DON ANTONIO

venerdì 30 settembre 2011

La divina Provvidenza e la presenza del male e della sofferenza nel mondo di GIOVANNI PAOLO II

1. Riprendiamo il testo della prima Lettera di san Pietro, al quale ci siamo richiamati alla fine della catechesi precedente: «Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo; nella sua grande misericordia egli ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per un'eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce. Essa è conservata nei cieli per voi». Poco oltre lo stesso apostolo ha un'affermazione illuminante e consolante insieme: «Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere un po' di tempo afflitti da varie prove, perché il valore della vostra fede, molto più preziosa dell'oro, che, pur destinato a perire, tuttavia si prova col fuoco...» (1Pt 1,3-7). Già dalla lettura di questo testo si arguisce che la verità rivelata circa la «predestinazione» del mondo creato e soprattutto dell'uomo in Cristo («praedestinatio in Christo»), costituisce il fondamento principale e indispensabile delle riflessioni che intendiamo proporre sul tema del rapporto tra la Provvidenza divina e la realtà del male e della sofferenza presenti sotto tante forme nella vita umana.

2. Ciò costituisce per molti la principale difficoltà ad accettare la verità sulla divina Provvidenza. In alcuni casi questa difficoltà assume forma radicale, quando addirittura si accusa Dio a causa del male e della sofferenza presenti nel mondo, giungendo fino a rifiutare la verità stessa su Dio e sulla sua esistenza (cioè all'ateismo). In una forma meno radicale, e tuttavia inquietante, questa difficoltà si esprime nei tanti interrogativi critici, che l'uomo pone a Dio. Il dubbio, la domanda o addirittura la contestazione nascono dalla difficoltà di conciliare tra loro la verità della Provvidenza divina, della sollecitudine paterna di Dio per il mondo creato, e la realtà del male e della sofferenza sperimentata in diversi modi dagli uomini. Possiamo dire che la visione della realtà del male e della sofferenza è presente con tutta la sua pienezza nelle pagine della Sacra Scrittura. Si può affermare che la Bibbia è, oltre tutto, un grande libro sulla sofferenza: questa entra in pieno nell'ambito delle cose che Dio volle dire all'umanità «molte volte... per mezzo dei profeti, e ultimamente per mezzo del Figlio» (cf. Eb 1,1): entra nel contesto dell'autorivelazione di Dio e nel contesto del Vangelo; ossia della buona novella della salvezza. Per questo l'unico metodo adeguato per trovare una risposta all'interrogativo sul male e sulla sofferenza nel mondo è di cercarla nel contesto della rivelazione offerta dalla parola di Dio.

3. Dobbiamo però prima di tutto intenderci sul male e sulla sofferenza. Essa è in se stessa multiforme. Comunemente si distingue il male in senso fisico da quello in senso morale. Il male morale si distingue da quello fisico prima di tutto per il fatto che comporta una colpevolezza, perché dipende dalla libera volontà dell'uomo, ed è sempre un male di natura spirituale. Esso si distingue dal male fisico, perché quest'ultimo non include necessariamente e direttamente la volontà dell'uomo, anche se ciò non significa che esso non possa essere causato dall'uomo o essere effetto della sua colpa. Il malefisico causato dall'uomo, a volte solo per ignoranza o mancanza di cautela, a volte per trascuratezza di precauzioni opportune o addirittura per azioni inopportune e dannose, si presenta in molte forme. Ma si deve aggiungere che esistono nel mondo molti casi di male fisico, che avvengono indipendentemente dall'uomo. Basti ricordare per esempio i disastri o le calamità naturali, come anche tutte le forme di minorazione fisica oppure di malattie somatiche o psichiche, di cui l'uomo non è colpevole,

4. La sofferenza nasce nell'uomo dall'esperienza di queste molteplici forme di male. In qualche modo essa può trovarsi anche negli animali, in quanto sono esseri dotati di sensi e della relativa sensibilità, ma nell'uomo la sofferenza raggiunge la dimensione propria delle facoltà spirituali che egli possiede. Si può dire che nell'uomo la sofferenza è interiorizzata, coscientizzata, sperimentata in tutta la dimensione del suo essere e delle sue capacità di azione e di reazione, di ricettività e di rigetto; è un'esperienza terribile, dinanzi alla quale, specialmente quando è senza colpa, l'uomo pone quei difficili, tormentosi, a volte drammatici interrogativi, che costituiscono ora una denuncia, ora una sfida, ora un grido di rifiuto di Dio e della sua Provvidenza. Sono interrogativi e problemi che si possono riassumere così: come conciliare il male e la sofferenza con quella sollecitudine paterna, piena d'amore, che Gesù Cristo attribuisce a Dio nel Vangelo? Come conciliarli con la trascendente sapienza e onnipotenza del Creatore? E in forma anche più dialettica: possiamo noi, di fronte a tutta l'esperienza del male che è nel mondo, specialmente di fronte alla sofferenza degli innocenti, dire che Dio non vuole il male? E se lo vuole, come possiamo credere che «Dio è amore»? Tanto più che questo amore non può non essere onnipotente?

5. Di fronte a questi interrogativi anche noi, come Giobbe, sentiamo quanto sia difficile dare una risposta. La ricerchiamo non in noi, ma con umiltà e fiducia nella parola di Dio. Già nell'Antico Testamento troviamo l'affermazione vibrante e significativa: «contro la Sapienza la malvagità non può prevalere. Essa si estende da un confine all'altro con forza, governa con bontà eccellente ogni cosa» (Sap7,30-8,1). Di fronte alla multiforme esperienza del male e della sofferenza nel mondo già l'Antico Testamento rende testimonianza al primato della Sapienza e della bontà di Dio, alla sua divina Provvidenza. Questo atteggiamento si delinea e sviluppa nel libro di Giobbe, che è dedicato completamente alla tematica del male e del dolore visti come prova a volte tremenda per il giusto, ma superata dalla certezza, faticosamente conquistata, che Dio è buono. In questo testo cogliamo la consapevolezza del limite e della caducità delle cose create, per cui alcune forme di «male» fisico (dovute a mancanza o a limitazione del bene) appartengono alla struttura stessa degli esseri creati, che per propria natura sono contingenti e passeggeri, dunque corruttibili.

6. Sappiamo inoltre che gli esseri materiali sono in stretto rapporto di interdipendenza come esprime l'antico adagio: «la morte del l'uno è la vita dell'altro» («corruptio unius est generatioalterius»). Così dunque, in una certa misura anche la morte serve alla vita. Questa legge riguarda anche l'uomo in quanto è un essere animale e insieme spirituale, mortale e immortale. A questo proposito tuttavia le parole di san Paolo dischiudono orizzonti ben più ampi: «se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno» (2Cor 4,16). E ancora: «Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione, ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria» (2Cor 4,17).

7. L'assicurazione della Sacra Scrittura: «contro la sapienza la malvagità non può prevalere» (Sap 7,30), rafforza la nostra convinzione che, nel piano provvidenziale del Creatore riguardo al mondo, il male è in definitiva subordinato al bene. Inoltre nel contesto della verità integrale sulla divina Provvidenza, si è aiutati a comprendere meglio le due affermazioni: «Dio non vuole il male come tale» e «Dio permette il male». A proposito della prima è opportuno richiamare le parole del libro della Sapienza: «...Dio non ha creatola morte e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutto per l'esistenza» (Sap 1,13-14). Quanto alla permissione del male nell'ordine fisico, ad esempio di fronte al fatto che gli esseri materiali (tra essi anche il corpo umano) sono corruttibili e subiscono la morte, bisogna dire che esso appartiene alla stessa struttura dell'essere di queste creature. D'altra parte sarebbe difficilmente pensabile, allo stato odierno del mondo materiale, l'illimitato sussistere di ogni essere corporeo individuale. Possiamo dunque capire che, se «Dio non ha creato la morte», come afferma il libro della Sapienza, tuttavia egli la permette, in vista del bene globale del cosmo materiale.

8. Ma se si tratta del male morale, cioè del peccato e della colpa nelle loro diverse forme e conseguenze anche nell'ordine fisico, questo male Dio decisamente e assolutamente non lo vuole. Il male morale è radicalmente contrario alla volontà di Dio. Se nella storia dell'uomo e del mondo questo male è presente e a volte addirittura opprimente, se in un certo senso ha una propria storia, esso viene solo permesso dalla divina Provvidenza per il fatto che Dio vuole che nel mondo creato vi sia libertà. L'esistenza della libertà creata (e dunque l'esistenza dell'uomo, l'esistenza anche di spiriti puri come sono gli angeli, dei quali parleremo più avanti), è indispensabile per quella pienezza della creazione, che risponde all'eterno piano di Dio(come abbiamo già detto in una delle precedenti catechesi). A motivo di quella pienezza di bene che Dio vuole realizzare nella creazione, l'esistenza degli esseri liberi è per lui un valore più importante e fondamentale del fatto che quegli esseri abusino della propria libertà contro il Creatore, e che perciò la libertà possa portare al male morale. Indubbiamente è grande la luce che riceviamo dalla ragione e dalla rivelazione a riguardo del mistero della divina Provvidenza, che pur volendo il male lo tollera in vista di un bene più grande. La luce definitiva, tuttavia, ci può venire soltanto dalla croce vittoriosa di Cristo. Ad essa dedicheremo la nostra attenzione nella catechesi seguente.



mercoledì, 4 giugno 1986http://www.ministridimisericordia.org/Ilproblemadelmaleedeldolore/tabid/550/Default.aspx

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