DON ANTONIO

martedì 20 settembre 2011

5.IL MALE.Saggio teologico del cardinale Charles Journet Professore al Seminario Maggiore di Priburgo

5. LA DEFINIZIONE DEL MALE HA UNA PORTATA ANALOGICA
Il concetto di privazione, come il concetto dell'essere che essa priva, è
analogico, vale a dire che si realizza in un modo relativo e proporzionale
ai diversi gradi dell'essere (82).

La privazione compare in realtà sul piano della natura materiale e sul
piano della natura spirituale. Compare nel mondo dell'essere fisico o
entitativo e nel mondo dell'essere morale o tendenziale, nel quale troviamo
il male della colpa ed il male della pena. Compare nell'universo che deriva
dalla natura e dalla cultura, e nell'universo nato dalla grazia.

Bisognerà giudicare dell'importanza della privazione secondo
l'importanza di ciò che essa ha danneggiato; essa sarà tanto più grave
quanto più nobile è il soggetto che consuma e quanto più sacre, più
assolute sono le sue esigenze.

E accadrà che ciò che è male sul piano dell'essere fisico, per esempio la
malattia e la morte, potrà essere l'occasione di un bene sul piano della vita
morale; che il peccato stesso potrà essere riscattato, specialmente per
mezzo della carità che può cancellare tutte le vergogne e fare fiorire i
deserti.
NOTA
(1) “Malum autem est privatio...” (SAN TOMMASO, De malo, q. 1, a. 2, ad. 3).
“Privatio... est defectus eius quod, est natum inesse et non inest” (ID., q. 1, a. 3).
(2) “C'è privazione quando una cosa non ha ciò che essa non è destinata ad avere:
così la pietra non ha vista. Vi è, in un altro senso, privazione, quando una cosa non ha
ciò che dovrebbe avere; per esempio, un animale che non vede” (ID., Metaf., lib. X,
n. 2043; lib. V, nn. 1070.-72). Su questi due sensi della parola privazione (XXX), v.
ARISTOTELE, Metaf., lib. X, 22; lib. V, tomo 1, p. 209; tomo II, p. 76.
(3) “Malum neque est... sicut pura negatio, sed sicut privatio” (SAN TOMMASO, I,
q. 48, a. 2, ad. 1). “Remotio igitur boni, negative accepta, mali rationem non habet...
Sed remotio boni, privative accepta, malum dicitur” (ID., I, q. 48, a. 3).
(4) “Relinquitur ergo quod nomine mali significatur quaedam absentia boni” (IBID.,
l, q. 48, a. 1). “Malum est defectus boni quod natum est et debet haberi” (IBID., I, q.
48, a. 5, ad. 1). “Hoc privari dicimus quod natum est habere aliquid et non habet”
(ID., De malo, q. 1, a. 2).
(5) “Cum malum nihil aliud sit quam privatio debitae perfectionis” (IBID., q. 1, a. 2).
“Malum est ipsa privatio alicuius particularis boni)} (reID., q. 1, a. 1).
(6) “C'è privazione (XXX) per un essere, quando egli non possiede quella qualità che
dovrebbe naturalmente trovarsi in lui, o nel suo genere; così è in modo del tutto
diverso che l'uomo cieco e la talpa sono privi della vista: per la talpa la privazione è
contraria al genere animale, per l'uomo è contraria alla sua propria natura normale.
C'è pure privazione quando un essere che dovrebbe naturalmente ed in un certo
momento possedere una qualità, non l'ha; la cecità infatti è una privazione, ma non si
dirà che un essere è cieco a qualunque età, ma soltanto se, nell'età in cui dovrebbe avere la vista secondo natura, egli non la possiede...” (ARISTOTELE, op. cit.. lib. V,
22; tomo I, p. 209)
(7) “XXX” (PLOTINO, III Enneade, I tratto Della Provvidenza, cap. 5).
(8) ID., I Enneade, VIII tratt., cap. 4.
(9) Ecco alcuni passi dell'VIII tratto della I Enneade, Dell'origine del mali:
“Poiché il
bene non esiste da solo, vi è necessariamente nella serie delle cose che escono da lui,
o che, se si vuole, ne derivano e se ne scostano, un termine ultimo, dopo il quale nulla
più può essere generato; questo termine è il male..., è la materia, che non possiede più
alcuna parte di bene. Tale è la necessità del male” (cap. 7). “Poiché il male esiste, ne
consegue dunque che esiste in ciò che non è; esso si trova nelle cose che hanno
qualcosa del non essere e che partecipano al non essere... Esso sta di fronte al bene,
come la mancanza di misura sta alla misura, come l'illimitato al limitato, come
l'informe alla causa formale, come l'essere eternamente deficiente all'essere che basta
a se stesso; esso è sempre indeterminato, sempre instabile, completamente passivo,
mai appagato, povertà assoluta; ecco, non gli attributi accidentali, ma, per così dire, la
sostanza stessa del male... A quale soggetto appartengono queste proprietà? Esse non
differiscono dal loro soggetto: sono quel soggetto stesso... Bisogna, prima di tutto,
che il male esista in se stesso, anche se non è una sostanza... C'è il bene in sé, ed il
buono come attributo; allo stesso modo c'è il male in sé, e... il male come attributo di
un essere diverso da lui... Bisogna dunque che vi sia una cosa illimitata in sé, informe
in sé... E se, oltre al male, ci sono delle cose cattive, è perché esse hanno il male nella
loro mescolanza... Il soggetto nel quale risiedono le figure, le forme, i limiti..., il
soggetto che sta alla realtà come la sua immagine: ecco la sostanza del male, se il
male può avere una sostanza; ecco il primo male, il male in sé che il ragionamento ci
rivela” (cap. 3). “La natura corporale, in quanto essa partecipa alla materia, è cattiva,
ma non è il primo male, poiché essa ha una certa forma, che tuttavia non è vera,
essendo priva di vita” (cap. 4). “Il principio del divenire è la natura materiale e questa
è così cattiva che riempie di male l’essere che non è ancora in lei e sta soltanto a
guardarla. Non avendo alcuna arte di bene, priva di lui (XXX), puramente deficiente,
la materia rende simile a sé tutto ciò che ha il minimo contatto con lei” (cap. 4).
“Bisogna concludere che noi non siamo il principio del nostri mali, e che il male non
ci viene da noi stessi, ma che i mali esistono prima di noi; il male possiede l'uomo, e
lo possiede anche contro la sua volontà” (cap. 5). “La materia non ha la stessa essenza
che le permetterebbe di partecipare al bene; se si dice che essa è, si equivoca; la verità
è che essa è un non-essere..., la mancanza totale del bene è il male” (cap. 5). Nel cap.
11, Plotino sostiene, contro i peri patetici per i quali la privazione (XXX) è sempre in
un soggetto e non ha sussistenza in sé (XXX), che la privazione può essere una realtà
in sé.
(10) La dottrina della creazione dal nulla è contenuta implicitamente nel Genesi (I, l):
“Al principio Dio creò il cielo e la terra”, ove Dio è rappresentato come l'autore ed il
signore unico del mondo intero. Essa è espressa formalmente in II Macc., (VII, 28):
“Guarda il cielo e la terra, considera tutto ciò che contengono e sappi che Dio non li
ha fatti con cose esistenti” (Cfr. P. VAN IMSCHOOT, Théologie de l'Ancien
Testament, Tournai 1954, tomo I, p. 98).

A proposito della demonologia nella letteratura ebraica dell'inizio della nostra era,
JOSEPH BONSÌRVEN scrive: “In tutte queste concezioni, nessuna traccia di
dualismo, poiché i demoni sono delle creature di Dio, diventate cattive per loro
propria volontà” (Les idées juives au temps de Notre Seigneur, Paris 1934, p. 54).
“Non vediamo la traccia di nessuna tradizione che faccia del diavolo un essere cattivo
per essenza e fin dalla sua origine, o che non lo ponga fra le creature di Dio” (Le
judaisme palestinien au temps de Iésus Christ, Paris 1935, tomo I, p. 245).
(11) Il testo della Sapienza (XI, 18): “La tua mano onnipotente ha creato il cosmo da
una materia amorfa”, corrisponde a quello del Genesi, (I, 7), in cui è detto che la terra
era “vaga e vuota”, oppure, secondo i Settanta “senza volto e senza forma”, e
significa che l'universo è stato informe per essere successivamente organizzato e
perfezionato.
(12) “Certum namque est malum esse bono carere” (De Principiis, lib. II, cap. 9;
P.G., tomo XI, col. 227).
(13) “XXX” (Comm. in Ioan., tomo II, n. 7; P.G., tomo XIV, col. 13 7).
(14) Comm. ad Rom., lib. VIII, n. 13; P.G., tomo XIV, col. 1200.
(15) De libero arbitrio, P.G., tomo XVIII, col. 256.
(16) Probabilmente gnostici o manichei.
(17) Oratio contra Gentes, n. 6; P.G., tomo XXV, col. 12.
(18) “ XXX ”. P.G., tomo XXXI, col. 341).
(19) Oratio catechetica, capp. 6 e 7; P.G., tomo XLV, coll. 28 e 32.
(20) H. MARROU, Un angelo decaduto, però un angelo... in Satana, “Études
Carmélitaines", 1948, p. 40.
(21) Cap. 7, nn. 60 e 61; P.L., tomo XIV, col. 525.
(22) V. PIERRE COURCELLE, Recherches sur les Confessions de saint Augustin,
Paris 1950, pp. 107 e 124.
(23) Cap. 8, nn. 30 e 31; P.L., tomo XIV, coll. 139-40.
(24) Per Plotino: 1. Il bene causa necessariamente il male (VIII tratt., I Enneade, cap.
7); 2. Un contrario può generare il suo contrario, ed il bene può generare il male (cap.
6); 3. Il male non viene da noi stessi (cap. 5). Il pensiero greco, su questo punto come
su tanti altri, è trasformato quasi di colpo dal cristianesimo, e più profondamente di
quanto Pierre Courcelle dimostri qui di credere.
(25) Omel. (2, n. 4; P.G., tomo XXIX, col. 38). Ecco la traduzione di STANISLAS
GIET di questo passo di san Basilio: “Non si potrebbe tuttavia dire, senza peccare
d'empietà, che il male abbia la sua origine in Dio, perché nulla di contrario viene dal
suo contrario. Né la vita, infatti, genera la morte, né le tenebre sono una sorgente di
luce, né la malattia una causa di salute; ma mentre le disposizioni cambiano passando
dal contrario al suo contrario, nelle generazioni ogni essere procede non dal suo
contrario ma dal suo simile. Se dunque, si obietta, il male non è generato e se non
proviene da Dio, donde trae la sua natura? D'altra parte nessuno di coloro che
partecipano alla vita, negherà che in realtà esistano del mali. Che cosa rispondere?
Che il male non è un essere vivente ed animato, ma una disposizione dell'anima
contraria alla virtù che deriva da un apatico abbandono del bene. Non cercare dunque
il male fuori, non immaginare una natura primitiva che sia perversa; tocca a ciascuno
riconoscere si l'autore della malizia che è in lui...”. Basilio parla qui del male per
eccellenza, del peccato. Egli aggiunge: “La malattia, la povertà, la privazione degli
onori, la morte e tutto ciò che di doloroso accade agli uomini non devono
assolutamente essere annoverati fra i mali [veri], poiché non annoveriamo neppure i
loro contrari fra i più grandi beni; alcune di queste prove hanno la loro origine nella
natura, altre non appaiono prive di vantaggi per coloro che le subiscono” (Homélies
sur l'Hexaemèron, pp. 159-63, in “Sources chrétiennes” n. 26).
(26) E' dunque opportuno correggere un'espressione di Henri Marrou relativa alla dottrina della non-sostanzialità del male: “La troviamo formulata chiaramente, se
pure assai brevemente, ed all'infuori di ogni legame con il pensiero agostiniano, in
san Basilio ed in san Gregario di Nissa” (Articolo cit., p. 39).
(27) “Quia non noveram malum non esse nisi privationem boni, usque ad quod
omnino non est” (SANT 'AGOSTINO, Confessioni, lib. III, cap. 7, n. 12).
(28) IBID., lib. VII, cap. 12, n. 18.
(29) ID., Contra adversarium legis et prophetarum, I, cap. 5, n. 7.
(30) “Cum omnino natura nulla sit malum, nomenque hoc non sit nisi privatio boni”
(ID., De civitate Del, lib. XI, cap. 22).
(31) “Questi che è il mio dottore, Ambrogio, e del quale persino il tuo cattivo dottore
fa l'elogio, scrive nel De Isaac et anima: " Che cos'è il male se non la mancanza di
bene?". Ed ancora: "E' dai beni che sorgono i mali... "” (Contra Julianum
Pelagianum, lib. I, cap. 9, n. 44). “Ciò che Ambrogio ha creduto io pure lo credo; ciò
che Mani ha creduto, non lo crediamo né lui né io... I manichei dicono che il male ha
una sostanza ed una natura propria, altrettanto eterna quanto la sostanza buona e la
natura di Dio, poiché, essi dicono, è impossibile che i mali nascano dai beni.
Ambrogio afferma il contrario e dice: E' dai beni che nascono i mali...” (Opus
imperfectum contra Julianum, lib. IV, cap. 109. Cfr. P. COURCELLE, op. cit., p.
125, nota 4).
(32) H. MARROU, art. cit., p. 40.
(33) Questo fatto è assodato da P. COURCELLE, op. cit., pp. 150, 170, ecc.
(34) SANT 'AGOSTINO, Confessioni, lib. VIII, cap. 2, n. 3.
(35) ID., lib. VII, cap. 14, n. 20.
(36) IBID., cap. 12, n. 18.
(37) IBID., cap. 13, n. 19.
(38) V. avanti, pp. 43 e 49.
(39) “Malum uno modo potest intelligi id quod est subjectum mali; et hoc aliquid est.
Alio modo potest intelligi ipsum malum; et hoe non est aliquid, sed est ipsa privatio
alieujus particularis boni” (SAN TOMMASO, De malo, q. 1, a. 1).
(40) Più sottilmente i biologi distinguono la ripugnanza motrice destinata ad
allontanare più o meno bene l'agente nocivo, e la coscienza dolorosa molto più acuta
nell'uomo civilizzato che presso gli animali (Cfr. PRADINES, L'aventure de l'esprit dans les espèces, Flammarion, Paris, pp. 129-3G. V. avanti, p. 159).
(41) SAN TOMMASO, op. cit., I-II, q. 39, a. L
(42) ID., op. loc. cit.
(43) ID., op. cit., a. 2.
(44) “Non intendiamo dire che il dolore sia in se stesso un bene. Esso anzi è un bene
che ci viene strappato: ma è la coscienza stessa di questo strappo che approfondisce il
nostro essere interiore, che, spogliandolo di ciò che ha, lo fa ripiegare su ciò che è, e
rivelandogli il senso di ciò che ha perduto gli concede infinitamente di più. Il dolore
entra nel vivo nella nostra coscienza: la elabora fino alla radice. Esso ci permette di
misurare il grado di serietà che siamo capaci di attribuire alla vita” (L. LAVELLE, Le
mal et la souffrance, Paris 194(), p. 114. Citato da J. ECOLE, Le problème du mal
dans la philosophie de L. Lavelle, in “Revue Thomiste”, 1953, p. 116). Quanto alla
filosofia stessa di L. Lavelle, e alla sua soluzione del problema del male, come
accettarla? Il suo principio fondamentale è l'assioma della univocità dell'essere. Non
gradi nell'essere, non cose più esistenti di altre, lo stesso essere è comune a Dio ed
all'universo. Non creazione degli esseri da parte dell'Essere; ma partecipazione degli
esseri all'Essere nel senso che l'Essere, essendo essenzialmente dono di sé “esige,
poiché non c'è nulla al di fuori di Lui, che vi siano in Lui delle parti alle quali si dà”
(Présence totale, p. 129. V. il suggestivo studio d'ETIENNE BORNE, De la
métaphisique de l'Etre à une morale du consentement, Réflection sur la pensée de M.
Lavelle, in “Vie intellectuelle”, 25 dicembre 1936, pp. 447-77).
(45) Le quattro specie dell'opposizione, cioè: la contraddizione (XXX), la privazione
(XXX), la contrarietà (XXX), relazione (XXX) sono segnalate da ARISTOTELE, op. cit., Eb. V, 10 e libro X, 4; tomo I, p. 186 e tomo II, p. 76; e da SAN TOMMASO,
Metaf., lib. V, n. 922.
(46) I contrari, come pure la privazione, presuppongono un soggetto, una sostanza.
Una sostanza dunque non ha contrari. Alcune forme sostanziali potrebbero dirsi
contrarie l'una all'altra, ma in modo improprio, ed in rapporto alla materia prima nella
quale si succedono: l'antilope distrugge l'erba, il leone l'antilope, i microbi il leone.
(47) “Aristoteles frequenter utitur npmine contrari i pro privatione, quia ipse dicit
quod privatio quodam modo est contrarium, et quod prima contrarietas est privatio et
forma” (SAN TOMMASO, De malo, q. l, a. l, ad. 5).
(48) “Bonum et malum proprie opponuntur ut privatio et habitus” (ID., ad. 2).
(49) IBID., (q. 1, a. 1). La tesi di PLOTINO, ripresa dal Teeteto, è: a) che il male è
contrario del bene. Il bene è l'essere; il male è non-essere, contrario all'essere. Uno è
principio del beni, l'altro principio del mali; b) che il male è generato necessariamente
dal bene. L'universo non è possibile che attraverso ad una mescolanza di intelligenza
(i beni vengono da Dio) e di necessità (i mali vengono dalla natura primitiva, XXX XXXX come Platone chiama la materia che non è ancora stata ordinata). (I Enneade,
VIII tratt., nn. 6 e 7).
(50) “Huiusmodi privationes dicuntur contrariae, in quantum adhuc retinent aliquid
de eo quod privatur; et hoc modo malum dicitur contrarium, quia non privat totum
bonum, sed aliquid de bono removet” (SAN TOMMASO, op. cit., q. 1, a. 1, ad. 2).
(51) ID., I, q. 65, a. 1, ad. 2.
(52) ID., De malo, q. 1, a. 1, ad. 4.
(53) Il male non può essere voluto se non mascherato sotto un bene, “non potest esse
volitum nisi sub ratione boni” (IBID., ad. 12). “Il fine cui tende l'intemperante non è
di perdere il bene della ragione, ma di raggiungere un piacere disordinato del sensi.
Perciò il male, nella morale, presenta una differenza costitutiva, non come male, ma
in proporzione del bene che ad esso male si aggrega” (IBID., I, q. 48, a. 1, ad. 2).
Vedere più avanti, p. 75.
(54) “Nel peccato stesso della creatura sussiste un mistero che ci è sacro; quella ferita,
se non altro, le appartiene; è il suo miserabile bene, per il quale essa mette in gioco la
sua vita eterna, e nell'intimo del quale sono nascoste la giustizia e la compassione di
Dio. Per guarire quella ferita il Cristo ha voluto morire” (J. MARITAIN, Frontières
de la poésie et autres essais, Paris 1935, p. 115).
(55) Anche quelli fra i teologi che pongono il costitutivo formale del peccato nella tendenza positiva ad un falso bene, sono unanimi nel dichiarare che non ci sarebbe
peccato se una privazione non fosse unita a quel falso bene. (Cfr. GIOVANNI DI S.
TOMMASO, I-II, q. 21; disp. 9, a. 2, nn. 16 e sgg.; ed. Vivès, tomo V, p. 696).
(56) “Il male non esiste in sé, esso coesiste ( XXX) alla privazione del bene... Il male
è privazione ( XXX), non possesso (XXX) dell'essere” (SAN GREGORIO DI
NISSA, In Ecclesiasten, omel. 5; P.G., tomo XLIV. col. 681).
(57) SANT 'AGOSTI NO, Confessioni, lib. VII, cap. 12, n. 18.
(58) SAN TOMMASO, op. cit., I, q. 48, a. 1.
(59) ID., q. l, a. 1.
(60) ID., III Contra Gentiles, cap. 8.
(61) ID., I Sent. (dist. 46, a. 3).
Come si vede, per san Tommaso, sant'Agostino non è
il solo dottore del male. Egli si riferisce allo PSEUDO DIONIGI, De divinis
nominibus, (cap. 4, parr. 18-35, nn. 184 e 256), commentato e spiegato da lui (nn. 461
e 605, ed. Ceslao Pera, Torino-Roma 1950). Confrontiamo le definizioni del De
malo, (q. l, a. l): “Il male non è qualcosa nella realtà, ma la privazione di un bene
particolare, inerente a un bene particolare”, oppure (I, q. 48, a. 5, ad. 1): “Il male è la
mancanza di un bene che si è atti a possedere e ché si dovrebbe avere”, con i passi in
cui Dionigi spiega che il male, per una natura particolare, consiste nell'essere privata
di ciò che le è naturale, nell'essere impedita di raggiungere ciò che è proprio di
quella natura (par. 26, n. 227); che il male è, non una privazione totale di un bene,
altrimenti detta nulla, ma la privazione particolare di un bene (par. 29, n. 236,
Commentario di san Tommaso ai nn. 552 e 569). La dottrina di Dionigi sul male
s'ispira molto da vicino a quella del neo-platonico PROCLO (411-485) nel suo De
malorum subsistentia, di cui non possediamo altro che la traduzione di Guillaume de
Moerbek, datata del 1280, che è riprodotta alla fine dell'edizione Pera. Proclo, che si
avvicina ad Aristotele, non confonde la materia con il male; definisce il male come la
privazione di un bene, come farà sant'Agostino, ma non c'è in lui traccia del concetto
di peccato, tanto che il suo pensiero si sviluppa in un orizzonte molto differente da
quello del cristiani.
(62) PSEUDO DIONIGI, De divinis nominibus, cit., (cap. 4, n. 581). Ecco il testo
stesso di Dionigi (cap. 4, par. 31, n. 243): “Ciò che si fa, non lo si fa mai in vista del
male; il male non ha sussistenza, XXX, ma una juxta oppure para-sussistenza,
XXXX”.
(63) SAN TOMMASO, op. cit., I, q. 48, a. 3.
(64) LEIBNIZ, Saggi di teodicea sulla bontà di Dio, la libertà dell'uomo e l'origine
del male, n. 29.
(65) ID., n. 21.
(66) IBID., n. 20.
(67) IBID.
(68) IBID.
(69) “Come un minimo male è una specie di bene, così un minimo bene è una specie
di male se è di ostacolo ad un bene maggiore” (IBID., n. 8). “Minus bonum habet
rationem mali” (IBID., n. 194, V. avanti, p. 136).
(70) NIETZSCHE, Così parlò Zaratustra, Paris 1919, p. 118.
(71) SAN TOMMASO, op. cit., q. I, a. I, ad. 8.
(72) J. MARITAIN, Saint Thomas d'Aquin et le problème du mal, cit., pp. 219-20.
(73) “Aliquid agere dicitur formaliter..., et sic malum etiam ratione ipsius privationis
dicitur corrumpere bonum, quia est ipsa corruptio vel privatio boni” (SAN
TOMMASO, op. cit., I, q. 48, a. 1, ad. 4).
(74) “Effective... malum non agit aliquid per se, id est secundum quod est privatio quaedam, sed secundum quod ei bonum adjungitur; nam omnis actio est ab aliqua
forma...” (ID., I, q. 48, a. 1, ad. 4).
(75) “Est duplex modus qua malum causatur ex bono: uno modo bonum est causa
mali in quantum est deficiens; alio modo in quantum est per accidens” (IBID., q. 1, a.
3. V. avanti, p. 81).
(76) IBID., q. 1, a. 1, ad. 8.
(77) “Ignis generat ignem in quantum habet talem formam; corrump1ttamen aquam,
in quantum huic formae adjungitur talis privatio” (IBID., ad. 9).
(78) “In potestate tamen voluntatis est recipere vel non recipere; unde mali quod
accidit ex hoc quod recipit, non est causa ipsum delectabile movens, sed magis ipsa
voluntas... Inde est quod Augustinus dici t quod voluntas est causa peccati in
quantum est deficiens...” (IBID., q. 1, a. 3).
(79) IBID., (q. 1, a. 1, ad. 19; I, q. 48, a. 2, ad. 2; cfr. IBID., q. 1, a. 2, ad. 1):
“Dionysius non intendit quod malum non sit in existente sicut privatio in subiecto;
sed quod, sicut non est aliquid per se existens, ira non est aliquid positive in subiecto
existens”.
(80) “Malum quidem est in rebus, sed ut privatio, non autem ut aliquid reale” (IBID.,
q. 1, a. 1, ad. 20).
(81) “Utrumque contrariorum est natura quaedam” (IBID., I, q. 48, a. 1, ob. 3).
“Contraria conveniunt in genere uno, et etiam conveniunt in ratione essendi” (IBID.,
I, q. 49, a. 3, ad. 1).
(82) A proposito del testo di Aristotele che richiede una spiegazione, san Tommaso
trascrive il commento di Porfirio: “Ideo bonum et malum dixit Aristote1es non esse
nec in uno genere nec in pluribus, sed ipsa esse genera, prout genus dici potest id
quod genera trascendit, sicut ens et unum” (ID., op. cit., q. 1, a. 1, ad. 2).

CAPITOLO TERZO
LE FORME DEL MALE
Bisogna fare distinzione fra il male della natura ed il male dell'uomo, che
si divide in male del peccato e male della pena e che riguarda il mondo
soprannaturale.
I. I TRE MONDI NEI QUALI COMPARE IL MALE
La definizione del male, come privazione del bene dovuto ad un essere, ed
il riconoscimento del valore analogico di questa definizione, in altre
parole, della sua proprietà di essere applicabile proporzionalmente ai
diversi piani della realtà senza perdere nulla della sua esattezza, rende
possibile una divisione del male, cioè una classificazione generale delle
forme sotto le quali esso si presenta. Se, infatti, non si concepisce la
privazione se non in funzione dell'esigenza dell'essere che colpisce, essa
varierà e si dividerà a seconda che varieranno e si divideranno le forme
generali dell'essere (I).
Un quadro della realtà universale, divisa secondo i suoi vari gradi, ci
conduce a riconoscere come tre mondi distinti (2):
I) Il mondo della natura o mondo fisico. Esso comprende due piani: da una
parte quello delle nature corporali e corruttibili, con tutte le loro attività
interferenti, che è distribuito secondo i tre regni: minerale, vegetale,
animale. Il male qui appare sotto la forma di antagonismi, di distruzioni, di
debolezze, di mostruosità, di malattie, di disgrazie, di morti, di angosce, di
sofferenze, ecc. Dall'altra parte, c'è il piano delle nature spirituali ed
incorruttibili, con quelle soltanto delle loro attività che derivano
immediatamente dall'indistruttibile slancio della natura che Dio comunica
loro creandole (3). Questo è il mondo nel quale affondano le loro radici più
profonde le anime umane e gli angeli. In questo mondo naturale,
primordiale, basilare, non c'è corruzione né sofferenza né morte, non c'è il
male. Questa è la verità che hanno fortemente avvertita, ma senza saperla
precisare, coloro che, nelle varie epoche della storia, hanno voluto relegare
il male nel solo dominio della materia, della corporeità, della corruzione.
2) Il mondo della libertà. - I. L'uomo, creato per la sua natura spirituale a
conoscere ed a desiderare il bene in tutta la sua grandezza, il bene
universale, non può essere influenzato dai beni particolari che lo
circondano, si trova di fronte a loro in uno stato di indifferenza
dominatrice, è in grado di giudicare del loro rapporto con il fine ultimo per
sceglierli o rifiutarli. Questo è il mondo della libertà, il mondo della vita
morale, il mondo propriamente umano.

Esso presuppone il mondo delle nature spirituali, ma è ad esso irriducibile;
costituisce un ordine particolare in seno all'ordine universale. «San
Tommaso mette in luce questo punto a proposito d'una questione
particolare. Egli si domanda se lo sguardo naturale del puri spiriti conosca
i segreti del cuori. No, egli risponde. Eppure egli insegna che i puri spiriti
conoscono naturalmente tutto l'universo delle nature corporali e spirituali,
tutti gli avvenimenti che si succedono in questo mondo che è l'opera
dell'arte creatrice. Sì, senza dubbio, ma precisamente l'atto morale, preso
come tale nel mistero della decisione libera stessa, attraverso alla quale si
pone di fronte a Dio, non è un evento di questo mondo; non appartiene al
mondo delle configurazioni e delle proprietà degli esseri e, se così si può
dire, della semplice bellezza plastica ed ontologica della creazione; esso.
appartiene al mondo della libertà che già nell'ordine della morale naturale,
astrazione fatta dell'ordine soprannaturale della grazia, è un mondo a parte,
un mondo riservato, sacro, nel quale solo lo sguardo di Dio ha il potere di
penetrare perché è il mondo delle relazioni fra persone, e, soprattutto, fra
lo Spirito personale in creato e le persone create fatte a sua somiglianza»
(4). Dovremo ricordarci della dignità singolare della persona umana che
non è una parte del mondo della natura, un pezzo della macchina
dell'universo, ma un tutto irriducibile ed immortale, anche quando
dovremo parlare del male fisico che colpisce l'uomo, delle sue infermità,
della malattia, della morte.

«Alcuni filosofi, Leibniz ad esempio, tendono a fare dell'ordine morale un
ordine particolare, semplicemente strumentale riguardo all'ordine
universale. Di conseguenza, vi diranno che questo o quell'altro male, sia
che si tratti della colpa o del dolore (che nell'ordine umano, se si tiene
conto del dati essenziali forniti dalle tradizioni religiose e dalla teologia, è
il risultato di una colpa originale, e che, di conseguenza, dipende da un
ordine diverso dal semplice ordine del cosmo), vi diranno che un certo
male commesso da un uomo o sofferto da un uomo è un male in rapporto
all'individuo in questione, ma, in rapporto all'ordine dell'universo, è un
bene. Concepiscono il male morale sul modello del male fisico. Questo
modo di giustificare l'esistenza del male e di rispondere al problema del
male fisico e morale, dicendo che tutte le sofferenze sopportate dagli
agenti liberi sono necessarie per il bene e la gloria del cosmo e perché la
macchina del mondo cammini alla perfezione, è il modo di difendere la
sapienza divina usato dagli amici di Giobbe. A cose di questo genere non è
la macchina del mondo che può dare una risposta: la risposta è nascosta
nella g1loria di Colui che ha fatto il mondo e che ha preso su di Sé tutto il
male del mondo» (5).

2. Con il mondo della libertà compaiono due nuove forme di male: la
colpa e la pena.
L'uomo, essere ragionevole, deve agire secondo la norma della ragione
che è l'impronta della legge eterna che è in lui. Il suo atto libero è
moralmente buono se è conforme al freno della ragione e se l'avvicina al
suo fine ultimo; è moralmente cattivo se è privo di tale freno e se lo
allontana dal suo fine ultimo. Ecco il male della colpa, che, essendo un
disordine, finisce per entrare in conflitto con l'ordine e provocare il male
della pena (6).

La divisione del male morale in male della colpa e male della pena o
castigo, trae origine dal fatto che la colpa è una deviazione, una privazione
di rettitudine, cui liberamente si acconsente, che colpisce l'azione della
volontà (malum actionis, vel operationis); mentre invece la pena è una
privazione contraria alla volontà, che colpisce l'essere e l'integrità
dell'agente (malum formae, vel agentis) (7).

San Tommaso distingue così, da una parte, il male del dominio della
natura (malum naturalis defectus); dall'altra parte il male del dominio della
volontà (malum in rebus voluntariis); quest'ultimo a sua volta si divide
proporzionalmente in male della colpa che priva l'uomo del suo ordine
verso il fine ultimo (malum culpae, quod privat ordinem ad bonum
divinum), e male della pena (8).

Il male dell'ignoranza, la cui influenza è grande seconde san Tommaso, si
collega sia con il male della colpa sia con il male della pena. Alla parola
italiana di ignoranza corrisponde, secondo san Tommaso, da una parte, la
nescientia, semplice assenza di scienza che non è colpa né pena e che
esiste negli angeli beati, dall'altra parte, l'ignorantia, ossia mancanza di
una scienza che si dovrebbe avere: o si è responsabili di questa privazione,
ed è peccato, o si è nell'impossibilità di porvi un rimedio, ed è il caso
dell'ignoranza invincibile che dipende dal male della pena (9).

3) Esiste un terzo mondo, il mondo della grazia, che concretamente,
esistenzialmente pervade le nature spirituali, eleva il loro essere ed il loro
agire onde orientarle verso le profondità stesse di Dio, verso quelle cose
che l'occhio non ha veduto, né l'orecchio ha udito, né il cuore ha
indovinato. Di modo che le resistenze della volontà creata, quando essa si
rifiuterà di aprirsi alle condiscendenze divine, quando lotterà contro il
prorompere di una tale vita, di una tale luce, di un tale amore,
introdurranno nell'universo un male della colpa ed un male della pena, il
cui abisso è misurato dall'altezza stessa delle bontà divine, e la cui gravità
sarebbe rimasta sconosciuta ad un universo in cui gli uomini e gli angeli
fossero vissuti nello stato puramente naturale. E' in questo ordine nuovo, è
sul piano del mondo della grazia che il problema del male rivelerà, ma
soltanto agli occhi del credenti, le sue smisurate dimensioni. E' sotto il
punto di vista esistenziale di una natura umana decaduta e riscattata,
privata della grazia di Adamo, ma arricchita dalla grazia di Cristo, che
bisognerà parlare tanto del male della colpa, quanto del male della pena
(10).


http://www.ministridimisericordia.org/Ilproblemadelmaleedeldolore/tabid/550/Default.aspx

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