DON ANTONIO

lunedì 19 settembre 2011

2.IL MALE.Saggio teologico del cardinale Charles Journet Professore al Seminario Maggiore di Priburgo

c) Problema pericoloso: il rischio di deludere.

E' pericoloso affrontare il problema del male: si rischia di avere uno
smacco, si rischia pure di cadere nella presunzione.

Non si finirà per deludere coloro che si desiderava illuminare? Se essi
vogliono riflettere sul male, sarà necessario attrarre la loro attenzione su
alcuni principi di metafisica, poiché sono precisamente i rapporti delle
creature e del Creatore che allora vengono messi in campo. La dottrina per
cui un Dio onnipotente ed infinitamente buono permette il male è assai
delicata da presentare, richiede che si volga lo sguardo alle cose più alte ed
alle cose più basse; essa non è univoca, ma proporzionale, e muterà
significato a seconda che la si trasporterà dal piano del male della colpa al


piano del male della pena o del male della natura. Questo sforzo
disincanterà forse coloro che leggono? Alle prese con il male, non avranno
forse più né la forza né il desiderio di dedicare il loro spirito ad una
discussione. Allora, ciò che essi udranno, apparirà loro vano e senza
valore. Non che la verità sia fallace; ma il fatto è che per essi è giunto il
momento di soffrire il male, non più di pensarlo. Il fatto è che un Altro
parla loro in silenzio (4).

E poi le forme del male sono infinite, per cui non potranno essere indicate
tutte. Forse si dimenticherà proprio quella che, per un certo lettore
disposto ad ascoltarci, contava più di tutte, scandalizzava il suo spirito,
infrangeva la linea della sua vita.

Nei Fioretti (5) si parla d'un lebbroso che bestemmiava in un modo così
spaventoso che i Frati Minori, mandati per medicarlo, avevano deciso di
abbandonarlo. Fu allora che andò da lui san Francesco. Fece scaldare
dell'acqua con molte erbe odorose e, avendo spogliato l'ammalato,
incominciò a lavare le sue piaghe: man mano che lo toccava, la lebbra
scompariva. Il lebbroso, interdetto, cessò di maledire; poi, ad un tratto,
scoppiò in lacrime, implorando il perdono per le sue bestemmie. Cacciare
il male toccandolo è una risposta cui non si può replicare, una risposta
stupefacente. Questa fu, più d'una volta, la risposta di Gesù. Ma non è una
risposta normale durante il tempo dell'esilio. E' una risposta per il tempo
della Patria, per il tempo della nuova Gerusalemme, quando Dio “drizzerà
la sua tenda con gli uomini..., ed asciugherà ogni lacrima dai loro occhi, e
la morte non esisterà più, e non ci sarà più né lutto, né grido, né dolore,
perché le prime cose se ne sono andate” (Apoc., XXI, 3-4). Il semplice
cristiano, il semplice teologo interrogato sul male non può riferirsi che alle
risposte del tempo dell'esilio.

Egli inoltre non tenterà di rispondere ad un'esperienza con una dottrina, o
ad una dottrina con un'esperienza; ma ad una dottrina errata, superficiale,
opporrà una dottrina vera, profonda; ad un'esperienza vissuta senza
l'amore cristiano oppure in un amore cristiano troppo debole, opporrà
un'esperienza vissuta nell'intensità dell'amore cristiano. Tutto ciò è chiaro,
eppure, se è opportuno opporre dottrina a dottrina ed esperienza ad
esperienza, quando si parla di Dio e del male, la dottrina più ortodossa, se
è esposta senza essere rituffata nella fiamma dalla quale è nata, se non è
animata da qualche segreta virtù del Vangelo, tradirà, potrà diventare
veleno; ed allora, come non tremare all'idea d'essere cagione di scandalo
proprio quando si voleva portare un po' di luce? Anche se avesse provato


egli stesso quella fiamma, quella virtù, il cristiano, il teologo non saprebbe
comunicarla: essa è l'olio della lampada che non si può cambiare ma che si
compera presso il divino Mercante; egli potrà, tutt'al più, indicare la via
per mezzo della quale la si scopre, poiché conosce il nome della Sorgente
da cui scende sulle anime la luce interiore che illumina improvvisamente
tutte le loro tenebre.



d) Il rischio della presunzione.

Non si corre, soprattutto, il rischio di cadere nella presunzione? “Non fa
bene mangiare molto miele”, dice il Libro del Proverbi (6), ma meditare
sul male presenta altri pericoli. Una visione di questo genere non ci
sopraffarà? Potremo mangiare senza rimorsi, quando sapremo che due
uomini su tre soffrono la fame? potremo dormire, quando penseremo
all'angoscia degli ammalati o di quel grande numero di “spostati”, senza
tetto, senza speranza e di cui la terra non vuoi saperne? potremo respirare
liberamente, vedendo ogni giorno che l'ingiustizia trionfa, che del fanciulli
vengono scandalizzati, che del popoli sono sviati da mitologie ed asserviti
a scopi di tirannide, che gli strumenti di tortura e gli ordigni di distruzione
si vanno perfezionando? Il nostro tenore di vita ci sarà ancora
sopportabile? non sentiremo che il nostro equilibrio è fatto di ignoranze, di
complicità, di sbarramenti protettori elevati dall'egoismo, che la sola vita
senza menzogna non è la nostra, ma quella che viene svelata ai santi, a
coloro che veramente amano Gesù, e, da allora in poi, non saremo colti da
un grande scoraggiamento? Anche la fede è minacciata. Era necessario per
il piano divino che il male esplicasse tanta forza, anche dopo la
Redenzione del mondo? La certezza della verità assoluta del nostro credo
non sarà scossa, quando urteremo contro le divergenze inconciliabili di
spiriti che cercano come noi il volto di Dio con altrettanto - talvolta forse
con maggiore - desiderio? La prospettiva sconvolgente della ripulsa
definitiva di Dio da parte di una sola anima, non costituirà la tentazione
fatale? Non ci accingiamo a penetrare nella zona vietata? “Colui che
scruta la maestà sarà oppresso dalla gloria” (7).

Ma Gesù ha conosciuto tutto il male. Discendendo in quegli abissi non ci
ha forse indicata la strada ed invitati a seguirlo? Tutti i suoi amici lo hanno
fatto, non si sono tirati indietro, sono entrati nella tenebra con la violenza
del desiderio, hanno aperto su tutto l'universo la loro meditazione del
male. Esiteremo dunque sulla soglia? Preserveremo a qualunque costo un
equilibrio fragile, fatto di incoscienza e d'istinto di difesa? Non tenteremo


piuttosto di affondare questa barca, per immergerci nel dramma che hanno
vissuto i santi? Osare una simile avventura ridotti alle nostre povere
risorse sarebbe senza dubbio temerarietà, sarebbe persino pura fama, e la
catastrofe finale sarebbe certa. Ma siamo preceduti da alcuni grandi
insegnamenti del magistero, dalla riflessione secolare del dottori, dai
richiami del santi. Occorrerà fare molta attenzione a quelle luci, ed
attaccarsi fortemente agli amici di Dio. Occorrerà pure pregare molto. E'
una gran cosa, infatti, conoscere il male senza vertigine, e questo non si
potrà ottenere se non nella misura con la quale saremo riusciti a
raggiungere Dio, per ridiscendere successivamente verso la Sua opera e
vederla nel Suo sguardo. E Dio non si raggiunge che attraverso la verità e
la carità, non attraverso la sola verità, poiché Egli è nello stesso tempo
Verità e Carità, e “la Verità senza la Carità non è Dio” (8).



2. UN PUNTO FONDAMENTALE: INTERDIPENDENZA DELLA
NOSTRA CONOSCENZA DEL MALE E DELLA NOSTRA
CONOSCENZA DI DIO



Occorrerà progredire nella conoscenza del male progredendo in quella di
Dio; ed allo stesso modo, progredire nella conoscenza di Dio progredendo
in quella del male. La legge che vige fra queste due conoscenze non è di
distruggersi fra loro, ma di approfondirsi reciprocamente con lo stesso
ritmo. Esse sono complementari; sono come i due punti estremi di una
circonferenza crescente: più uno si eleva più l'altro si abbassa. Questo
punto di vista, paradossale solo in apparenza, che mettiamo subito in
evidenza e che rimarrà il nocciolo della nostra ricerca, crea la prospettiva
nella quale, lo si voglia o no, si collocano, ed alla fine si giudicano, tutti i
tentativi di conoscere il male.



a) Queste due conoscenze o si distruggono a vicenda...

Una conoscenza comune e poco elevata di Dio forse non sarà scossa da
una conoscenza comune e poco profonda del male. Ma se il male rivelerà
improvvisamente 1'orrore del suoi aspetti, quella troppo debole
conoscenza di Dio si turberà, vacillerà; allora, inevitabilmente, o si
dissolverà nell'ateismo, il quale, dopo aver brutalmente ristretto e limitato
il campo del male alle cose del tempo, lascerà alla fine il problema senza
risposta, oppure, al contrario, essa dovrà abbandonare il suo torpore,
prendere quota, incominciare ad aprirsi ad un mistero che non sospettava.


Né il demiurgo di Plotino, né il Dio di Spinoza sono capaci di resistere alla
visione vera, alla visione reale del male (9). Una filosofia alla quale sfugga
la purezza assoluta della trascendenza divina, e per la quale Dio non sia
altro che la chiave di volta dell'universo, abbraccerà nella sua visione
soltanto il “male della natura”, vale a dire il male che è l'opposto d'un bene
necessario all'ordine generale del mondo; essa sarà tentata di ricondurre a
questa forma il male libero del peccato (10), e finirà per dichiarare che il
male non è che una apparenza, che esso non esiste nella sua realtà, che ciò
che noi chiamiamo male o peccato è necessario e non rappresenta altro che
forme differenti e legittime dell'essere (11).



b)...oppure si approfondiscono a vicenda.

La vera visione del male richiede un'idea di Dio molto alta, e, per
contrapposto, un'idea molto alta di Dio fa discendere nella profondità del
male. Dio, nel quale sono celate le ragioni supreme delle cose, invita i
Suoi amici a sondare gli abissi delle Sue provvidenze. Egli rivela una
notte, a Santa Caterina da Siena, l'offesa del peccato, la perdita delle
anime, la persecuzione della Santa Chiesa, ed al mattino, durante la
comunione, ella si crede responsabile a causa della sua tiepidezza del male
del mondo intero (12). Egli concede a santa Teresa una sconvolgente
visione dell'inferno e delle rovine causate nella cristianità dalla scissione
luterana (13). A Maria dell'Incarnazione, nella sua clausura del monastero
di Tours, fa vedere “attraverso ad una certezza interiore” le povere anime
ragionevoli vittime del demoni in tutta la terra abitabile (14). A santa
Margherita-Maria permette di provare qualcosa della “mortale tristezza”
dell'Orto degli Ulivi (15). E se ci si chiede perché Dio tratta così i Suoi
amici, avvicinandoli sempre alla conoscenza che ha gettato Gesù
nell'agonia, bisognerà rispondere che è per penetrarli contemporaneamente
con la visione della Sua bontà. “Il Signore - dice san Giovanni della Croce
ha sempre rivelato ai mortali i tesori della Sua sapienza e del Suo spirito;
ma ora che la malizia va scoprendo sempre di più il suo volto, Egli li
rivela di più” (16).



3. UNA LEGGE DELLA STORIA SPIRITUALE DEL MONDO



Così il volto di Dio ed il volto del male si scoprono insieme col progredire
del tempo. Se il mistero del peccato originale, vale a dire della
trasmissione a tutti i discendenti di Adamo di un peccato che si propaga


loro e la cui conseguenza è la morte, è implicito nel racconto biblico della
caduta del primo uomo, esso non ci è stato tuttavia chiaramente rivelato se
non nel mistero della nostra redenzione: “Come per la disobbedienza di un
sol uomo, tutti sono stati costituiti peccatori, così, per l'ubbidienza di uno
solo, tutti saremo costituiti giusti” (Rom., V, 19). Non avremmo potuto
sopportare, senza cadere nella disperazione, la completa rivelazione della
perdita del nostro diritto, se non accompagnata alla completa rivelazione
della nostra liberazione.

Fu più tardi che la teologia, ponendosi il problema del perché
dell'Incarnazione redentrice, del Cur Deus homo, e scrutando le ragioni
che richiedevano che un Dio nascesse e morisse per noi, volse totalmente
la sua attenzione al mistero dell'offesa infinita del peccato mortale.

Noi incontriamo a questo punto una legge della storia spirituale del
mondo; essa procede contemporaneamente attraverso allo sviluppo di due
movimenti opposti, avvicinandosi, da una parte, a ciò che san Paolo
chiama apostasia, cioè la manifestazione suprema dell'uomo di peccato,
vale a dire dell'Anticristo e delle forze di Satana, e dall'altra parte, alla
vittoria definitiva del Signore Gesù Cristo, che l'annienterà con lo
splendore del Suo Avvento, della Sua Parusia (II Thess., III, 13).


http://www.ministridimisericordia.org/Ilproblemadelmaleedeldolore/tabid/550/Default.aspx

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