contribuire mediante la com-passione a far sì che la sofferenza venga condivisa e portata anche interiormente è una società crudele e disumana" (Benedetto XVI, Spe salvi, 38).
Qual è il compito dei medici?
Essere i servitori della vita, che è sempre un bene in se stessa e per se stessa, rispettandola in qualunque tappa si trovi, ma soprattutto in quelle in cui è più debole, come quelle iniziali e terminali.
Rispettare i principi etici che hanno le loro radici nello stesso Giuramento di Ippocrate, il quale afferma che:
non vi sono vite indegne di essere vissute;
non vi sono sofferenze, per quanto penose, che possano giustificare la soppressione di un’esistenza;
non vi sono ragioni, per quanto alte, che rendano plausibile la creazione di essere umani destinati ad essere utilizzati e distrutti.
Contribuire fattivamente ad eliminare i motivi di sofferenza che umiliano e rattristano l’uomo, e ad edificare un mondo sempre più rispondente alla dignità dell’essere umano.
Porsi in ascolto di ogni uomo, senza distinzione né discriminazione alcuna, ed accogliere tutti per alleviare le sofferenze di ciascuno.
Vedere nel malato non un numero clinico, ma una persona alla quale avvicinarsi con umanità e partecipazione: nonostante tutto, il malato resta più grande della sua malattia e la sua vita più grande di ciò che la minaccia. La medicina dunque come servizio alla persona e non come potere sulla persona.
Curare sì la malattia, ma soprattutto il malato, tenendo presente la complementarietà e l’interdipendenza di tutte le dimensioni della persona (fisiche, affettive, morali, spirituali, familiari, sociali…).
Tener presente che la salute è una realtà che abbraccia la totalità dell'essere, includendo tutti i suoi dinamismi psicospirituali: perciò la persona sana non è solo quella in buona salute fisica o psicologica, ma anche quella in buona salute spirituale.
Andare incontro alle necessità di tutta la persona, ricordando che l’unica risposta veramente umana, di fronte alla sofferenza altrui, è l’amore che si prodiga nell’accompagnamento e nella condivisione.
Aggiungere all’apporto insostituibile della propria professionalità, il ‘cuore’, che solo è in grado di arrivare al ‘cuore’ dell’ammalato e di umanizzare le strutture.
Il medico deve operare le sue scelte tenendo conto anche di un triplice livello di valutazione: giuridico, deontologico, morale.
Vivere la propria professione come dono di sé all’ammalato (carità professionale).
Ricordarsi che esiste una relazione direttamente proporzionale tra la capacità di soffrire e la capacità di aiutare chi soffre: chi è disposto ad accettare e sopportare con forza interiore e con serenità le proprie sofferenze è anche la persona più sensibile al dolore altrui e più dedita a lenire i dolori degli altri.
Attuare la vera compassione, la quale:
promuove ogni ragionevole sforzo per favorire la guarigione del paziente;
accompagna il paziente con amorevole rispetto e dedizione durante l’intero decorso della sua malattia, ponendo in atto tutte le azioni e le attenzioni possibili per diminuirne le sofferenze e favorirne un vissuto per quanto possibile sereno;
ascolta le richieste del malato, il quale ha sì il diritto di chiedere ad esempio la sospensione di una cura: non è detto però che il medico debba accogliere tale richiesta soprattutto quando questa comporterebbe un atto di eutanasia;
stimola la solidarietà e la condivisione non solo accanto e per chi soffre senza più speranze, ma anche accanto e per chi vive l’esperienza del dolore di una persona cara;
nello stesso tempo aiuta a fermarsi quando nessuna azione risulta ormai utile alla guarigione.
Qual è il compito dei medici cattolici?
Attuare gli stessi impegni sopradescritti comuni ai medici non cattolici, con maggiore dedizione e spirito di abnegazione, testimoniando l’amore di Cristo per i malati.
Prestare attenzione alla dimensione spirituale dell’uomo, avendo ben presente il senso cristiano della vita e della morte, e la funzione del dolore nella vicenda umana.
Rispettare sempre e fedelmente la legge di Dio, attuando se necessario anche l’obiezione di coscienza nei confronti di leggi fatte dagli uomini che contraddicono la legge divina.
Saper riconoscere in ogni ammalato lo stesso Cristo, i lineamenti del Suo Volto divino: prendendosi cura dell’ammalato, il cristiano sa di prendersi cura di Cristo stesso (cfr. Mt 25,35-40).
Attingere dalla Fede cristiana il conforto nella propria sofferenza e la capacità di lenire la sofferenza altrui.
Essere:
lo strumento dell’amore misericordioso di Dio;
la trasparenza di Cristo, che, quale buon Samaritano per eccellenza, si prende cura degli ammalati.
Collaborare con quanti sono impegnati nella pastorale della sofferenza.
Vivificare il proprio servizio medico con la preghiera costante a Dio, “amante della vita” (Sap 11,26), ricordando sempre che la guarigione, in ultima istanza, viene dall’Altissimo, per l’intercessione particolare anche della Vergine Maria invocata come Salus infirmorum et Mater Scientiae.
Mettere in atto non solo le cure mediche, ma anche le cure spirituali, le quali costituiscono non solo un bisogno sentito, ma addirittura un diritto fondamentale di ogni malato, con la conseguente responsabilità di coloro che lo assistono.
Interrogarsi sulla propria spiritualità, sul sistema di valori che guida la propria esistenza, sulle risposte che nascono nel cuore agli interrogativi concernenti il significato della sofferenza e della morte.
Portare il conforto cristiano ai malati e ai loro familiari.
Preparare il malato inguaribile alla morte, dicendogli la verità seppure con gradualità, scegliendo il momento e il linguaggio adatto, evitando qualsiasi congiura del silenzio, e soprattutto annunciandogli dove è possibile la “vita che non muore”.
Favorire da parte del malato la richiesta e l’accoglienza nella Fede, dei Sacramenti che Cristo ha istituito anche per aiutare spiritualmente l’ammalato: i Sacramenti della Confessione, dell’Eucaristia (in particolare come Viatico) e dell’Unzione dei malati.
Quali aspetti positivi provengono dalla malattia?
La malattia può:
Aiutare a prendere coscienza del nostro limite, della nostra umana fragilità, della provvisorietà del nostro cammino qui sulla terra.
Dare origine a una fitta e larga rete di solidarietà a livello familiare e sociale (volontariato). Solo una concezione prettamente utilitaristica induce a pensare che la malattia di una persona sia sempre e comunque un deficit a livello personale, familiare e sociale.
Offrire la possibilità di saper leggere il disegno di Dio nella propria vita. La “chiave” di tale lettura è costituita dalla Croce di Cristo. Il Verbo incarnato si è fatto incontro alla nostra debolezza assumendola su di sé nel mistero della Croce. Chi sa accoglierla nella sua vita sperimenta come il dolore, illuminato dalla Fede, diventi fonte di speranza e di salvezza.
Costituire una concreta possibilità, offerta alla nostra libertà, per decidere quale compimento scegliere per la nostra esistenza.
Avere anche un valore redentivo per sé e per gli altri. Se la sofferenza è unita a quella di Cristo, diviene partecipazione all’opera salvifica di Gesù Cristo, diventa mezzo e offerta vivente per la salvezza del mondo, può recare benefici morali e spirituali al paziente e all’umanità. “Io completo nella mia carne ciò che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1,24).
Invitarci a fare nostra l’affermazione di Giobbe: «Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremo accettare il male? (…) Il Signore ha dato, il Signore ha tolto; sia benedetto il nome del Signore» (Gb 2,10; 1,21);
Aiutarci a scoprire il vero volto di Dio: la realtà del male, delle sofferenze, delle guerre, non induce a negare Dio, piuttosto "ci aiuta a purificare ogni falsa concezione di Dio e ci conduce a scoprirne il volto autentico: il volto di un Dio che, in Cristo, si è caricato delle piaghe dell'umanità ferita. Il Signore non ha tolto la sofferenza e il male dal mondo, ma li ha vinti alla radice con la sovrabbondanza della sua Grazia" (Benedetto XVI, Messaggio Urbi et Orbi, Pasqua 2007).
NB: per approfondire tale argomento, si leggano i seguenti documenti pontifici:
Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC), nn. 309-314; 1499-1525;
Compendio del CCC, nn. 57-58; 313-320;
Giovanni Paolo II:
Salvifici Doloris, 1984;
Evangelium vitae, 1995;
Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF):
Donum vitae, 1987;
Risposte a quesiti della Conferenza Episcopale Statunitense circa l'alimentazione e l'idratazione artificiali, 1 agosto 2007.

http://www.sancarlo.pcn.net/argomenti_nuovo/pagina41.html

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