DON ANTONIO

martedì 13 settembre 2011

Dio e la sofferenza.Jürgen Moltmann, Trinità e regno di Dio, Queriniana, Brescia 1983, pag. 58-60.Comunità Monastica di Bose (a cura di), Letture dei

La tesi di Jürgen Moltmann, uno dei più brillanti e originali teologi del Novecento, è netta e non lascia aperte facili vie di scampo: la sofferenza anche di un solo bambino innocente spazza via le nostre categorie di onnipotenza, giustizia e bontà di Dio. Il problema della natura di Dio e il problema della giustizia divina (teodicea) sono quindi intimamente legati, e solo insieme possono trovare una risposta.
Chi giorno dopo giorno cerca di coltivare una fede critica e matura, aliena da una certa spiritualità doloristica che arriva ad attribuire la sofferenza del mondo alla volontà di Dio, non si accontenta di soluzioni a buon mercato. E sa che solo in una prospettiva cristologica, e dunque – in ultima analisi – escatologica, può venire la risposta definitiva alla “ferita aperta della vita”.
In questa pagina viene citato un passo dell’Apocalisse di San Giovanni. Riportiamo qui un’altra pericope dal medesimo libro, di rara intensità poetica e che però ci conferma che solo nell’ultimo giorno, quando il velo del mistero finalmente cadrà, potremo capire il senso del male del mondo e la potenza ri-creativa dell’amore di Dio:

E tergerà ogni lacrima dai loro occhi;
non ci sarà più la morte,
né lutto, né lamento, né affanno,
perché le cose di prima sono passate (Ap 21,4).
E’ nella sofferenza che l’uomo si interroga su Dio; poiché la sofferenza incomprensibile pone in questione il Dio dell’uomo. La sofferenza anche di un solo bambino innocente contesta inesorabilmente l’idea di un Dio onnipotente e buono che vive in cielo. Infatti, un Dio che permette la sofferenza degli innocenti, una morte assurda, non merita di essere chiamato “Dio”. Quando le molteplici sofferenze patite dagli esseri viventi lacerano la coscienza, si perde anche la fiducia originaria e infantile, la fiducia in Dio. Allora l’uomo lacerato nel dolore si trova solo. Non esiste alcuna spiegazione capace di eliminare il dolore che egli prova. Non esiste alcuna consolazione di una sapienza superiore capace di cancellare queste sofferenze. L’uomo, che nel dolore grida contro la sofferenza patita, ha una dignità che né gli uomini né gli dèi potranno mai negargli. (...)
Dio e la sofferenza sono intimamente legati, come nel nostro vivere sono intimamente legati fra loro il grido che a Dio si eleva e la sofferenza che si sperimenta nel dolore. Il problema di Dio e il problema della sofferenza costituiscono un tutt’uno e insieme potranno trovare anche la risposta, oppure nessuno dei due otterrà una soluzione soddisfacente. In questo mondo nessuno potrà risolvere il problema della teodicea, ma nessuno potrà neanche eliminarlo. Vivere in questo mondo significa esistere con questo problema aperto e porsi alla ricerca di quel futuro nel quale la brama di Dio troverà soddisfacimento, la sofferenza verrà superata e ciò che era perso sarà ricostituito.
Il problema della teodicea (...) non è un problema di tipo teoretico, perché non può essere risolto con una nuova teoria del mondo presente. E’ un problema pratico che può essere risolto solo attraverso l’esperienza del mondo nuovo nel quale «Dio asciugherà le lacrime dai loro occhi» (Ap 7,17). Ma propriamente non è neppure un problema che si potrebbe porre o non porre come tanti altri, bensì la ferita aperta della vita in questo mondo. Il vero compito della fede e della teologia è quello di rendere possibile una sopravvivenza con questa ferita aperta.
Chi crede non si accontenta di nessuna soluzione che chiarisca il problema della teodicea. Chi crede non accetta neppure una qualche attenuazione del problema. Più uno crede e più in profondità avverte il dolore per la sofferenza del mondo e tanto più appassionatamente si interrogherà su Dio e la nuova creazione.


http://www.fondazionegraziottin.org/it/articolo.php?EW_CHILD=10656

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