DON ANTONIO

venerdì 23 settembre 2011

11.IL MALE.Saggio teologico del cardinale Charles Journet Professore al Seminario Maggiore di Priburgo

3) A questo testo poetico aggiungiamo alcune righe nelle quali P.
Teilhard de Chardin riassume la sua visione di biologo: “La vita procede
attraverso effetti di massa, a colpi di moltitudini lanciate in avanti, senza
ordine (così almeno sembra a prima vista). Miliardi di germi e milioni di
adulti si spingono, si evitano, si divorano fra, loro: vanno a gara a chi
occuperà più posto ed i posti migliori. Tutto lo spreco apparente e tutta la
durezza, tutto il mistero e lo scandalo, ma nello stesso tempo, per essere
giusti, tutta l'efficacia biologica della lotta per la vita. Nel corso del gioco
implacabile che affronta e forza gli uni dentro agli altri i blocchi di
sostanza vivente in via di irresistibile dilatazione, l'individuo è, senza
dubbio, spinto ai limiti delle sue possibilità e del suo sforzo. Emergenza
del più adatto, selezione naturale: non sono queste vane parole, anche se
non si vuole intendere né un ideale finale, né una spiegazione definitiva.

“Ma non è l'individuo quello che sembra contare di più nel fenomeno. Più
profondo di una serie di combattimenti singoli, è un conflitto di probabilità
che si sviluppa nella lotta per esistere. Riproducendosi senza economia, la
vita si corazza contro i pericoli, accresce le sue probabilità di
sopravvivere, e nello stesso tempo moltiplica le sue probabilità di
progresso.
“Ed ecco dove si realizza e riappare, al livello delle particelle animate, la
tecnica fondamentale del Metodo per tentativi, quest'arma specifica ed
invincibile di ogni moltitudine in espansione: il Metodo per tentativi, in
cui si combinano in un modo così curioso la fantasia cieca delle grandi
moltitudini e l'orientamento preciso di un fine perseguito, il Metodo per
tentativi, che non è solamente il caso col quale si volle confonderlo, ma un
caso guidato. Compiere tutto, per provare tutto; provare tutto, per trovare
tutto. Non è forse il mezzo per compiere quest'impresa, sempre più
enorme e più costosa man mano che si estende maggiormente, ciò che in
fondo la natura, se così si può dire, cerca nella sua profusione?” (21).

4) Forse ora si comprenderà meglio la frase citata sopra, e cioè che Dio
non è un orologiaio, ma un creatore di nature, che l'universo non è una
macchina, ma una repubblica di nature, e la profondità della riflessione di
san Tommaso dove dice che “poiché la volontà di Dio è sommamente
efficace, ne consegue che non soltanto le cose che vuole fare si fanno, ma
che si fanno anche nel modo nel quale vuole, le une necessariamente, le
altre contingentemente” (22).

e) L'ascesa dell'“Albero della vita”.
Dal seno stesso di quel formicolare d'attività in conflitto fra loro,
1'“Albero della vita” si eleva progressivamente dalle forme acquatiche,
agli anfibi, ai rettili, ai mammiferi, ai primati. Il filo d'Arianna che
permette di misurare il progredire di questa ascensione è ciò che P.
Teilhard de Chardin chiama la comparsa e lo sviluppo della cefalizzazione
o cerebrazione (23). “Dall'istante - egli dice - in cui la misura (o
parametro) del fenomeno evolutivo viene cercata nell'elaborazione del
sistema nervoso, cade nell'ordine non soltanto la moltitudine del generi e
delle specie, ma l’intero reticolato del loro verticilli, delle loro reti, del
loro rami, si innalza come un fascio fremente. Una ripartizione delle forme
animali secondo il loro grado di cerebralizzazione non abbraccia soltanto i
contorni imposti dalla sistematica, ma conferisce pure all'"Albero della
vita" un risalto, una fisionomia, uno slancio, nel quale è impossibile non
riconoscere il segno della verità” (24).

Lo sviluppo del sistema nervoso e della cerebralizzazione, che è
nell'animale la condizione fisiologica dello sviluppo del suo psichismo,
diviene eccezionale nei primati: “Ciò che costituisce l'interesse ed il valore
biologico del primati è che essi rappresentano un ramo di pura e diretta
cerebralizzazione. Negli altri mammiferi, senza dubbio, sistema nervoso
ed istinto vanno crescendo gradualmente. Ma in essi quel lavoro interno è
stato distolto, limitato, ed infine arrestato per mezzo di differenziazioni
accessorie. Il cavallo, il cervo, la tigre, mentre il loro psichismo saliva,
sono diventati parzialmente, come l'insetto, prigionieri degli strumenti di
corsa o di preda, nei quali le loro membra si sono trasformate. Nei
primati, invece, l'evoluzione, trascurando ed in seguito lasciando plastico
tutto il resto, ha lavorato direttamente al cervello. Ed ecco perché, nella
marcia ascendente verso la maggiore coscienza, sono essi che tengono il
primo posto. In questo caso privilegiato e singolare l'ortogenesi
particolare del ramo viene a coincidere esattamente con l'ortogenesi
principale della vita stessa;... essa è aristogenesi...” (25).

f) La nostra visione presente dell'ordine dell'universo amplia e precisa la
visione degli antichi.
Si vede in quale senso le ricerche moderne permettono di ampliare e, nello
stesso tempo, di precisare la visione che avevano gli antichi del conflitto
delle forze da cui risulta il nostro universo sul piano della materia e, più
misteriosamente ancora, sul piano della vita, e di quel mescolarsi di
distruzioni e di costruzioni, di male e di bene, al quale la comparsa degli
esseri biologicamente e psichicamente più perfetti ha dato il suo
significato.

Rimane fermo che nell'insieme, come potevano constatare gli antichi,
l'universo della natura rappresenta un ordine, ma un ordine duro ed
implacabile. Non è, non può essere ancora, l'ordine cristiano. Sarebbe
ingenuo stupirsene, pretendere che “gli innumerevoli fenomeni, scoperti
per mezzo del telescopio o del microscopio, abbiano la fisionomia
cristiana”, scandalizzarsi di non incontrare il cristianesimo osservando
l'Orsa maggiore. Pierre Termier (26), che raccoglie questa obiezione di
SullyProudhomme, non esita a rispondere che bisogna varcare un limite e
giungere fino alla realtà dell'anima spirituale, toccata dalla grazia, perché
l'ordine cristiano possa comparire.

3. LA SOFFERENZA DEGLI ANIMALI
Siamo nel punto di vista adatto per parlare della sofferenza degli animali.
Questo problema è evitato sia da coloro che, come i cartesiani, privano
l'animale di psichismo per fame una specie di macchina, sia da coloro che,
al contrario, attribuiscono all'animale una sensibilità propriamente umana.
Una cosa sola è certa, in realtà, e cioè che l'animale non è né macchina né
uomo. “E' realmente impossibile per un uomo immaginare come pensa un
cane; ciononostante, vi è una scienza-di-cane che esiste di fatto e che è
l'oggetto della psicologia animale” (27).
a) I nostri doveri verso gli animali.
E' forse questo il momento di aprire un'utile parentesi cercando di definire
il nostro atteggiamento morale riguardo agli animali. Per spiegare che il
diritto ed il dovere non sono sempre correlativi e che possono esserci degli
obblighi senza diritti corrispondenti, Jacques Maritain pone in questi
termini il problema del nostri doveri verso gli animali (28): “Abbiamo del
doveri verso gli animali o del doveri riguardanti gli animali? Nel secondo
caso si tratterebbe, in realtà, di dovere verso gli esseri umani, o verso la
società o verso me stesso, nel senso che. la crudeltà verso gli animali
sviluppa del sentimenti e delle abitudini d'insensibilità o di sadismo, che
corrompono l'individuo e minacciano il prossimo. Allo stesso modo ho del
doveri riguardanti, ad esempio, l'ordine della mia camera, ma non ho del
doveri verso la mia camera, bensì soltanto verso me stesso ed anche, non
vi pare? verso coloro che vengono a trovarmi. Ebbene, io penso che vi sia
qualcosa di simile nel caso degli animali; anzi nel caso di ogni cosa
esistente naturale, di tutto ciò che porta in sé il marchio della creazione
(29). Noi abbiamo veramente del doveri verso queste cose. Sì, e tuttavia
esse non hanno del diritti corrispondenti: non li hanno, senza dubbio, non
perché siano privi della facoltà di rivendicare tali diritti (gli idioti ed i
bambini hanno del diritti senza avere la capacità di esigere la loro
realizzazione) ma perché gli animali non sono agenti morali o persone. La
teoria della correlazione assoluta fra diritti e doveri giunge qui ad un punto
morto. Se gli animali avessero del diritti, non si dovrebbe anche dire che
hanno del doveri, cosa che nessuno ammette? In conclusione, abbiamo in
questo caso del doveri verso alcuni esseri senza che questi abbiano del
diritti corrispondenti. Intendo parlare del doveri verso questo o
quell'animale individuale stabilito, quel cavallo, quel cane: essi, infatti,
sono degli individui viventi, degli abbozzi di persone; devo nutrirli, non
devo ucciderli senza necessità. E senza dubbio, si può dire che, come essi
sono degli abbozzi di persone, e come i sensi interni sono, nei più elevati
fra loro, una ombra di intelligenza, così c'è in essi un'ombra, un abbozzo di
ciò che i diritti propriamente detti sono presso l'agente libero. Ma non si
tratta che di un'ombra, di un abbozzo: mentre i doveri che abbiamo verso
di essi sono del veri doveri. Qual è il fondamento di tali doveri? Il rispetto
per la vita, per l'essere, la pietà naturale, il senso della solidarietà cosmica,
così sviluppato nell'India”.
Ma chiudiamo questa parentesi e ritorniamo al nostro argomento.

b) Le ragioni della sofferenza degli animali.
I) La ragione fondamentale che giustifica la presenza della sofferenza
negli animali è precisamente la perfezione e la delicatezza della loro
costituzione e del loro organismo: la sofferenza è il prezzo della loro
sensibilità. Un apparecchio fotografico non soffre, ma non può vedere.
Sopprimere la vulnerabilità degli organi dell'animale, significa
sopprimere l'animale stesso, e significa pure privare l'universo di
quell'immensa zona di vita, incomparabilmente ricca e varia, che collega il
mondo inferiore del minerali e del vegetali con il mondo dell'uomo.

E', senza dubbio, assai facile essere d'accordo su questo punto. Nello
stesso tempo chiedere a Dio d'intervenire continuamente con del miracoli
per evitare la sofferenza degli animali, significherebbe rifiutare il mondo
delle nature, quale Egli lo ha creato, e richiedergli la creazione di un
qualche altro Uni verso.

Ma non sono risolte tutte le questioni. Si dirà: Data l'esistenza del nostro
mondo animale, e di conseguenza della sofferenza, la somma della loro
sofferenza non potrebbe essere minore? La risposta è questa: Sì, potrebbe
essere minore, ma potrebbe pure essere maggiore. Anche in questo caso,
bisogna evitare l'insidia continua nella quale è stato preso Leibniz, di un
Dio tenuto dalla Sua bontà infinita a creare un certo mondo migliore
piuttosto di un altro, tenuto anzi a creare il migliore del mondi possibili.

In ragione della Sua bontà infinita, Dio è tenuto, non a creare un mondo
infinitamente buono, il che è una pura assurdità, ma a creare un mondo,
alla fin fine, buono.
2) La sofferenza nell'animale è la percezione di un disordine. che
sopraggiunge nel suo organismo o nel suo ambiente abituale. Di
conseguenza essa potrà in certi casi (ed è questo uno del suoi aspetti
secondari) avere l'ufficio d'un avvertimento salutare ed invitare l'animale a
regolarizzare il proprio comportamento.
Ma anche qui sembra che la natura abbia proceduto per tentativi e per
approssimazione piuttosto che mirando ad un rigore assoluto. I biologi ci
assicurano che “il dolore che, dopo un'esperienza, ci fa evitare i
traumatismi, è regolato male: esagerato in certi casi (mal di denti,
nevralgie), in altri casi molto pericolosi non appare (nefrite, tubercolosi
polmonare, cancro nella sua fase iniziale”) (30). Dal punto di vista
filosofico, che è il nostro, non è questione di sapere se sarebbero possibili
degli assetti migliori (su ciò ci troviamo d'accordo senza difficoltà) ma di
sapere se quel mondo della natura che Dio stesso ha costruito, ma dando
libero corso alle attività delle creature, è alla fine un mondo buono, nel
quale la vita prevale sulla morte, il bene sul male, l'essere sul nulla.

c) Sofferenza umana e sofferenza animale.
I) La sofferenza umana è la sofferenza di una persona dotata di un'anima
immortale nella quale si possono scolpire per sempre le esperienze delle
prove del tempo. E' vera a questo riguardo la frase di Léon Bloy: “Soffrire,
passa, avere sofferto non passa”..
La sofferenza degli animali è una sofferenza senza seguito, poiché è la
sofferenza di esseri la cui anima non ha seguito. Il minerale, materia e
forma, il vegetale corpo ed anima, sono del sussistenti; ma la forma del
minerale e l'anima del vegetale, non lo sono. Allo stesso modo, l'intero
animale, corpo ed anima, è sussistente, non l'anima dell'animale. E'
metafisicamente impossibile che la forma del minerale, dell'idrogeno, del
doro o del ferro sussista senza la materia cui essa dà forma; che l'anima del
vegetale o dell'animale sussista senza il corpo che essa anima (31). Le
forme degli esseri deperibili scompaiono per lasciare il posto ad altre
forme che scompariranno; la distruzione di un essere assicura la
generazione di un altro; così si spiega il succedersi delle specie. Solo
l'anima umana, che è spirituale, può sussistere e sopravvivere alla
dissoluzione del corpi.

2) La sofferenza umana può essere toccata dalla grazia, essere sopportata
nella fede e nell'amore, assomigliare un poco alla sofferenza del Cristo.
Allora, per la carità che la illumina, è benedetta, merita la ricompensa
inseparabile dalle beatitudini evangeliche: “Rallegratevi e siate lieti,
perché la vostra ricompensa sarà grande nei cieli” (Mt., V, 12). San Paolo
scrive: “Credo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili
alla gloria che deve rivelarsi in noi” (Rom., VIII, 18).
La sofferenza animale non si eleva al di sopra del tempo; resta immersa
nel flusso delle cose che si fanno e si disfano ogni giorno; appartiene al
puro dominio di ciò che è fuggitivo e caduco; non assomiglia, se non
esteriormente, alla sofferenza umana. All'occhio della filosofia (32), essa
partecipa alla sorte del fenomeni astronomici, non ha la fisionomia
cristiana. L'illusione, l'errore consisterebbe nel volerle dare un significato
cristiano.

d) “Il lupo abiterà con l'agnello”.
La profezia di Isaia (XI, 6-8), sull'era nuova: “In quel tempo il lupo
abiterà con l'agnello, il leopardo si sdraierà vicino al capretto, il toro ed il
leone mangeranno insieme ed un bambino li porterà al pascolo, la
giovenca pascolerà con l'orso ed i loro piccoli albergheranno insieme,
tanto il leone quanto il bue mangeranno della paglia, il poppante giocherà
vicino alla tana del serpente”, non può esser preso alla lettera. Si tratta di
una parabola, che significa, attraverso ad immagini, il regno messianico,
regno di grazia e di verità, di armonia e di pace, che incomincerà già da
questo mondo, ma che non è di questo mondo. Nella prima metà del XII
secolo un giovane ebreo, Giuda di Colonia, attratto dal cristianesimo, ma
esitante a riconoscervi la sua realizzazione della predizione profetica
dell'Antico Testamento, viene improvvisamente illuminato, mentre la
predizione d'Isaia si chiarisce tosto ai suoi occhi quando incontra in un
monastero renano due antichi briganti che, divenuti frati, si sono
trasformati, con una dolcezza meravigliosa, in servitori del poveri e del
viandanti (33).

e) Nell'al di là c'è posto per la vita animale?
I) Dio può risuscitare un uomo. Quando Gesù risuscita Lazzaro, è l'anima
stessa di Lazzaro che viene infusa in un corpo entrato in decomposizione
(non è già più un corpo umano) per riformarlo nuovamente, vivificarlo,
rifarlo suo; dimodochè Lazzaro, dopo la risurrezione, è la medesima
persona, identica, del Lazzaro di prima della risurrezione. Ciò è possibile
solo perché l'anima di Lazzaro, essendo spirituale ed immortale, non è
stata toccata dalla sua separazione dal corpo, è rimasta intatta, è
sopravvissuta.
Ma Dio, che può risuscitare un uomo, non può risuscitare un animale. Può
senza dubbio ridare la vita al cadavere di una tigre, ma che cosa
accadrebbe allora? La prima anima che vivificava quel corpo è stata
annientata dalla morte, poiché non era in grado di sussistere anche solo un
secondo senza il corpo. Dio non può ridare la vita a quel cadavere se non
infondendogli un'altra anima, numericamente distinta dalla precedente
(non creata dal nulla come l'anima spirituale dell'uomo, ma “emersa” dalla
materia, “prodotta” dalla potenzialità della materia); dimodochè l'animale
rianimato non potrebbe essere numericamente lo stesso di prima.
Non è quindi possibile che gli animali del nostro mondo possano
risuscitare nell'al di là.

2) Ma rimane un problema. Fra il mondo del corpi degli eletti risuscitati e
glorificati a somiglianza del Cristo, ed il mondo minerale del nuovi cieli e
della nuova terra (Apoc., XXI, I; II Petr., III, 13), ci sarebbe posto, nell'al
di là, per delle forme di vita o vegetale o animale, le cui modalità ci
rimangono totalmente sconosciute e inimmaginabili quaggiù?
E' nota la risposta di san Tommaso. Da una parte, in virtù di un'esegesi
oggi abbandonata - Apoc., X, 6 non significa che il tempo cesserà, ma che
non ci sarà più né oggi né domani - egli pensa che il movimento
dell'universo che quaggiù dà origine alla complessità degli esseri ed alla
vita biologica, cesserà. D'altra parte il corpo dell'uomo, non essendo più
“animale”, ma “spirituale” (I Cor., XV, 44) non avrà più da cercare l'aiuto
né la compagnia del mondo delle piante e di quello degli animali 84).

Il problema è stato ripreso poco tempo fa da Olivier Lacombe, alla fine di
un recente saggio sull'animale e l'uomo (35). Dopo avere confrontati due
testi di san Paolo: “Riunire tutte le cose nel Cristo, quelle che sono nei
cieli e quelle che sono sulla terra” (Ephes., I, 10); “Anche la creazione
attende con ardente desiderio la manifestazione del figli di Dio... con la
speranza di essere liberata essa pure dalla schiavitù della corruzione per
partecipare alla libertà gloriosa del figli di Dio” (Rom., VIII, 19 e
seguenti), egli domanda: “Questa creazione di cui ci parla l'Apostolo, non
comprenderebbe il regno animale? La domanda è senza dubbio indiscreta,
sebbene ogni tentativo di risposta debba essere straordinariamente
discreto”.

Ed ecco le sue riflessioni: “Osserviamo, prima di tutto, che dando una
risonanza cosmica al dogma della risurrezione della carne, conseguenza
dell'Incarnazione e della Redenzione, san Paolo si colloca nell'economia
della grazia e non fa appello ad alcuna esigenza di giustizia e neppure ad
alcuna suggestione di convenienza derivante dall'ordine naturale. E'
dunque per una eccedenza di generosità totalmente gratuita che la nuova
terra dell'Apocalisse (XXI, I), sarà liberata dalla schiavitù della
corruzione.
“Dal momento che questo mondo inaudito, nato dalla grande
trasfigurazione escatologica, obbedirà alle leggi di una nuova fisica, senza
alcuna comunanza di misura con quelle della nostra fisica, non è possibile
pensare che 1'ordine della vita infrarazionale vi sia pure rappresentato, ma
sottoposto alle leggi di una nuova biologia? Può darsi, dopo tutto, che ciò
non sia inverosimile. E senza immaginare alcun destino postumo alla vita
animale, in quanto realizzata in ciascuno degli animali che vissero,
vivono, e vivranno nel tempo, non chiudiamo a questo grado dell'essere,
che è la vita irrazionale nella sua accezione di momento antologico, gli
accessi che l'Epistola ai Romani sembra non negare loro”.

f) La sofferenza degli animali può essere occasione d'una prova per la
fede.
La risposta al problema della sofferenza degli animali si pone, come
abbiamo visto, sul piano della ragione filosofica, cioè su di un piano pre-
cristiano.
Per le persone (e questo caso è più frequente di quanto si creda) che sono
incapaci di considerarlo sotto tale aspetto, questo problema rimarrà senza
una soluzione diretta.
Il teologo o il padre spirituale che esse consulteranno non si ostinerà nel
volerle convincere a qualunque costo. Egli sa che Dio ha un numero
infinito di modi coi quali mettere alla prova le anime del fedeli.. Lo
scandalo provato di fronte allo spettacolo della sofferenza degli animali
può essere uno.
La soluzione (ce n'è sempre una) in tal caso è indiretta. Essa consiste
nell'elevarsi al di sopra della prova con del puri atti di fede teologale e di
fiducia nell'infinita santità e nella giustizia infinita di Dio.
Il loro turbamento e la loro ferita saranno guariti dalla notte pacificatrice
della fede.
Dio attende da ciascuno di noi, in un certo momento della nostra vita, a
proposito di un certo problema o di una certa prova, che mettiamo
completamente nelle Sue mani prima la nostra intelligenza e poi la nostra
sorte.

4. NON TRATTIAMO IL CASO DEL BAMBINI
Noi affrontiamo qui il problema della sofferenza dell'uomo, che è per il
teologo non un male della natura, ma un male della pena che deriva da una
caduta iniziale della persona umana, e che può essere illuminata dalla
pazienza e dall'amore.
La sofferenza del bambini, sebbene siano incapaci di dare attraverso alla
ragione ed alla fede un senso alla loro prova, è, essa pure, un male della
persona umana.
Un puro filosofo, disattento od estraneo ai lumi della rivelazione, la
collocherebbe accanto al male degli animali, nel male della natura, quale
si rivela sul piano della biologia.
Ma per il credente, per il teologo, per il filosofo cristiano, essa va iscritta
in un altro registro. Essi si turbano e si commuovono perché non possono
scoprire, per manifestarlo e svelarlo a tutti, un volto, una fisionomia
cristiana a quella sofferenza. Ed allora crederanno di distinguere nel grido
di Rachele che piange i suoi figli e che non vuole essere consolata (Mt., II,
18) come un ricorso supremo alle rivelazioni della fede, una reminiscenza
del paradiso perduto, nel quale Dio non aveva previsto per i bambini la
sofferenza e la morte.

NOTE
(1) SAN TOMMASO, op. cit. (I, q. 19, a. 9). Riguardo al fatto che “la distruzione di
una cosa è la generazione di un'altra”, ARISTOTELE pensava di poter venire alla
conclusione della perpetuità del mondo. (De generatione et corruptione, lib. I, cap. 3;
318, 25; v. commento di SAN TOMMASO, lez. 7, testo 17).
(2) ID. (I, q. 22, a. 2, ad. 2). San Tommaso non vuole che si pensi che i leoni
brucassero l'erba nel paradiso terrestre: “Alcuni dicono che gli animali che ora sono
feroci ed uccidono gli altri, erano miti non soltanto verso l'uomo, ma anche verso gli
animali. Ma questo è assolutamente irrazionale. Il peccato dell'uomo non ha cambiato
la natura degli animali, né fatto si che quelli che per natura sono carnivori, vivessero
prima di erbe, come i leoni e gli avvoltoi” (IBID., I, q. 96, a. 1, ad. 2).
(3) IBID., I, q. 48, a. 2.
(4) J. MARITAIN, Neuf leçons sur les notions premières de la philosophie morale
(cit., p. 71). Tali anomalie riguardo ad un ordine particolare risultano dal gioco delle
interferenze che producono l'ordine universale.
(5) ID., p. 34.
(6) IBID., p. 71.
(7) Su questo argomento i punti di vista di P. TEILHARD DE CHARDIN, in Le
phénomène humain, e in Le groupe zoologique humain, sarebbero preziosi se fossero
spogliati, da una parte, della filosofia animista nella quale essi sono avvolti, e
dall'altra, delle loro trasposizioni fantasiose sul piano della sociologia, della filosofia,
della religione.
(8) v. MERSCH, S.J., L'origine de l'univers selon la science (in “Nouvelle Revue
Théologique”, marzo 1953, pp. 225-51. Ofr. L. DE BROGLlE, Physique et
microphysique, Albin Michel, Paris 1947, p. 77): “Dando libero corso alla nostra
immaginazione, potremmo supporre che all'origine del tempi, nel giorno che successe
a qualche divino fiat lux, la luce, dapprima sola al mondo, a poco a poco abbia
generato, per condensazione progressiva, l'universo materiale quale noi. possiamo
oggi contemplarlo, grazie alla luce stessa”.
In un discorso all'Accademia Pontificia delle Scienze, pronunziato in italiano il 22
ottobre 1951, Pio XII ricorda che, facendo deduzioni dalla legge dell'entropia 'Che
trova un'equivalenza nel microcosmo, si è condotti alla visione di un universo
materiale che esaurisce progressivamente le sue riserve primitive di energia, e di cui
si può datare di conseguenza la nascita e la morte: “Sembra davvero che la scienza
d'oggi, risalendo d'un tratto milioni di secoli, sia riuscita a rendersi testimone di quel
fiat lux iniziale, di quell'istante nel quale sorse dal nulla, assieme alla materia, un
oceano di luce e di radiazioni, mentre le particelle degli elementi chimici si
separavano e si raggruppavano in milioni di galassie” (Doc. Cattol., 16 dicembre, col.
1547).

(9) Il pontefice si è compiaciuto di magnificare le conquiste moderne dell'astrofisica,
che manifestano contemporaneamente in un modo impressionante la fragilità
dell'uomo e la grandezza del suo spirito: “Nel suo ardimento e nella sua intrepidità, lo
spirito umano... si lancia sulla traccia delle galassie fuggenti nello spazio, rifacendo
alla rovescia il percorso che esse hanno seguito durante miliardi di anni del tempo
passato, e diventa così quasi lo spettatore del processi cosmici che si sono svolti nel
primo mattino della creazione. Che cosa è dunque lo spirito di questo essere
minuscolo che è l'uomo, perduto nell'oceano dell'universo materiale, per aver osato
chiedere ai suoi sensi, di una piccolezza infinitesimale, di scoprire il volto e la storia
del cosmo immenso e per averli svelati entrambi? Una sola risposta è possibile, e di
un'evidenza folgorante: lo spirito dell'uomo appartiene ad una categoria dell'essere
essenzialmente diversa dalla materia e a lei superiore, per quanto questa sia di
dimensioni illimitate... Possa la concezione moderna della scienza astronomica, che è
stata l'ideale di tanti grandi uomini del passato, di un Copernico, di un Galileo, di un
Keplero, di un Newton, essere ancora feconda di meraviglioso progresso per
l'astrofisica moderna e fare si che... l'immagine astronomica dell'universo raggiunga
un perfezionamento sempre più profondo” (PIO XII, Allocuzione rivolta in francese
ai partecipanti all'ottava assemblea generale dell'Unione astronomica internaz.,
ricevuta in udienza il 7 settembre 1952. Doc. Cattol., 5-10-1952, coll. 1217-1223).

(10) A. EINSTEIN, Comment je vois le monde, traduz. Solovine, Flarnmarion, Paris
1958, pp. 19-21.
(11) J. MARITAIN, Réflexions sur la nécessité et la contingence, in Raison et
raisons, cit., p. 53.
(12) ID., pp. 52-53.
(13) IBID., p. 62.
(14) P. TERMIER, La terre, la vie et l'homme, in “Nova et Vetera”, 1929, pp. 232-39.

(15) Dal punto di vista dell'immagine scientifica del mondo, si può rendere onore a
Teilhard, di avere formulato e precisato “la legge della promozione universale... Nel
corso del tempo reale... l'insieme del reale (dato di prima vista nell'universo), non
cessa di rinforzare la sua unità, perché passando da unificazioni parziali ad
unificazioni più complete e più ampie, tutto diventa sempre di più uno... Non era
possibile precisare? L'iperfisica lo permette: ciò che abbiamo chiamato la “Legge di
Teilhard”, offre due precisazioni: da una parte l'unificazione si realizza per
complessificazione, il che significa che l'elemento non va perduto, ma che, al
contrario, è salvato, esaltato nel tutto in cui si unisce ad altri elementi. D'altra parte
(ed è la seconda precisazione che ci offre la legge di Teilhard), l'unificazione si
realizza per autocomplessificazione; l'elemento o parte, per passare nel tutto che lo
supera, non ha bisogno di subire dall'esterno una spinta costrittiva; dal suo fondo più
intimo proviene questo superamento verso il tutto, nel quale esso si ritrova in più ed
in meglio. Per farla breve: la legge di promozione universale è una legge di
autocomplessificazione” (PAUL BERNARD GRENET, Pierre Teilhard de Chardin
ou le philosophe malgré lui, Beauchesne, Paris 1960, p. 214).

Precisiamo che la filosofia di Teilhard è inaccettabile: creazione concepita come
complessione, completamento, pleromizzazione “per l'essere assoluto stesso”,
“effetto, non più di causalità, ma di unione, creatrice” (unità della materia
dell'universo), preesistenza attuale, sebbene impercettibile, del superiore
nell'inferiore, psichismo delle molecole ed estensione della coscienza a tutti i livelli
dell'essere, “lo spirito che emerge attraverso ad un'operazione pancosmica dalla
materia” (Cfr. la dottrina cattolica della creazione immediata dell'anima umana),
trasferimento delle leggi della biologia nel dominio della vita sociale e della storia,
ecc. In teologia, la creazione della quale ci è stato detto che è completamento “per
l'essere assoluto stesso”, richiama “l'immersione incarnatrice” e questa la
“compensazione redentrice”, “tre atti indissolubilmente legati nella comparsa
dell'essere partecipato”; “la cosmogenesi culmina nella Cristogenesi che ogni
cristiano venera”; “il valore comparato del Credo religiosi diventa misurabile
attraverso al loro potere rispettivo di attivazione evolutiva”, eccetera.

(16) Mentre la perfezione di una macchina risulta dal carattere funzionale di ciascuno
del suoi elementi, per quanto riguarda il mondo organico, spiega F. J. J.
BUYTENDIJK, il suo valore ontologico, i suoi gradi di perfezione sono, invece, la
ricchezza, il lusso, il superfluo (Traité de psycologie animale, PUP, Paris 1952, pp. 6
e 86).
(17) Tenendo conto di tutte le mostruosità, anche banali, se ne valuta il numero “a
qualche centinaio ogni centomila nascite” (RENÉ ROYER, Sens et non-sens de la
vie, in Qu'est-ce que la vie? Semaines des intellectuels catholiques, 1957, ed. P.
Horay, Paris 1958, p. 184).
(18) Su questi fenomeni v. L. CUÉNOT, Invention et finalité en biologie,
Flammarion, Paris 1941, pp. 64 sgg.
(19) SANT 'AGOSTINO si accontentava di rispondere che le mosche e le pulci sono
state create per umiliare il nostro orgoglio. (In Joa. Evangelium, tratto I, nn. 14, 15).
Pascal parla del ronzio delle mosche, che ci “assassina”. Il curato d'Ars morente non
voleva che si cacciassero dal suo viso “le povere mosche”.
(20) P. CLAUDEL, La légende de Prakriti, in Figures et paraboles, ed. Gallimard,
Paris 1936, pp. 109, 144-48.
(21) P. TEILHARD DE CHARDIN, Le phénomène humain, Seuil, Paris 1955, p.
116.
(22) SAN TOMMASO, op. cit., l, q. 19, a. 8.
(23) P. TEILHARD DE CHARDIN, L'apparition de l'homme (Seuil, Paris 1956, p.
309), dove risponde a Jean Rostand, per il quale nel genere animale un ragno è
altrettanto perfetto quanto un mammifero.
(24) ID., Le phénomène humain (cit., p. 158). Nel suo Traité de psychologie animale,
BUYTENDIJK, che oppone lo scheletro esterno degli artropodi allo scheletro interno
del vertebra ti, il sistema nervoso gangliare del primi ai sistemi nervosi centrali del
secondi, vede con Cuvier e Bergson, nel sistema nervoso, l'organo che più di
qualunque altro fa la perfezione della specie animale (p. 76).
(25) IBID., Le phénomène humain, cit., p. 174.
(26) P. TERMIER, La joie de connaitre, Nouvelle Libraire Nationale, Paris 1926, pp.
322-23.
(27) J. MARITAIN, Pour une philosophie de l'histoire, Seuil, Paris 1957, P. HO.
(28) ID., Neuf leçons sur les notions premières de la philosophie morale, cit., p. 150.

(29) Cfr. la pagina dello stesso autore in Les degrés du savoir (Desclée De Brouwer,
Paris 1932, p. 213), sull'immensa moltitudine del soggetti transoggettivi che ci
circondano, "ciascuno del quali è un centro misterioso, ricco anche di una certa
profondità ontologica e metalogica e che, in questa relazione da me a te vuol essere
trattato con rispetto e con amore. Tu, sorgente, tu, pesce, e tu, passero; che la carità
venga a perfezionare in modo soprannaturale la nostra debole apercezione filosofica
del rapporti fra gli esseri, e allora san Francesco parlerà alla sua sorella acqua ed ai
suoi fratelli uccelli e pesci...”.

(30) L. CUÉNOT, Invention et finalité en biologie, cit., p. 79.
(31) Un corpo composto di materia e di forma, può per miracolo sussistere senza la
sua estensione. (Cfr. SAN TOMMASO, IV Sent., dist: 44, q. 2, a. 2, quaest. 3, ad. 4;
III, q. 54, a. l, ad. 1; Evang. in Joan., XX, 9). Ma né la materia, né la forma del
minerali, del vegetali, degli animali possono esistere separatamente. Esse sono
inevitabilmente solidali.

(32) Già dal punto di vista della psicologia animale, F.J.J. BUYTENDI]K giustifica
l'osservazione di Aristotele, per il quale il ridere è proprio dell'uomo: “Ogni
allegrezza, ogni esuberanza è essenzialmente ricchezza, sovrabbondanza, superfluo,
cioè ciò che va al di là del necessario. Tale liberazione, già apparente nella natura, è
la condizione prima della vita mentale; quest'ultima comunque non riesce mai a
svilupparsi nella bestia. L'"umanità" del giovane antropoide è senza dubbio
parzialmente umana, in un modo puerile, scherzoso, giocoso; ma in tal caso si tratta
di un bambino che non tende a divenire uomo, a divenire il suo proprio adulto: il più
"elevato" degli animali assomiglia ad un bambino tragico, condannato, dopo una
parvenza di evasione, a ricadere nella natura propria del mondo animale. Tale è
l'allegria del giovane scimpanzé, che si esprime nel suo sfoggio di mobilità, nel suo
commercio con innumerevoli oggetti; è un'allegrezza che sfuma e si spegne a poco a
poco, mentre quella dell'uomo si approfondisce sempre più, fino a divenire gioia, vale
a dire sovrabbondanza interiorizzata, senza esuberanza” (Traité de psycologie
animale, cit., p. 312. 1 corsivi del testo sono dell'autore). Bisogna ancora ricordare,
con Nietzsche, che l'uomo è il solo essere al mondo che sappia mentire (ID., p. 15).

(33) P. L. (tomo CLXXX, col. 815). Questo racconto è stato pubblicato in francese da
A. DE GOURLET, sotto il titolo: Judas de Cologne, Récit de ma conversion, Bloud,
Paris 1912, cap. 6, p. 31.
(34) SAN TOMMASO, De potentia, q. 5, a. 5, 9.
(35) O. LACOMBE, nella raccolta Qu'est-ce que la vie? Semaines des intellectuels
catholiques, 1957, cito pp. 101- 2.

CAPITOLO SESTO

DIO E' RESPONSABILE DEL PECCATO?
Dio poteva creare un mondo senza peccato; Egli permette che il peccato si
verifichi, ma non ne è in alcun modo la causa, né diretta né indiretta.
I. LA FORMA SUPREMA DEL MALE
a) E' celata agli atei e rivelata alla fede.
Col peccato tocchiamo il punto più sconcertante del mistero del male.
Coloro che non credono in Dio possono certamente soffrire, forse
atrocemente, conoscere personalmente le angosce della disperazione; ma
ignorando che cos'è il peccato, la rivolta della creatura contro la
trascendenza di quella Potenza infinita che l'ha creata con amore, ed
evitando il pensiero dell'al di là di questa vita e di un destino eterno
dell'uomo, sono incapaci, quando trattano del problema del male, di
collocarlo nella sua vera prospettiva e non sanno dargli le sue supreme e
terribili dimensioni.

Il mistero del peccato incomincia a rivelarsi all'anima alla quale è stata
rivelata la bontà infinita di un Dio creatore, il dramma inaudito della
redenzione del mondo per mezzo del sangue della Croce, il carattere
provvisorio della vita nel tempo. Ma è ai contemplativi, illuminati dai doni
della scienza e della sapienza e crocifissi nei loro corpi, che sarà concesso,
man mano che si eleveranno maggiormente nella notte benedetta da Dio,
di poter sondare le tenebre opposte e deviatrici della notte del peccato ed
entrare, a prezzo di quella distensione del loro essere, nei segreti del
mistero della redenzione.

b) E' permessa come offesa a Dio ed alla sua creazione.
I) L'assioma di sant'Agostino (I) e di san Tommaso (2) secondo il quale
Dio, infinitamente potente e buono “non permetterebbe mai ad alcun male
di esistere nelle Sue opere, se non fosse abbastanza potente e buono per far
uscire il bene dallo stesso male”, è sempre valida, ma su un altro piano,
proporzionalmente simile ma essenzialmente diverso, quando si passa dal
male della natura al male del peccato.

Il male della natura è permesso nel senso che è legato di per sé ed
inseparabilmente ad un bene, il quale è desiderato e direttamente voluto da
Dio. Esso è tollerato, accettato da Dio, voluto ma, poiché non è desiderato
da Lui (è a dispetto, non a causa, di quel tanto di nulla che esso contiene
irrimediabilmente, che l'essere creato è voluto e desiderato da Dio), del
male della natura si dice che è voluto indirettamente e per accidente. Se
Dio vuole la generazione di nuove forme, deve acconsentire alla
distruzione delle vecchie.

Il male del peccato, invece, non è legato di per sé ed inseparabilmente ad
alcun bene; esso non tende che a distruggere l'opera divina (3); non si può
dunque supporre che esso possa, anche indirettamente e per accidente,
essere voluto da Dio. Esso è permesso, tollerato, sofferto in un senso
totalmente diverso dal male della natura; è permesso come una rivolta,
un'offesa che Dio non può volere in alcun modo, che non può approvare
ed alla quale non può acconsentire, se non rinnegando Se stesso, che
potrebbe senza dubbio reprimere con la forza ed annientare dalle sue
radici, ma che può anche, se decide di rispettare persino la resistenza della
nostra volontà, permettere che si produca e che dia frutti.

2) Quando si dice che il male del peccato è permesso, ciò non vuol dunque
significare che è accettato, consentito, tollerato, per farla breve voluto
indirettamente perché esso sarebbe l'opposto di un bene ricercato da Dio.
Ci sarà sempre qualche bene misterioso del quale il peccato sarà l'opposto
(4). E questo bene potrà comportare delle cose magnifiche. La caduta del
primo Adamo provoca la redenzione del secondo Adamo. O felix culpa.
Ma credere il peccato voluto per la redenzione significherebbe cadere
nella bestemmia della prospettiva hegeliana di un Dio immanente al male
come al bene e che vuole indefinitamente l'uno per l'altro. La sola volontà
umana poteva fare il peccato, e la sola volontà divina la redenzione. Ed è
vero che Dio non avrebbe mai deciso di permettere all'uomo di ribellarsi
liberamente a Lui se non avesse potuto ordinare alle magnificenze della
redenzione una caduta che Gli era metafisicamente impossibile di volere.

Riassumendo, i mali sono sempre l'occasione di qualche bene misterioso.
Ma vi sono del mali ai quali Dio può, senza distruggere Se stesso,
rassegnarsi in ragione di quel bene, e che Egli vuole per accidente. Ma per
i mali che tendono a distruggere Dio, soltanto la creatura peccatrice è
capace di volerli per accidente, in ragione di qualche miserabile bene che
li nasconde nelle sue pieghe..

3) Dio permette che Lo si offenda e che si possa andare fino agli estremi
dell'offesa. Non c'è che una via per penetrare in questo mistero: essa ci è
aperta dal Vangelo. Pensiamo al Cristo insultato. Egli è veramente il
Verbo fatto carne, nostro Signore e nostro Dio (Gv., XX, 28), potrebbe
ricorrere a suo Padre che gli manderebbe tosto più di dodici legioni di
angeli (Mt., XXVI, 52), non ha che da volere per fare indietreggiare e
gettare a terra coloro che lo hanno arrestato (Gv., XVIII, 6); e si lascia
schiaffeggiare (Gv., XVIII, 22), sputare sul viso (Mt., XXVI, 67) accusare
d'impostura e di bestemmia (Mt., XXVII, 65), incoronare di spine,
schernire (Gv., XIX, 2), poi crocifiggere (Gv., XIX, 18). E' il loro Dio,
venuto per salvarli e per mendicare il loro amore, che gli uomini possono
oltraggiare fino a questo punto.

http://www.ministridimisericordia.org/Ilproblemadelmaleedeldolore/tabid/550/Default.aspx

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