DON ANTONIO

venerdì 7 ottobre 2011

DIO DEI VIVENTI E NON DEI MORTI: RISURREZIONE DI CRISTO E SENSO ULTIMO DELL’UOMO di Urbano de las Heras

Gesù è risorto ed è il Signore. Su questa proclamazione hanno giocato totalmente le loro esistenze i primi discepoli di Cristo.
La storia di Gesù, «profeta potente in opere e parole davanti a Dio e davanti a tutto il popolo» (Lc. 24,19), si è chiusa con un fallimento. Il suo progetto e la sua persona sono stati ridotti all’assurdo dalla decisione del Sinedrio dei giudei e dalla sentenza del Procuratore dell’impero romano.
«Ebbene, Dio ha risuscitato questo Gesù… e lo ha costituito Signore e Messia» (At. 2, 32.36).
Quali esperienze hanno condotto i discepoli a testimoniare con tanta forza questa fede? Qual’è il contenuto di questo avvenimento singolare, che sconvolge nelle sue intime fibre tutta la storia degli uomini?
Lo scopo principale di questa relazione consiste nell’analizzare il processo interno alla resurrezione di Gesù; e vedere contemporaneamente, come l’enigma dell’uomo, il senso dell’evoluzione del mondo e della storia umana, si svela nella morte e risurrezione del Figlio di Dio.
Morte e risurrezione non sono due avvenimenti separabili nel divenire del tempo. La morte di Gesù, che, in virtù dello Spirito eterno, è donazione di sé al Padre e ai fratelli (Eb. 9,14), si trasforma dal di dentro in vita e risurrezione.
La morte è il volto storico di un processo interno avvenuto nell’uomo Gesù, che lo ha condotto dalla piena assunzione del morire umano, morire nella condizione di peccato (Gal 3,13), al vivere in Dio per la vita eterna.
La risurrezione è il volto interiore della sua morte, accessibile solamente all’uomo che crede; poiché, chi non è rinato dallo Spirito (Gv. 3,13), non può contemplare le solide realtà del mondo nuovo che comincia a nascere.
La morte di Gesù è un avvenimento umano e divino; contiene in sé la risurrezione. In essa Dio è disceso fino all’abisso dove l’essere dell’uomo proietta la sua ombra; ha fatto suo il nostro peccato; e l’umanità ha potuto aprirsi allo spazio di Dio.
Grazie alla forza dello Spirito, che, nascendo dalla croce, arriva per la fede al cuore dei credenti, si è potuto svelare il momento più denso di tutta la storia umana: la morte del Figlio di Dio fatto carne.
In questo avvenimento singolarissimo, si è rivelata l’identità di Dio e l’identità dell’uomo. Le sue domande fondamentali che affiorano alle radici della coscienza umana hanno trovato, lì, la loro risposta; chi è Dio? chi è l’uomo?


I. Chi è Dio

a La risurrezione di Gesù come accesso dell’umanità all’intimità personale di Dio
In Gesù, il Verbo di Dio si è fatto carne (Gv. 1,14). Questo mistero è rivelato ai credenti nel cammino storico dei primi anni del cristianesimo. I primi cristiani, a partire dalla chiara esperienza della risurrezione, hanno potuto leggere in profondità la storia umana di Gesù; e ci hanno lasciato, come prova evidente della loro fede, la testimonianza scritta del Nuovo Testamento.
Gli avvenimenti della vita del figlio di Maria e di Giuseppe, l’umile falegname di Nazareth, sono stati la rivelazione della realtà intima del Dio vivente.
Il Signore, che aveva stretto alleanza con il popolo d’Israele, adesso, non è più un semplice alleato, si è fatto popolo; la storia di Gesù e la storia del suo popolo s’identificano. Dio è entrato personalmente nelle relazioni familiari, sociali e cosmiche degli uomini. Una voce ha potuto proclamare in verità: «E’ stato detto agli antichi… ma io vi dico» (Mt. 5,21ss). Siamo davanti alla rivelazione ultima e definitiva di Dio, nella quale il Tempio, la Legge e le manifestazioni sacre di tutti i tempi trovano la loro pienezza (Eb 1,2ss).
Nella carne umana di Gesù i suoi amici hanno contemplato e toccato il Verbo della vita (1 Gv. 1,1)
E mentre la persona del Verbo, condotta dallo Spirito, va realizzando la definizione di Dio nelle viscere della carne e dello spirito umano, contemporaneamente, l’umanità di Gesù si costruisce, in ogni istante della sua esistenza, nello spazio di Dio: è risuscitata, ascesa, vissuta nel cuore ammirabile della vita trinitaria.
L’opacità che caratterizza la vita umana consegnata alla morte, svanisce in Gesù davanti al potere trasformante della Vita. Qui si sta gestando l’uomo nuovo, il primogenito della nuova umanità; «Qui c’è qualcosa di nuovo» (2Cor. 5,17), che raggiunge dimensioni trascendenti e immortali. Qui si costruisce il futuro, che non è semplice divenire di un tempo omogeneo, ma novità di esistenza.
Mai la carne umana si era addentrata fino a questo punto nell’intimità di Dio. La tenerezza del Padre, per l’unzione dello Spirito Santo, ha consacrato Gesù nella sua umanità come Figlio prediletto (Mc. 1,9-11).
La morte di Gesù è pienamente coerente con la sua traiettoria storica. Egli, rimanendo fedele a se stesso deve affrontare nella debolezza della sua condizione umana, i poteri di questo mondo. Gesù facendo per mezzo dello Spirito la radicale oblazione di se stesso al Padre, ci rivela l’identità di Dio; e consegnando se stesso agli uomini per la stessa forza dello Spirito, realizza e svela una volta per tutte la vera identità della persona umana. Così «è divenuto la pietra angolare: nessun altro può salvare; sotto il cielo non ci è dato un altro nome che possa salvarci» (At. 4,11-12).
Tutto questo processo non significa che il Verbo di Dio si è liberato della carne per tornare al Padre; significa, invece, che ha introdotto la libertà nella carne per configurarla secondo Dio.
Siamo davanti a una trasmutazione qualitativa avvenuta nel processo evolutivo dell’umanità. L’omo si è trasfigurato entrando in un nuovo mondo di relazioni; la carne umana raggiunge un modo di esistenza divino, che nella felice espressione di S. Ireneo potrebbe tradursi come “caro oblita sui”[1], carne che è passata dalla condizione di animale vivente a quella di Spirito che dà la vita (1Cor. 15, 45).
Non abbiamo più un corpo chiuso in se stesso, bensì aperto come donazione ai fratelli. L’uomo totale, nell’indissolubile unità di carne e di spirito, è divenuto pienamente permeabile e docile alla persona del Verbo; mantiene la totale singolarità dell’essere umano, ma, unito intimamente, glorificato, esaltato nella struttura personale del Dio vivo.
Non è un corpo che è stato violentato e distrutto dal di fuori per essere incorporato in una unità biologica superiore, come avviene nel mondo naturale che si offre alla nostra osservazione. L’umanità di Gesù è stata condotta dalla virtù personale del Verbo – che non è violenza, essendo totalmente fedele a se stessa, abbia accesso al santuario del cielo, che è Dio stesso.
E’ la stessa carne, lo stesso uomo; ma le relazioni intime, annidate germinalmente nel nucleo della sua realtà mondana, si sono sviluppate raggiungendo la pienezza di una nuova prospettiva. Adesso è molto più se stessa; si addentra maggiormente nella verità definitiva di Dio nel cuore del mondo e anche nell’accostamento agli uomini[2].
Si è avvicinato in modo incredibile al modo di essere e comunicarsi proprio delle persone divine. La persona del Verbo raggiunge, in piena connaturalità, le cellule ultime della carne vivente, per esprimere in esse e per esse l’offerta di se stesso. Certamente, il dimenticarsi, il perdere la vita per incontrarla[3], sta alla radice della carne umana; solo in questo modo si può giungere alla piena umanizzazione e personificazione del corpo umano
La necessaria conseguenza di questa esaltazione è la signoria di Cristo. Gesù risorto possiede nella sua umanità la concentrazione del potere, un potere che è servizio, pienezza che si diffonde sull’intera creazione, capace di ricapitolare in Sé tute le cose per la forza dello Spirito (Ef. 1,10-23).
Quando l’umanità del credente, per l’unzione dello stesso Spirito, s’impregna di questa gloria di Cristo, proclama commossa: «Gesù è il Signore» e fa suo il cantico nuovo dell’Apocalisse:
«L’Agnello immolato è degno
di ricevere il potere, la ricchezza,
la sapienza, la forza,
l’onore, la gloria e la lode» (Ap. 5,12)


b. La risurrezione di Gesù come presenza dell’umanità di Cristo nel mondo
«Sappiate che Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt. 28,30)
Risorgere non è una lontananza, ma una presenza più intima negli uomini e nelle cose. Gesù è entrato in una dimensione definitiva e ultima; ma questa dimensione è attivamente presente, come la forza più potente, nel cuore di tutti gli esseri. Il Signore è, ora, la chiave che struttura la persona umana, e la base che sostiene le radici ultime della convivenza tra gli uomini.
Se possiamo contemplare la gloria di Cristo nel Regno del Padre, si deve alla sua presenza gloriosa nella nostra storia. La comunità dei credenti lo confessa come «l’alfa e l’omega, il primo e l’ultimo, il principio e la fine» (Ap. 22,13), perché avverte in se stessa la presenza di Gesù, presenza attiva e creatrice, capace di sostenere dinamicamente l’universo (Col. 1,17); e ha preso coscienza della forza, che, emanando da Cristo, ha il potere di sottomettergli tutto (Fil. 3,21).
Il corpo risorto, entrando in una nuova dimensione dell’essere, rimane totalmente libero agli stretti limiti che lo inseriscono nelle coordinate spazio-temporali. Corpo e spirito, legati indissolubilmente alla persona del Verbo, raggiungono quella libertà cosmica, che spinge Giovanni Paolo II a proclamare Gesù «il centro del cosmo e della storia» (R.H. n.1). Per la stessa ragione, il Cardinale Meouchi patriarca maronita, intende la risurrezione di Gesù come «un avvenimento cosmico, universale, immanente al mondo materiale, che lo eleva, unendo l’umanità, dandole lo Spirito Santo per fare di essa il corpo mistico, il popolo di Dio»[4].
Adesso la carne umana può raggiungere l’uomo nel nucleo della sua struttura personale; non invano ha raggiunto nel Verbo la pienezza della dimensione personale. Il corpo del Messia è entrato nell’ambito delle relazioni personali divine; soavemente spogliato della sua opacità carnale, passa allo spazio personalista del suo essere Dio; e, in questo modo, raggiunge possibilità di presenza nel mondo insospettate per la mente umana. Assunto in piena connaturalità da una persona divina, gode nella sua glorificazione di un potere singolare di presenza e di azione; in esso la persona del Verbo possiede una porta intima di accesso ad ogni uomo.
La presenza divina del Verbo, che affiora adesso in totale simpatia nelle ultime pieghe della carne risuscitata, ha ottenuto questo potere nelle sua natura umana, grazie al dono che Gesù, per la forza dell’Amore, ha fatto di se stesso nella carne (Fil. 2, 8-11).
Lo Spirito Santo ha condotto Gesù lungo tutta la sua esistenza terrena (Lc. 4,2).
Gesù, da parte sua, nella donazione di se stesso avvenuta sulla croce, ha ricevuto la pienezza definitiva dello Spirito (At. 2,33); e ora ha il potere di effonderlo su tutti gli uomini, unendoli così al corpo di salvezza, che è la Chiesa (At. 2,33.38).
Una volta che i credenti, per la fede, hanno ricevuto nel loro cuore lo Spirito Santo, scatta nella loro esistenza umana una dialettica personale sorprendente simile a quella avvenuta in Cristo. L’umanità del credente, soprattutto il suo “io” personale, comincia ad essere introdotta nell’ambito delle relazioni trinitarie. E lo Spirito Santo, che è dono e caparra di Dio, fa presenti nell’uomo il Padre e il Figlio (Gv. 14,23) per la forza intrinseca che i teologi hanno definito “circummimsessio trinitaria”: le persone divine sono così intimamente fuse tra loro che la presenza dello Spirito Santo comporta necessariamente la presenza del Padre e del Figlio.
L’umanità di Gesù, indissolubilmente sposata alla persona del Verbo, raggiunge, in obbedienza interiore alla sua persona, possibilità di presenza molteplice che debordano ampiamente la capacità percettiva dei credenti.
In questo modo, lo Spirito Santo, nel suo modo attuale di stare nel mondo, nasce dal Cristo risorto. Lo Spirito diviene ora il creatore della presenza multiforme dello stesso Gesù tra gli uomini.
Quando Paolo VI invita i teologi e i credenti ad approfondire la conoscenza dello Spirito Santo[5], sta indicando la strada che ci conduce ad una migliore intelligenza di Gesù presente nella nostra vita. Questo mistero può essere inteso correttamente solo nella chiave personale dell’amore che ci dona lo Spirito. Percepire, sentire e sperimentare la presenza di Gesù, si deve esclusivamente all’azione dello Spirito Santo; così lo constata S. Paolo, quando dice ai Corinzi: «Nessuno può dire: Gesù è il Signore, se non è sotto l’azione dello Spirito Santo» (1Cor 12,3).
La Chiesa manifesta una coscienza lucida di questa dinamica interna della fede, quando, in tutti i rituali, esprime chiaramente la “epiclesi”, invocazione dello Spirito Santo finalizzata ad attualizzare la presenza di Gesù nel contesto delle celebrazioni sacramentali.
Nell’insieme dei riti cristiani, il massimo grado di simbolismo e di efficacia si raggiunge nella celebrazione dell’Eucaristia, quando s’invoca lo Spirito Santo affinché, per la consacrazione della comunità celebrante, Gesù si faccia presente in essa:
«A tutti coloro che mangeranno di quest’unico pane
e berranno di quest’unico calice,
concedi che, riuniti in un solo corpo dallo Spirito Santo,
diventino offerta viva in Cristo,
a lode della tua gloria» (Canone IV)

Essere offerta viva a lode della sua gloria nell’unità del Corpo di Gesù, significa che la comunità dei credenti, per l’azione dello Spirito Santo, fa la donazione di se stessa al Padre e ai fratelli; e, in questo avvenimento di carattere divino, «lo Spirito eterno s’incarna nella Chiesa»[6], e la comunità diviene espressione sacramentale della Santa Trinità, nella presenza di Gesù, lo Sposo unito alla sua Chiesa dall’anello personale e indistruttibile dello Spirito Santo, per proclamare la gloria e la fiducia nel Padre, nell’inaudita vicinanza dell’”Abbà Padre”. Da qui scaturisce un’enorme fecondità di presenza e di azione del Signore nel mondo; e raggiunge una tale profondità nelle comunità di fede, che noi credenti rimaniamo sbalorditi da questa immanenza vibrante, la quale, d’altra parte, spinge l’uomo a trascendere se stesso, per entrare nell’adorabile mistero del Dio vivo.
Per questo motivo, l’adorazione, il silenzio, l’ammirazione e la sorpresa, l’azione di grazie e la lode sono atteggiamenti propri dell’uomo per avvicinarsi alla contemplazione di questi salutari misteri di Dio e dell’uomo stesso.

c. La nuova relazione dell’umanità risorta con la persona del Verbo
Dobbiamo tentare, ora, di avvicinarci al punto più delicato e inaccessibile della risurrezione di Gesù.
Come abbiamo visto precedentemente, l’umanità del Signore è entrata in una nuova relazione con il Padre e con lo Spirito Santo; si è aperta una strada di accesso e di presenza alle cose e agli uomini che arriva alle radici più intime dell’essere; ma anche il corpo risorto si trova, ora, in una nuova relazione con la persona del Verbo.
Chi potrà conoscere ciò che è successo nell’umanità glorificata del Signore?
Noi che appena sfioriamo, in ciò che si chiama psicologia del profondo, l’epidermide della nostra interiorità, possiamo partecipare dell’ottimismo di S. Paolo quando scrive ai Corinzi: «Noi, invece, possediamo il pensiero di Cristo» ((1Cor. 2,16)?
La mente di Gesù illuminando attraverso lo Spirito le oscure situazioni della carne del peccato (2Cor. 5,21), ha aperto per gli uomini un sentiero ammirabile d’illuminazione interiore. La Chiesa ha in suo possesso un lungo cammino storico, nel quale milioni di uomini hanno seguito con fedeltà le orme del Signore. Per questo motivo noi ci troviamo davanti a un cammino che può risultare ogni giorno più luminoso ed accessibile.
D’altra parte lo stesso Spirito di Gesù è il Maestro interiore di tutti i credenti; e siamo davanti ad un magistero che agisce più nella trasformazione vitale delle strutture reali dell’essere, che nelle strutture logiche del giudizio.
L’autocoscienza dell’umanità si è fatta patente alla mente umana di Gesù nel processo della storia, e per condurre i fedeli verso la medesima comprensione, lo stesso Spirito di Cristo, come pupilla interiore degli occhi, è presente in tutti i cristiani. Per questa ragione con timore e tremore possiamo osare di esprimere l’ineffabile.
Se una persona divina s’incarna in un corpo umano, l’umanità è entrata in una via di coerenza interiore con se stessa; e se questa via è stata percorsa assumendo e superando le contraddizioni interiori della carne umana, il superamento comporta un cambiamento di relazioni nel modo di essere di questa umanità.
La relazione dell’umanità con la persona del Verbo che tocca la radice della sua sussistenza, ha raggiunto una insuperabile ed inaudita novità.
La libertà, la pace e la gioia di Dio si sono interiorizzate definitivamente nell’uomo.
Le leggi interiori che costituiscono il modo di essere personale, sono entrate in piena simpatia e coerenza con la carne umana; essa, nella sua pienezza, rivela, come sacramento luminoso, la stessa identità personale di Dio.
Il processo interno della Trinità si è svelato nell’umanità di Cristo; in essa il Padre, che è radicale donazione di se stesso, si è donato al Figlio; ed è lo Spirito Santo, nello stesso Gesù, la donazione personalizzata tra loro. L’alleanza tra il Padre e il Figlio, che è lo Spirito Santo, ha legato in questo “admirabile commercium” l’umanità di Gesù assunta dal Verbo. Il volto interiore della Trinità immanente si è fatto patente agli uomini come economia di salvezza in una umanità concreta, perfettamente definibile in coordinate storiche.
La nuova relazione dell’umanità risorta con il Verbo, ratifica la definizione di Dio, realizzata nella vita di Gesù, ha raggiunto piena espressività nella sua morte. “Ecce Deus”, sembra essere l’intenzione di S. Giovanni quando ci narra la passione e morte del Signore.
Dio è colui che dona se stesso nello Spirito (Gv. 19,30), Colui che si rivela come relazione personale dialogante nella forza inauditamente radicale dell’Amore. Dio è Colui che lava i piedi (Gv. 13, 1-5), Colui che si spoglia della sua condizione, facendosi servo per l’interiore sottomissione ai fratelli (Fil. 2,6-8), Colui che offre se stesso al Padre (Eb. 7,27), Colui che si dona per noi (Lc. 22,19). Dio è Amore (1Gv. 4,8), Dio è persona. Dio è una comunità d’amore nella quale trova la sua pienezza ultima l’essere personale.
Quest’ultima definitiva definizione di Dio, che si è fatto carne e storia nel corpo del Signore, ha conseguenze sostanziali per l’umanità di Gesù e per tutti gli uomini.
Nel processo evolutivo della storia si è raggiunto il punto più alto immaginabile. In una carne come la nostra, assunta nella sua storia dalla Parola di Dio, una persona divina raggiunge i massimi livelli di espressione e di realizzazione umana.
Dio si è rivelato come Trinità personale; e la donazione di se stesso appare alla mente umana come la dialettica interna che costruisce la persona. L’infinito essere in sé delle persone divine, si costituisce in relazione proporzionale all’infinita e radicale donazione di sé.
L’umanità del Signore, che ha raggiunto piena e totale connaturalità con la propria sussistenza, nel suo nuovo modo di essere e di stare in sé, è divenuta il nucleo dinamico per l’esistenza di ogni carne umana che voglia arrivare alla piena coerenza con se stessa, ad essere personalizzata e personalizzante. Questa umanità è adesso il codice configuratore di ogni carne umana; e di conseguenza, sarà eternamente, per tutti gli uomini, che accettino di entrare nella sua fraternità, oggetto di contemplazione intima, stupefatta e piena di gratitudine.


II. Chi è l’uomo
a. La persona
Chi è l’uomo? La domanda più radicale che nasce nell’essere umano quando comincia ad avere coscienza di se stesso.
Le risposte offerte al senso dell’esistenza delle grandi religioni, hanno perso per molti, la loro credibilità. Non pochi uomini sembrano rassegnati al fatto che queste domande restino affogate nell’inconscio. Essi affermano di sentirsi sereni nella pura temporalità del mondo. Se non possediamo delle risposte chiaramente valide, non sarà più prudente astenersi dal formulare delle domande vuote, che inoltre feriscono amaramente l’esistenza?
Ma il problema è lì, presente, forse senza saperlo, nel cuore dell’uomo contemporaneo. Mi permetto di ricordarvi il testo classico di A. Camus:
«Esiste un unico problema filosofico veramente serio: il suicidio. Giudicare se la vita vale la pena o meno di essere vissuta è rispondere alla questione fondamentale della filosofia. Il resto, per esempio se il mondo ha tre dimensioni, se lo spirito ha nove o dodici categorie, sono questioni secondarie. Sono un gioco. Prima bisogna rispondere… Io non ho mai visto morire un uomo per difendere l’argomento ontologico. Galileo, anche se aveva scoperto una verità importante, abiurò ad essa molto facilmente appena vide in pericolo la sua vita; in certo senso fece bene. La verità è che questa verità non valeva il rogo. E’ completamente indifferente chi dei due, la terra o il sole, giri intorno all’altro; si tratta realmente di una questione futile. D’altra parte vedo che molte persone muoiono perché giudicano che la vita non è degna di essere vissuta. E, paradossalmente, vedo altre che si fanno uccidere per certe idee – o illusioni – che costituiscono la loro ragione di vivere (ciò che si chiama un ragione di vivere costituisce allo stesso tempo un’ottima ragione per morire). Pertanto penso che il senso della vita è la questione più urgente»[7].

D’altra parte, malgrado l’ingenuo ottimismo degli scienziati, afferrati a dogmi del neopositivismo, conservano piena attualità le valutazioni di Max Scheler:
«Nella storia di più di diecimila anni, siamo noi la prima epoca nella quale l’uomo è divenuto per se stesso radicalmente e universalmente un essere “problematico”: l’uomo non sa più chi è e si rende conto di non saperlo»[8].

Per quanto mi riguarda, sono sicuro che nell’essere personale dell’uomo si trovano le luci che ci portano a risolvere le domande formulate sul senso della vita. La persona si trova al termine del processo evolutivo del cosmo. «E’ l’unica realtà sacra che incontriamo» - ogni sacralità si giustifica in riferimento ad essa - «Io non posso disporre di essa, cioè, non posso usarla semplicemente e radicalmente come mezzo per la realizzazione di altri fini. Devo riconoscerla utilizzando le cose per realizzare il significato che essa porta dentro di sé»[9].
D’altra parte, credo fermamente che Gesù è l’unico che può risolvere l’enigma della persona. Il rotolo dei sette sigilli, inaccessibile a tutte le potenze della terra, del cielo e degli inferi, è stato posto nelle mani dell’Agnello immolato, che, grazie all’offerta del suo sangue, possiede la pienezza del potere e della sapienza, e sta in piedi davanti al trono di Dio per riscattare la dignità degli uomini, costituendoli come sacerdoti e re (Ap. 5).
Lo stesso Gesù è Colui che squarcia il velo dell’antico Santuario per introdurci, dalle ombre, nelle realtà definitive del Santuario Celeste (Eb. 8,4); di più, ha aperto la via che porta al vero Santuario (Eb. 9,8), inaugurando per noi, attraverso il velo della sua carne, la strada nuova e viva (Eb. 9,19), che conduce a toccare, nell’immediatezza personale il volto vivente del Padre.
Gesù ha relativizzato tutti i poteri, anche quello della scienza. In Lui è chiaro che qualunque pretesto di assoluzione di fronte al mistero della vita, è molto pericoloso per la verità dell’uomo.
A partire da Lui, tutte le mediazioni religiose saranno inevitabilmente sacramentali: il culto, il sacerdozio, le leggi… avranno come scopo fondamentale rivelare ed attualizzare il mistero della sua presenza personale.
Quando parliamo della “persona” tocchiamo un termine carico di equivoci ed ambiguità. Non ci riferiamo evidentemente al soggetto biologico che sintetizza tutto l’insieme delle operazioni biochimiche dell’organismo umano, né all’io sociale, né all’io psicologico… ma a ciò che compone la totalità dell’essere umano, che s’incarna e si confonde con lui, e contemporaneamente lo trascende, elevandolo con la sua forza oltre se stesso. In categorie cristiane dobbiamo pensare la persona come il centro dinamico da dove tutti gli elementi che integrano la natura concreta dell’uomo, sono interiormente condotti verso la risurrezione, verso la vita eterna.
Il naturale ed il soprannaturale ci si presentano qui, così profondamente uniti, che risulta praticamente impossibile stabilire tra i due una linea divisoria. Neppure interessa, giacché l’unico uomo concreto, che realmente esiste, è dotato per la grazia e l’amore di Dio, di un senso soprannaturale. In questa prospettiva tenteremo di avvicinarci al mistero che racchiude in sé l’essere personale, a partire dalla luce che diffonde nel mondo la presenza di Gesù, il Signore risorto.

b. Gesù costruttore della persona umana
Nel mondo e nella Chiesa si avverte una sensibilità generale che tende verso la creazione di una nuova cultura, verso una nuova configurazione dell’ordine sociale.
L’alternativa viene sbandierata nei programmi dei partiti politici, e si annuncia come esigenza evangelica nelle dichiarazioni del magistero ecclesiale[10].
Non mi sembra di esagerare affermando che possediamo in questo momento storico una intuizione universale: la chiave del mondo futuro consiste nel mistero dell’essere personale.
Ma, dove trovare le forze capaci di orientare l’entusiasmo degli uomini in questo progetto? Chi può chiarire e realizzare le esigenze dei dinamismi interni della persona?
Ci troviamo tra un presentimento confuso, un silenzioso clamore della gloria dell’essere personale e un’amara delusione che ci presenta questo progetto come una chimera. La mancanza di credibilità delle grandi religioni ha prodotto delle masse agnostiche, che si rassegnano alla fragile temporalità come all’unica dimensione in nostro possesso, o si entusiasmano nel costruirla e goderne.
Gesù, nella sua dimensione trascendente di risorto, sta nel cuore della costruzione della persona.
La persona, in quanto progetto fondamentale della natura umana, supera per definizione le possibilità dell’uomo. Il soprannaturale è inserito vitalmente nel cuore del naturale. Realizzare la maturità personale è la più radicale esigenza dell’uomo; ma questa perla preziosa non può essere frutto del progetto di Prometeo, che conduce irrimediabilmente alla disperazione di Sisifo. E’ necessariamente, intrinsecamente e strutturalmente un dono di Dio.
Questo dono è la salvezza dell’umanità; e avviene, si concede e si realizza nel mistero della Pasqua del Signore, nella morte e risurrezione i Gesù.
Per questo motivo, la scoperta dell’amore misericordioso di Dio, il percepire il dono che Dio ci fa di se stesso, la fedeltà di Dio, le viscere materne di Dio, che accolgono l’abbandono, la sfiducia e il peccato dell’uomo moderno, sono fondamentali per la nascita della nuova cultura. Qui si colloca l’ammirevole intuizione di Madre Speranza, innalzata a livello di magistero da Giovanni Paolo II nella “Dives in Misericordia”.
Entriamo ora, nell’analisi del processo di personalizzazione inaugurato nel mondo dalla risurrezione di Gesù.
Lo Spirito Santo, che si consegna agli uomini a partire dal corpo glorioso del Messia, nel quale ci viene dato il Padre e il Figlio, è il vero artefice dell’uomo in quanto persona.
Percepire la presenza dello Spirito porta con sé difficoltà inevitabili. Egli non si è rivelato in prima persona, non può essere oggettivato; è l’occhio penetrante della grazia. Non è mediatore come Cristo; è la mediazione stessa. Egli non ci si presenta come oggetto di contemplazione, bensì come luce che rende possibile contemplare il divino. Così esprimeva il nostro Don Miguel de Unamuno questa tipicità dello Spirito:
«Yo te siento, Señor, no te conozco,
tu Espíritu me envuelve.
Si conozco contigo,
eres la luz de mi conocimiento,
¿cómo he de conocerte, inconocible?
La luz por la que vemos
es invisibile.
Creo, Señor, en Ti sin conocerte»[11].
La percezione dello Spirito Santo, comporta la capacità da parte dell’uomo di percepire se stesso, nella più radicale intimità, e incontrarsi definito da una relazione personale con il Padre e il Signore Gesù.
L’uomo, per mezzo di Lui, è penetrato interamente nello spazio di una dialettica personale. L’Amore che è Spirito Santo, lo identifica e realizza come persona di fronte alle persone del Padre e del Figlio.
E’ chiaro, che nasciamo, cresciamo e moriamo in una trama complessa di relazioni mondane; tuttavia, il mistero dell’uomo ci sfugge sempre dalle mani, se non accediamo, per la presenza e l’azione dello Spirito Santo, a stare in Cristo, che ci introduce in un contesto di relazione trinitaria. Nella misura in cui questo avviene si svegliano dentro di noi tutte le ricchezze pluridimensionali della persona, e hanno senso tutte le strutture e le azioni dell’essere umano, poiché si è raggiunto il nucleo generatore del senso.
Forse nessuno ha descritto, con maggiore precisione di S. Giovanni della Croce, la profondità di questi misteri. Ascoltiamo il commento che, nel “Cántico espiritual”, fa del verso “el aspirar del aire”:
«L’aspirare l’aria è un’abilità concessa da Dio nella comunicazione dello Spirito Santo; il quale, come avviene nell’inalazione dell’aria, con la sua aspirazione divina innalza grandemente l’anima, la informa e la abilita affinché essa aspiri in Dio la stessa aspirazione d’Amore che il Padre aspira nel Figlio e il Figlio nel Padre, che è lo stesso Spirito Santo.
Questo Spirito aspira l’anima nel Padre e nel Figlio, trasformandola per unirla a sé.
Perché non ci sarebbe autentica e totale trasformazione se l’anima non si trasformasse nelle tre persone della Santissima Trinità in grado vero e manifesto.
E questa aspirazione dello Spirito Santo nell’anima, con cui Dio la trasforma in se stesso, produce in essa un così alto e profondo diletto, che è inesprimibile in termini mortali e irraggiungibile alla comprensione umana in quanto tale; anzi, non si può neanche parlare di ciò che, in questa trasformazione temporale, avviene nella comunicazione all’anima, perché l’anima, unita e trasformata in Dio, aspira in Dio la stessa aspirazione divina di Dio, rimanendo trasformata in Lui, che la aspira in se stesso»[12].

Aspirare in se stessa lo Spirito Santo equivale a divenire creatrice di sé per la forza interiore dell’Amore di Dio; per questo, entrando in un clima di relazioni personali con Dio, «si trasforma nelle tre persone nella Santissima Trinità in grado vero e manifesto».
Lo Spirito di Gesù risorto introduce l’uomo nella dinamica che conduce verso la risurrezione, verso la personificazione di tutti gli elementi che integrano l’umanità; ed è la donazione di sé la chiave in cui avviene questa meraviglia incredibile.
Ma il donare se stesso è un’azione possibile solo a Dio, che, possedendosi pienamente, ha in sé il potere della donazione radicale. L’uomo accettando di donare la propria vita[13], assumendo vitalmente lo spogliamento di sé per mezzo dello Spirito, entra in possesso della sua persona, e può rinascere nei livelli della vita eterna; può entrare nella pienezza dell’essere personale e diventa una realtà sacra, inviolabile, indistruttibile e gloriosa.
In questo processo «lo Spirito, che è il potere della più intima autopenetrazione di Dio, della sua autocoscienza ed esperienza di Sé, offre Dio alla nostra esperienza»[14]. Dio, uscendo da se stesso, ci si consegna nella debolezza della carne; e, nell’esperienza di Dio, l’uomo esce da se stesso per virtù dello stesso Spirito; e, raggiungendo la sua vera nascita in dimensioni divine, accede alla più radicale esperienza di se stesso.
Nella comunicazione descritta prima, seguendo la dinamica interna della vita Trinitaria, così come ci è stata rivelata in Gesù, si conseguono i gradi più alti di comunicazione e differenziazione degli esseri; giacché «la differenza tra le persone divine e, paradossalmente la loro unità, è la più grande che si può pensare»[15].
Quando la forza di Cristo viene paralizzata nell’individuo, l’io umano comincia a svanirsi nell’angoscia sottile della frustrazione, nell’oscuro vuoto della mancanza di senso; si perde nel nero inferno di un “se stesso” snaturato, al non trovare la sua nativa, spontanea e connaturale relazione con lo Spirito. E’ un fuggiasco dalla sua stessa dimora, uno straniero a se stesso. Si butta con un entusiasmo ferito a morte, o con una dignità, che maschera la grandezza della persona, a costruire la società dove il potere finisce per affogare la persona, o dove l’uomo perde la sua originale singolarità in ciò che Carlo Marx chiamava “il suo essere generico”, godendo, contemporaneamente, il piacere degli alimenti terrestri che, spogliati del loro senso intimo, risulteranno avvelenati.
Esiste solo una forza capace di sradicare gli uomini da questa spirale diabolica che sembra condurci ad uno stato di perpetua disperazione: l’Amore.
Ma, sarà possibile l’Amore? Non saremo allucinati da una vuota illusione? Non interesserà più alla nostra pace far tacere tutti i desideri smisurati e contentarci di assaporare i cibi della terra? Perché ambizionare la tavola degli dei, se siamo soltanto degli uomini?
Se Dio è Amore, se Dio è anzitutto Persona, se nella morte di Gesù, al realizzarsi la suprema Rivelazione di Dio come Trinità personale, un uomo è arrivato al culmine dell’Amore, ed è stato introdotto, per l’Amore, nel cuore personale del Padre, siamo finalmente sul filo conduttore che ci avvicina alla comprensione dell’amore e ci apre una strada che conduce alla speranza.
Nel pensiero di Pietro Lombardo, lo Spirito Santo si confonde con la grazia ed «è l’Amore del Padre e del Figlio, con il quale mutuamente si amano e ci amano. Inoltre lo stesso Spirito Santo è l’Amore o la carità con la quale noi amiamo Dio e gli uomini»[16].
Ecco qui una tradizione il cui genuino senso ci interessa molto non dimenticare, per possedere una più equilibrata intelligenza della grazia. In questo senso K. Rahner, di felice memoria, ci ricordava, con il suo caratteristico equilibrio:
«Con la scrittura e con i Padri, dobbiamo concepire la comunicazione della grazia increata come anteriore, sotto un determinato aspetto, logicamente e realmente, alla grazia creata: nello stesso modo che una causa formale precede alla disposizione materiale ultima»[17].
In questo modo entriamo in una comprensione personalistica della via della salvezza, e ci si rivela la presenza dello Spirito Santo, Amore personalizzato, come l’agente principale ed insostituibile del processo i personalizzazione degli uomini nell’Amore.
Solamente nello Spirito Santo si trova il punto di appoggio, affinché l’uomo, donando se stesso, si risvegli come persona. Questa donazione è così traboccante, che deve appoggiarsi necessariamente in un Tu creatore, onnipotente ed esteriore all’uomo. Tutte le altre offerte può farle l’uomo solo, mentre la donazione di se stesso, ha talmente bisogno di un appoggio personale esteriore, che neanche il Verbo di Dio ha potuto farla da se stesso. Necessariamente doveva entrare in gioco tutta la ricchezza personale della Santissima Trinità, perché il Figlio di Dio, “in virtù dello Spirito eterno” (Eb. 9,14), dall’abbandono della croce, potesse avere accesso al cuore intimo di Dio. In conseguenza, l’amore, che è piena donazione di sé, è possibile all’uomo solo per la presenza interna dello Spirito Santo.
Quando S. Giovanni, nella meravigliosa introduzione dell’ultima cena, vuole offrire le chiavi di comprensione della morte del Signore, ci descrive Gesù, pienamente cosciente della sua identità divina, donandosi come servo ai suoi fratelli nella lavanda dei piedi, e proclamando il comandamento dell’amore.
Questo comandamento non può essere paragonato ad altre leggi, perché è una donazione, un testamento. Gesù dona se stesso per amore e nell’amore che è lo Spirito Santo. Nel cuore dei credenti nasce, adesso, una legge che supera tutte le prescrizioni del culto e del diritto, che arriva molto più in là delle leggi che reggono il peso naturale degli esseri. Si tratta di una legge strutturale nella quale avviene l’unione intima delle persone, l’unica legge che ha in se stessa potere per conferire la giustizia interna al cuore degli uomini[18].
Nella carne umana è entrata una dialettica interiore creatrice di strutture personali. Per l’Amore, che è Spirito Santo, è più intimo all’uomo di se stesso, si è aperta per i credenti una via di accesso al santuario di se stesso, che, seguendo la visione di S. Teresa di Gesù, risulta essere, contemporaneamente, la dimora dell’unico Dio vivente.
Arrivati a questo punto, dobbiamo riconoscere l’incalzante necessità che a l’uomo d’oggi di recuperare il dinamismo, perso in gran parte, della contemplazione cristiana. In essa l’uomo non crea prodotti di consumo, ma realizza un’attività immanente, creatrice di se stesso.
Davanti a questa meraviglia dello Spirito, si risvegliano nell’uomo la sorpresa, l’ammirazione, la lode, la tenerezza e la gioia di Dio; e tutto il nostro essere resta immerso in un silenzio sonoro, all’essere condotti dallo Spirito più in là di noi stessi, dove si trova il vero senso dell’essere personale, trasceso nello steso cuore di Dio.
c. Il Signore risorto creatore della fraternità degli uomini
Interrompere a questo punto la riflessione significherebbe aver presentato il progetto cristiano come una realizzazione alienante della persona umana. L’uomo avrebbe il suo spazio naturale fuori della storia, nel cuore trascendente di Dio. L’unità dell’essere rimarrebbe divisa nella sua radice; e la vita terrena, spogliata della sua anima, sprofonderebbe nella miseria.
Invece, così come la risurrezione è stata per Gesù, contemporaneamente, un ascendere al trono di Dio e un penetrante nella profondità della storia, allo stesso modo della persona umana si realizza, per la stessa forza dello Spirito di Gesù, aprendosi agli spazi della vita di Dio e incarnandosi negli avvenimenti dell’esistenza terrena.
Bisogna scendere alle intime pieghe della carne, alle fibre secrete di tutte le relazioni sociali e cosmiche, per poter raggiungere la vera trascendenza. Persona e comunità non sono realtà contraddittorie, ma vincolate dialetticamente; immanenza e trascendenza non si oppongono, al contrario, il trascendente è intimamente vincolato all’immanenza del mondo.
Gesù si fa presente nell’uomo, quando questi, vuotandosi di sé, si offre a fratelli. La donazione fatta a Dio senza passare per i fratelli è un’evasione (1Gv. 3,14); chi riceve l’offerta è il Dio che si è interiorizzato negli uomini.
D’altra parte, Gesù si rende presente nel povero, nell’anziano, nell’abbandonato, in tutti gli uomini (Mt. 25,40). Non si tratta di una presenza puramente simbolica o sentimentale; il corpo risorto del Signore, in una felice espressione di Gregorio di Nissa, è: “lo Spirito effuso nella storia”, e prende corpo dovunque esista la possibilità di condurre una persona alla sua pienezza.
In questo modo, quando qualcuno si china verso il fratello con un gesto che racchiude autenticità d’amore, è lo Spirito Santo che, commovendo nelle intime fibre l’essere dell’uomo, fa che due persone si riuniscano nel nome di Gesù, e, di conseguenza, il Signore si rende necessariamente presente in mezzo ad essi (Mt. 18,20).
L’avvenimento descritto è sempre carico di un dolce potere di gratificazione; ed è, certamente, creatore dinamico della persona.
Fare persona è necessariamente fare comunità; ed una comunità credente è, per definizione, una comunità che si sta realizzando nelle dimensioni della fraternità.
La presenza del Signore risorto del mondo, conduce tutte le relazioni umane verso la fraternità. Non si tratta di soffocare l’infinita varietà relazionale che avvolge l’esistenza dell’uomo: il multiforme campo d’interazione fisica e biologica del corpo umano, le infinite sensazioni fissate nei milioni di neuroni del nostro cervello, i sentimenti di tenerezza diffusa nella lunga convivenza delle persone amate, la bellezza e il pensiero che l’uomo è stato capace di creare e mettere in comune nella storia di tutte le civiltà…
Il progetto che Gesù ha messo in marcia nel mondo rappresenta per la persona la possibilità di oggettivare se stessa, per la forza dello Spirito, nelle sue azioni, nei frutti del suo lavoro e nei beni naturali della creazione, raggiungendo così la capacità di offrirsi in tutte le cose come dono ai suoi fratelli. Questa è la forza della Risurrezione, che coinvolge anche tutti gli elementi terreni, integrati nell’uomo. In questo modo, tutte le forze dell’universo raggiungono la loro pienezza e libertà, quando nel culmine della loro esistenza muoiono in funzione della vita, integrandosi nei livelli superiori dell’essere personale.
Il corpo umano, i beni prodotti dall’industria dell’uomo, le meraviglie dell’universo, dove Dio ci si consegna, sono diventati lo spazio dell’incontro personale tra gli uomini. Grazie al potere trasformante della resurrezione di Gesù, la fraternità non è più un’illusione; è diventata carne, vita e storia.
Per questo motivo, l’amore fraterno è il più grande i tutti gli amori; verso di esso tendono tutte le esperienze di incontro umano: la relazione genitori-figli, la convivenza degli sposi, il servizio agli abbandonati… L’uomo desidera sempre incontrarsi con gli uomini, come persona, in uguaglianza e libertà. Ebbene, solo la fraternità rappresenta e realizza l’incontro degli uomini a livello personale.
Quando questa tensione interna viene repressa o disorientata, la convivenza si snatura, si genera irritazione, violenza, angustia e il dolore interno dell’esistenza.
Solo la fraternità crea il clima originale dove l’uomo, interiorizzando i fratelli, si sente a suo agio, e la persona si sviluppa armonicamente. La tenerezza è frutto dell’amore fraterno[19]. La gratificazione autentica si dà, quando tutto l’uomo, corpo e spirito, è unto dall’olio della persona, che si estende alla totalità dell’essere umano.
Se vogliamo alleviare gli squilibri psichici che flagellano l’umanità e distruggono la persona, dobbiamo impegnarci molto seriamente nel creare spazi di convivenza fraterna.
In questa prospettiva, l’esperienza delle comunità cristiane, nonostante le deficienze storiche, è incredibilmente valida e feconda; e rappresenta attualmente il fondamento più solido per la costruzione del mondo futuro.
San Paolo ci ha lasciato nelle sue lettere, insieme alla storia delle sue comunità, una preziosa teologia sulla forza della riconciliazione che promana dal Corpo di Cristo. In Lui sono state superate le grandi divisioni del tempo: «Non c’è più distinzione tra giudeo e greco, schiavo e libero, uomo e donna, perché tutti siete uno in Cristo Gesù» (Gal. 3,28). Paolo ci «illumina e annuncia il mistero nascosto dell’inizio dei secoli in Dio» (Ef. 3,9). Per il sangue di Cristo siamo diventati vicini quelli che prima eravamo lontani… Egli è la nostra pace. Egli ha fatto dei due popoli una sola cosa, abbattendo nella sua carne il muro che li separava: l’inimicizia. Egli ha abolito la legge con i suoi comandi e le sue regole, facendo la pace per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo… Così gli uni e gli altri possiamo avvicinarci al Padre in uno stesso Spirito (Ef. 2,13-18).
Ciò che Paolo ci descrive non è un’utopia, riferisce ciò che hanno visto i suoi occhi e ciò che ha sperimentato sulla propria pelle. Ogni credente può testimoniare che questa storia è ancora viva. Questo mistero nascosto i viene rivelato come l’unica legge di riconciliazione capace di costruire la fraternità: nel sangue di Cristo, per mezzo dello Spirito, si abbattono tutti i muri che separano gli uomini; il potere dello Spirito fa possibile che il corpo umano e i beni della terra divengano trasparenti per l’incontro delle persone.
La legge interna che regge la convivenza umana e l’accesso al Padre, è lo Spirito Santo. Per questo motivo, il potere di ogni legge è basato sul fatto di essere un segno temporale o un sacramento spirituale di questa forza interiore, in quanto propizia la presenza dello Spirito, perché l’uomo si realizzi come persona nella convivenza con gli uomini e nelle relazioni con i beni della terra.
Di qui nasce la comprensione evangelica del potere, del matrimonio, della famiglia, della vita religiosa, del lavoro, dei beni e dello stesso corpo umano. «E Colui che sedeva sul trono disse: Ecco, lo faccio nuove tutte le cose”. Poi mi disse: “Scrivi, perché queste parole sono fedeli e veraci”. Quindi continuò: “Sono compiute”» (Ap. 21,5-6).
Come si deve realizzare la fraternità nei piccoli gruppi di convivenza e nelle grandi comunità dei popoli, è un obiettivo che deve mettere in gioco tutto il sapere, l’azione, la buona volontà degli uomini, contando, come è ovvio, con il potere del Signore Gesù, che è il configuratore interno di ogni comunione. Noi uomini, per dare profondità e senso alle nostre persone e opere, dobbiamo porre attenzione ai modi fondamentali nei quali si rivela la sequela di Cristo; mi riferisco alle tre dimensioni della vita evangelica: povertà, castità ed obbedienza.
Forse siamo abituati a vedere i tre voti come espressione della consacrazione religiosa; invece, essi costituiscono la sintesi della vita cristiana. Ogni modo di vita dovrà viverli in armonia con la sua condizione, senza confusionismi lamentevoli; ma, povertà, castità ed obbedienza rappresentano per il cristiano il modo di realizzarsi nei tre ambiti fondamentali della persona umana: i beni, il proprio corpo e le dimensioni più intime dell’io personale.
Povero è chi pone i suoi beni a servizio dei fratelli. Nel suo lavoro si è oggettivato come essere personale, essere per gli altri, raggiungendo, in questo modo, la profondità di un “in sé” assimilato a quello di Dio. I beni conseguono, in queste condizioni, il loro senso intimo, l’essere spazio vivente, dove s’incarna la comunicazione dell’amore personale. Essi entrano attivamente nell’avvenimento dove l’animazione dello Spirito fa presente il Signore risorto.
Il pane ed il vino consacrati nell’Eucaristia possiedono, sotto questo aspetto, la densità dei beni supremi nella comunicazione umana.
Come si deve vivere la povertà in ogni stato e in ogni vita concreta è frutto della prudenza soprannaturale, che sa assumere le condizioni reali dell’esistenza, incarnando in esse con fedeltà lo spirito del Vangelo.
Casto è colui che dona il suo corpo, le sue energie interne, i suoi sentimenti, nell’amore dei fratelli. La donazione sarà regolata dalle leggi della fraternità. Evidentemente, la donazione erotica del matrimonio deve fiorire in fraternità, se non vuole degenerare inevitabilmente in una frustrazione della propria carne. Il corpo umano, infatti, dalle radici ultime della persona, non è orientato al sesso contrario, ma al fratello; trova il suo senso definitivo quando diviene corpo verginale, carne risuscitata, spazio di fraternità: Ecco perché la verginità illumina il matrimonio[20] lo stimola a dispiegare nella vita il proprio senso, ad essere sacramento della Chiesa, della vita in Cristo (Ef. 5,32), dove, superate le differenze del sesso, uomo e donna si trovano, nei loro stessi corpi, come persone, come fratelli in Cristo, uniti dalla legge interna dello Spirito.
In questo modo la verginità nasce dalla trasfigurazione della carne, fatta in Cristo risorto, per il servizio fraterno degli uomini.
Obbediente è colui che dona la sua persona, colui che per la forza dello Spirito, dona se stesso ai fratelli.
L’obbedienza che è sorella dell’amore, fa che il credente, seguendo le orme di Gesù, si converta in servitore degli uomini, degli animali e delle cose, secondo la preziosa, sconcertante ed illuminata visione di S. Francesco d’Assisi[21].
Gesù, che si è fatto, per amore servo di tutta la creazione, donando se stesso nell’universo delle cose, è adesso il Signore che crea un nuovo cielo e una nuova terra (Ap. 2,2), lo spazio sacro, dove gli uomini siamo generati come figli di Dio. Nel suo progetto siamo strutturalmente coinvolti tutti gli uomini.
L’obbedienza, che è docilità allo Spirito, costituisce l’essenza del cristianesimo. Per essa siamo stati redenti, per essa entriamo nel Tempio vivo della nuova alleanza, per essa la creazione intera, malgaro la violenza dei poteri di questo mondo (Rom. 8,19-20), si offre connaturalmente per essere l’ambito dove si realizza la forma sacra degli esseri personali; per essa, finalmente, ogni essere è servito nell’amore per conseguire la propria fisionomia e senso, e Dio è tutto in tutti.
L’obbedienza nel mondo è l’espressione incarnata dell’amore, che è lo Spirito Santo. Nello Spirito, le comunità cristiane, gli uomini tutti, la creazione intera proclamano la lode, la gloria, l’onore e il potere di Gesù, il Signore risorto: VIENI SIGNORE GESÚ! (Ap. 5, 13-14).
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* De las Heras prof. Urbano, docente di teologia sistematica nel Seminario di Astorga (Spagna)
[1] S. Ireneo, Adversus Haereses, V, 9,2
[2] Duquoc Ch. Cristología, 2, El Mesías, p. 222, Salamanca 1972
[3] Mt. 10,39; 16,25. Mc 8,35; Lc. 9,24 – 14,26; Gv. 12,25
[4] Documentation Chatolique, 7.11.1965
[5] Evangelii Nuntiandi, n. 75
[6] 2 Clemente, 14. Ruiz Bueno, Padres Apostólicos, 366-67
[7] Camus A., Le mythe de Sisyphe, in “Essais”, Parigi 99. Citazione presa da Gevaert J., Introducción a la antropología filosófica, p. 17, Salamanca 1981
[8] Ascheler M., Philosophische Weltanschauung, Bonn 1929, 62 citazione da Gevaert o.c. p. 13
[9] Gevaert J., o.c. p. 67
[10] Laborem exercens n. 13 Juan Pablo II, Discurso a los trabajadores y empresarios n. 6 Barcelona 1982. “Ecclesia” n. 1568, p. 33
[11] Citazione presa da Carregal J., El Espíritu Santo, p. 149 Estella 1982
[12] S. Juan de la Cruz, Cántico Espritual, Canción 29 n. 3
[13] Cf. nota 3
[14] Heitmann C. – Schlier H., Experiencia y teología del Espíritu Santo, Salamanca 1978 p. 170
[15] “Mysterium Salutis”, II, 2. Muhelen H., El acontencimiento Cristo como obra del Espírtu Santo, Madrid 1971, p. 533
[16] Lombardus P., Liber Sentemtiarum, vol. I, Distinctio XVII
[17] Rahner K., Escritos de Teología I Madrid 1961, p. 365
[18] Eb. 7,19; 9,13-14; 10,4; Gal. 2, 16-21: Summa Teologica, 1-2, q.106, a. 1
[19] Fromm E., El arte de amar, barcelona 1980, p. 62
[20] Familiaris Consortio n. 74
[21] S. Francisco de Asis, Escritos. 1R c.V, 13-15. Sv. 3, 14-18
http://www.ministridimisericordia.org/

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