DON ANTONIO

sabato 10 settembre 2011

Le ragioni della speranza: Cataldo Naro (1951- 2006)e la teologia del Concilio Vaticano II

I. Una filosofia della storia
La prospettiva più generale in cui può essere racchiuso il pensiero religioso di Cataldo Naro è una limpida ed articolata visione della storia europea e cristiana moderna. Dalle conoscenze settoriali si
può risalire ad una concezione della vita umana e dell’esperienza religiosa collettiva come ad un
processo dotato di sue caratteristiche che vanno evolvendosi e sviluppandosi nel tempo. La storia “maestra di vita”, ricordata da Giovanni XXIII nel discorso di apertura del Concilio Vaticano II ( 11 ottobre 1962)1, si presentò allora come un canone umano ed evangelico di primaria importanza. La verità religiosa e trascendente, la parola rivelata, la dottrina e la struttura ecclesiastica erano stati
visti spesso come un terreno autonomo che doveva essere difeso dall’invadenza delle opere umane.
Esse andavano costruendo una loro configurazione del mondo priva di ogni riferimento al divino,
alle sue manifestazioni nella natura e nella Scrittura, alle verità ultimative ed indisponibili fissate
una volta per sempre. Il mondo moderno poteva facilmente apparire come un fenomeno diabolico o
titanico, che dopo apparenti trionfi avrebbe mostrato il suo vero volto di distruzione e di morte. A
difesa di un ordinamento civile e religioso, considerato come tradizionale ed appropriato sia sul
piano religioso che su quello civile, avrebbero dovuto impegnarsi l’autorità del trono e quella
dell’altare, il re ed il sacerdote, uniti in un comune compito di tutela autoritaria. Lo sperava il papa
Gregorio XVI nella sua enciclica Mirari vos del 18322, dopo i grandi rivolgimenti della rivoluzione
francese e della conquiste napoleoniche. Qualche decennio dopo il Sillabo di Pio IX rifiutava in
blocco tutte le pretese caratteristiche della società europea moderna e liberale. Il processo storico
messosi in movimento con la rivoluzione francese si opponeva radicalmente alle ragioni
trascendenti della fede cristiana, della chiesa cattolica, dell’ordinamento pubblico dei popoli.3
La coscienza storica come evoluzione, progresso, adattamento, critica sia sul piano della scienza
sia in quello della trasformazione economica e sociale appariva invece in modo positivo nel
sistematico insegnamento di Leone XIII. Non bisognava confondere una determinata forma di
diritto pubblico con la verità naturale ed evangelica. Era molto più opportuno ricercare l’una e
l’altra senza confonderle con vecchie abitudini individuali e collettive. Di fronte alla sfida del
mondo moderno era necessario rispondere in modo positivo ed originale. Si può dire che a quegli
orientamenti si rifaccia un tipo di pensiero e di azione dei cristiani che considera i grandi fenomeni,
soprattutto della storia europea recente, come una sfida cui occorreva rispondere in modo aperto,
intelligente, concreto. Di fronte a quella evoluzione, con le sue conquiste, le sue miserie ed i suoi
orrori, occorreva mostrare con le parole e le opere la viva realtà della sapienza evangelica. Il dogma
ecclesiastico, nella sua purezza, non poteva essere minimamente toccato dall’evoluzione storica,
anzi sarebbe potuto apparire in tutta la sua organicità e divenire motivo di vita intelligente ed
operosa sia nella vicenda pubblica sia negli impegni ecclesiastici. In particolare Leone XIII
formulava questo tipo di teologia cattolica nella sua enciclica Mirae caritatis del 1902, che può
essere considerata il suo testamento spirituale .4 In seguito, nella prima metà del secolo XX, le
guerre, i totalitarismi, la ricostruzione dalle macerie morali e materiali, le prime avvisaglie di un
inedito benessere, il costituirsi dei nuovi stati non più soggetti alle potenze coloniali imponevano di
rinunciare alle deplorazioni e ai lamenti, per mettersi volonterosamente all’opera in modo originale
e fattivo in un orizzonte mondiale. La ribadiranno ampiamente Benedetto XV, Pio XI e Pio XII in
circostanze spesso drammatiche.
1 Concilio ecumenico Vaticano II, Costituzioni, decreti, dichiarazioni, Milano 1966, pp.1225-1236.
2 Enchiridion delle encicliche, II, Bologna 1996, pp. 26-53.
3 H. Denzinger, Enchiridion symbolorum, Bologna 1995, pp. 1026-1041.
4 Enchiridion delle encicliche,III, Bologna 1997, pp. 1236-1265.
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Questa linea di sapienza storica positiva ed attuale percorre tutto il cattolicesimo moderno
dell’epoca preconciliare fino alla scelta decisa per la democrazia liberale e sociale. Giovanni XXIII,
la cui vita passa con il suo lungo percorso dall’epoca leoniana all’ottimismo della vecchiaia, mostra
con tutti i suoi gesti, le sue scelte e le sue parole la presenza di una filosofia della storia volta verso
un futuro migliore dei terribile decenni precedenti. Il cattolicesimo, rivisto nelle sue fonti più
originali e nelle sue testimonianze più intense, sarebbe divenuto in maniera sempre più nuova fonte
di una azione generosa, universale e concreta, sia all’interno della grande comunità cristiana sia
verso le società in cui era presente. Oltre ogni faziosità, divisione o meschinità lo studio della storia
doveva insegnare a staccarsi da ciò che appariva ormai come una peculiare conformazione sia
ecclesiastica che civile ormai destinata al tramonto. L’evangelo delle origini non poteva essere
definitivamente racchiuso nei tentativi di fedeltà e nelle palesi infedeltà di particolari momenti ed
ambienti storici. La sua parola risuonava sempre nell’intimo delle coscienze come un richiamo a
compiti nuovi dell’intelligenza e dell’azione, della vita individuale e collettiva. Una sapienza storica
sperimentale e pragmatica poteva essere il terreno migliore per la semente evangelica rispetto ad
una visione del mondo fondata su una filosofia o teologia delle essenze ultime e sulla
sacralizzazione definitiva di ciò che, al contrario, era il prodotto di una lunga e complessa
evoluzione.
Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale pure l’esistenzialismo, il pragmatismo, il
marxismo richiamavano ad impegni concreti, garantiti dalla capacità di interpretare le esigenze
delle persone e dei popoli, oltre le nostalgie di un passato pieno di illusioni e di ombre. “La storia
non torna mai indietro” era un canone allora ben noto e confermato dalle esperienze dell’ultimo
secolo. Anche la teologia e l’azione di chi si appellava all’evangelo di Gesù di Nazaret dovevano
entrare in questo dinamismo, che avrebbe fornito nuove occasioni di testimonianza. Nella vicenda
storica nulla andava disprezzato, mentre tutto poteva essere motivo di ripensamento, di conversione,
di fedeltà, di riscoperta di valori umani essenziali. Proprio sotto questo aspetto il Concilio apparve
come un grande fenomeno di presa di coscienza storica di fronte al mondo moderno,di autocritica
ecclesiastica, di rigenerazione intellettuale e morale.
II. Lo stato moderno
La sensibilità culturale di Cataldo Naro mostra una valutazione positiva dello stato moderno, quale
era andato delineandosi in Europa a partire dalla rivoluzione francese ed aveva assunto diverse
forme negli ultimi due secoli. Ponendo in secondo piano l’appartenenza religiosa dei cittadini, esso
aveva formulato una serie di principi autonomi rispetto alle preoccupazioni confessionali dei singoli
o dei gruppi. Anche qui Leone XIII aveva ufficialmente aperto la strada ad un cattolicesimo che
sapesse distinguere tra la fede religiosa personale ed ecclesiale e le strutture pubbliche dello stato.
Egli aveva riconosciuto che i popoli avevano il diritto di scegliere le proprie forme organizzative,
che le leggi civili possono essere frutto di una deliberazione a maggioranza, che le strutture della
vita pubblica possono subire un continuo adattamento5. Benché il miraggio dello stato cattolico e di
una stretta vicinanza tra principi ecclesiastici cattolici ed amministrazione pubblica fosse rimasto
molto a lungo davanti agli occhi, occorreva abituarsi ad una nuova condizione giuridica della fede
cristiana. Il cattolicesimo degli Stati Uniti, a partire dalla dichiarazione di indipendenza, e della
Francia, dopo la denuncia del concordato nel 1905, mostravano all’evidenza quale vitalità culturale
e morale potesse avere una chiesa che accettasse una base giuridica comune ad altri orientamenti
spirituali. L’evangelo non aveva bisogno di privilegi o puntelli, pagati poi a caro prezzo.
Lo stato moderno, con le sue conquiste ed anche con le sue difficoltà ed i suoi orrori, poteva
rappresentare il fertile terreno di una testimonianza viva dei gruppi e delle persone in esso operanti,
anche delle chiese cristiane liberate da molti pericolosi legami . Lo ricordava Giovanni XXIII
5 Vedi ad esempio l’enciclica Libertas, in Enchiridion delle encicliche, III, cit., pp. 422-477.
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all’apertura del Concilio: finalmente presso molte nazioni la chiesa cattolica poteva operare nella
sua autonomia e nel rispetto delle leggi comuni dei popoli. Anzi era chiamata a dare testimonianza
di giustizia operosa di fronte ai problemi della vita comune. L’ecumene cattolica poteva dirsi
finalmente libera da nazionalismi, da interessi di parte, da complicità e commistioni.
Questa nuova condizione permetteva di proporre con libertà i temi della giustizia sociale
all’interno delle singole nazioni e nei loro rapporti reciproci. Distaccava l’etica evangelica da
convenzioni ed abitudini inveterate nella vita economica del mondo. Parlava a nome di tutti, in
particolare di coloro la cui voce e le cui esigenze erano soffocate dagli interessi dominanti. Poteva
finalmente porsi in modo nuovo il problema delle armi e della guerra. Se lo stato moderno si
avviava sempre più verso la neutralità dal punto di vista religioso, dimetteva l’esigenza di
proclamarsi cristiano, scioglieva il connubio tra il trono e l’altare, si apriva la possibilità di risentire
la viva voce dell’evangelo come era squillata agli inizi. Se venivano a mancare pericolosi sostegni
pubblici, ripagati spesso con l’ipocrisia e l’adattamento, si aprivano nuove strade di educazione
spirituale, di iniziativa pratica, di testimonianza morale. L’involucro statale, soprattutto se di
carattere liberale e sociale, non avrebbe soffocato la possibilità di iniziative di ogni genere. Se poi lo
stato assumeva il carattere dell’esclusività e della persecuzione, anche questa condizione avrebbe
richiamato la chiesa alle sue origini, come ad esempio tante volte spiegarono Pio XI e Pio XII di
fronte al nazismo.6
Anche il papato romano aveva dovuto sciogliere i suoi legami con una peculiare forma di stato:
dopo un millennio, anche la funzione civile del vescovo di Roma dovette essere dimessa di fronte
alla nuova Europa liberale e borghese. Ed anche questa vicenda storica, che molti avevano visto
come una catastrofe, contribuiva alla libertà dell’evangelo e della vita ecclesiastica. Ma pure
avviava il cattolicesimo verso le strade antiche e nuove dell’universalità, dell’uguaglianza, della
vicinanza con tutti i popoli. La storia giuridica e politica dell’Europa tra il secolo XIX e l’epoca
conciliare sembrava liberare il cattolicesimo da secolari zavorre per avviarlo ad una
riconsiderazione universale di se stesso. Il Concilio di Giovanni XXIII e di Paolo VI volle
certamente interpretare in modo ottimistico questa evoluzione, che non era stata di solito promossa
dalla strutture ecclesiastiche, ma che finiva per mostrarsi come provvidenziale. Celebrando in
Campidoglio il centesimo anniversario della proclamazione del Regno d’Italia e nell’attesa
dell’apertura del Concilio, il cardinale Giovanni Battista Montini proponeva nel 1961
un’interpretazione positiva della storia italiana recente.7
III. Il pluralismo, la libertà religiosa, il dialogo
La rinuncia ad una identificazione tra il cristianesimo o una sua determinata forma e le strutture
civili esige l’accettazione di una pluralità di scelte possibili sul piano culturale, religioso, etico e
politico. L’apparente uniformità del passato viene messa da parte e nella medesima società civile
sono presenti individui che ritengono di poter operare in modo differente. La legge dello stato ha un
valore minimale e pragmatico, è frutto di adattamenti e compromessi, raramente è in grado di
proporre un ideale. Forse questa è una delle ragioni che generano inquietudine nelle persone che di
fatto e di diritto posseggono una elevata possibilità di scelta. Qualcuno certamente ha nostalgia di
principi indiscutibili, di ideali attraenti, di punti di riferimento sicuri per non vedere aumentare a
dismisura la propria responsabilità. Gli stati dell’Europa che hanno subito l’evoluzione degli ultimi
due secoli ben difficilmente potranno tornare alle forme giuridiche e culturali del passato. Sembra
inevitabile la necessità di accettare principi intellettuali e morali diversi assieme allo sforzo
continuo di evitare recriminazioni e conflitti. In un simile contesto il cristianesimo perde le sue
forme impersonali ed autoritarie per ritornare ad essere un problema di coscienza e di scelta
personale, priva di qualsiasi soccorso pubblico al di fuori di quello di una legge uguale per tutti.
6 Vedi Pio XI, Mit brennender Sorge, in Enchiridion delle encicliche, IV, Bologna 1995, pp. 1074-1127 e i discorsi di
Pio XII durante la seconda guerra mondiale, in Enchiridion della pace, Bologna 2004, pp. 612-993.
7 G.B. Montini,
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L’evangelo è nato ed ha preso le sue forme originarie proprio così, nonostante i rivestimenti
mutuati sia dalla legge ebraica, sia dal legalismo e dal ritualismo romani, sia dai costumi germanici,
sia dalle forme culturali e giuridiche della monarchia ed aristocrazia barocche, si infime dagli stili di
vita borghesi o socialdemocratici. Così per un lungo corso di secoli era avvenuto presso i popoli tra
i quali aveva conosciuto in passato la sua massima affermazione. La croce sta sempre lì a ricordare
la nudità e la libertà dell’evangelo di fronte a qualsiasi suo rivestimento storico, civile ed
ecclesiastico.
La condizione è notevolmente diversa laddove il cristianesimo nelle sue varie forme rappresenta
una minoranza, laddove domina un altro tipo di religiosità come l’islam, l’induismo, il buddismo,
oppure è presente una forma di vita che diffida sul piano politico del cristianesimo occidentale,
come in Cina. Qui la situazione appare rovesciata: sono le comunità cristiane a chiedere la
possibilità giuridica e culturale di una molteplicità di opzioni. Anche la presenza sempre più
numerosa di fedeli di altre religioni nelle antiche terre cristiane esige in ogni caso una scelta di
libertà all’interno di leggi civili comuni. Il problema del pluralismo delle opzioni religiose diventa
universale ed è necessario il riconoscimento di una libertà religiosa totale. Non si tratta soltanto di
una tolleranza nei confronti di un gruppo minoritario, che vada attentamente vigilato, ma di una
parità di diritti e doveri di fronte alla legge dello stato. Ad esso spetta garantire questo diritto e
dovere, che deve essere riconosciuto da tutti.
Il concilio sotto questo aspetto ha compiuto un integrale rivolgimento rispetto al cattolicesimo del
passato, come era stato formulato da Gregorio XVI e Pio IX: la libertà della scelta religiosa è
riconosciuta come una caratteristica essenziale della fede cristiana. La richiedono non soltanto una
considerazione giuridica o una forma di opportunismo missionario, ma la natura spirituale della
fede cristiana, il suo carattere personale ed interiore. L’evangelo è nato da un gesto di libertà, che
non può essere sostituito da alcuna disposizione legale. Proclama la giustizia ottenuta per grazia ed
accolta con la fede, non quella di una legge. Se si pensa alla natura originaria dell’evangelo, come è
esposta nel Nuovo Testamento, la sua distanza da ogni forma giuridica deve essere considerata
come essenziale, pur nel rispetto della legge comune. Si ricordi come Paolo consideri il principato
romano quale ministro di Dio (Romani 13, 1-7) e Pietro esorti ad un volonterosa sottomissione alle
sue strutture ( I Pietro 2,13-16), nonostante la estraneità agli ideali evangelici.
Da questa condizione storica e spirituale della fede cristiana, iscritta nelle sue origini ma tante
volte negata nei meandri di una storia tortuosa, nasce l’esigenza del dialogo con tutte le altre forme
di vita intellettuale, morale e religiosa. Il proprio carisma religioso personale non può fare esclusivo
riferimento a se stesso o ad una piccola comunità di spiriti affini. Deve piuttosto affrontare le
società e le culture in cui opera e che pure hanno una loro dignità naturale, razionale ed anche
teologica. Deve prendere coscienza della diversità delle forme cristiane ereditate dal passato, che
hanno bisogno di riconoscersi reciprocamente dopo secoli di estraneità e di contrasti, di arricchirsi e
completarsi a vicenda dopo essersi a lungo criticate. Ed anche le diverse religioni appartengono alla
prospettiva della fede personale, che può ritrovare dovunque affinità e correlazioni. Come ricordava
Tommaso de Vio all’inizio del XVI secolo, l’invocazione principale dei cristiani è “Padre nostro”,
non “Padre mio”, mentre per i discepoli di Gesù di Nazaret dovrebbe essere difficile porre dei limit i
a questa universale comunità. Proprio le nuove condizioni di vita prodotte dal mondo moderno
richiamano all’universalità della conoscenza reciproca, della testimonianza, della missione e del
dovere di imparare anche da coloro che sembrano lontani e diversi. I documenti del Concilio sulla
libertà religiosa, sull’ecumenismo cristiano, sulle religioni non cristiane8 sollecitano l’allargamento
della dimensioni intellettuali, etiche e teologiche di coloro che si professano cristiani, ma che sono
sempre tentati di accontentarsi di una religione chiusa, ripetitiva e diffidente verso ogni diversità.
IV. La cultura dello spirito
8 Concilio ecumenico Vaticano II, Costituzioni..., cit., Dichiarazione sulla libertà religiosa , pp. 728-759; Decreto
sull’ecumenismo , pp. 348-367; Dichiarazione sulle relazioni della chiesa con le religioni non-cristiane, pp. 582-597.
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L’orizzonte storico dell’esperienza religiosa, culturale e ministeriale di Cataldo Naro trova le sue
radici in quella forma di cattolicesimo che dai primi decenni del secolo XIX fino al Concilio
Vaticano II ha cercato di affrontare positivamente l’evoluzione della vita pubblica nell’Europa
occidentale. Questo storicismo attento e generoso è sorretto da una viva coscienza dell’educazione
individuale. Non si può affrontare il mare aperto della storia moderna e contemporanea, di un
mondo sempre più vasto, senza possedere un proprio patrimonio culturale e spirituale. Le grandi
trasformazioni collettive, i cambiamenti giuridici ed economici che hanno condotto con sé, le
contraddizioni e le sciagure generate, esigono una elevata coscienza personale. Il venire meno di
schemi e ruoli prefissati, cui più facilmente poteva appellarsi l’umanità del passato, anche
nell’ambito dell’istituzione ecclesiastica mette in luce la necessità della luce interiore, che mostra il
cammino da seguire, che lo costruisce progressivamente, che non presuppone le soluzioni, che non
ritiene di possedere tutta la verità o di raggiungerla in modo sbrigativo. Il rapporto tra la storia
collettiva e la storia individuale esige una costruzione attenta di se stessi e propone un dovere che
non può essere affrontato con schemi riduttivi, artificiosi o ipocriti.
I testi di Naro mostrano una attenzione viva alla propria esperienza spirituale, ad un cammino da
percorrere anche individualmente con attenzione e pazienza, ad una costruzione di se stessi come un
compito senza fine. Lo storico erudito, attento e riflessivo, e il vescovo appassionato del suo
ministero percepiscono se stessi in un modo profondamente intimo, personale, soggettivo, si
potrebbe dire anche caldo ed emozionato. Gli studi, le ricerche originali, le letture, gli incontri
personali, gli scambi culturali ruotano attorno alla necessità di costruire il proprio modo di
partecipare alla storia vivente della propria epoca, erede di altre vicende e pronta a trasfondersi in
una nuova. Qui l’umiltà di colui che non si accontenta di formule si unisce alla libertà diligente del
continuo ripensamento, dell’accumulo di dati, dell’analisi di sé e degli altri, di una ricerca
ininterrotta del meglio. Ed il criterio che il maestro applica alla propria esperienza personale si
amplia in un grande rispetto dello spirito altrui, delle scelte diverse, del confronto, del dialogo.
Ognuno deve evolversi e crescere in una attualità che ha lontane radici, rivive in modo originale,
viene rilanciata più avanti. Ognuno è protagonista di una sua storia intrecciata ad altre infinite. Si
potrebbe dire che le categorie più generali della storia moderna o contemporanea diventino ancora
più vive nella storia personale di ognuno ed in particolare in quella dello storico e vescovo Cataldo
Naro.
In questa prospettiva singolare ed esistenziale, che è caratteristica dell’esperienza religiosa
cristiana, si capisce l’importanza attribuita alla costruzione di se stessi in un processo continuo di
ascolto, di esame, di scelta, di fedeltà. L’evangelo di sempre ha questa struttura interiore, che non
può mai essere sostituita da imposizioni o artifici. Da questa coscienza, costruita attraverso un
faticoso cammino di conversione, nasce l’azione morale, come sua naturale esplicazione. Il
cristianesimo di oggi, come l’evangelo delle origini, sia dal punto di vista storico e sociologico, sia
come esperienza interiore, non può affidarsi a nessuna realtà umana precostituita. E’ una novità che
nasce dall’intimo, quando esso si fa ascolto, meditazione, immedesimazione in una serie di
esperienze emblematiche e paradigmatiche. Molte volte Naro propone il problema della tradizione
religiosa in rapporto alla condizione dell’evangelo nel mondo moderno. La tradizione, anche nelle
sue forme più semplici e popolari, porta il segno di uno spirito vivo, di un’esigenza umana
universale e concreta. Dietro le forme caratteristiche di un’epoca e di un ambiente si percepiscono i
veri problemi umani che vi hanno trovato un modo di esprimersi, che hanno dato un volto
all’esperienza religiosa ed ecclesiale. La modernità sembra distruggere l’apparenza esterna delle
tradizioni, ma è pure in grado di coglierne il valore spirituale ed umano, anche se si esprime
preferibilmente con altri simboli.
In questo compito di collegare il passato con il presente, Naro sottolinea con vigore il compito
delle arti plastiche e della musica. La sua cattedrale parlava con ogni tratto e colore il linguaggio
delle Scritture cristiane, che supera il lungo corso dei secoli e ripresenta per ognuno una
testimonianza viva dell’evangelo in tutta la sua valenza cosmica ed umana. Anche per il
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cristianesimo di oggi le arti visive ed auditive possono svolgere un compito di elevata
comunicazione spirituale. Anzi nella condizione odierna della religione possono darne una
testimonianza molto più viva che non i canoni astratti di una filosofia desueta,di una teologia
fortemente concettuale, di un diritto impersonale, di una ritualità antiquata. La cultura spirituale e
personale che viene dalle prime fonti del cristianesimo, dalle sue forme storiche più incisive, dalle
sue espressioni artistiche abitua ad affrontare con spirito aperto la diversità delle esperienze umane,
a sentirle affini, a valutarne il contenuto. Il fine di questa educazione dello spirito individuale e
comunitario è la creazione sempre rinnovata di una religiosità liberata da ogni arroganza,
monopolio e presunzione. L’educazione alla coscienza di sé, all’ascolto, alla immedesimazione, alla
comunicazione deve essere la base di un’etica davvero ecclesiale di riconciliazione e di pace tra le
religioni, le culture, i diversi sistemi giuridici, economici e politici.
Sicuramente sotto questo aspetto la teologia del Concilio e il metodo storico e ministeriale di Naro
hanno sentito l’influenza di una cultura che si ribellava ai fenomeni di massificazione che pure
hanno accompagnato l’evoluzione del mondo europeo moderno ed hanno prodotto orrori senza
limiti. Alla singola persona e alla sua effettiva esperienza deve essere riconosciuta una dignità
ultimativa, perché non divenga, come era in particolare accaduto tra il 1914 e il 1945, un’entità
trascurabile nella formazione e nel cozzo di grandi blocchi economici, politici e militari. Lo
spiritualismo ed il personalismo, soprattutto di marca italiana, francese, tedesca e russa, così come il
pensiero di Kierkegaard e di Dostoevskij, esercitarono per decenni un largo influsso su un
cattolicesimo che non poteva accontentarsi di esibizioni o di privilegi giuridici ed economici,
mentre si vedeva confrontato con grandi fenomeni collettivi. Il Giornale dell’anima di Angelo
Giuseppe Roncalli presenta un modello, apparentemente umile ma molto profondo, di questa
continua educazione spirituale, perseguita per decenni in molti contesti diversi fino alla sua
manifestazione veramente cattolica nell’esercizio del ministero petrino.9
V. La teologia dell’evangelo
Il cattolicesimo, nel corso della sfida a cui lo chiamava il mondo moderno, si accorse ben presto
che non poteva trincerarsi dietro condizioni giuridiche, economiche e culturali che ormai
apparivano esangui. Aggredito dal liberalismo e dal socialismo del secolo XIX, era costretto a
trovare le ragioni della sua vitalità storica ed etica nelle sue primissime origini nella figura
evangelica di Gesù nella storia spirituale di Israele di cui era figlio, nella vicenda apostolica e
missionaria che era scaturita dalla sua azione. Come in tutti i periodi in cui il cristianesimo viene
messo sotto giudizio, sia all’interno di se stesso sia da tutto ciò che lo attornia, il problema delle
Scritture canoniche diventa essenziale. Leone XIII, dopo aver affrontato i problemi giuridici e
sociali posti alla chiesa dall’evoluzione del mondo moderno, richiamava, con la sua enciclica
Providentissimus Deus del 1893 la necessità di uno studio delle Scritture compiuto con i criteri
storici e letterari della scienza moderna. Da lì sarebbe sorta una rinnovata coscienza teologica ed
etica del cattolicesimo. A loro volta Benedetto XV e, soprattutto, Pio XII con l’enciclica Divino
afflante Spiritu del 1943 consideravano sia lo studio scientifico della Bibbia sia il suo uso
sapienziale come un aspetto centrale del cattolicesimo10. Subito dopo la guerra La Bible de
Jérusalem, proposta in un volume unico nel 1956, ha diffuso in modo esemplare i caratteri della
nuova lettura cattolica delle Scritture ed é divenuta, nelle sue diverse edizioni, uno dei testi più
influenti del cattolicesimo mondiale.
Il Concilio Vaticano II avrebbe ripreso e sviluppato questa linea con la sua costituzione dogmatica
Dei Verbum sulla divina rivelazione.11 La sfida della storia e delle sue nuove strutture pubbliche,
l’autonomia dello stato e delle scienze moderne, la multiformità culturale, l’educazione della
9 A. G. Roncalli, Il giornale dell’anima, Bologna 1987.
10 Enchiridion delle encicliche, III, cit., pp. 804-861; Ibid., IV, cit., pp. 574-651; Ibid., VI, Bologna 1965, pp. 240-295.
11 Concilio Vaticano II, Costituzioni..., cit., Costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione, pp. 600-641.
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persona riportavano la fede cristiana alle sue fonti prime, alle sue testimonianze più autorevoli. Lì
la trascendenza divina aveva assunto il carattere della storia e dell’esperienza umana, lì la
conoscenza di Dio si era modellata secondo i canoni della relatività e fragilità degli esseri umani.
Come usavano esprimersi i teologi dell’epoca barocca, secondo la testimonianza della Bibbia giunta
al suo apice evangelico, il divino si era liberato dai paludamenti della sua maestà ed aveva
condiviso la tragedia umana fino all’estremo. Lo studio delle Scritture e l’immedesimazione nel
loro messaggio avrebbero dato al cattolicesimo la coscienza più viva di se stesso e la capacità di
assumere un atteggiamento fiducioso nei confronti della storia recente. Dalla fine del XIX secolo
fino all’epoca conciliare la chiesa cattolica conobbe un grande impegno nello studio biblico e la
figura del cardinale Agostino Bea (1881-1968), uno dei più grandi protagonisti del Concilio, mostra
l’efficacia di questa decisa scelta a favore delle esperienze emblematiche delle origini cristiane12.
Tutto quel periodo è intriso della ricerca di un evangelismo che si abbevera alle sue fonti migliori.
Come ricordava nelle sue battute finali l’enciclica di Pio XII, al centro delle Scritture si pone la
figura di Cristo, quale punto di incontro tra il divino e l’umano, tra la trascendenza e la storia, tra
l’assoluto ed il relativo. Emblematiche possono essere considerate figure come quelle di Teresa di
Calcutta ( 1910-1997) o Henri Le Saux ( 1910-1973 ) 13, che chiesero di abbandonare le forme della
vita religiosa canonica per affrontare in modi originali la miseria fisica e la sublimità spirituale
dell’India.
Questo aspetto essenziale del cattolicesimo moderno ha avuto una grande influenza anche sul
pensiero storico e sull’azione ministeriale di Cataldo Naro. La complessità delle situazioni in cui la
chiesa si trova operare non devono distrarla dalla ragioni ultime della sua missione. La figura di
Gesù ed il dettato evangelico devono emergere sempre come il motivo fondamentale di ogni sua
scelta, sia in campo personale sia nei suoi orientamenti generali. Così si capisce come questo
evangelismo, volutamente semplice ed apparentemente ingenuo, appaia come un tema
fondamentale nel suo linguaggio e nella sua azione. Al centro del problema storico sta in realtà
un’esperienza intima di affinità spirituale, di comunione, di amicizia, secondo canoni tradizionali
altrettanto che essenziali di una fede ben cosciente della sua natura. Il cristianesimo deve essere
colto come un’esperienza spirituale che si attiva nella più profonda intimità delle persone e che si
rinnova nel corso del tempo e nelle diverse situazioni storiche. Attorno a questo centro essenziale,
che si potrebbe dire mistico e che trova nelle lettere di Paolo e nell’evangelo di Giovanni le sue
formulazioni più tipiche, si dispongono tutte le altre strutture, culturali, giuridiche, economiche e
politiche. Esse danno una forma specifica del cristianesimo, ma non devono mai sostituire la sua
essenza più profonda. L’interesse per la storia rinvia ad un suo canone posto una volta per tutte, ma
insieme dinamico ed onnipresente.
Il rapporto continuo tra storia e fede, tra istituzione e Spirito, tra legge ed evangelo fa parte
dell’esperienza cristiana e ne costituisce la dialettica più profonda. Per questo motivo la liturgia
assume un compito fondamentale, come ha indicato il Concilio nel suo primo documento, che
riflette nel modo più immediato il pensiero di Giovanni XXIII e la sua concezione dell’evento
ecclesiale14. Anche questo era un tema che la teologia cattolica aveva ben presente da molti
decenni. L’immagine neotestamentaria del corpo di Cristo vivente attraverso tutte le sue membra da
tempo mostrava i caratteri più autentici della fede evangelica sia nella celebrazione che aveva al suo
centro l’eucaristia, sia nell’esercizio della vita morale. In un periodo in cui tutte le strutture
ecclesiastiche, assieme a quelle di tutte la nazioni europee, sembravano crollare sotto l’impeto della
guerra, Pio XII riprendeva la dottrina neotestamentaria, che tanta attenzione aveva attirato nel
cattolicesimo attivo degli anni precedenti, e ne presentava una sintesi nell’enciclica Mystici corporis
del 1943.15 Gli eventi bellici, con tutti i loro orrori, riconducevano la fede alle sue origini, alla
partecipazione alla sofferenza redentrice, alla conversione spirituale, all’esercizio della
12 S. Schmidt, Agostino Bea: il cardinale dell’unità, Roma 1987.
13 H. Le Saux, Diario spirituale (1948-1973), Milano 2002.
14 Concilio ecumenico Vaticano II, Costituzioni..., cit., Costituzione sulla sacra liturgia, pp. 4-101.
15 Enchiridion delle encicliche, VI, cit., pp.134-239.
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misericordia, ad un compito universale da cui nessuno doveva sentirsi escluso. Non solo la chiesa
cattolica, ma tutti i cristiani dovevano essere coinvolti in questo processo di rigenerazione proprio
di fronte alla distruzione e alla morte. Vi avrebbero dovuto dare un fondamentale contributo in
particolare i laici attraverso i loro impegni familiari e sociali.
Queste idee, maturate a partire dal secolo XIX e messe alla prova di fronte alla società liberale e
alle sue secolarizzazioni, alla prima guerra mondiale, alla rivoluzione sovietica, al fascismo italiano,
al nazismo tedesco, trovarono nel successivo crogiolo dei nuovi anni di conflitto la loro prova
ulteriore. Molti dei protagonisti del Concilio, nella nuova età di speranza che andava delineandosi
tra la fine degli anni Cinquanta e dei primi anni Sessanta, erano ben consci di questa condizione del
mistico corpo di Cristo nella infinita varietà delle sue membra. I testi delle costituzioni Lumen
gentium e Gaudium et spes, ne sono un prova evidente, anche se non seppero indicare nuove
strutture operative dell’organismo ecclesiastico nelle società di antica tradizione cristiana16. Ma è
evidente come queste aspirazioni teologiche e pratiche pulsino nella religiosità e nell’impegno
ministeriale di Naro, che le raccolse dai suoi studi, soprattutto romani, e dalle tensioni postconciliari
degli anni Settanta.
In questa prospettiva, insieme storica ed esistenziale, si capisce come, in base alle sue fonti
neotestamentarie e alle esperienze degli ultimi due secoli, il cristianesimo debba apparire ben
diverso da un definitivo sistema dottrinale, morale, rituale e giuridico attorniato possibilmente da un
diritto civile volto alla difesa delle scelte operate dalla gerarchia ecclesiastica. L’evangelo si
distacca sempre di nuovo dalle ideologie e dalle pratiche che tentano di formularlo o difenderlo in
modo esclusivo. La fede antica e la storia recente esigono che il corpo vivo ed universale di Cristo
diventi testimonianza sempre rinnovata di una realtà ultima di cui nessuno è padrone, ma servitore
ultimo ed inutile ( Marco 9,35; 10,43; Luca 17,7-10 ). La prospettiva centrale di questa visione
storica e teologica del cattolicesimo moderno è allora il rapporto diretto con la parola evangelica,
con la presenza esigente di Cristo, con la grazia personale ed i sacramenti ecclesiali.
Sia pure nella fedeltà al grande, lento e complicato organismo ecclesiale cattolico, c’è sempre un
punto sorgivo, proprio di ognuno, in cui la fede cristiana assume il suo carattere più originale e
supera tutte le sue forme storiche, poiché Deus non alligatur a sacramentis, come sosteneva
Tommaso d’Aquino. Cataldo Naro, sia come storico sia come ministro ecclesiastico, ha percepito
con grande vigore questo luogo d’incontro tra la profondità dell’io umano e la presenza del divino.
Non si può dimenticare qui la figura e l’opera di Divo Barsotti ( 1914-2006 ), che per oltre mezzo
secolo ha sempre indicato questo aspetto centrale dell’esperienza religiosa cristiana. Tutto il resto,
per quanto utile e necessario, si dispone attorno a questo punto focale e deve essere da lì osservato e
giudicato. Nessuna struttura ecclesiastica o civile può sostituirsi a questa esperienza in cui ognuno
acquista un suo volto inimitabile. Piuttosto ne è espressione, dopo aver esercitato un necessario
compito propedeutico e mentre esige un confronto continuo.
VI. Speranza e pazienza
L’editore degli interventi pubblici di Cataldo Naro ha usato questi due concetti neotestamentari per
indicare i temi dominanti dell’esperienza culturale, religiosa e ministeriale dell’arcivescovo
monregalese.17 L’uno e l’altro possono essere considerati caratteristici della feconda evoluzione del
cattolicesimo dalla fine del XIX secolo ad oggi. Raccolgono il messaggio delle origini assieme ad
una lunga tradizione spirituale e culturale che tante volte è stata messa alla prova ed è sempre rinata
con vigore. All’esperienza interiore ed ecclesiale essa aggiunte un’elevata sensibilità umana, una
disposizione naturale all’incontro, al confronto, alla comunicazione. Alla fedeltà a se stessa sa
aggiungere la curiosità, il rispetto, la stima per tutto ciò che, almeno in apparenza, può sembrare
diverso. Rinuncia ad ogni astiosità e polemica; non fa l’apologia esclusiva delle proprie idee; non
16 Concilio ecumenico Vaticano II, Costituzioni..., Costituzione dogmatica sulla chiesa, pp. 134 -317; Costituzione
pastorale sulla chiesa nel mondo contemporanea, pp. 968- 1213.
17 C. Naro, La speranza é paziente. Interventi e interviste (2003-2006), a cura di M. Naro, Caltanissetta - Roma 2007.

http://www.roberto-osculati.it/documenti/pdf/Le%20ragioni%20della%20speranza.pdf

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