DON ANTONIO

giovedì 15 settembre 2011

SE DIO È PADRE,come spiegare il male e il dolore?

Quello del male, del dolore, della sofferenza, è davvero il problema di sempre. Soprattutto per noi cristiani che crediamo in un Dio Padre misericordioso. Comprendere il significato del male, come ci ricorda il nostro abbonato, può d’altra parte far riscoprire il senso del peccato e accogliere la misericordia di Dio, in particolare attraverso il sacramento del perdono. Riflettiamo dunque insieme, con semplicità, su questi argomenti, senza pretendere di dare una risposta risolutoria e definitiva, ma cercando di tracciare un percorso di speranza.

Sul problema del male si sono cimentati nei secoli filosofi e teologi; lo stesso libro biblico di Giobbe è incentrato sulla sofferenza del giusto; anche gli scrittori, antichi e moderni, ci hanno lasciato pagine intense e drammatiche. Basti pensare a Dostoevskij, Kafka, Camus. Non voglio però limitarmi alla distinzione tra male fisico (malattie, disgrazie, catastrofi naturali) e male morale (peccati, crimini, ingiustizie); non voglio nemmeno ripetere le spiegazioni usuali, che pure sono valide: il male deriva dal limite intrinseco della creazione e delle creature (se ho un corpo posso cadere e farmi male); il male deriva dalla libertà che Dio ha donato all’uomo e che rispetta fino in fondo (ho quindi la possibilità di scegliere il male, di fare un cattivo uso della libertà, con le conseguenze che ne derivano). Vorrei invece confrontarmi insieme a voi con il Vangelo e con Gesù Cristo crocifisso. Lo scandalo della croce, infatti, è la via per entrare nel grande mistero della sofferenza, il percorso che può indicarci una risposta all’apparente silenzio di Dio di fronte alle sofferenze, al dolore innocente, e soprattutto farci capire quale dev’essere l’atteggiamento del cristiano.

Leggiamo nel Vangelo di Marco (8,31-33) che Gesù cominciò a insegnare ai discepoli che egli «doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare». È l’annuncio della Pasqua, cioè della passione, morte e risurrezione del Signore. Pietro allora lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma Gesù, «rimproverò Pietro e gli disse: "Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini"». Gesù era già stato tentato da satana nel deserto e la tentazione era la stessa: evitare la sofferenza, la morte, e salvare l’umanità attraverso un’azione filantropica, benefica, spettacolare: sfamare tutti trasformando le pietre in pane, compiere il miracolo appariscente di gettarsi dal pinnacolo del tempio ed essere salvato dagli angeli, usare il potere e la gloria di questo mondo per sottomettere gli uomini a sé. Dio invece ha scelto di salvare l’umanità attraverso la sofferenza e la morte in croce del proprio Figlio, attraverso la Pasqua. Perché questa scelta? Non certo perché la sofferenza sia un bene in sé. La risposta è in due passi del Vangelo di Giovanni: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito» (3,16); «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (15,13). Dio ha scelto la via della Pasqua, della sofferenza, per amore, perché ha amato e ama l’umanità fino in fondo, fino a dare la vita. La salvezza spettacolare, filantropica, di un Dio che risolve tutto con un colpo di bacchetta magica, non manifesterebbe l’amore, perché Dio agirebbe dall’esterno: sarebbe solo uno che aggiusta ciò che non va, non colui che ama. Chi ama si compromette, condivide, dona sé stesso, fino a raggiungere l’uomo là dove è sprofondato. Per questo Pietro, rimproverando Gesù dopo l’annuncio della passione, pensava di opporsi alla sua sofferenza, ma in realtà si opponeva all’amore, finiva per impedire a Cristo di amare. Pensare secondo Dio significa infatti amare; la logica di Dio è la logica dell’amore. Contemplando il crocifisso, noi possiamo contemplare l’amore di Dio, l’amore che arriva a dare la vita per le persone amate, che accetta per loro anche il calice della sofferenza e dell’abbandono, del dolore e della morte. La risurrezione è la conferma dell’amore, è la certezza che l’ultima parola non appartiene al male, alla sofferenza, ma a chi ha donato sé stesso, la propria vita. La stessa nostra sofferenza, negativa in sé, può essere trasformata in una via di salvezza.

Ora, io non credo che si possa dare una risposta ultima, definitiva, razionalmente convincente, al problema del male, della sofferenza. L’unica risposta è l’amore. È una risposta di tipo esistenziale, che può soltanto essere testimoniata con la vita; che può essere compresa contemplando il crocifisso e accogliendo l’amore che Dio ha manifestato in Gesù Cristo, un amore che è misericordia, che è perdono verso noi peccatori. Scoprire di aver bisogno di perdono, di salvezza e di essere amati da Dio senza averne alcun merito, scoprire la sua misericordia senza limiti, ci rende liberi e capaci di amare. Nel contesto dell’amore anche la sofferenza trova un significato, una risposta, un senso.

Noi cristiani, uniti a Cristo crocifisso e spinti dal suo amore, possiamo dare non una spiegazione, ma una risposta al male, al dolore, all’ingiustizia. La risposta è quella dell’amore, che non è solo accettazione e offerta della nostra sofferenza, ma impegno concreto a favore degli altri, in particolare di chi soffre e di chi è povero e solo, è impegno per la giustizia e il bene, perché venga rispettata la dignità di ogni persona. Come scriveva san Paolo: «Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene» (Rom 12,21).

Forse, più che la riscoperta delle "regole", è importante, per non perdere il senso del peccato, riconoscere quanto siamo lontani dal comprendere l’amore di Dio che si è manifestato in Cristo, un amore che non ha esitato a passare attraverso la sofferenza e la croce. Contemplando il crocifisso possiamo comprendere il nostro poco amore, il nostro egoismo, e decidere di riavvicinarci con umiltà al Signore, accogliendo il suo perdono e la sua misericordia. Possiamo così riscoprire anche la grandezza e l’importanza del sacramento del perdono, che non è un semplice colpo di spugna che pulisce l’anima, ma è accogliere l’amore, la misericordia di Dio, convertirsi a lui, non pensare più secondo gli uomini ma secondo Dio e riprendere con coraggio il proprio cammino di vita cristiana. E qui si inserisce la giusta sottolineatura della nostra lettrice: i fedeli devono avere la possibilità concreta di accostarsi al sacramento della riconciliazione, non solo prima della messa, ma soprattutto creando spazi e momenti appositamente dedicati.

http://www.stpauls.it/fc99/2899fc/2899fc04.htm

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