DON ANTONIO

venerdì 16 settembre 2011

Coordinate teologiche sulla speranza nei Padri della chiesa del I secolo

Questo contributo è nato dal desiderio di dare un compendio organico delle linee più significative emergenti dal pensiero dei padri apostolici, visto che il Visonà si è limitato a citare, in relazione alla speranza nel periodo dei Padri apostolici, solo un brano tratto dalla lettera ai Romani di Ignazio di Antiochia.
La speranza cristiana ha la sua base di appoggio, per Clemente Romano, sulla promessa divina di una risurrezione della carne; risurrezione che è appannaggio esclusivo di coloro che con fede hanno servito il Signore, adempiendo la sua volontà:

“Riteniamo, dunque, cosa grande e straordinaria che il creatore dell’universo opererà la risurrezione di coloro che lo hanno servito santamente nella sicurezza di una fede sincera (…). 2. Dice infatti: “Mi risusciterai e ti loderò”. E: “Mi coricai e dormii, mi svegliai poiché tu sei con me”. 3. E ancora dice Giobbe: “E risusciterai questa mia carne che ha sopportato queste cose”. 27,1: “Con questa speranza le nostre anime si stringano al fedele nelle promesse e al giusto nei giudizi”.

La speranza di una vita eterna è propria quindi di coloro che compiono la volontà del Padre servendo Dio nella carità, – in quanto tale speranza non è innata nella natura umana, dal momento che non proviene da questa. Infatti nell’amare il prossimo come se stesso, il fedele si rende simile a Cristo, perché egli imita l’amore di Cristo verso il suo simile e, realizzando l’amore del Figlio sulla terra, può sperare di tornare al Padre e quindi di ereditare i beni promessi:

“Come il Signore nulla fece senza il Padre col quale è uno, né da solo né con gli apostoli, così voi nulla fate senza il vescovo e I presbiteri. Né cercate che appaia lodevole qualche cosa per parte vostra, ma solo per la cosa stessa: una sola preghiera, una sola supplica, una sola mente, una sola speranza nella carità, (…) che è Gesù Cristo, del quale nulla è meglio. 2. Accorrete tutti come all’unico tempio di Dio, intorno all’unico altare che è l’unico Gesù Cristo che procedendo dall’unico Padre è ritornato a lui unito”.

Ignazio, nella lettera ai Magnesii, spiega che la nostra speranza in Cristo consiste nell’essere convinti sia della veridicità dei misteri divini, concernenti la sua nascita, la sua passione e la sua risurrezione, sia del loro compimento per opera di Gesù Cristo:

“voglio mettervi in guardia di non abboccare all’amo della vanità, ma di essere convinti della nascita, della passione, e della risurrezione avvenuta sotto il governo di Ponzio Pilato. Ciò è stato compiuto veramente e sicuramente da Gesù Cristo, nostra speranza, dalla quale nessuno si allontani”.
Ignazio riprende alla lettera la citazione di 1Tm 1,1, nella quale l’apostolo Paolo ha chiamato “Gesù nostra speranza”, perché egli ha voluto rilevare che

“Gesù Cristo è la speranza dei cristiani per questa vita e ancor più per l’eternità. Egli ha infatti ha compiuto l’atto della redenzione sulla croce e con ciò ha guadagnato tutte le grazie per gli uomini. Il suo atto redentivo è la causa e il fondamento di tutta la salvezza per gli uomini. Senza Cristo I cristiani sarebbero come I pagani, “che non hanno speranza” (1 Tess 4,13)”.

Sempre per Ignazio Cristo è la nostra speranza, perché la morte redentrice di Cristo è pegno della nostra vittoria sulla morte:

“Se siete sottomessi (…) a Gesù Cristo dimostrate che non vivete secondo l’uomo ma secondo Gesù Cristo, morto per noi perché credendo alla sua morte sfuggiate alla morte 2. È necessario, (…) sottomettervi (…) agli apostoli di Gesù Cristo speranza nostra, e in lui vivendo ci ritroveremo”.

Sulla base di ciò ne consegue che per il cristiano Cristo è la sua speranza, perché, per mezzo della sua morte redentrice, egli è certo del superamento della morte, e quindi della vita eterna.

Sotto questo profilo Cristo diviene speranza di risurrezione, in quanto, sull’orma di Cristo, il cristiano risorge insieme a lui per arrivare al Padre e quindi conoscere la verità: “Gesù Cristo, nostra speranza di risurrezione in lui”. A tal proposito Policarpo esorta i filippesi a perseverare nella speranza in Dio, alla stessa stregua di Gesù Cristo che perseverò fino alla fine per darci la possibilità di divenire a lui simili: “Senza interruzione perseveriamo nella speranza e nel pegno della nostra giustizia, Cristo Gesù che portò I nostri peccati sul suo corpo sul legno della croce. Egli (…) sopportò ogni cosa per noi, perché vivessimo in lui”. Fermo restando attorno a questo tema, Clemente Romano afferma che Dio “non abbandona quelli che sperano in lui”. In poche parole Clemente ci vuole dire che chi ripone speranza nelle potenti gesta del Signore, è da lui sostenuto in ogni circostanza della vita.

Similmente in Clemente Romano la speranza in Dio è strettamente collegata alla passione di Gesù, perché il suo sangue è pegno di salvezza per coloro che hanno sperato in Dio, facendoci intuire che chi spera in Dio non è frodato, perché Dio è stato fedele alle sue promesse con la reale venuta di suo Figlio, che ci ha portato la salvezza: “Si manifestava così che per mezzo del sangue del Signore ci sarebbe stato il riscatto per tutti quelli che credono e sperano in Dio”. A proposito del valore staurologico della speranza, sempre Clemente Romano ne rafforza il suo senso salvifico, ricollegandosi a Mc 15,29-30, dove appunto la speranza di Cristo è finalizzata alla salvazione, che sarà realmente visibile nella risurrezione che i suoi derisori non intendono, esclamando che se Dio lo vuole Gesù può scendere giù dalla croce per esimersi da quell’orrendo supplizio: “Tutti quelli che mi vedono mi scherniscono, parlano tra le labbra e muovono il capo: ha sperato nel Signore, lo liberi, lo salvi perché lo vuole”. Conseguentemente, sempre Clemente, rifacendosi al Sal 32,10, afferma che la speranza di coloro che credono in Dio è strettamente collegata alla misericordia di Dio, per il fatto che coloro che credono nella sua misericordia sono certi che avranno parte alla salvezza, pur trovandosi nel bel mezzo delle tribolazioni: “Molte sono le afflizioni del peccatore, ma la misericordia circonderà coloro che sperano nel Signore”. Restando ancora una volta nella lettera ai Corinti di Clemente Romano, preme sottolineare che il riposo ovvero il sabato del cuore è la meta di colui che ascolta la Parola di Dio, la quale Parola per il credente poggia sulla speranza di una salvezza finale promessa da Dio fin dall’origine della creazione, tramite Cristo, per mezzo del quale l’uomo poté passare dal regno delle tenebre al regno della luce e quindi alla Verità:

“Chi mi ascolta riposerà fiducioso sulla speranza e vivrà tranquillo lontano da ogni male. (…) 59,2 (…) Gesù Cristo Signore nostro, col quale ci chiamò dalle tenebre alla luce, dall’ignoranza alla conoscenza del suo nome glorioso, 3 a sperare nel tuo nome principio di ogni creatura: Tu apristi gli occhi del nostro cuore perché conoscessimo te il solo altissimo nell’altissimo dei cieli”.

È unico, a tal riguardo, il collegamento che egli instaura tra il riposo e la speranza, sulla quale si appoggia il riposo sabbatico del credente, ovvero la tranquillità dell’animo che, lontano da ogni male, ripone la propria speranza unicamente in Dio. Cristo è la nostra vera comune speranza perché egli è l’immagine perfetta della speranza del Padre, la quale a sua volta è speranza archetipa del Figlio.

Un’immagine significativa, dove si manifesta chiaramente la convinzione che la nostra speranza risiede in Cristo, è la figura del martire, che va incontro al martirio, perché certo che lo aspetta al di là di questo mondo Cristo; Cristo per lui è speranza certa della vita eterna:

“Ma se soffro sarò affrancato in Gesù Cristo e risorgerò libero in lui (…). 5,3 Il fuoco, la croce, le belve, le lacerazioni, gli strappi, le slogature delle ossa, le mutilazioni delle membra, il pestaggio di tutto il corpo, I malvagi tormenti del diavolo vengano su di me, perché voglio solo trovare Gesù Cristo”.
Un pensiero simile si legge nella lettera di Barnaba, nella quale la speranza, acquistando un valore soteriologico, è interconnessa con la gioia, perché chi è convinto di essere salvato, e per questo ha la speranza della vita eterna, è felice e mostra l’allegria del suo cuore nel suo volto: “Perciò di più mi rallegro nella speranza di essere salvato perché vedo veramente che lo spirito della sorgente abbondante si è diffuso su di voi”.

La speranza di vita, sempre per Barnaba, è appannaggio di coloro che vivono nella fede e nella carità, in quanto la speranza della vita eterna è un dono che consegue alla vita di fede perché non proviene da se stessi; per questo motivo coloro che ripongono la speranza nella vita eterna, vivono pienamente la loro vita di fede nella carità, alla stessa stregua di Cristo: “Il Signore ha camminato con me nella via della giustizia e mi sento spinto anche io a questo, ad amarvi, cioè, più della mia stessa anima. Una grande fede e amore abita in voi nella speranza della vita”.

Risuona in queste righe il pensiero dell’apostolo Paolo, il quale, nella sua lettera a Tito, parla del dono soprannaturale della vita eterna, nella quale speriamo: “affinché, giustificati per la sua grazia, noi divenissimo, secondo la speranza, eredi della vita eterna”.(Tit 3,7). Dunque Barnaba, come l’apostolo Paolo, ci vogliono dire che la nostra speranza di una vita futura si fonda sul dono soprannaturale della vita eterna; dono che i cristiani hanno ricevuto per grazia nel battesimo come “caparra della vita futura, e così con tutta sicurezza e buon animo possono attendere l’assoluzione di Dio, nel giorno del giudizio, e la loro partecipazione alla vita eterna”. Colui che è stato battezzato, porterà gli effetti prodigiosi del battesimo a quanti ne hanno bisogno, infondendo in loro la speranza della conversione e poi quella della risurrezione: “ogni parola che uscirà dalla loro bocca nella fede e nell’amore, sarà per la conversione e la speranza di molti”. Una vera testimonianza della propria vita battesimale, sia nella preghiera che nelle opere, può essere di esempio agli altri uomini che sono lontani dalla verità. In ciò risiede la “speranza di conversione”, in modo tale che gli altri uomini trovino il coraggio di convertirsi alla vita nuova di Cristo, imitando i veri battezzati in Cristo: “Per gli altri uomini “pregate senza interruzione”. In loro vi è speranza di conversione perché trovino Dio. Lasciate che imparino dalle vostre opere”. Tra questi uomini che sono lontani dalla verità ci sono coloro che non hanno avuto speranza in Dio e che hanno disperato durante la vita; a questo genere di uomini la preghiera e la testimonianaza di vita dei battezzati inducono al pentimento: “Si pentiranno le anime di coloro che non hanno speranza ma hanno disperato di sé e della loro vita! Ma tu prega Dio ed egli guarirà I tuoi peccati, quelli di tutta la tua casa e di tutti I fedeli”. Dopo il pentimento per questo tipo di uomini inizia la nuova speranza nel Cristo risorto, in quanto essi non ripongono più la loro speranza nelle cose terrene:

“Dunque, quelli che erano per le antiche cose sono arrivati alla nuova speranza e non osservano più il sabato, ma vivono secondo la domenica, in cui è sorta la nostra vita per mezzo di Lui e della sua morte che alcuni negano”.
Anche i profeti, poiché hanno annunziato la venuta di Cristo e riposto fiduciosamente speranza nella sua venuta, sono testimoni di speranza in Gesu Cristo:

“Amiamo i profeti perché anch’essi annunziarono il vangelo e sperarono in lui e lo attesero, e credendo in lui furono salvi. Essi uniti a Gesù Cristo, santi degni di amore e di ammirazione, hanno ricevuto la testimonianza di Gesù Cristo e sono stati annoverati nel vangelo della comune speranza”.
Parallelamente Mosé, secondo Barnaba, spezzò le tavole della legge, e pose fine alla loro alleanza, perché “quella dell’amato Gesù fosse incisa nel nostro cuore, con la speranza della fede in lui”. nnnnPiù avanti, sempre Barnaba, afferma che il profeta Isaia vaticinava la nuova speranza che poggia sulla pietra angolare che è Cristo:

“Ecco, io introdurrò nei fondamenti di Sion una pietra preziosa, scelta, angolare e di gran pregio”. (Is 28,16). 3. Poi che dice? “E chi crede in quella vivrà in eterno”. Sulla pietra è la nostra speranza? No; ma che il Signore ha reso forte la sua carne. Dice, infatti: e “mi pose come dura pietra”. (Is 50,7) (…) 9. (…). “Sperate in Gesù che sta per manifestarsi a voi nella carne”.
Nei profeti l’annuncio della Parola di Dio, la pazienza e la fede sono tre elementi che rendono la speranza della venuta di Cristo reale e veritiera. Questi tre elementi stanno al fondamento, anche per noi oggi e per i martiri di tutti i tempi, di una vera speranza sulla vita eterna, perchè è lì che Cristo ci attende, per farci felici come lui, immuni da ogni sorta di tribolazione e di male. Questa attesa di un regno eterno è vissuta da coloro che onorano Cristo, alla stessa stregua dei profeti, in modo olistico , cioè con la carne, con l’anima, con lo spirito e con una prassi di vita vissuta nella concordia e nella carità: “Li onorerà il Signore Gesù Cristo nel quale essi sperano con la carne, con l’anima, con lo spirito, con la fede, con la carità, con la concordia. Statemi bene in Gesù Cristo, nostra comune speranza”.

Policarpo, nella lettera ai Filippesi, precisa che la speranza è preceduta dalla fede e dalla carità, perché chi predispone il proprio cuore ad accogliere la Parola di Dio è colui che anche nella pratica, e cioè nella carità, manifesta questa interiore vita di fede: “Questa fede è la madre di tutti noi, seguita dalla speranza e preceduta dalla carità verso Dio, Cristo e il prossimo”.

Per quanto riguarda i giudei Barnaba fa intuire che i giudei avevano una vana speranza, perché “sperarono in un edificio come se fosse la casa di Dio, e non nel Dio che li aveva creati. 2. (…) Vedete come era vana la loro speranza”.
Inoltre nell’omelia dello pseudo-Clemente la speranza si identifica nella perseveranza, perché colui che persevera nella fede, nella carità e nella giustizia riceve il premio della vita eterna: “Sperando perseveriamo per ricevere il premio”(…)7. Se dunque praticheremo la giustizia davanti a Dio, entreremo nel suo regno e riceveremo la promessa”. Sempre lo pseudo-Clemente afferma che la speranza è appannaggio dei giusti, cioè di coloro che hanno adempiuto la volontà di Dio:

“I giusti che hanno agito bene, sopportato I tormenti e odiato I piaceri della vita, quando vedranno quelli che hanno deviato e rinnegato Gesù, con le parole e le opere, puniti con terribili pene nel fuoco che non si spegne mai, daranno gloria al loro Dio dicendo che la speranza c’è per chi ha servito Dio con tutto il cuore”.
Quindi il premio finale che Dio ha promesso, quello della vita eterna, è dato a coloro che sono diventati giusti, perché da peccatori avevano la speranza del pentimento:

“Questi hanno speranza di pentirsi. 6. Vedi che molti di essi si sono pentiti da quando hai parlato loro dei miei precetti e altri ancora si pentiranno. Quanti non si pentiranno hanno perduto la vita. (…)il pentimento dei peccatori salva la vita, mentre il mancato pentimento è la morte”.


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