DON ANTONIO

lunedì 19 settembre 2011

3.IL MALE.Saggio teologico del cardinale Charles Journet Professore al Seminario Maggiore di Priburgo

4. LA RISPOSTA AL MALE
Sul piano della vita, solo l'esperienza di Dio resiste alla esperienza del
male; sul piano della conoscenza, solo la scoperta progressiva di Dio
resiste alla scoperta progressiva del male.

Sull'uno e sull'altro piano, il mistero di Dio permette di affrontare tutto il
mistero del male. Si oppone ad un mistero un altro mistero, un mistero
assolutamente infinito ad un mistero relativamente infinito.

a) Chiarire un mistero con un mistero.
I misteri, in realtà, non si chiariscono mai se non l'uno per mezzo d'un
altro: il superiore spiega l'inferiore, e questo di rimando dimostra il primo;
così, ad esempio, è dapprima il dono dell'Incarnazione che giustifica
l'Eucaristia, ma il contatto con l'Eucaristia permette successivamente di
intuire che cosa fu il contatto dell'Incarnazione. Qualunque altro modo per
chiarire i misteri, è, per natura, inadeguato.


Ma può un mistero chiarire un mistero? Il mistero di Dio può chiarire
quello del male? Lanciarsi così nel mistero servirà dunque a chiarire
qualche cosa, o non servirà piuttosto a far piombare tutto nell'oscurità?

b) Il dilemma: mistero o contraddizione.
A questo punto bisogna fare molta attenzione. Quando si tratta del male o,
più generalmente, del rapporti del mondo con Dio, la ragione umana, se
decide di andare a fondo della sua ricerca, sfocia inevitabilmente nella
notte. Ma vi sono due generi di notte, due generi di oscurità fra i quali
bisogna che scelga con una scelta primordiale, l'una al di sopra di essa, che
l'esalta, ed è l'oscurità del mistero; l'altra al di sotto, che la disgrega, ed è
l'oscurità dell'incoerenza e della contraddizione.

Già soltanto sul piano delle attività naturali, si palesa il contrasto fra questi
due generi di oscurità. La ragione si vede costretta o a superare se stessa
nel mistero o a rinunziare a se stessa nella contraddizione. Essa non è fatta
per adorare se stessa, ma per donarsi. Ciò che la rapisce e l'affascina in
certi esseri, nelle intuizioni e nelle opere del genio, nel cielo stellato, in
tutto ciò che non la stanca mai, è la parte inesauribile di mistero che tali
cose racchiudono, è una notte più squisita, più inebriante del giorno e dalla
quale essa ritorna riconfortata e dilatata. Al contrario, il contatto con la
contraddizione la turba, la ferisce, la minaccia fin nelle sue basi. Per chi
guarda superficialmente, può sembrare che queste due oscurità, quella
dell'alto e quella del basso, si rassomiglino, poiché entrambe si scostano
dall'idea chiara; ma in sensi contrari. Accade qui come per il genio e la
fallì a che sembrano turbare allo stesso modo il comune comportamento
degli uomini. In realtà l'oscurità del mistero e l'oscurità dell'incoerenza
sono i poli fatali ma contrari del pensiero: l'uno è tanto desiderabile quanto
l'altro è detestabile.

La grande disputa sul male che stiamo affrontando oltrepassa i limiti della
pura razionalità: se una creatura si fa delle domande sulla condizione e sui
destini del mondo, l'oscurità l'avvolgerà da tutte le parti. Una domanda
sola sussiste, ma decisiva: sceglieremo l'oscurità del mistero o l'oscurità
dell'incoerenza? La nostra risposta non può essere che una. La ragione
cade nell'assurdo negando Dio; cade, in un altro modo, sempre
nell'assurdo, negando il male. Abbiamo detto che la coesistenza del male e
di un Dio onnipotente ed infinitamente buono è un mistero; neghiamo però
che essa rappresenti una contraddizione. Messi infine di fronte al dilemma,
al mistero o alla contraddizione, non accettiamo di fare marcia indietro e


rifuggiamo dai mezzi termini: respingiamo ciò che, senza alcun dubbio, è
una contraddizione e ci volgiamo a ciò che, senza alcun dubbio, è un
mistero. Il problema del male mette alle strette lo spirito, costringendolo a
sprofondare nella contraddizione o ad elevarsi al mistero; la
contraddizione consiste nel negare Dio o nel negare il male; il mistero
afferma la coesistenza del due abissi, non cerca di attenuarli ma li illumina
ed approfondisce, uno per mezzo dell'altro.

5. BISOGNA AFFRONTARE IL PROBLEMA DEL MALE
Di conseguenza, dato che non si discende veramente nell'abisso della
conoscenza del male se non salendo nell'abisso della conoscenza di Dio,
dato che la misura nella quale il male scopre il suo volto agli uomini è
quella con la quale Dio rivela loro i tesori della Sua sapienza e del Suo
spirito, è ancora consigliabile volgere il capo per evitare la visione del
male o non si deve piuttosto avere il coraggio di supplicare Dio, se per
caso quel desiderio non è presunzione ed Egli non ci trovi troppo indegni,
perché ci sveli maggiormente la ragione, la profondità, l'estensione della
presenza del male nella Sua opera?

Questo corrisponde già ad una certa conoscenza speculativa e
comunicabile che ci fa cogliere, alla luce della ragione e della fede, la
natura del male, i suoi rapporti con l'essere, le ragioni per cui è permessa
nel nostro universo la possibilità della sua coesistenza con un Dio
onnipotente ed infinitamente buono. Riguardo a tale conoscenza
speculativa si può, conformemente alla verità, dire che più essa vuole
discendere nell'abisso del male più deve elevarsi nell'abisso di Dio e che i
due abissi si illuminano e si approfondiscono contemporaneamente. Essa
inoltre è benefica: purifica l'anima da un'infinità di errori, infrange la sua
piccolezza ed il suo egoismo, la umilia e la innalza, la avvia all'obbedienza
insondabile della fede teologale, accresce le sue capacità di sofferenza e di
preghiera, non distrugge la sua riconoscenza per essere stata creata, la sua
gioia di essere entrata nel mondo (Gv., XVI, 21).

E questo vale ancora di più per la conoscenza vissuta ed incomunicabile
che fa provare nelle lacrime la coesistenza del doppio mistero del male e
della bontà divina. Il fatto che Dio ci associa, fosse pure soltanto per
qualche momento od in una piccola parte, alla tristezza infinita di Suo
Figlio nella sera di Gethsemani, non è forse l'indizio infallibile ch'Egli ci
introduce nella stessa misura nell'intimità del Suo amore?


NOTE
(1) “Ascoltate discutere insieme due filosofi, l'uno del quali sia fautore del
determinismo e l'altro della libertà: sembra sempre che il determini sta abbia ragione,
anche se è un novellino e l'avversario è un uomo di remota esperienza... Del primo si
dirà sempre che è semplice, chiaro, vero. E lo è infatti, con facilità e naturalmente,
perché non ha altro da fare che raccogliere delle idee già pronte e delle frasi già
fatte... La critica di una filosofia intuitiva è così facile, così sicura d'essere ben
accolta, che costituirà sempre una tentazione per il principiante. Più tardi forse
sopraggiungerà un senso di rammarico...” (HENRI BERGSON, La pensée et le
mouvant, Paris 1934, p. 41).
(2) “E' evidente che Dostojewskij urta col problema estremo: quello del male. Tale
problema lo assilla continuamente, sia in generale sia a proposito di fatti particolari
come quelli del bambini martiri (poiché il male più ingiustificabile non è forse la
sofferenza degli innocenti?). Questo problema è al centro del Fratelli Karamazov.
L'autore lo dichiara in diverse lettere: "Il mio eroe [cioè Ivan] tratta un argomento
secondo me inconfutabile: il nonsenso della sofferenza del bambini, e ne deduce
l'assurdità... di tutta la storia". L'invettiva di Ivan contro Dio è inconfutabile, secondo
Dostojewskij, nel campo del ragionamento. Egli dice altrove d'aver sviluppato in quel
libro gli argomenti dell'ateismo radicale, che nega non soltanto Dio ma il senso stesso
della creazione, e per di più con una forza che non fu mai raggiunta " nemmeno in
Europa". I suoi lettori, come Pobiédonotsev, col quale è ora in continui rapporti, ed
egli stesso, si domandano come egli risponderà a quegli argomenti (il romanzo veniva
pubblicato in una rivista, a puntate, man mano che veniva scritto): " Sento io stesso
che l'ateismo appare come il più forte. Ho paura, pavento di sapere se la risposta è
sufficiente". Ma la risposta non è una confutazione degli argomenti dell'ateismo
punto per punto; esso si riduce semplicemente ad una trasposizione di punti di vista...
La risposta è la figura di Zosimo, la sua vita, la sua predicazione, la sua pratica
dell'amore” (PIERRE PASCAL, Dostojewskij el la foi chrétienne, in “Istina”, 1954,
n. 2, p. 237).
(3) Ecco i principali argomenti considerati da SAN TOMMASO, quando parla
direttamente del male. Egli dice, nel III Contra Gentiles: Ogni agente agisce per un
bene (cap. 3); il male non è ricercato per se stesso (cap. 4); il male non è una cosa,
una natura (cap. 7); è per un accidente che il male, sia fisico che morale, può derivare
da un bene (cap. 10); il male ha la causa in un bene (cap. 11); esso si attacca al bene
senza poterlo distruggere completamente (cap. 12); in che senso ha esso una causa?
(cap. 13); in che senso può essere esso stesso una causa? (cap. 14); non esiste un male
supremo, causa di tutti i mali (cap. 15). Nella Summa theologiae, I: Dio vuole il
male? (q. 19, a. 9); il male è una natura? (q. 48, a. 1); esiste? (a. 2); "ha come causa il
bene? (a. 3); distrugge completamente il bene? (a. 4); divisione del male umano in
male della pena e male della colpa (a. 5 e 6); il bene può essere causa del male? (q.
49, a. l); il bene supremo, Dio, è causa del male? (a. 2); esiste un male supremo causa
di tutti i mali? (a. 3). Nel De malo, la prima questione è riservata al male in generale:
è qualche cosa? (a. l); è esso nel bene? (a. 2); il bene causa il male? (a. 3); divisione
del male delle creature ragionevoli, in male della pena e male della colpa (a. 4 e 5).
La questione 2 studia il peccato. La questione 3 le cause del peccato: è Dio? (a. l e 2);
è il diavolo? (a. 3, 4, 5); la parte dell'ignoranza (a. 6, 7, 8); la parte della debolezza (a.
9, 10, 11); la parte della malizia (a. 11, 12, 13, 14, 15). Le questioni 4 e 5 ci riportano
al peccato originale; le questioni da 7 a 15 al peccato veniale ed ai peccati capitali; la
questione 16 tratta del demoni.
(4) “Non dico che colui che è attualmente in preda al male possa considerarsi
soddisfatto di alcuna risposta per quanto vera essa sia. L'esperienza di ciò che è di per
se stesso senza consolazione, l'esperienza della morte, non può essere superata o
piuttosto assorbita se non da un'altra esperienza di ordine divino, dall'esperienza
dell'amore pasquale. Tuttavia mi pare che non parleremo proprio come gli amici di
Giobbe, se diremo questo...” (J. MARITAIN, Saint Thomas d'Aquin et le problème du
mal, in De Bergson à Thomas d'Aquin, La Maison Française, New York 1944, p.
227).
(5) Cap. 25.
(6) Prov., XXV, 27.
(7) “Qui scrutator est ffi2jestatis opprimetur a gloria”. E' secondo la volgata la fine
del Prov., XXV, 27. (Cfr. Eccli., III, 22): “Non cercare ciò che è al di sopra di te, e
non scrutare ciò che supera le tue forze,..
(8) BLAISE PASCAL, Pensées, Brunschwick, n. 582.
(9) Il male “appare necessariamente avvinto nei lacci della bellezza, come un
prigioniero coperto di catene d'oro; si nasconde sotto di esse affinché la sua realtà
rimanga invisibile agli del...” (PLOTINO, I Enneade, Dell'origine del mali, VIII, 15).
(10) “Come nel flauto di Pan..., vi sono delle canne di lunghezza diversa, le anime
sono poste ciascuna in un luogo differente; e ciascuna, al suo posto, dà il suono che si
accorda con la sua propria posizione e con l'insieme delle altre. La perversità delle
anime ha il suo posto nella bellezza dell'universo; ciò che per esse è contrario alla
natura è, per l'universo, conforme alla natura” (ID., III Enneade, Della Provvidenza,
II, 17).
(11) “La perfezione e l'imperfezione non sono in realtà che del modi di pensare, vale
a dire delle nozioni che ci si è abituati a forgiare perché confrontiamo tra loro
gl'individui della stessa specie o dello stesso genere... Quanto al bene ed al male, non
indicano, tanto l'uno quanto l'altro, nulla di positivo nelle cose, per lo meno
considerate in se stesse, e non sono altro che del modi di pensare oppure delle nozioni
che noi formuliamo, perché paragoniamo le cose fra loro... Sebbene sia così, tuttavia
dobbiamo conservare quei vocaboli” (SPINOZA, Etica, Prefazione, IV). “Perché
dunque gli empi sono puniti? Essi infatti agiscono secondo la loro natura e secondo il
decreto divino. Io rispondo che è pure per decreto divino che sono puniti, e se devono
essere puniti soltanto quelli che noi immaginiamo che pecchino in virtù della loro
libertà, perché gli uomini si sforzano di sterminare i serpenti velenosi? Essi infatti
peccano in virtù della loro propria natura e non possono fare diversamente (ID.,
Pensieri metafisici, II, cap. 8).
(12) Libro della divina dottrina, cap. 2.
(13) Autobiografia, cap. 32. Il cammino della perfezione, cap. 1.
(14) Scritti spirituali e storici, Jamet, Paris 1930, tomo II, p. 310.
(15) Autobiografia, Paray-le-Monial 1924, p. 89.
(16) Detti di luce e d'amore, ed. Silverio, n. 1.

CAPITOLO SECONDO

CHE COS'È IL MALE?
All'inizio dell'ottavo trattato della prima Enneade, che parla Dell'essenza e
dell'origine del mali, Plotino scrive: “Coloro che cercano donde vengano i
mali, sia che essi affliggano gli esseri in generale, sia una particolare
categoria di esseri, farebbero bene ad incominciare la loro ricerca
chiedendosi, prima di tutto, che cos'è il male e qual è la sua natura. In tal
modo si saprebbe pure donde viene il male, su che cosa si fonda, a chi può
capitare, e ci si metterebbe totalmente d'accordo sul problema di sapere se
esso è negli esseri )). Platino si è ingannato, a nostro parere, sulla
definizione del male. Lo ha identificato non immediatamente con i corpi,
ma con ciò ch'egli chiamava la materia (...), con ciò che è illimitato,
informe, deficiente, instabile, passivo, insaziabile, in cui vedeva il male in
sé, il male totale senza mescolanza di bene, che corrompe tutti coloro che
ne sono partecipi, o forse persino tutti coloro che lo guardano. Ma Plotino
ha ragione di chiedere che si inizi ogni ricerca sul male con una
definizione del male. E' impossibile affrontare in modo utile il problema
del male e dare un giudizio sulle soluzioni che sono state proposte in
merito, senza conoscerlo. Si potrà in seguito parlare della sua origine e
della ragione per la quale è permesso.

I. LA DEFINIZIONE DEL MALE
Il male è una privazione (1). Ma tale termine può essere inteso in due sensi
(2). In senso lato, tale parola potrebbe indicare qualunque mancanza,
qualunque assenza di un bene. In senso stretto la privazione è una cosa ben
diversa dalla semplice negazione, dalla semplice assenza 8): essa è
“l'assenza di un bene dovuto” (4). Ecco la definizione del male.

Non possedere la vista, per il minerale o per il vegetale è una semplice
negazione, una semplice assenza; per l'uomo è una privazione, un male.

San Tommaso, per precisare ch'egli intende la privazione in questo senso
stretto, e che la contrappone alla semplice assenza, il più delle volte
definisce il male “privazione di un bene dovuto” (5).

2. ORIGINE DI QUESTA DEFINIZIONE
a) Il pensiero greco: Plotino.
Il lavorio del pensiero greco ha potuto preparare l'elaborazione di questa
definizione del male, ma non è presso i Greci che la troviamo per la prima
volta. Non è di Platone. Colui che maggiormente vi si avvicina, che quasi
la formula, senza che sembri riconoscerla, o per lo meno senza volerla
sfruttare, è Aristotele quando enumera le varie specie di privazione (6). E
neppure la troviamo in Plotino, che definisce il male una “mancanza di
bene II (7); la materia, con la quale egli lo identifica, è, ai suoi occhi
“priva” di ogni bene (8). Ma queste espressioni, che qualcuno volle
accostare a quelle del Dottori cristiani, nascondono una visione del male
assai dipendente da Platone, assai vicina alla gnosi; e ciò lo conduce ad
affermazioni inconciliabili con l'insegnamento cristiano (9).

b) La rivelazione giudaico-cristiana.

Solo la luce della rivelazione giudaico-cristiana potrà permettere alla
definizione del male di formularsi e di chiarire il suo contenuto. La
dottrina della creazione immediata del mondo dal nulla da parte di un Dio
unico ed onnipotente, scarta infatti radicalmente i sogni dell'eternità della
materia, della sostanzialità del male e del conflitto del due principi
antagonisti, uno buono, l'altro cattivo. Questa dottrina ha le sue radici
nell'Antico Testamento (10) ed è costantemente richiamata nel Nuovo. San
Giovanni scrive del Verbo: "Era al principio con Dio. Tutto è stato fatto da
lui, e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che fu fatto” (Gv., I, 3) “Maestro
- dicono gli Atti degli Apostoli - sei tu che hai fatto il cielo, la terra, il mare
e tutto ciò che vi si trova” (IV, 24; cfr. XIV, 15; XVII, 24). San Paolo
torna sempre su questo concetto: “Non c'è che un solo Dio, il Padre, dal
quale derivano tutte le cose e a causa del quale noi esistiamo, ed un solo
Signore Gesù Cristo dal quale derivano tutte le cose ed a causa del quale
noi esistiamo” (1 Cor., VIII, 6). “Tutto viene da Lui, e per mezzo Suo e
per Lui”) (Rom., XI, 36). Del Suo amatissimo Figlio si dice: “Egli è
l'immagine del Dio invisibile, Primogenito, anteriore ad ogni creatura;
poiché è in Lui che sono stati creati tutti gli esseri esistenti nei cieli e sulla
terra, i visibili e gli invisibili, i troni, le dominazioni, i principati, le
potenze; tutto è stato creato da lui e per lui. Egli è prima di tutte le cose e
tutto sussiste in lui” (Col., I, 15-17) (11).
c) I Padri greci: Origene, Metodio, Atanasio, Basilio, Gregorio di Nissa.
I Padri greci non tardano a segnalare il carattere negativo del male.
Commentando Rom., XI, 32: “Dio ha chiuso tutti gli uomini nella
disobbedienza per usare misericordia a tutti”, Origene che ha riconosciuto
altrove che il male è una privazione (12), e che non è una cosa (13), spiega
inoltre che, se Dio non elimina fin da principio il male che fanno alcuni, è
perché prevede che ne risulterà per gli altri un bene nell'avvenire (14). E'
già, in embrione, la teologia del male.

San Metodio (+ 311), vescovo di Olimpia, in Licia, cozza contro il
dilemma che l'assilla continuamente: o Dio è l'autore di tutti gli esseri e
per conseguenza del male, oppure bisogna dire, con i gnostici, che il male
deriva da una materia eterna di cui Dio non è responsabile; nel primo caso
Dio non è buono, nel secondo caso non è assoluto. Egli riassume così la
sua risposta dicendo che nessun male è una sostanza (XXXX) (15).

Il problema ricompare un po' più tardi nel Discorso contro i Gentili di
sant'Atanasio: “Alcuni Greci (16), andando fuori strada e non conoscendo
il Cristo, hanno affermato che il male esisteva come una sussistenza
(XXX) ed in sé. Di conseguenza, hanno errato in due modi: o hanno
negato che il Demiurgo fosse l'Autore di tutti gli esseri - non potrebbe
essere infatti Signore di tutti gli esseri se il male avesse in sé, come essi
asseriscono, una sussistenza ed una sostanza ( XXX ) oppure per poterlo
dichiarare Autore di tutte le cose hanno dovuto necessariamente
ammettere che Egli fosse autore anche del male” (17).

San Basilio dedica un sermone per sostenere che Dio non è l'autore del
male: “Non lasciarti andare a supporre che Dio sia causa dell'esistenza del
male, e non immaginarti che il male abbia una sussistenza propria (XXX).
La perversità non sussiste come se fosse qualcosa di vivente; non si potrà
mai porre sotto agli occhi la sua sostanza (XXX) come veramente
esistente. Poiché il male è la privazione (XXX) del bene” (18). Ecco, in
termini propri, la definizione del male.

Pure san Gregorio di Nissa, nel suo Grande discorso-catechetico, insegna
che Dio non è causa del mali. La cattiveria che si oppone alla virtù, la
cecità che si oppone alla vista, non sono qualcosa di proprio alla natura,
ma la privazione (XXX) di qualità precedentemente possedute. Non c'è
Demiurgo di ciò che non esiste; Dio non è la causa del mali, Egli è
l'Autore di ciò che è, non di ciò che non è; della vista, non della cecità
(19).
Henri Marrou, che riporta questi due ultimi passi, li fa seguire da
un'osservazione: “Sermone, Catechesi: si sarà osservato il carattere del
discorsi dai quali questi passi sono stati tratti. Ciò significa dunque che
questa definizione apofatica del male era considerata in Cappadocia, nella
seconda metà del IV secolo, come una dottrina sicura, che i vescovi
stimavano utile diffondere fra il popolo cristiano e che faceva parte
dell'insegnamento ufficiale della Chiesa” (20).

d) I Padri latini: Ambrogio, Agostino.

I) Troviamo il medesimo insegnamento in sant'Ambrogio. Nel libro
intitolato: De Isaac et anima (387 circa) egli scrive: “Che cos'è il male, se
non la mancanza di un bene, boni indigentia?... E' dai beni che
provengono i mali; sono soltanto cattivi infatti gli esseri privi di beni, quae
privantur bonis. Di riscontro, i mali fanno risaltare i beni. Il male dunque è
la mancanza di un bene; lo si coglie definendo il bene; è la scienza del
bene che fa distinguere il male... Dio è l'autore di tutti i beni; e tutto ciò
che esiste viene da Lui senz'alcun dubbio. In Lui, non vi è alcun male; e
finché il nostro spirito dimora in Lui, ignora il male. Ma l'anima che non
dimora in Dio, è l'autrice del suoi stessi mali; ecco perché essa pecca...”
(21). A proposito del De Isaac furono trascritti (22) alcuni passi paralleli
di Platino, ma, per dire il vero, senza riuscire a trovare in quest'ultimo
un'espressione equivalente della definizione del male come privazione, in
un oggetto, di un bene che gli è dovuto. E, in realtà, non è Plotino, bensì è
il pensiero cristiano di quelli di Cappadocia che sant'Ambrogio e dopo di
lui sant'Agostino seguono. Apriamo l'Hexaemèron di Ambrogio (389
circa): “Perché dicono che Dio ha creato il male, mentre i contrari e gli
opposti non generano i loro contrari? La vita non genera la morte, né la
luce le tenebre... Se dunque, da una parte, il male non è senza principio,
come sarebbe una cosa increata, e se, d'altra parte, Dio non l'ha fatto,
donde trae la sua natura? Nessuna persona di buon senso infatti nega che
ci siano del mali a questo mondo... Da ciò che abbiamo detto risulta che il
male non è una sostanza viva, ma una perversione dello spirito e
dell'anima” (23). Orbene, questo testo che contraddice Platino diverse
volte (24) è una traduzione di san Basilio, fedele ma abbreviata
dall'Hexaemèron (25). Origene, Metodio, Atanasio, Basilio, Ambrogio,
Agostino sono gli anelli di un'unica catena (26).

2) La definizione del male è messa in piena luce da sant'Agostino:
“Mentre mi allontanavo dalla verità, credevo di andarle incontro: poiché
non sapevo che il male non è che la privazione del bene e che tende verso
ciò che non esiste in alcun modo” (27). “Il male non è una sostanza,
perché se fosse una sostanza, sarebbe buono” (28). “Il male non è altro che
la privazione di un bene” (29). “Il male non rappresenta nessuna natura, e
tale nome non significa altro che la privazione di un bene” (30). Agostino
non cesserà, fino alla fine della sua vita, di professarsi seguace di
Ambrogio (31). Tuttavia è proprio lui che “durante la lunga polemica che
lo ha messo in opposizione ai suoi correligionari manichei di un tempo, ha
dato l'espressione più profonda e più elaborata a questa dottrina classica
della non-sostanzialità del male. Questa dottrina non era per lui un
problema scolastico, posto speculativamente; egli l'ha vissuta e scoperta
dolorosamente attraverso difficili lotte interiori che l'hanno condotto, assai
tardi, ma nella piena maturità del suo ingegno, dal dualismo della sua
giovinezza all'accettazione della fede ortodossa” (32). Il suo contributo è,
a questo proposito, così importante ch'egli potrebbe essere chiamato il
Dottore del problema del male.

Su questo argomento quale influenza hanno avuto su di lui i neoplatonici?
Egli li conosce attraverso il centro cristiano di Milano (33). Legge i loro
libri nella traduzione di Vittorino ed alla luce dell'insegnamento di
Simplicio, maestro di Ambrogio (34). Allora scopre, da una parte, l'errore
della dottrina manichea delle due sostanze (35); le cose che si corrompono
infatti sono buone: “Se esse fossero sovranamente buone non potrebbero
corrompersi; se esse non fossero assolutamente buone, non lo potrebbero
neppure... Dunque in quanto una cosa esiste, è buona. Tutto ciò che esiste
è buono” (36), e viene da Dio. Dall'altra parte, scopre che l'intero universo
è ordinato (37). Però non sono i platonici, bensì i cristiani che gli
insegnano la creazione dal nulla, la non-eternità, la non-necessità della
materia, la distinzione fra male e materia, e di conseguenza il senso esatto
della definizione del male come privazione di un bene.

e) La definizione del male come privazione è una ricchezza cristiana.

La definizione del male come privazione è maturata sotto l'influenza
cristiana. Essa si è approfondita per accordarsi con l'altissima rivelazione
evangelica di Dio e dell'atto creatore, ed appare storicamente e
speculativamente come una ricchezza cristiana. Essa rappresenta la
conquista della coscienza del male più delicata e più penetrante alla quale
lo spirito possa giungere, sia sul piano metafisico, sia sul piano teologico.
Inoltre ci permette di lasciare un immenso posto al male, di riconoscerlo in
tutta l'estensione del suo dominio. Ma, nello stesso tempo, mette a nudo la
sua miseria antologica. Affermando che il male esiste, ma senza avere


sostanza, essa trionfa sul dilemma nel quale soccombono, da una parte,
quelli che negano la realtà del male in nome della bontà e della potenza
infinita di Dio, e dall'altra parte, quelli che negano la bontà e la potenza
infinita di Dio, in nome della realtà del male.

http://www.ministridimisericordia.org/Ilproblemadelmaleedeldolore/tabid/550/Default.aspx

Nessun commento:

Posta un commento