DON ANTONIO

mercoledì 16 maggio 2012

Dare ragione della nostra speranza nel mondo di oggi Cristo la nostra speranza



Quando l’apostolo Pietro scrive ai cristiani perseguitati, li esorta a dare ragione della loro speranza: "... pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto" (1Pt 3,15).


E’ interessante notare che quello che Pietro chiede è presentare il motivo della speranza, cioè, quello che dà senso alla loro speranza: più che a difendere, Pietro esorta a dare una giustificazione, a dare ragione del senso. Ovviamente questa esortazione parte dalla fede. In fondo, Pietro dice che l’esistenza cristiana è giustificabile nel suo fondamento, è un’opzione, ha senso. Questo già ci mostra come sia importante saper dirci e comunicare il fondamento della nostra fede che sorregge la speranza.


Oggi la raccomandazione di Pietro è urgente per noi. Nel nostro tempo è difficile trovare ragioni per sperare. Per questo, coloro che hanno ragioni per vivere nella speranza debbono offrire questo contributo all’umanità. Può sembrare strano, ma la speranza è necessaria per poter vivere. Spesso viene considerato che la speranza è la virtù che ci fa guardare al futuro, ma se noi andiamo a scoprire le sue radici vedremo come questa virtù, più che nel futuro, si radica nell’oggi di Dio. Possiamo dire che è la virtù dell’impegno cristiano nel mondo.


La prof.ssa Aparicio ha iniziato con uno sguardo alla Scrittura, sul significato della speranza biblica


... La speranza veterotestamentaria è un’attesa fiduciosa di Yahvé: Il Signore è l’unica speranza. Questa speranza è soprattutto un atteggiamento di abbandono totale in Dio, una fiducia che non poggia sui calcoli dell’uomo ma, al contrario, poggia in Dio di cui l’uomo non si può impadronire.


Nel Nuovo Testamento troviamo la predicazione di Gesù che è centrata sul Regno di Dio. Gesù annuncia la salvezza, una salvezza che è per tutti. Per questo chiama alla conversione, cioè, ci chiama ad aprire il nostro cuore all’avvento del Regno. Ma la novità fondamentale, a differenza dei profeti, è che Gesù collega il Regno con la sua persona. Gesù, vivendo nella fedeltà e in un abbandono totale alla volontà del Padre supera la tentazione di un messianismo mondano (Lc 4, 4-13 e par.). Ma sarà davanti alla sua morte che Gesù vivrà nel modo più radicale la speranza del giusto. Il Padre darà risposta all’abbandono fiducioso di Gesù nella risurrezione, la grazia della piena comunione di vita. E’ in questo evento della morte e risurrezione di Cristo che si fonda la nuova speranza: in Cristo è anticipato l’avvento futuro di Dio.


Continua con un'analisi approfondita della speranza nel Nuovo Testamento e dopo si sofferma nella relazione tra preghiera e speranza:


La speranza ci spinge a riconoscere la presenza di Dio nel nostro mondo, nella nostra storia, in noi. Far entrare Dio nella nostra vita, nella nostra storia personale e di popolo del Signore ci porta a non rimanere fermi. E’ interessante notare come nella Bibbia di solito la chiamata di Dio va accompagnata da uno spostamento: questo è importante perché è uno specchio del cambiamento interiore che avviene nell’incontro-risposta con Dio. Quindi la vita del cristiano è sempre dinamica.








Carmen Aparicio Valls (Cartagena, 1954) è laureata in scienze matematiche presso l’Università Complutense di Madrid e dottore in teologia presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma. Ha lavorato dal 1989 al 1999 al Pontificio Consiglio per i Laici.
Dal 1999 è professore aggiunto della facoltà di teologia della Gregoriana, a Roma. Ha scritto numerosi articoli e partecipato attivamente in molti congressi e diversi incontri.










Possiamo dire che vivere nella speranza è vivere in un continuo pellegrinaggio. Infatti Gesù ci ha affidato una missione prima di salire in cielo: «mi sarete testimoni... fino agli estremi confini della terra».


...


E’ vero che la preghiera può essere una fuga dal mondo. Ma è questa la preghiera cristiana? Nella Scrittura non si dice molto sulla preghiera di Gesù, ma sappiamo che si mette in disparte per pregare e che nella preghiera trova la forza per compiere la missione che il Padre gli ha affidato. La preghiera cristiana è aprire tutti i nostri sensi al progetto di Dio. Questo trasforma il nostro modo di vivere, di essere presenti nel mondo oggi.






Vivere così è possibile perché la nostra fiducia riposa nel Signore. Il Dio della terra promessa, il Dio dell’alleanza, il Dio della risurrezione, il Dio che «quando le cose verranno ricreate nella loro verità "troverà dimora" in mezzo agli uomini», questo Dio viene incontro agli uomini per presentare nuovi orizzonti nella storia. Tutta la esperienza quotidiana vive di questa attesa, è proiettarsi verso il Regno di Dio che viene e che è presente. E’ questa la fede che ci rende capaci di futuro e fa che il cristiano sia un appassionato per la vita.


E’ interessante notare come la speranza cristiana, che guarda verso il futuro, è profondamente radicata nel presente, ed è possibile perché fa memoria del passato: è fondata sulla memoria dell’incarnazione, morte e risurrezione di Cristo. Sarà la certezza della risurrezione che ci farà vedere le possibilità di vita quando tutto ciò che ci circonda parla di morte.


...


Spesso si parla di una crisi di fede nel nostro tempo, tuttavia penso che oggi possiamo parlare di una crisi di speranza, che significa una assenza di prospettiva di futuro. Non siamo disperati, ma si poveri nella speranza: si tratta di una crisi del contenuto della speranza che ci porta a pensare un futuro per tutti.


Come dare oggi ragione della nostra speranza? Senza dubbio è una sfida. Significa riconoscere nei segni di morte che ci circondano, la vittoria della vita.


La nostra epoca, da molti chiamata post-modernità, si caratterizza dalla frammentazione e dalla perdita di senso. Questo toglie il desiderio di combattere per una causa alta, si manifesta in una mancata passione per la verità. Ma il cristiano deve avere una passione per la Verità, deve amare la Verità. Questo significa avere lo sguardo rivolto verso il compimento della Promessa di Dio, verso Cristo morto e risorto per noi.


Da dove viene oggi il dovere di non disperare?


Come cercare il senso?


Mi limito a indicare alcune piste:


Per vivere la speranza dobbiamo far memoria e vivere con questa memoria della nostra storia: non dimenticare le vittime, le storie di sofferenza. Far memoria ci porta a guardare il passato e a guardare verso il futuro. Questo è necessario per vivere la vita come un progetto: cioè come qualcosa che ha senso e che non è definitivo.


Cancellare il tempo, la storia passata o il futuro, porta a disperare, a vivere il presente come il momento definitivo e ultimo. Guardare la storia ci porta a vedere che il fondamento della speranza non possiamo trovarlo nella storia, quindi questa deve essere fondata teologicamente, cioè, in Dio. E' in Dio che troviamo il vero futuro umano: il Dio della redenzione, della risurrezione, della vita. E' questa la logica dell' incarnazione, del Dio che ha assunto la storia umana fino a tal punto che ha lasciato la sua condizione divina per assumere la nostra condizione.


Questo non ci porta a far sparire le tensioni. Ma ci dà la possibilità di camminare, anche zoppicando, ma sappiamo che c'è qualcuno che non ci lascia : mai soli, di chi possiamo fidarci.


Ovviamente questo non significa ignorare il dolore, la sofferenza, il male... Dio nemmeno lo ha negato. Gesù non ha vissuto come se non ci fosse.


Ma la sua risposta al male e alla sofferenza, uscendo da ogni logica umana, è stata l’essere presente: io sono con te.


Qui di nuovo troviamo l’apparente contraddizione della speranza: la certezza della salvezza, della vita futura, ci porta a vivere intensamente il presente trovando la speranza nelle situazioni dove sembra non ci sia possibile.


Negli ultimi anni frequentemente si è ricordata una frase di un famoso teologo, K. Rahner, sul cristiano del futuro: «Si può dire che il cristiano del futuro o sarà un mistico, cioè, una persona che ha esperimentato qualcosa, o non sarà cristiano. Perché la spiritualità del futuro non poggerà su una convinzione unanime, evidente e pubblica, né in un ambiente religioso generalizzato, già esistenti prima della decisione personale», cioè, il cristiano di oggi dovrà essere un mistico perché non ha un contesto sociale che aiuta la nostra scelta per Cristo.


Se è così non possiamo trascurare il fatto che la mistica del cristiano si vive nella vita quotidiana; è una dimensione profonda della vita quotidiana dove si scopre l’azione dello Spirito. Per questo è necessario aver cura, coccolare, la vita quotidiana. Questo è essenziale perché è lì che si mettono in gioco i valori, dove si accolgono le sfide, dove dobbiamo dare delle risposte; dove si scoprono i desideri profondi e dove nascono altri desideri. Il mistico è colui che sa contemplare - Dio e il mondo in lui - e agire a partire da questa contemplazione. E’ la persona che non perde la capacità di meravigliarsi, di sorprendersi: Dio si manifesta dove meno lo aspettiamo e in forme sempre nuove. E’ la persona che sa vivere la novità dell’incontro con l’amato perché si sa e si vive amata.


Per concludere vorrei ricordare ciò che il Vaticano II, parlando della responsabilità dei cristiani nel mondo, propone per poter costruire un futuro pieno di senso: «Legittimamente si può pensare che il futuro dell'umanità sia riposto nelle mani di coloro che sono capaci di trasmettere alle generazioni di domani ragioni di vita e di speranza»


E’ questo ciò che canta Maria nel Magnificat, dove quello che presenta non è un mondo dove i ricchi saranno poveri e i poveri ricchi, ma un mondo dove l’ordine è modificato perché la salvezza di Dio è presente.



http://www.giovani-it.pcn.net/cristo_la_nostra_speranza.htm

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