DON ANTONIO

mercoledì 21 settembre 2011

7.IL MALE.Saggio teologico del cardinale Charles Journet Professore al Seminario Maggiore di Priburgo

c) Un Dio del male è impossibile.
Bisogna, dice san Tommaso, scartare il pensiero che vi possa essere “un
primo principio del mali, così come esiste un primo principio del beni.
Infatti, prima di tutto, il primo principio del beni è buono per essenza.
Orbene, nessun essere potrebbe essere cattivo per essenza: ogni essere, per
il fatto stesso che è un essere, è buono; di conseguenza è soltanto in un
bene che il male può installarsi.

“Inoltre, il primo principio del beni, che è il bene supremo e perfetto,
concentra in se stesso ogni bontà. Ma un male supremo è inconcepibile. E'
vero, infatti, che il male diminuisce sempre il bene nel quale si inserisce,
tuttavia non riesce mai a distruggerlo completamente. Se dunque un bene
sussiste sempre sotto il male, nulla potrà essere integralmente e
perfettamente male. Così Aristote1e (9) scrive che il male integrale
distruggerebbe se stesso. In realtà bisognerebbe distruggere ogni bene,
perché il male restasse nella sua integrità; ma allora assieme al bene nel
quale è inserito, il male stesso scomparirebbe” (10).

sant’Agostino aveva detto: “Là dove c'è una specie [egli per specie
intende una natura, una realtà positiva] c'è necessariamente un modo
d'essere ed un modo d'essere è qualcosa di buono. Il male assoluto, di
conseguenza, non ha alcun modo d'essere, poiché è privo d'ogni bontà.
Esso non esiste per nulla, non dipendendo da alcuna specie. Il concetto
stesso del male è stato inventato per indicare una privazione di specie”
(11).
Se, dal punto di vista della metafisica, il male suppone il bene, è chiaro
che la nozione del male in sé, del male puro, è una nozione contraddittoria
che si distrugge da sé.

d) L'illusione del dualismo.
I) Come hanno potuto tanti, troppi pensatori, disconoscere l'evidenza di
ciò? E' una domanda questa che lascia perplesso lo studioso delle religioni,
il filosofo, il teologo.
San Tommaso ci dice che i pensa tori dualisti, impressionati dal conflitto
degli effetti contrari dovuto allo sforzo, in senso opposto, di cause
parimenti reali, parimenti consistenti, hanno creduto che, risalendo la
catena delle cause, bisognasse trasportare il contrasto fino ai primi principi
delle cose, e, di conseguenza, hanno immaginato, fin dagli inizi, un
conflitto fra due cause contrarie.

Essi hanno dimenticato precisamente che i contrari sono essi stessi propri
dell'essere, e che, se si escludono ed entrano in conflitto, in quanto
rappresentano delle forme dell'essere opposte, si assomigliano in quanto
sono propri dell'essere. Pertanto, in virtù del principio di ragione d'essere,
ogni particella d'essere richiede l'Essere in sé, tutto ciò che ha l'essere,
richiede un principio che è l'Essere, l'Assoluto, e che, un po' come il colore
bianco contiene tutti gli altri colori, raccoglie nella ricchezza superiore
della sua unità tutte le varie realizzazioni dell'essere: “Non hanno saputo
ricondurre le cause particolari, contrarie fra loro, ad una causa universale
comune. E' per questo che hanno creduto che la contrarietà nelle cause
dovesse risalire fino ai primi principi” (12). Viceversa, l'essere si oppone
all'essere appunto nella misura nella quale, degradandosi, s'impoverisce, si
divide, si limita, si restringe. Invece nella misura in cui dalle forme
ristrette dell'essere si sale verso la sorgente dell'essere, si vedrà l'essere
spogliarsi del suoi limiti, accrescere la sua intensità e la sua unità, ed
elevarsi al di sopra di ogni conflitto.

2) I contrari, una volta liberati dai loro limiti di creature, e in primo luogo
dal male, cioè dalle privazioni che li colpiscono, si riconciliano nella
Sorgente prima, nell'Essere in sé, nel Bene in sé, in quanto essi sono forme
dell'essere, forme del bene, le quali, senza dubbio, si oppongono fra loro,
ma convergono verso un ordine universale (13).

Ma che cosa accadrà ai pensatori che definiscono il male come il contrario
del bene, e non come la privazione di un bene? Essi attribuiscono al male
una realtà positiva. Dovranno negare che qualunque essere, per il fatto che
esiste, sia buono; dividere l'essere in essere buono in sé ed essere cattivo
in sé. Quindi il principio di causalità dovrà essere applicato tanto al male
quanto al bene, tanto alla cecità quanto alla vista, tanto alla morte quanto
alla vita; e, come si viene alla conclusione dell'esistenza di un principio
supremo di tutti i beni, si dovrà venire ad ammettere l'esistenza di un
principio supremo di tutti i mali. Dunque due princìpi supremi antagonisti;
due dèi che si dividono il dominio dell'essere; due dèi, nessuno del quali è
l'Essere in sé, nessuno del quali è l'Assoluto. Ecco l'assurdità del dualismo,
nelle sue estreme conseguenze.

3) Tuttavia non è forse consuetudine opporre il bene ed il male come del
contrari? Forse che i moralisti non lo fanno (14)?
Sì, ma non è affatto loro intenzione negare che ogni essere sia buono per
il fatto che esiste, di dividere l'essere in essere buono in sé ed essere
cattivo in sé, di trasportare l'opposizione del bene e del male nel seno
stesso della divinità.
Essi intendono soltanto ricordare che la libera scelta dell'uomo non
avviene fra un bene ed una privazione, avviene fra due beni, tutti e due
positivi e capaci di sollecitare il suo desiderio ma di segno contrario: per
esempio, la cosa altrui da rispettare o da rubare. La scelta di una di queste
due azioni avvicina l'uomo al suo fine ultimo: ecco il bene morale; la
scelta dell'altra allontana l'uomo dal suo fine ultimo, lo priva dell'ordine
che tende al suo fine ultimo: ecco il male morale.

Il bene ed il male si oppongono come due contrari, come due realtà
positive, soltanto in senso morale, non in senso metafisico. Scegliere un
bene (metafisico) che mi eleva e mi avvicina al mio fine: ecco il bene
morale. Scegliere un bene (metafisico) che mi abbassa e mi allontana dal
mio fine, che mi priva del mio ordine finale: ecco il male morale (15).

e) Mazdelsmo, manicheismo, gnosticismo.

I) Nella fase mazdelsta della religione dell'Iran, il male, invece d'essere
concepito come una privazione, come l'assenza di un bene dovuto, prende
corpo e diventa una realtà positiva. Esso esige una causa che appartenga al
suo stesso ordine. Come si oserebbe, infatti, far risalire il male ed il bene
ad un principio unico? Questa è la difficoltà, ritenuta insormontabile, che
il dualismo mazdeano oppone contemporaneamente alle tre religioni
monoteiste: il giudaismo, il cristianesimo, l'islamismo (16). La causa del
male, il maligno, Ahriman, appare come il male personificato e
sussistente, il male puro, rivale fin dall'eternità del bene puro. Esso è il
principio di una controcreazione opposta alla creazione di Ohrmazd.
Il dualismo non è la primitiva religione dell'Iran: “Fra i Gati, non vi è che
un Dio supremo, Ahura Mazdah, il saggio Signore, circondato da sei entità
che rappresentano alcuni aspetti delle sue competenze diverse nel cosmo e
verso la società umana: più tardi questi aspetti diventeranno delle creature
primordiali, degli arcangeli. Per il momento, essi coesistono con due
spiriti, il buono ed il cattivo, gemelli in origine e la cui opposizione
sostanziale è una dottrina capitale dello zoroastrismo. Questi spiriti hanno
optato o per il bene o per il male, senza che si possa sapere assolutamente
nulla della loro condizione prima di quella scelta... E' una cosa
impressionante constatare che il principio cattivo non è collocato sullo
stesso piano del Dio supremo: esso è al piano inferiore, di fronte allo
Spirito buono i cui rapporti con Ahura Mazdah sono ben lungi dall'essere
chiari. Lo stesso schema si ritrova in una dottrina, essa pure iraniana, ma
di origine oscura, che si è sviluppata in margine al mazdelsmo ufficiale
pur contaminandolo qua e là, e che si suole chiamare lo zervanismo: il Dio
supremo (Zervan, Kronos) genera nello stesso tempo Ohrmazd e Ahriman,
quello in virtù del suoi meriti, questo in conseguenza del suo dubbio. Se
qui Ahriman è sullo stesso piano di Ohrmazd, è perché questo è abbassato
all'ufficio di una specie di demiurgo. Tutto procede come se l'arrivismo
del male, la sua pretesa di uguagliare il bene, urtasse contro una
impossibilità di natura. Il suo carattere secondario, parassitario, non
scompare mai” (17).

2) Secondo la concezione manichea esiste dapprima, in un “tempo
anteriore” al mondo, “una dualità assoluta ed intatta di due nature o
sostanze o radici: la Luce e l'Oscurità, il Bene ed il Male, Dio e la Materia.
Ciascuna di esse è principio al medesimo grado, poiché è ingenerata e
perciò eterna: ciascuna delle due ha un valore uguale ed una potenza
equivalente. Tutte e due, infine, non hanno nulla di comune, ma si
oppongono fra di loro in tutto. Il problema del male riceve così, fin da
principio, la sua soluzione più realistica ed estrema: non si può negare il
male, poiché esiste in sé e fino dall'eternità; neppure si può rimpicciolirlo,
perché non deriva e non dipende affatto dal bene” (18). Questi due
principi sono concepiti come delle forze protese nello spazio infinito e
separate da una frontiera. Nel “Tempo di mezzo” nel quale esse entrano in
conflitto, una parte della Luce è imprigionata dalle Tenebre: così si spiega
il mondo. Nel “terzo Tempo” le due sostanze ritorneranno definitivamente
alla loro separazione primitiva.
Si è osservato che il manicheismo, il quale si presentava come una
spiegazione scientifica dell'universo, appare in realtà, come una
costruzione poetica, un mito (19).Il mazdelsmo, che lo ha combattuto
violentemente, gli rimprovera d'immaginare grossolanamente le due
sostanze prime come protese nello spazio; di spiegare la comparsa del
mondo non come un processo di creazione, ma come un processo di
emanazione (la luce suprema stessa, secondo i manichei, si lascia
imprigionare dalle tenebre); di considerare la materia cattiva in sé ed in
modo irrimediabile (20).

3) Se il manicheismo è essenzialmente una gnosi (21), non ci si stupirà
d'incontrare il dualismo nel seno stesso dello gnosticismo: “Come tutti i
gnosticismi - scrive H. C. Puech il manicheismo è nato dall'angoscia
inerente alla condizione umana. L'uomo trova la situazione in cui egli è,
strana, insopportabile, radicalmente cattiva. Egli vi si sente asservito al
corpo, al tempo ed al mondo, mescolato al male, dal quale è
continuamente minacciato o macchiato: donde il bisogno di essere
liberato. Ma se io sono in grado di sentire questo bisogno, se provo il
desiderio di trovare o di ritrovare (poiché si tratta di una nostalgia) uno
stato in cui io appartenga a me stesso, in una libertà ed in una purezza
totali, è perché, nel mio essere, nella mia vera essenza, sono realmente
superiore alla mia condizione attuale ed estraneo a questo corpo, a questo
tempo, a questo mondo. Di conseguenza, la mia situazione presente mi
apparirà come un decadimento. Bisognerà che io mi spieghi come e perché
sono venuto e sono giunto a questo punto. D'altra parte, mentre mi
conosco, o mi riconosco estraneo, per essenza, al mondo, conosco, o
riconosco che Dio, Egli pure, non può che essergli estraneo. Dio, che non
è che Bontà e Verità, non ha potuto volere questo universo di sofferenze e
di menzogna; Egli non è responsabile, o non è direttamente responsabile,
dell'esistenza del mondo e degli esseri di carne. Si è quindi costretti ad
attribuire la creazione ad un principio esso stesso cattivo, inferiore
(Demiurgo) o persino, per il manicheo, opposto a Dio. Come in tutte le
gnosi, noi sfociamo in una dualità fra il Dio trascendente e buono ed il dio
creatore e dominatore” (22). Lo stesso autore tuttavia mette in evidenza
una differenza fra la gnosi classica ed il manicheismo: nello gnosticismo,
il mondo è l'opera d'un Demiurgo, cioè di un dio inferiore, impotente o
cattivo; nel manicheismo, il mondo del corpi è l'opera del Male supremo,
ed il Demiurgo appare come una potenza benefica, emanata dal principio
buono, per lavorare alla liberazione delle particelle di luce sepolte nella
materia (23).

E' evidente, che nonostante lo scandalo che essa infligge alla ragione, la
metafisica dualistica, la quale, dopo avere sostanzializzato il male, deve
trovargli una causa positiva, distinta dalla causa del bene, ed interdirsi di
far risalire ad un Dio unico la creazione di tutto quanto vi è di essere nel
mondo, si è rivelata tale da sviare del grandi complessi religiosi e da far
vacillare la speranza degli uomini.

f) L'illusione del nichilismo.
Di fronte ad una società pseudo-cristiana che approfitta del nome di Dio
per giustificare un ordine iniquo, sarà sempre nostro dovere denunziare
l'ipocrisia, e sostituire a tutte le immagini caricaturali che sono state fatte
di Lui, il vero volto di Dio e le inesorabili esigenze del cristianesimo. Ma
la tentazione, l'illusione sarà di cadere nel tranello e di prendersela con
Dio stesso per gli scandali che Lo offendono e che Egli maledice. Allora la
santa rivolta iniziale contro l'ingiustizia si trasforma in bestemmia, e
finisce in una folle accusa al Creatore da parte della Sua creatura, che
riceve da Lui tutto, fino allo stesso senso ed allo stesso amore della
giustizia.

Non è soltanto delle iniquità sociali, del disordini dell'economia e della
politica che si farà colpa a Dio. Ci si irriterà per il male stesso della natura,
vale a dire per quell'aspetto d'ombra e di miseria ch'è inerente ad ogni
creatura per il fatto ch'essa è tratta dal nulla e che non può fare a meno di
portarne il segno. Si troverà intollerabile la legge, secondo la quale la
formazione di una sostanza suppone la corruzione di un'altra, secondo la
quale la perfezione degli esseri sensibili ha, come contropartita, la
vulnerabilità e la sofferenza, secondo la quale infine gli esseri dotati di
libero arbitrio, come l'uomo e l'angelo, non possono essere per natura
scevri da peccato. Dalla rivolta contro il male o contro l'impotenza delle
creature, si passerà alla rivolta contro l'essere stesso e contro il bene del
quale quel male o quella impotenza sono l'opposto, e, dall'odio per l'essere
creato, all'odio per l'Essere increato donde quello deriva. Ci si sdegnerà al
pensiero che Dio abbia potuto creare un universo nel quale il male ha un
suo posto, nel quale ovunque s'incontrano limiti; in breve, si sarà gelosi
perché Dio è rimasto superiore alle Sue creature e perché non ha fatto un
mondo uguale a Lui. L'ateismo si trasformerà nell’antiteismo militante,
rivendicatore, forsennato.

Che cosa c'è alla base d'un simile delirio? Senza dubbio, la speranza
traviata di qualche grande felicità. Da quando il romanticismo tedesco ha
scatenato in lei le forze del desiderio, l'umanità si è lasciata sedurre e
trascinare da ambizioni smisurate. Essa vuole il possesso dell'assoluto fin
da quaggiù, e pretende di conquistarlo con le sue proprie forze, vuole
rapido come una preda. Se la felicità sfugge, se la sventura continua, se la
realtà resiste, si metterà la dinamite sotto la realtà, fino al giorno in cui,
rovesciati tutti gli ostacoli, sorgerà inevitabilmente dalle rovine il miracolo
dell'età dell'oro, che è la sola concepibile e normale per l'umanità (24). Il
Catechismo del Rivoluzionario, di Michele Bakunine, sogna una setta
capace di concentrare il mondo in una sola forza pan-distruttiva. Il
paragrafo 26 ne precisa lo scopo ed i mezzi: “L'Associazione non ha altro
scopo che l'emancipazione completa e la felicità del popolo, cioè degli
uomini di pena. Ma, convinta che questa emancipazione e questa felicità
non possono essere raggiunte se non per mezzo di una rivoluzione
popolare che tutto distrugga, l'Associazione impiegherà tutti i mezzi e tutte
le sue forze per garantire ed aumentare i mali e le disgrazie che devono
infine esaurire la pazienza del popolo ed eccitarlo ad una sollevazione in
massa” (25).

Finché ci saranno del limiti, le distruzioni dovranno ricominciare; ma è
impossibile annientare l'essere creato o strappargli i suoi limiti; non si
potrà far altro che cambiarlo in un essere ancora creato ed invitarlo sempre
a distruggersi.

2. DIO “CREA” o PER LO MENO “CAUSA” IL MALE?
Se c'è paradosso nella definizione del male: esso esiste, ma come
privazione; ci sarà pure paradosso nell'origine del male: per quanto siano
terribili le sue rovine, il male è causato come privazione. Consideriamo
prima di tutto il rapporto del male con le cose create.

a) Come può il male, essendo privazione, essere “causato” dalle
creature?
I) Ciò che gli agenti naturali tendono ad introdurre nell'universo, è una
forma nuova, una positività nuova che si sostituirà ad una forma anteriore:
la generazione di un essere trascina la corruzione di un altro, nel mondo
minerale come nel mondo biologico. Lo stesso agente avrà due effetti
concomitanti (26): un bene ed un male. Il bene è prodotto come cosa alla
quale si tende (effetto per se), il male sopravvive come cosa alla quale non
si tende, ed è il rovescio, la fodera del bene cui si tende (effetto per
accidens) (27). Il bene è prodotto come positività; dipende da una causa
veramente efficiente. Il male sopravviene come privazione; esso non
richiede di essere spiegato, quanto al suo essere, alla sua materia, alla sua
consistenza, perché non ne ha; non dipende da una causa veramente
efficiente. Ciò che richiede una causa, è la sua introduzione nella materia
del mondo, la sua presenza nell'esistenzialità, il suo sopravvenire come
privazione. Si esprime ciò dicendo che la causa efficiente del bene cui si
tende è causa efficiente indiretta, o per accidente, del male cui non si
tende.

Che il male non s'introduca nel mondo, se non nascondendosi sotto un
bene, si constata anche nell'ordine morale degli agenti volontari. Ciò che il
peccatore desidera non è una privazione, è un bene particolare, ma che non
può scegliere senza allontanarsi dal suo fine ultimo, e gettarsi nella rovina:
il bene è voluto per se ed il male per accidens (28).

2) Abbiamo parlato del male, fisico o morale, che è come il prezzo di un
bene cui si tende direttamente, del male che sta dalla parte dell'essere o
dell'effetto prodotto dall'agente. Ma il male può annidarsi nell'agente
stesso, trovarsi al principio della sua azione; un agente debole, un seme
avariato non daranno vita che ad un'azione debole (29). In questo caso si
dirà che il male dipende meno da una causa “efficiente” che da una causa
“deficiente” (30), meno da una causa che “agisce” che da una causa che
“deagisce” (31).

Ciò si verifica persino nell'ordine morale: dopo aver detto che la volontà
può essere causa del male per accidente, san Tommaso aggiunge che essa
può esserlo anche per deficienza (32).

Questa asserzione mette in campo un problema riguardo all'origine del
peccato: esso procede da una volontà deficiente. Ma come può essa
trovarsi deficiente, liberamente deficiente, prima ancora di peccare?
Bisogna dire che finché la volontà non agisce essa non è tenuta a porre
attenzione alla regola del suo agire, cioè alla regola della ragione e della
legge divina. La non-considerazione attuale della regola non è per lei una
privazione, ma è una pura assenza, un silenzio (33). Ma se la volontà, di
fronte al dilemma bene o male, decide di agire senza considerare la regola,
la pura assenza diventa tosto privazione e si produce l'azione sregolata, il
peccato. Non si rimprovera all'artigiano di non considerare la regola, ma di
agire senza considerare la regola (34).

b) Il male viene da Dio?
Il male dovrà dunque, in ultima analisi, risalire fino a Dio, Autore delle
creature?
I) E' evidente, prima di tutto, che il male, essendo una privazione e non
avendo natura, non può essere, per parlare con esattezza, creato, poiché
non è in se creabile: “lo non deliro, io non dico: Dio crea il male”,
esclama sant'Agostino (35).
Quando si dice, in Isaia (XL V, 6-7): “Io sono Jeova, e nessun altro! Io
formo la luce e creo le tenebre; faccio la pace e creo la sventura!” (36), è
evidente l'intenzione del profeta: vuole eliminare nel modo più assoluto
ogni dualismo, ogni politeismo, affermare che Dio è unico Padrone del
beni e del mali, della vita e della morte. Ma dire che Dio è padrone tanto
del beni quanto del mali, non significa che sia Padrone allo stesso modo
del bene che egli conserva nell'essere e del male che viene a colpire
l'essere.

Parlando dunque a stretta ragion di logica, è una sciocchezza dire che Dio
ha creato il male, oppure chiedersi perché l'ha creato.

2) Sarà dunque possibile porci questa domanda: “Perché Dio ha causato
il male?”.
a) Abbiamo visto che il “male dell'azione” deriva da una insufficienza
fisica o volontaria dell'agente, che deagisce invece di agire (seme avariato,
artigiano non osservante della regola). Orbene, è chiaro che nessuna
insufficienza fisica o morale può trovare posto in Dio. Di conseguenza, il
male fisico o morale dell'azione, il peccato in particolare non avrà mai, in
alcun modo, Dio come principio; sarebbe follia portare in Dio la causa del
male dell'azione (37). Se Dio fosse in maggiore o minor misura causa d'un
tale male, allora, e soltanto allora, si avrebbe il diritto di dire che manca di
potenza e di bontà.

b) Che cosa si può dire del “male dell'effetto”, del “male dell'essere”), cui
non si tende direttamente, per se, ma che, essendo il rovescio e quasi il
prezzo di un bene cui si tende direttamente, è, per questa ragione stessa,
voluto indirettamente per accidens?
Abbiamo detto che può avere come causa sia un agente volontario che un
agente naturale. Nel primo caso, può risultare talora da un atto volitivo
retto, e risalire al male della natura: bisogna distruggere degli esseri per
nutrirsene; talora da un atto volitivo sregolato: l'intemperante che cerca
direttamente il piacere consente indirettamente alla sua degradazione. E'
evidente che, in quanto dipende da un atto volitivo sregolato, il male
dell'effetto resta imputabile alle sole creature.

Ma il male dell'effetto può risultare dall'attività degli agenti naturali:
l'evoluzione dell'universo non procede senza distruzioni, appaiono nuove
forme di esseri che si sostituiscono alle antiche. Ed allora come non far
risalire a Dio, Autore di quelle nature, contemporaneamente, ma in modi
totalmente diversi, il bene cui esse tendono direttamente e per sé, ed il
male cui esse non tendono, ma che ne consegue indirettamente e per
accidente? Si dirà dunque che Dio è direttamente e per Sé causa del bene,
e che è indirettamente e per accidente causa del male dell'universo.

Diremo, senza esitazione, che Dio è causa del bene: il che significa che la
Sua azione mira al bene, tende all'essere. Ma non diremo assolutamente
che Egli è causa del male, il che significherebbe che la Sua azione
mirerebbe al male, tenderebbe alla distruzione, o per farla breve
significherebbe che Dio avrebbe creato il mondo con l'intenzione di
annientarlo (38). Per definire con una parola sola i rapporti di Dio con il
male, bisognerà perciò ricorrere ad un'espressione nuova: si dirà che Dio
permette il male fisico dell'universo (39).

3) Il male della pena, che priva l'uomo della sua integrità, apparterrà al
male dell'effetto, o al male dell'essere; il male della colpa invece
appartiene al male dell'azione volontaria (40). Dio non è assolutamente in
alcun modo causa del male della colpa; Dio è causa del male della pena
esattamente nello stesso modo col quale è causa del male dell'universo
(41). E' l'ordine dell'universo che Dio vuole; la pena, che Egli non vuole,
cui non tende (non immaginiamo ci Dio come un carnefice) è la ferita che
infliggono a se stessi coloro che si ribellano contro un ordine che, essendo
divino, non può essere distrutto dalla creatura. Dio non la “vuole” se non
in questo modo del tutto indiretto, quasi contro voglia, praeter
intentionem. Gesù piange sulla tomba di Lazzaro e sulla prossima rovina
di Gerusalemme. Onde evitare dunque ogni equivoco, sia riguardo alla
pena, sia riguardo al male fisico, non diremo che Dio lo “causa”, né che lo
“vuole”, ma che lo permette.

c) Alcuni testi di Platone e degli Antichi.
E' ben noto il passo della Repubblica, in cui, protestando contro i poeti,
Socrate ammette che si facciano risalire a Dio soltanto i mali apparenti
che, come il male della pena (ed il Gorgia aveva insistito su quest'ultimo
punto) sono, in realtà, del benefici:
“SOCRATE. Il bene non è, proprio no, causa di tutto, ma è responsabile
di tutte le cose il cui modo d'essere è buono; esso è irresponsabile di ciò
che è male. - ADIMANTE. Assolutamente irresponsabile!- SOCRATE. Si
conclude dunque che la divinità, poiché è buona, non dev'essere
considerata responsabile di tutto, come si pretende in generale, ma di una
piccola parte delle cose umane; irresponsabile invece di una gran parte di
esse, poiché, per noi, i beni sono di gran lunga superati dai mali. E del
beni, non si può far risalire la causa a nessun altro che a lei; mentre per i
mali non so quali altre cause si debbano ricercare, ma non si può risalire
alla divinità!... Talvolta i poeti cantano le sventure di Niobe, quelle del
Pelopidi, quelle di Troia, o qualche altra simile abominazione: ebbene, o
non si dovrà ammettere che esse siano considerate opera della divinità,
oppure, se lo si ammette, bisognerà scoprire una giustificazione di quei
fatti, quella, pressappoco, che stiamo cercando in questo momento, e
bisognerà dire, riguardo alla divinità, ch'essa ha compiuto in ciò delle
opere giuste e buone, e riguardo agli uomini, che per essi fu un vantaggio
essere stati colpiti” (42).

Al giovane scandalizzato perché vede crescere i disordini nel mondo
(particolarmente la prosperità del cattivi) e che finisce per dubitare della
scienza e della provvidenza degli dèi, 1'Ateniese delle Leggi si accontenta
di ricordare la necessità della subordinazione delle parti al bene
dell'insieme: “li tuo stesso essere, povero miserabile, per quanto sia
estremamente spregevole, è una di queste parti, il cui sforzo totale mira
continuamente all'insieme... Non sei tu il fine, in vista del quale si produce
quel certo inizio di esistenza, ma è l'universo il fine in considerazione del
quale tu esisti” (43).

Quest'ultimo pensiero si ritrova frequentemente negli stoici. “Ciò che
accade in particolare a ciascuno - dice Marc'Aurelio - è, per Colui che
regge il tutto, condizione del suo buon svolgimento, della sua perfezione e,
per Giove! della sua esistenza stessa. L'universo viene in certo modo
mutilato, per poco che si sottragga alla connessione e al concatenamento
delle cause non meno che delle sue parti. Orbene, tu. interrompi questo
concatenamento, per quanto dipende da te, quando sei malcontento degli
avvenimenti, ed in certo senso, li distruggi” (44).
Plotino fa eco a Platone: “La santità e la pietà ci proibiscono di ammettere
che i fatti che ci vengono obiettati (i buoni sono poveri ed i cattivi sono
ricchi) non siano secondo ciò che conviene, e di farne rimprovero alla
creazione (XXX). Rimane da ricercare in che cosa essi sono un bene ed in
che modo partecipano all'ordine del mondo, oppure, per esprimerei
altrimenti, in che cosa non sono un male” (45). Gli attori in un dramma od
in una tragedia possono discutere fra loro sulla scena, ma non rivolgono
delle ingiurie all'autore che ha composto il dramma o la tragedia (46).

L'atteggiamento spontaneo degli antichi di fronte al mistero del mondo era
l'umiltà. Troppo evidente era lo splendore per osare bestemmiare (47).

3. DIO “PERMETTE” IL MALE

“Dio permette il male”: è possibile determinare meglio il senso di questa
formula che l'insegnamento cristiano fa sua?
a) Dio “vuole” il male?
I) Dio non crea il male, non causa il male. Dio non vuole il male. Pensare
che Egli ricerchi, desideri, Si prefigga la privazione per se stessa sarebbe
un'assurdità. Nella natura Egli vuole, Si prefigge i rinnovamenti, non le
distruzioni che ne sono il rovescio. Egli. vuole, Si prefigge non il male
della pena, ma l'ordine, il bene contro il quale urtano il disordine e la
rivolta (48). Del male della natura e del male della pena, che non sono
voluti per se stessi, a cui non si tende, che sono voluti soltanto in ragione
del bene che comportano, si potrà dire che sono voluti per accidente,
oppure, per usare una sola parola, che sono permessi.

E' un bene, una felicità ciò che il peccatore vuole, e per quel bene, per
quella felicità, acconsente liberamente a deviare dal suo fine ultimo: ecco
il male della colpa. Un bene è voluto direttamente per se; un male è voluto
indirettamente per accidens: non un male qualunque (soffrire è un male,
ma è un bene ed è cosa ragionevole soffrire e morire per una giusta causa),
ma un male che devia la volontà creata dal suo fine ultimo (49).

Orbene Dio non può né deviare da Se stesso né deviare gli esseri da Lui
stesso (50): è dunque impossibile che, nel male che potrà volere per
accidente, si trovi il male della colpa. Dirò di più: Dio lotta in noi per
preservarcene; dunque non lo vuole assolutamente (51).

Abbiamo detto che Dio permette il male della natura ed il male della
pena. Ma si comprende già che si dovrà dire che permette il male della
colpa, in un modo diverso e molto più misterioso.

b) Il male è parte dell'universo?
I) Nell'universo che Dio ha stabilito di creare, la privazione non è stata
eliminata, essa vi ha la sua parte, una parte assai vasta.. Essa è preveduta,
ammessa, tollerata, sopportata, sofferta. Non si dirà tuttavia che il male,
anche il male di natura, sia parte dell'universo: ciò significherebbe, una
volta ancora, dimenticare il mistero del male e collegarsi con la tesi
secondo la quale il male è concepito come un bene minore, come un
contrario, come un bene che deve scomparire, ma non come una
privazione: “Il male non è una parte dell'universo: esso non ha ragione né
di sostanza, né d'accidente, ma soltanto di privazione” (52).

Per Plotino, invece, il male è parte dell'universo: “La ragione universale è
una; ma non è divisa in parti uguali: come nel flauto di Pane o in altri
strumenti, vi sono delle canne di lunghezza diversa, così le anime sono
collocate ciascuna in un posto diverso; e ciascuna al suo posto, rende il
suono che si accorda con la sua posizione particolare e con l'insieme delle
altre. La cattiveria delle anime ha il suo posto nella bellezza dell'universo;
ciò che, per esse, è contrario alla natura, è per l'universo conforme alla
natura; il suono è più debole, ma non diminuisce la bellezza dell'universo”
(53). Le anime sono cattive quando si lasciano dominare dal substrato
corporale, la materia nella quale passa ancora tuttavia un influsso, se pure
diminuito, della ragione universale; dimodochè, in conclusione, tutto è
buono (54). Platino si appella ai contrari che si urtano fra di loro in vista
del bene universale, oppure anche ai beni di cui il male non è stato che
l'occasione. Per giustificare la provvidenza, quale egli la concepisce, non
trova, in conclusione, altra via che dipingerei i mali, non solo quelli della
natura, ma anche la cattiveria delle anime, come beni minori.

Che cosa concludere, se non che egli non ha colto affatto la misteriosa
definizione del male, il quale non essendo un bene minore ma una
privazione, non può essere una parte dell'universo?

2) Il male non è affatto parte dell'universo; sono i beni che sono parte
dell'universo.
Talora quei beni, voluti da Dio, sono corruttibili, dovranno cedere il posto
ad altri beni: non c'è costruzione senza distruzione, non ci sono carnivori
senza la morte di animali. Oppure si tratta di beni altissimi, ma bivalenti
per definizione, come il libero arbitrio, la libera scelta, fatta per salire
verso il bene ed espandersi, ma che potrà anche declinare verso il male e
venire meno. In tutti questi casi il bene viene come primo, il male come
secondo.

In altri casi è il male che viene per primo. Pensiamo alle malattie, alle
infermità, alle prove dalle quali potranno derivare la grandezza d'animo e
l'eroismo; pensiamo al male del peccato che Dio non può volere in alcun
modo, che di per sé non tende che alla rovina e che sarà per Dio
l'occasione di manifestare o la santità della Sua creazione contro la quale
si ribella liberamente il peccatore, o le adorabili iniziative delle sue
misericordie (55).

Bisogna dire che questi mali “contribuiscono alla perfezione
dell'universo”? No; san Tommaso ce ne rimprovererebbe (56) perché ciò
significherebbe considerarli come una parte dell'Universo; significherebbe
vedere in essi le cause del beni ai quali sono legati, mentre essi non ne
sono che il rovescio o l'occasione.

c) Il male “regolato” e “ordinato” da Dio.
Il male cui Dio non tende, è tuttavia conosciuto da Lui, regolato e
dominato da Lui, ordinato da Lui verso qualche fine e non sfugge alla Sua
provvidenza. Il “bene ed il male - dice san Tommaso - sono soggetti alla
provvidenza divina: il male, in quanto conosciuto e regolato, ma non in
quanto preso di mira da Dio, malum tamquam praescitum et ordinatum,
sed non ut intentum a Deo” (57).

Riguardo al male della natura, che, in quanto si appiglia all'uomo, è già un
male della pena, nel libro della Sapienza (I, 13), sta scritto: "Dio non ha
fatto la morte e non prova nessuna gioia per la perdita del vivi. Ha creato
ogni cosa per la vita; le creature del mondo sono salutari”. I mali sono
soltanto permessi, ma Dio ne è il Padrone assoluto. Tutto ciò che per noi è
caso, vale a dire tutto ciò che risulta da interferenze casuali impreviste per
noi, è nella Sua mano, tanto per i suoi effetti positivi, quanto per le
disgrazie che trascina. In questo senso leggiamo (I Samuel, II, 6): “Jeova
fa morire e fa vivere, fa discendere nel regno del morti e ne fa risalire”
(58). E ancora, (Amos, III, 5): “Accade una disgrazia in una città senza che
Jeova ne sia l'Autore?”. E nel Vangelo (Mt., X, 29): “Due passeri non
valgono neppure un asse. Eppure neanche uno di essi cade a terra senza [il
consenso di] vostro Padre”. La torre di Siloe che schiaccia nella sua rovina
diciotto persone (Lc., XIII, 4), il giovane che si addormenta sulla finestra e
cade dal terzo piano (Atti, X, 9), la vipera che morde Paolo (Atti, XXVIII,
3), sono tutti fatti fortuiti che Dio abbandona alle leggi della contingenza
per una segreta disposizione della Sua provvidenza. Agli avvenimenti che
devono verificarsi in un modo contingente, Dio, dice san Tommaso, la cui
volontà è sovranamente efficace, prepara delle cause contingenti (59).
Queste cause sono preordinate per qualche bene al quale del grandi mali
potranno casualmente essere legati. Tutti gli avvenimenti della natura sono
perciò provvidenziali, e lo sono doppiamente se riguardano l'uomo “che
vale di più di una moltitudine di passeri” (Mt., X, 31), ed in questo senso,
si realizza, ma a profondità inaccessibili, per l'anima che si era data a Dio
senza riserva, il Tutto ciò che accade è adorabile di Léon Bloy, che fa eco
all'Apostolo: “Rendete grazie in ogni momento e per ogni cosa” (Ephes.,
V, 20). Ma a noi piace considerare provvidenziali soltanto quegli
avvenimenti che rispondono ad un desiderio segreto del nostro cuore. Se la
provvidenza divina, dice san Tommaso, “non abbandona mai totalmente
gli empi: essi cadrebbero nel nulla se essa non li conservasse nell'essere”, i
giusti sanno che Dio ha per loro una provvidenza speciale “nel senso che
non permette che accada nulla a loro danno che alla fine ponga ostacolo
alla loro salvezza”. Poiché (Rom., VIII, 28): “Per coloro che amano Dio,
tutto concorre al loro bene” (60).

Dal puro male della pena cui Dio non tende e che risulta da una volontà
colpevole che urta disperatamente contro un bene voluto da Dio, contro un
universo che Dio non può rinnegare senza contraddirsi, si vede in quale
senso il male è “permesso” da Dio, “regolato” da Lui.

Parlando più precisamente del male della colpa, sant'Agostino scrive che
Dio è “non artefice, ma ordinatore del peccati attraverso la distribuzione
delle sanzioni, non operatorem peccatorum, sed ordinatorem distributione
meritorum” (61). Ma Dio è ordinatore del peccati, anche attraverso alla
distribuzione del Suoi perdoni e delle Sue misericordie. Così scrive J.
Maritain: “La colpa morale non sarà mai, sotto nessun punto di vista, un
bene in rapporto ad un ordine superiore qualsiasi, essa resterà sempre un
male (sebbene essa possa essere riordinata verso un bene maggiore, ma
questa è un'altra questione); ma in se stessa, ed abbiamo qui un elemento
della tragedia del mondo, rimarrà sempre un male” (62).

d) Dio vuole permettere il male.
Ancor prima di aver distinto nella Summa le specie del male, san
Tommaso insegna in linea generale che Dio, il quale non vuole il male, lo
permette.
Non è esatto dire che Dio vuole che i mali esistano: il che significherebbe
pretendere che Egli ne è l'Autore. Non è neppure esatto dire che Dio vuole
che i mali non esistano: il che significherebbe ammettere che la Sua
volontà manca di forza per compiere ciò che vuole. Che cosa diremo
dunque? Bisogna dire che Dio vuole permettere i mali (63). E questo,
continua san Tommaso, è bene (64)' E ne dà spiegazione altrove (65): “Se
tutti i mali fossero impediti, molti beni scomparirebbero dall'universo. La
vita del leone non sarebbe conservata senza la morte di altri animali”; ecco
quanto si può dire riguardo al permesso del male della natura. La risposta
verrà anche, ma trasportata su di un piano molto misterioso, per il
permesso del male della colpa: “La pazienza del martiri, suppone la
persecuzione del tiranni” (66).

In altri termini, volere il male in quanto tale è impossibile a Dio. Volere un
bene, un mondo senza mescolanza di male era possibile a Dio. Volere un
bene, un mondo con una mescolanza di male, in ragione del bene stesso e
non, del male che sfrutta o condiziona quel bene: questo è quanto Dio ha
scelto e questo è un bene. Ecco ciò che significa la frase: Dio ha permesso
il male. “Dio - dice sant'Agostino - non permetterebbe mai ad un male
qualsiasi di esistere nelle sue opere se non fosse abbastanza potente ed
abbastanza buono per far derivare il bene dal male stesso (67)'" Egli ha
giudicato cosa migliore far derivare il bene dal male piuttosto che
permettere che non esistessero del mali” (68).

e) Da chi è misconosciuto il concetto del permesso del male.
I) La distinzione fra volere il male e permettere il male sarà mi sconosciuta
da tutti coloro che, per non saper cogliere che il male è privazione, gli
attribuiranno una consistenza e ne ricercheranno una causa positiva.
Coloro per i quali il male è il contrario del bene, gli assegneranno come
causa suprema la volontà di un dio cattivo (dualismo mazdeano o
manicheìsta). Coloro per i quali il male non è altro che un bene minore, o
per i quali il bene ed il male non sono che del modi di pensare della nostra
ignoranza (69), considereranno il male ed il bene parimenti voluti dalla
Causa suprema.

2) Si è visto più sopra che, secondo sant'Agostino, Dio non è certamente
artefice, ma ordinatore del peccati, attraverso la distribuzione delle
sanzioni. Alla parola “ordinare”, Calvino dà un altro senso. Se i peccati
fossero cose positive, sottrarli all'influenza di Dio ed esitare a sostenere
che sono voluti da Lui, significherebbe evidentemente menomare
l'onnipotenza di Dio. In realtà la distinzione fra la volontà ed il permesso
del male è respinta da Calvino, e proprio nel punto stesso in cui essa si
impone con maggiore forza, cioè a proposito del peccato: “Alcuni, egli
dice nell'Istituzione cristiana, ricorrono, a questo proposito, alla differenza
fra volontà e permesso, dicendo che gl'iniqui periscono col permesso di
Dio, ma non per Sua volontà. Ma perché diremo che lo permette se non
perché lo vuole? Senza contare che non è di per se stesso affatto
verosimile che l'uomo si sia acquistata la dannazione solo per permesso, e
non per ordine di Dio... I reprobi vogliono essere considerati scusabili
mentre peccano, per il fatto che non possono evadere dalla necessità di
peccare, principalmente tenendo conto che essa procede dal decreto e dalla
volontà di Dio: io nego, al contrario, che ciò serva a scusarli per il fatto
che quel decreto di Dio, del quale si lamentano, è giusto” (70). “Dio non
soltanto ha preveduto la caduta del primo uomo e in essa la rovina di tutta
la posterità, ma così ha voluto” (71).
http://www.ministridimisericordia.org/Ilproblemadelmaleedeldolore/tabid/550/Default.aspx

Nessun commento:

Posta un commento