DON ANTONIO

giovedì 15 settembre 2011

alcuni aspetti dell’Enciclica del Santo Padre BENEDETTO XVI, «Spe salvi facti sumus» – “nella Speranza siamo stati salvati” (Rm 8,24).

Che cos’è la Speranza cristiana?
La Speranza è la Virtù per la quale attendiamo di godere, quando moriamo in grazia di Dio, la felicità piena ed eterna, che è lo stesso Dio (cfr. Compendio, 207-216; 387).
La vera Speranza, pertanto, non è qualcosa ma Qualcuno: non è fondata su cose che passano e ci possono essere tolte, ma su Dio che si dona per sempre. “La vera, grande Spe-ranza dell’uomo, che resiste nonostante tutte le delusioni, può essere solo Dio (...), che abbraccia l’universo e che può proporci e donarci ciò che, da soli, non possiamo raggiungere (…) Dio è il fondamento della Speranza - non un qualsiasi dio - , ma quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati sino alla fine: ogni singolo e l’umanità nel suo insieme” (Spe, 31).
A quali domande risponde la Speranza?

■ Alle domande fondamentali ed esistenziali, che scaturiscono dal cuore di ogni uomo, quali: Come si può vivere? Come è possibile “affrontare il nostro presente” (Spe, 1), spesso segnato dallo smarrimento e dal dolore? Come sopportare ogni giorno la fatica del vivere? Che cosa rimane mentre tutto passa?

■ L’uomo coltiva molte speranze durante la sua vita. Quando alcune o tutte si realizzano, s’accorge di desiderare ancora altro, in quanto non è ancora pienamente soddisfatto: intuisce che “può bastargli solo qualcosa di infinito, qualcosa che sarà sempre più di ciò che egli possa mai raggiungere” (Spe, 30).
Quali caratteristiche ha la Speranza?
La Speranza cristiana:

■ È un elemento distintivo dei cristiani: grazie alla Speranza “essi hanno un futuro (…) non sanno nei particolari ciò che li attende, ma sanno nell’insieme che la loro vita non finisce nel vuoto” (Spe, 2);

■ “è preceduta dall’attesa che Dio coltiva nei nostri confronti! Sì, Dio ci ama e proprio per questo attende che noi torniamo a Lui, che apriamo il cuore al suo amore, che mettiamo la nostra mano nella Sua e ci ricordiamo di essere suoi figli. Questa attesa di Dio precede sempre la nostra Speranza, esattamente come il suo amore ci raggiunge sempre per primo” (BENEDETTO XVI, Omelia, Primi Vespri della Domenica I di Avvento, 1-12-2007);

■ è detta teologale, nel senso che Dio ne è la fonte, il sostegno e il termine;

■ non è solo informativa, ma anche performativa, vale a dire la Speranza cristiana “non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere, ma è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita” (Spe, 3);

■ è più forte delle sofferenze, della schiavitù e per questo trasforma dal di dentro la vita e il mondo (cfr. Spe, 4);

■ “è sempre essenzialmente anche Speranza per gli altri; solo così essa è veramente Speranza anche per me (…) Da cristiani non dovremmo mai domandarci solamente: come posso salvare me stesso?, ma “che cosa posso fare perché altri vengano salvati?” (Spe, 48). La salvezza “è sempre stata considerata come una realtà comunitaria” (Spe,14). “Vivere per Lui (Cristo) significa lasciarsi coinvolgere nel suo «essere per»” (Spe, 28) gli altri.
Qual è la fonte della Speranza?
La Speranza proviene dall’incontro con Gesù Cristo, che:

■ ci consente di “conoscere Dio, il vero Dio: questo significa ricevere Speranza” (Spe,3), scoprire Dio quale Padre buono e misericordioso, quel Dio-Amore che Gesù ci ha rivelato con la sua incarnazione, con la sua vita terrena e la sua predicazione, e soprattutto con la sua morte e risurrezione. La vera e sicura Speranza è fondata sulla Fede in Dio Amore, quale Padre misericordioso, che “ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3,16). La Speranza cristiana è dunque l’equivalente della Fede, nel senso che:

• «La Fede è fondamento (sostanza-hypostasis) delle cose che si sperano; prova delle cose che non si vedono» (Eb 11,1) “Fede è sostanza della Speranza” (Spe, 10);

• “l’attuale crisi della Fede è soprattutto una crisi della Speranza cristiana” (Spe, 17);

■ ci rende veramente liberi: Cristo “ci dice chi in realtà è l’uomo e che cosa egli deve fare per essere veramente uomo (…) Egli indica anche la via oltre la morte” (Spe, 6);

■ ha a noi “comunicato la sostanza delle cose future, e così l’attesa di Dio ottiene una nuova certezza. È attesa delle cose future a partire da un presente già donato. È attesa, alla presenza di Cristo, col Cristo presente, del completarsi del suo Corpo, in vista della sua venuta definitiva” (Spe, 9);

■ ci dona la vita eterna.
Che cos’è la vita eterna?

«Questa è la vita eterna: che conoscano Te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (Gv 17,3). “Se siamo in relazione con Colui che non muore, che è la Vita stessa e lo stesso Amore, allora siamo nella vita. Allora «viviamo»”(Spe, 27), e viviamo per sempre.
A che cosa si oppone la Speranza cristiana?
Essa si oppone:

■ all’ateismo del XIX e del XX secolo, che ha comportato “una protesta contro le ingiustizie del mondo”, ma che è diventata “protesta contro Dio”. Tuttavia “se di fronte alla sofferenza di questo mondo la protesta contro Dio è comprensibile, la pretesa che l’umanità possa e debba fare ciò che nessun Dio fa né è in grado di fare, è presuntuosa ed intrinsecamente non vera. Che da tale premessa siano conseguite le più grandi crudeltà e violazioni della giustizia non è un caso, ma è fondato nella falsità intrinseca di questa pretesa” (Spe, 42);

■ al marxismo, i cui insegnamenti sulla dittatura del proletariato hanno lasciato “dietro di sé una distruzione desolante”, in quanto “ha dimenticato l’uomo e ha dimenticato la sua libertà (…) Credeva che una volta messa a posto l’economia tutto sarebbe stato a posto. Il suo vero errore è il materialismo: l’uomo, infatti, non è solo il prodotto di condizioni economiche e non è possibile risanarlo solamente dall’esterno, creando condizioni economiche favorevoli” (Spe, 20-21);

■ al mito del progresso, inteso “come nuova forma della Speranza umana” (Spe, 20), come “una padronanza sempre più grande sulla natura”, che fa credere illusoriamente che l’uomo possa essere redento mediante la scienza, e che ha confinato sempre più la Fede e la Speranza nella sfera privata e individuale.

Per eliminare “l’ambiguità del progresso” - ambiguità dovuta al fatto che “esso offre nuove possibilità per il bene, ma apre anche possibilità abissali di male” (Spe, 22) - , è necessario che:

• Ci sia una crescita dell’uomo interiore, una crescita morale dell’umanità: “Se al progresso tecnico non corrisponde un progresso nella formazione etica dell’uomo, nella crescita dell’uomo interiore (cfr. Ef 3,16; 2 Cor 4,16), allora esso non è un progresso, ma una minaccia per l’uomo e per il mondo” (Spe, 22);

• la ragione, “grande dono di Dio all’uomo”, si apra alla Fede. Non si può infatti dimenticare che “la vittoria della ragione sull’irrazionale è anche uno scopo della Fede cristiana” (Spe, 22-23).

“La scienza può contribuire molto all’umanizzazione del mondo e dell’umanità. Essa però può anche distruggere l’uomo e il mondo, se non viene orientata da forze che si trovano al di fuori di essa (…) Non è la scienza che redime l’uomo. L’uomo viene redento mediante l’amore (…) L’essere uma-no ha bisogno dell’amore incondizionato. Ha bisogno di quella certezza che gli fa dire: «Né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezze né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall‘amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Si-gnore» (Rm 8,38-39). Se esiste questo amore assoluto con la sua certezza assoluta, allora – soltanto allora – l’uomo è «redento», qualunque cosa gli accada nel caso particolare. È questo che si intende, quando diciamo: Gesù Cristo ci ha «redenti»” (Spe, 24-26);

■ al materialismo: “Non sono gli elementi del cosmo, le leggi della materia che in definitiva governano il mondo e l’uomo, ma un Dio personale governa le stelle, cioè l’universo; non le leggi della materia e dell’evoluzione sono l’ultima istanza, ma ragione, volontà, amore: una Persona (…) La vita non è un semplice prodotto delle leggi e della casualità della materia” (Spe, 5);

■ al “nichilismo contemporaneo, che corrode la Speranza nel cuore dell’uomo, inducendolo a pensare che dentro di lui e intorno a lui regni il nulla: nulla prima della nascita, nulla dopo la morte. In realtà, se manca Dio, viene meno la Speranza. Tutto perde di spessore. E’ come se venisse a mancare la dimensione della profondità ed ogni cosa si appiattisse, privata del suo rilievo simbolico, della sua sporgenza rispetto alla mera materialità” (BENEDETTO XVI, Omelia ai primi vespri della Domenica I di Avvento, 1-12-2007).

■ alla disperazione e all’angoscia di oggi, che si può riassumere nelle parole di un epitaffio antico dei primi secoli del cristianesimo: in nihil ab nihilo quam cito recidimus (“nel nulla dal nulla quanto presto ricadiamo”) (Spe, 2);

■ a un certo tipo di cristianesimo moderno, quello che è “in gran parte concentrato soltanto sull’individuo e sulla sua salvezza”; quello in cui “la Speranza biblica del regno di Dio è stata rimpiazzata dalla speranza del regno dell’uomo, dalla speranza di un mondo migliore che sarebbe il vero «regno di Dio»”. Ma a questo proposito, anche se occorre riconoscere che resta grande ciò che questo tipo di cristianesimo ha fatto per l’educazione dell’uomo e la cura dei deboli e dei sofferenti, “si pone la domanda: Quando è «migliore» il mondo? Che cosa lo rende buono? Secondo quale criterio si può valutare il suo essere buono? E per quali vie si può raggiungere questa «bontà»?” (Spe, 30).


Quali sono i luoghi di apprendimento e di esercizio della Speranza?

Sono principalmente quattro:

1) la preghiera:

• “Se non mi ascolta più nessuno, Dio mi ascolta ancora. Se non posso più parlare con nessuno, più nessuno invocare, a Dio posso sempre parlare. Se non c’è più nessuno che possa aiutarmi – dove si tratta di una necessità o di un’attesa che supera l’umana capacità di sperare – Egli può aiutarmi” (Spe, 32);

• La preghiera “deve, da una parte, essere molto personale, un confronto del mio io con Dio, con il Dio vivente. Dall’altra, tuttavia, essa deve essere sempre di nuovo guidata ed illuminata dalle grandi preghiere della Chiesa e dei santi, dalla preghiera liturgica (…) Nel pregare deve sempre esserci questo intreccio tra preghiera pubblica e preghiera personale” (Spe, 34).

2) L’agire: La Speranza in senso cristiano “è Speranza attiva, nella quale lottiamo” affinché “il mondo diventi un po’ più luminoso e umano (…) Certo, non possiamo «costruire» il regno di Dio con le nostre forze: ciò che costruiamo rimane sempre regno dell’uomo con tutti i limiti che sono propri della natura umana. Il regno di Dio è un dono, e proprio per questo è grande e bello e costituisce la risposta alla Speranza (…) Tuttavia, con tutta la nostra consapevolezza del «plusvalore» del cielo, rimane anche sempre vero che il nostro agire non è indifferente davanti a Dio e quindi non è neppure indifferente per lo svolgimento della storia. Possiamo aprire noi stessi e il mondo all’ingresso di Dio: della verità, dell’amore, del bene (…) Così, per un verso, dal nostro operare scaturisce Speranza per noi e per gli altri; allo stesso tempo, però, è la grande Speranza poggiante sulle promesse di Dio che, nei momenti buoni come in quelli cattivi, ci dà coraggio e orienta il nostro agire” (Spe, 35).

3) La sofferenza: è l’altro luogo di apprendimento della Speranza: “Certamente bisogna fare tutto il possibile per diminuire la sofferenza”, tuttavia “non è la fuga davanti al dolore che guarisce l’uomo, ma la capacità di accettare la tribolazione e in essa maturare, di trovare senso mediante l’unione con Cristo, che ha sofferto con infinito amore” (Spe, 36-39) (cfr. l’altra scheda: La malattia, come affrontarla cristianamente?).

4) il Giudizio di Dio: “La Fede nel Giudizio finale è innanzitutto e soprattutto Speranza (…) L’immagine del Giudizio finale è in primo luogo non un’immagine terrificante, ma un’immagine di Speranza; per noi forse addirittura l’immagine decisiva della Speranza (…) Il Giudizio di Dio è Speranza sia perché è giustizia, sia perché è grazia. Se fosse soltanto grazia che rende irrilevante tutto ciò che è terreno, Dio resterebbe a noi debitore della risposta alla domanda circa la giustizia: domanda per noi decisiva davanti alla storia e a Dio stesso. Se fosse pura giustizia, potrebbe essere alla fine per tutti noi solo motivo di paura” (Spe, 47). “Ambedue – giustizia e grazia – devono essere viste nel loro giusto collegamento interiore. La grazia non esclude la giustizia. Non cambia il torto in diritto. Non è una spugna che cancella tutto così che quanto s’è fatto sulla terra finisca per avere sempre lo stesso valore” (Spe, 44).


Che cosa dice la Speranza circa le ultime realtà?

I cristiani attendono le realtà ultime, dette un tempo i novissimi: morte, giudizio, inferno, paradiso (si veda a questo riguardo la scheda: Che cosa succede con e dopo la morte?).


Con quali immagini si esprime la Speranza?

■ Le immagini della Speranza, più care alla tradizione cristiana, sono quelle evangeliche, e in particolare tre:

• l’attesa umile e silenziosa di Israele con il vecchio Simeone e la profetessa Anna (cfr. Lc 2, 22 - 40);

• la figura del buon pastore, che era molto cara alla Chiesa primitiva: “Lì il pastore era in genere espressione del sogno di una vita serena e semplice, di cui la gente nella confusione della grande città aveva nostalgia. Ora l’immagine veniva letta all’interno di uno scenario nuovo che le conferiva un contenuto più profondo: «Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla ... Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me ...» (Sal 23 [22], 1.4). Il vero pastore è Colui che conosce anche la via che passa per la valle della morte; Colui che anche sulla strada dell’ultima solitudine, nella quale nessuno può accompagnarmi, cammina con me guidandomi per attraversarla: Egli stesso ha percorso questa strada, è disceso nel regno della morte, l’ha vinta ed è tornato per accompagnare noi ora e darci la certezza che, insieme con Lui, un passaggio lo si trova. La consapevolezza che esiste Colui che anche nella morte mi accompagna e con il suo «bastone e il suo vincastro mi dà sicurezza», cosicché «non devo temere alcun male» (cfr. Sal 23 [22],4): era questa la nuova «Spe-ranza»” (Spe, 6);

• l’attesa di Maria, in viaggio per recarsi da Elisabetta e che si affretta sui monti della Giudea: “immagine della futura Chiesa che, nel suo seno, porta la Speranza del mondo attraverso i monti della storia” (Spe, 50).

■ “Verso la fine del terzo secolo incontriamo per la prima volta a Roma, sul sarcofago di un bambino, nel contesto della risurrezione di Lazzaro, la figura di Cristo come del vero filosofo che in una mano tiene il Vangelo e nell’altra il bastone da viandante, proprio del filosofo. Con questo suo bastone Egli vince la morte; il Vangelo porta la verità che i filosofi peregrinanti avevano cercato invano. In questa immagine, che poi per un lungo periodo permaneva nell’arte dei sarcofaghi, si rende evidente ciò che le persone colte come le semplici trovavano in Cristo: Egli ci dice chi in realtà è l’uomo e che cosa egli deve fare per essere veramente uomo. Egli ci indica la via e questa via è la verità. Egli stesso è tanto l’una quanto l’altra, e perciò è anche la vita della quale siamo tutti alla ricerca. Egli indica anche la via oltre la morte; solo chi è in grado di fare questo, è un vero maestro di vita” (Spe, 6).


Quali santi cita il Papa come modelli di Speranza?

Tra le miriadi di donne e di uomini che hanno saputo testimoniare il nome del Signore fino all’estremo, ma anche nella pena e nella gioia di ogni giorno, nelle “piccole fatiche del quotidiano, il Papa BENEDETTO XVI ricorda in particolare:

■ la vicenda di una piccola schiava africana, santa Giuseppina Bakhita, nata nel 1869 in Darfur in Sudan, che riconobbe finalmente in Dio un “padrone” non più terribile, ma davvero “totalmente diverso” e che le cambiò la vita. Essa diceva: Io sono definitivamente amata e qualunque cosa accada; io sono attesa da questo Amore” (Spe, 3);

■ la testimonianza sconvolgente, conservata in una vera e propria “lettera dall’inferno”, del martire vietnamita Paolo Le-Bao-Thin († 1857): pure nell’abisso del carcere e dell’odio scatenato nelle stesse vittime, anche questo “prigioniero per il nome di Cristo” sperimentò la salvezza nella Speranza (cfr. Spe, 37);

■ il cardinale vietnamita François Xavier Nguyen van Thuân († 2002), per 13 anni in carcere, di cui 9 in isolamento, il quale ebbe a dire che in una situazione di disperazione apparentemente totale, l’ascolto di Dio, il poter parlargli, era per lui una crescente forza di Speranza (cfr. Spe, 32).
Chi è la stella della Speranza?
Maria SS.ma!

“Con un inno dell’VIII/IX secolo, quindi da più di mille anni, la Chiesa saluta Maria, la Madre di Dio, come «stella del mare»: Ave maris stella. La vita umana è un cammino. Verso quale meta? Come ne troviamo la strada? La vita è come un viaggio sul mare della storia, spesso oscuro ed in burrasca, un viaggio nel quale scrutiamo gli astri che ci indicano la rotta. Le vere stelle della nostra vita sono le persone che hanno saputo vivere rettamente. Esse sono luci di Speranza. Certo, Gesù Cristo è la luce per antonomasia, il sole sorto sopra tutte le tenebre della storia. Ma per giungere fino a Lui abbiamo bisogno anche di luci vicine – di persone che donano luce traendola dalla sua luce ed offrono così orientamento per la nostra traversata. E quale persona potrebbe più di Maria essere per noi stella di Speranza – lei che con il suo «sì» aprì a Dio stesso la porta del nostro mondo; lei che diventò la vivente Arca dell’Alleanza, in cui Dio si fece carne, divenne uno di noi, piantò la sua tenda in mezzo a noi (cfr. Gv 1,14)? (…) Madre di Dio, Madre nostra, insegnaci a credere, sperare ed amare con te. Indicaci la via verso il suo regno! Stella del mare, brilla su di noi e guidaci nel nostro cammino!” (Spe, 49-50).

NB: Per approfondire l’argomento, si leggano: l’Enciclica, pubblicata il 30 novembre 2007, di BENEDETTO XVI, «Spe salvi facti sumus» – “Nella Speranza siamo stati salvati” (abbrev. Spe); e: Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC), 1020-1060; 1817-1821; Compendio del CCC, 207-216; 387.
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