DON ANTONIO

martedì 20 settembre 2011

4.IL MALE.Saggio teologico del cardinale Charles Journet Professore al Seminario Maggiore di Priburgo

3. IL MALE NON È UNA COSA, UNA POSITIVITÀ
a) Esso incomincia con la privazione.

I) Abbiamo definito il male una privazione, l'assenza di un bene dovuto. E'
esatto? Il male non è dunque una cosa positiva? I bacilli di Koch che
consumano un polmone non sono forse la realtà più positiva e
constatabile?

Sì, senza dubbio. Ma quei bacilli, osservati in un brodo di cultura adatto
nel quale si conservano e si riproducono, non sono un male; anzi il loro
lavoro è ammirabile, essi elevano la materia organica al livello della vita.
Se li tiriamo fuori di là per installarli in un polmone vivente, allora si
esplica la loro opera distruttrice, incomincia il male, che appare come la
perturbazione della funzione respiratoria, come la privazione di un ordine
dovuto alle forme superiori della vita.

Lo stesso accade nella sfera morale. Fare una deposizione secondo
giustizia è un alto positivo. La deposizione può essere conforme alla
realtà, rappresentare una testimonianza veritiera: in questo caso essa
costituisce un atto moralmente buono. Essa può essere, al contrario,
volontariamente alterata, rappresentare una testimonianza falsa: in tal caso
costituisce un atto cattivo, proprio in quanto è priva di rettitudine e del suo
ordine normale diretto alla verità.

Nel mondo fisico, come nel mondo morale (38), il male incomincia
sempre con la privazione, con l'assenza di un bene dovuto.



2) L'errore a questo proposito, ci ammonisce san Tommaso, può venire dal
fatto che si dimentica di distinguere nell'essere, nell'organo, nell'attività
colpiti dal male ciò che li fa esistere - il che è positivo - e ciò che li altera,
li devia e li rende cattivi - il che, al contrario, è privativa (39).



b) Dolore e sofferenza.

I) Ma il dolore non è forse la più tirannica, la più crudele delle realtà? Esso
è la percezione, attraverso la sensibilità, di un'anomalia, d'una privazione;
è la percezione tattile, talvolta come segno di avvertimento, talvolta


semplicemente percepita, dell'alterazione di un organo. Esso si scompone
in due elementi: uno positivo, e cioè la conoscenza; l'altro privativa, e cioè
un disordine delle attività biologiche (40).

Sul piano della vita dell'anima, la sofferenza, in quanto si distingue dal
dolore, è la presa di coscienza spirituale d'una separazione, d'una
mancanza, d'un decadimento, in una parola d'una privazione sia fisica che
morale. Essa può essere la visione, sempre positiva, d'un abisso di
privazione. Supposta la presenza del male, dice san Tommaso, è bene che
seguano la tristezza od il dolore: la loro assenza significherebbe che il
male non è sentito o non è stimato tale (41).

Dunque il dolore e la sofferenza sono annoverati fra le forme del male,
non semplicemente come conoscenza e presa di coscienza, ma come
conoscenza e presa di coscienza di un disordine, di una privazione.



2) Tuttavia il dolore e la tristezza sono essi stessi un male, in quanto
privano della pace e della gioia provenienti da un bene che si dovrebbe
avere (42). E tuttavia il male della tristezza può, su di un piano superiore,
ridivenire un bene e la tristezza diventare buona, per esempio, quando
nasce dal fatto che il peccato è riconosciuto come tale dalla retta ragione, c
come tale detestato dalla retta volontà (43). Si intravede da ciò quali
potranno essere gli aggrovigliamenti e la dialettica del bene e del male,
dell'essere e della privazione, nella tristezza e nella sofferenza (44).



c) Il male è il contrario del bene?

I) Questo problema riguarda più direttamente la filosofia. Essa distingue
quattro forme di opposizione: 1. L'opposizione di contraddizione, la più
radicale; uno del termini abolisce l'altro: non-uomo si oppone a uomo. 2.
L'opposizione di privazione: essa lascia sussistere il soggetto comune ai
due termini, ma abolisce una qualità generica posseduta da uno di essi:
nell'uomo la cecità abolisce la vista, in un oggetto il nero abolisce il
bianco, per lo meno se si guarda il nero, non, come fanno i pittori, come
un colore ma, come fanno i fisici, come la privazione di ogni colore. 3.
L'opposizione di contrarietà, fra due qualità del medesimo genere, il rosso
ed il verde. 4. L'opposizione di relazione, la più debole di tutte, che non
suppone necessariamente una mancanza in uno del due termini - pensiamo
alle relazioni di uguaglianza o di similitudine - e che, per questa ragione,
potrà trasferirsi nell'assoluto, e caratterizzare le persone divine (45).




2) Si suole dire che il male è il contrario del bene. Si oppone forse al bene
come un contrario al suo contrario, una qualità ad una qualità, una forma
di essere a una forma di essere, poiché i contrari sono dello stesso genere
(46)? Oppure come la privazione al possesso, la cecità alla vista, la morte
alla vita, le tenebre alla luce? L'importanza della domanda è evidente.

San Tommaso osserva che la terminologia di Aristotele su questo
argomento, se non il suo pensiero, è fluida (47).

Tuttavia, per parlare con esattezza, non c'è alcun dubbio: il male è la
privazione di un bene, non il contrario di un bene, “il bene ed il male si
oppongono come la privazione ed il possesso” (48). Non ci sarà male se
non quando ci sarà privazione, e nella misura esatta nella quale ci sarà
privazione. Bisogna attenersi scrupolosamente a questo punto di vista: “Il
male, come male, non è una realtà nelle cose, non est aliquid in rebus, ma
è la privazione di un bene naturale, inerente ad un bene particolare” (49).



3) Dal fatto che alcuni mali non distruggono completamente, ma lasciano
sussistere in parte il bene che intaccano, può nascere un equivoco. La
malattia non è la morte, l'oftalmia non è la cecità: sono mali parziali, non
totali, privazioni parziali, non totali.

Queste privazioni, in quanto rispettano qualche bene, conservano un
aspetto positivo, e oppongono una forma di essere (degradata) ad una
forma di essere (piena), appaiono come del contrari (50). Esse
rappresentano contemporaneamente: a) del contrari e del beni attenuati, in
proporzione di quanto esse non asportano; b) delle privazioni e del mali in
proporzione di quanto esse rovinano.

E' nella privazione che sta il male.

Nel caso di due forze positive contrarie, uguali fra loro, di due bestie
ostili, di due rivali, di due eserciti, di due angeli, che lottano fra loro, la
prima sarà il male della seconda soltanto nella misura in cui essa riuscirà a
vincere la seconda, ad abbatterla, a strapparle il suo bene, a privarla. “Le
creature corporali - osserva San Tommaso - sono buone per natura;
tuttavia esse non rappresentano il bene universale, ma del beni particolari
e ristretti. Perciò vi è contrarietà fra di esse e vengono a conflitto con delle
altre, parimenti buone in se stesse” (51).



4) Ecco un altro errore più sottile. I moralisti sogliono contrapporre il male
ed il bene, come contrari (52).


Hanno ragione, poiché il male morale, contrapposto al bene morale, non è
mai puro male, pura privazione: è un bene parziale sotto il quale si
dissimula un male, un male ingannatore che smarrisce e svia dal vero
bene. Non si desidera mai il male come tale, la privazione come tale; si
spera sempre un bene (53). Ma questo bene è in tal caso legato ad una
privazione, ad un male; non lo si acquisisce se non danneggiando il
destino dell'agente; si compera a troppo caro prezzo. Esso determina il
desiderio soltanto deformandolo e deviandolo; ecco perché l'azione è
cattiva.

Se soltanto il bene suscita il desiderio, se la libera scelta dell'agente
avviene non fra un bene ed una privazione, ma fra due beni capaci di
sollecitare il suo desiderio e che per questa ragione chiamiamo beni fisici,
l'uno attraverso il quale egli compie il suo destino di essere ragionevole e
che noi chiamiamo bene morale, l'altro attraverso il quale rovina il suo
destino e che noi chiamiamo male morale, è esatto dire che, in materia
morale, il bene ed il male, la virtù ed il vizio si opporranno come del
contrari, come delle realtà positive sebbene terribilmente diverse, e non
come il puro possesso e la pura privazione. C'è un bene - fallace - anche in
fondo al peggiore peccato della creatura ragionevole; e questo povero,
miserabile bene, dimostra che Dio non l'ha creata che per il Bene (54). Ma
(e questo fatto è di importanza capitale) uno di questi due contrari non è
cattivo se non in quanto comporta una privazione (55). Una volta di più, la
ragione stessa del male consiste nella privazione.



d) Il male non è una sostanza, una forma, una natura.

Queste precisazioni hanno lo scopo di insistere sul carattere puramente
negativo del male. Di esso si resero conto i Padri greci fin da principio.
Essi hanno affermato energicamente che il male non ha sussistenza (
XXX), non ha sostanza ( XXX) (56).Seguendo le loro orme, sant'Agostino
scrive: “Tutto ciò che esiste è buono, ed il male, del quale cercavo
l'origine, non è una sostanza (substantia); se infatti fosse una sostanza,
sarebbe buono” (57).

Tale sarà l'insegnamento accettato ed approfondito da san Tommaso.
L'essere, egli dice, è un bene; il male che si oppone al bene come le
tenebre alla luce, non può dunque significare qualche essere, qualche
forma, qualche natura, ma soltanto qualche assenza di bene (58). Il
soggetto nel quale il male sopravviene “è qualche cosa; tuttavia il male in
se stesso non è qualche cosa, aliquid, ma la privazione di qualche bene


particolare” (59). “Il male non è niente altro che la privazione di ciò che
qualcuno è atto a possedere e che dovrebbe avere. Ecco ciò che tutti
chiamano il male. Orbene la privazione non è una qualche essenza
(essentia), essa è, invece, una negazione in una sostanza. Il male dunque
non è un'essenza nelle cose” (60). Il male “non ha la natura né di una
sostanza né di un accidente, ma soltanto di una privazione, come spiega
Dionigi” (61). “Il male non ha sostanza, è privazione di sostanza, privatio
substantiae” (62).



4. IL MALE È UNA NEGATIVITÀ DI PRIVAZIONE



a) Negatività di nulla e negatività di privazione.

Da quanto precede, si deduce che, se l'essere solo è intelligibile, il male,
come tale, non può essere intelligibile. Lo diventa soltanto in dipendenza
ed in funzione dell'essere che esso distrugge. Chi non coglie la natura
dell'essere, delle sue esigenze, delle sue postulazioni, non coglierà mai la
natura del male. Il mistero del male è il mistero della rovina delle
postulazioni dell'essere, il rovesciamento del mistero della positività
dell'essere. In questo senso esso è un mistero di negatività. Non si tratta
della negatività del nulla, ma della negatività della privazione. “L'assenza
negativa di un bene, remotio boni negative accepta, non è un male, perché
in questo caso bisognerebbe dire che le cose che non esistono sono cattive,
oppure che ogni cosa è cattiva per il fatto stesso che non ha il bene che
un'altra possiede, che, per esempio, l'uomo è cattivo, perché non ha
l'agilità del capretto, la forza del leone. Soltanto l'assenza privativa di un
bene, remotio boni privative accepta, è un male” (63). E' assai importante
non sbagliare.



b) Un errore di Leibniz: il “male metafisico”.

I) Proprio su questo punto Leibniz ha deviato. Egli adotta la definizione
tradizionale del male, che attinge da sant'Agostino, e prova a difenderla
contro le critiche (64), ma la distrugge.

Leibniz chiama “male metafisico” la finità essenziale alla creatura. “Si
può considerare il male metafisicamente, fisicamente e moralmente. Il
male metafisico consiste nella semplice imperfezione, il male fisico nella
sofferenza, ed il male morale nel peccato” (65). “Bisogna considerare che
c'è un'imperfezione originale nella creatura prima del peccato, perché la
creatura è limitata essenzialmente” (66). L'origine di tale male “dev'essere


ricercata nella natura ideale della creatura, in quanto questa natura è
racchiusa nelle verità eterne che sono nell'intendimento di Dio,
indipendentemente dalla sua volontà” (67). La zona delle verità eterne “è
la causa ideale tanto del male, per così dire, quanto del bene” (68). Di
conseguenza, ogni creatura, come tale, è affetta dal male metafisico; essa è
cattiva almeno in un senso, e precisamente per il fatto che è ciò che è, vale
a dire che non è infinita. Il bene, in quanto limitato, è male; l'essere, in
quanto limitato, è privazione (69). La definizione tradizionale del male
come privazione è conservata, diffusa, portata al gran pubblico, ma tradita:
la privazione è confusa con ciò che non è più la privazione, il male è
confuso con ciò che non è più il male.

La visione tradizionale del male e delle sue rovine è scomparsa.



2) La nozione del “male metafisico” apre due vie d'uscita di cui una è
ottimista. Da una parte, se ogni essere è necessariamente minorato e
cattivo, nessun essere è minorato e cattivo in confronto agli altri; d'altra
parte, se la privazione è confusa con ciò che non è più veramente
privazione, nessun essere è veramente menomato e cattivo. Si entra così
nel mondo di Spinoza.

Ma, se si continua invece a dare al male il suo vero senso, il suo carattere
privativa, si dirà che ogni creatura ha diritto di liberarsi dal suo male, di
rifiutare i suoi limiti, di non essere più creatura.

E così si giunge alla bestemmia di Nietzsche: “O miei amici: se esistessero
degli Del come sopporterei di non essere Dio? Dunque non esistono Del”
(70).



c) Il male non è né inesistente né impotente.

I) Definire il male come privazione non significherà sostenere che esso è
inesistente ed impotente. La privazione dista dal nulla come in matematica
i numeri negativi dallo zero. Essa è una positività capovolta. I suoi danni
potranno essere infiniti, disastrosi, sia nell'ordine dell'essere che
nell'ordine dell'agire.

Nell'ordine dell'essere, il male non è inesistente. Ripetiamolo: non è la
semplice mancanza della vista che costituisce la cecità, ma è la mancanza
della vista proprio là dove la vista dovrebbe esserci, o dove è richiesta,
necessaria. Di conseguenza, non parliamo di pura inesistenza, ma di una
esistenza che, inserendosi in profondità, può essere una terribile presenza.
La profondità del male si misurerà sempre secondo il valore dell'essere


che distrugge. “Perché un cane, un cavallo, un topo dovrebbero avere la
vita e tu neanche più un respiro?” esclama re Lear quando apprende che
hanno impiccata la sua unica vera figlia, Cordelia.

Nell'ordine dell'agire il male non è impotente; esso può provocare delle
catastrofi. O, attraverso al peccato di omissione, soffoca ratto salutare,
forse supremo, che doveva essere fatto, oppure, avendo alterato l'essere
dell'agente, ostacola il processo creatore e lo fa abortire, non facendo ma
disfacendo, non agendo sed deagendo (71), svuotando in qualche modo
l'azione causatrice. La distanza fra ciò che appare - un bambino nato
morto, o deforme, un mostro non vitale - e ciò che doveva risultare,
indicherà la dimensione del male. Oppure ancora, sottraendo l'azione alla
sua regola, la fa deviare, e più l'azione di una forza è potente, più la
deviazione è rovinosa. Tale è l'angelo che, al tempo del suo primo peccato,
si precipita nell'agire senza considerare la regola del suo agire. Oppure
infine, un essere, senza venire meno alla sua propria natura, sostiene la sua
vita soltanto alle spalle degli altri: il leone mangia la gazzella, la qual cosa
è un bene per lui e un male per lei. Quindi dovunque vi è attività, il male,
la privazione potrà imprimere in profondità la sua stigmate fatale.

Il male è “una privazione: la privazione di un bene che dovrebbe esistere
in una cosa. Questa dottrina è sovente fraintesa. Ci si immagina... ch'essa
neghi o disconosca la realtà del male, mentre, al contrario, si fonda
totalmente sulla realtà della privazione o della lebbra dell'assenza... Il male
esiste nelle cose, vi esiste terribilmente. Il male è reale, esiste realmente
come una ferita o una mutilazione dell'essere... Il male esiste così nel bene,
o, per dirla con altre parole, il soggetto o portatore del male è buono in
quanto ha in sé dell'essere. Ed il male agisce attraverso il bene, poiché il
male, essendo in se stesso privazione o non-essere, non ha causalità
propria. Il male è quindi efficace non per sé stesso, ma per il bene che
colpisce e sfrutta, per il bene deficiente o deviato, la cui azione viene, in
proporzione, viziata. Qual è dunque la potenza del male? E' la potenza
stessa del bene che il male colpisce e sfrutta. Quanto più potente sarà quel
bene, tanto più potente sarà il male, non per virtù propria, ma per virtù di
quel bene. E' per questo che non c'è nessun male più potente di quello
dell'angelo cattivo. Se il male appare così potente nel mondo d'oggi, è
perché il bene che esso danneggia è lo spirito stesso dell'uomo, è la
scienza stessa e l'ideale corrotto dalla cattiva volontà” (72).




2) Ecco la risposta di san Tommaso all'obiezione che viene opposta
continuamente, e cioè: una privazione non agisce; il male invece,
terribilmente attivo, non tralascia mai di corrompere il bene; esso è dunque
una realtà positiva!

Prima di tutto il male stesso può corrompere il bene come una causa
formale, cioè senza agire, semplicemente esistendo, installandosi nel bene,
prendendo il posto di una forma, di una qualità, di una perfezione che esso
distrugge (cecità, mutismo, ecc.) (73).

Va bene, si dirà, ma non è forse evidente che oltre a ciò, assai spesso il
male agisce come una causa efficiente? Gli esseri si divorano fra di loro,
gli intemperanti si ubriacano, il desiderio di dominio scatena lotte e guerre
spaventose; per agire bisogna esistere, e per agire con violenza bisogna
avere una natura forte!

Risposta: proprio su questa linea dell'efficienza, ciò che agisce non è mai
il male, che è privazione, ma è una natura, un principio d'azione, una
ricchezza, affetta dal male e dalla privazione (74). E questo può avvenire
in due modi (75):

a) per debolezza: una volta alterato il principio agente, la sua attività ed il
suo effetto ne risentono, non per la sua azione, ma per la mancanza di
azione, deagendo (76); b) per concomitanza: il principio d'azione e la sua
attività, essendo integri, si slanciano con vigore, con violenza verso un
bene che porterà con sé una rovina, cioè il male di un altro essere (77).

Nell'universo della libertà come nell'universo della natura, il male si
produce anche in due modi: a) per concomitanza: per esempio, nel caso
dell'adultero, la volontà si porta su di un bene inseparabile da un male
morale; b) per debolezza: perché la scelta di un bene disordinato non è
stata possibile che volgendo le spalle ai preliminari della legge morale.

San Tommaso fa osservare, a proposito del male, che nell'universo della
natura, la causalità per concomitanza precede la causalità per debolezza: è
cercando il proprio bene che un agente ne indebolisce un altro, che
l'umidità altera il seme; mentre nell'universo del peccato, è la causalità per
debolezza che ha il primo posto: per quanto sia forte l'attrattiva di un bene
proibito, essa resterà inefficace, finché la volontà non si sarà liberamente
allontanata dalla legge del suo agire, per seguirla (78).



d) Il paradosso del male: esso “è” e “non è”. Esiste, non come cosa
positiva, ma come privazione.


I) E' cosa troppo evidente che il male esiste! Senza dubbio, ma non nel
senso in cui l'essere esiste. L'essere esiste come realtà positiva, il male
esiste come privazione. Quando dico: la vita, la vista è oppure esiste,
oppure quando dico: la morte, la cecità è oppure esiste, i termini essere ed
esistere non hanno lo stesso significato nelle due espressioni. Delle menti,
forse grandi in altre cose, su questo punto si sono sbagliate. La parola
essere, spiega san Tommaso, ha due sensi. Essa può indicare la natura, la
consistenza, la positività (quid est) dell'essere che si afferma e che si
divide nelle dieci categorie conosciute: la sostanza, la qualità, la quantità...
sono essere, sono qualche cosa: ma in questo senso non esiste né il male
né la privazione. La parola essere può indicare unicamente la verità di
un'enunciazione, rispondere 'unicamente alla domanda: è o non è?
Quell'occhio è o non è cieco? (an est): in questo caso il male è, la cecità è,
senza costituire una realtà positiva. Alcuni, continua san Tommaso, non
avendo fatto questa distinzione, udendo parlare di cose cattive o del male
che è nelle cose, hanno creduto che il male fosse una cosa (79). “Il male
certamente è nelle cose, ma come privazione, non come qualcosa di reale”
(80).



2) Il paradosso del male consiste, come abbiamo detto or ora, nel fatto che
“è” senza “essere”. Esso “è” come privazione; “non è” come realtà
positiva.

Ci si sbaglia negando che esso esista come privazione. Alcuni, come la
fondatrice della Christian Science, sbagliano perdutamente rifiutandosi di
riconoscere la realtà della malattia, della morte, del peccato: tutte queste
cose, essi dicono, non hanno maggiore consistenza d'un sogno. Arrivando
alle estreme conseguenze, bisognerebbe dunque vedere in tutta quanta la
creazione un miraggio della maya: si negherebbe l'essere stesso per negare
in modo più sicuro il male. Altri, come Spinoza, sbagliano considerando
tutti quei processi della malattia, della morte, del peccato, che essi sanno
reali, come parti costruttive dell'universo; è nostra consuetudine chiamarli
mali, ma, in realtà, agli occhi del saggio, sarebbero del beni, del beni
appena minori. Allo stesso modo, la teoria di Hegel svuota di significato n
male, poiché la dialettica passa da un bene, detto inferiore, ad un bene
diverso, detto superiore. Il male, per gli uni e per gli altri, non è che
immaginario, un puro ente di ragione. Contro gli uni e gli altri, noi
diciamo ad alta voce che il male esiste, proclamiamo l'originale,


innegabile esistenzialità del male. Ma aggiungiamo che esistere come
male, non significa esistere come cosa.

All'opposto di coloro che annullano il male, vi sono di quelli che lo
concretizzano, lo sostanzializzano e che, per opporlo al bene con maggiore
impeto, gli prestano una natura contraria a quella del bene, dunque del
medesimo genere (81). Ma precisamente l'opposizione più radicale di cui
l'essere è il soggetto, non è la contrarietà, ma la privazione. Il paradosso
del male, è la terribile realtà della sua esistenza privativa. Non si può
concepire veramente il male, la privazione sul piano filosofico e teologico;
se non si comprende il diritto dell'essere alla sua integrità, la sua legge di
essere ciò che è, la sua legge di divenire inoltre (pienamente) ciò che è
(incoativamente). Ma come comprendere l'esigenza, la legge della
sovrabbondanza che è al centro dell'essere partecipante, se non si
comprende la legge che è al centro dell'Essere in sé? L'affievolimento del
senso dell'essere (dell'Essere in sé e dell'essere partecipante) corrisponde
ad un affievolimento del senso del male; l'intensificazione del senso
dell'essere, del senso di Dio, corrisponde ad una intensificazione del senso
del male. Il problema del male ed il problema di Dio sono, sul piano della
metafisica e su quello della teologia, i. due punti estremi di un'unica
intuizione dell'intelligenza. Se non si ha tale intuizione, non si intuiranno
neppure i suoi due poli.



3) La difficoltà maggiore consiste nel fatto che bisogna attribuire al male,
contemporaneamente, l'esistenzialità e l'inconsistenza. Solo il concetto di
privazione risolve questa difficoltà, qualunque altro tentativo fallisce. O la
definizione che verrà proposta sarà illusoria: si negherà l'esistenzialità del
male come tale, si classificherà il problema del male fra i pseudo-
problemi, ed allora il rapporto fra Dio ed il male scompare. Oppure la
definizione proposta sarà impura: si disconoscerà l'originalità del male, gli
si attribuirà una natura opposta a quella del bene: di conseguenza lo si
distanzierà meno da Dio; ma si cadrà nel dualismo ed in certe gnosi, per
portarlo sul piano di Dio abbassato in tal modo alla condizione di
avversario e di rivale di un male assoluto. Nei due casi, sebbene in modo
diverso, il mistero del male ed il mistero di Dio sono traditi
simultaneamente.

Se il cristianesimo non avesse rivelato con tanta forza l'abisso dell'altezza
di Dio, non avrebbe mai osato né potuto discendere così profondamente


nell'analisi del male, e rivelare al mondo il senso della definizione del
male come privazione.


http://www.ministridimisericordia.org/Ilproblemadelmaleedeldolore/tabid/550/Default.aspx




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