DON ANTONIO

martedì 28 febbraio 2012

Esaltazione della Santa Croce. 8




Omelie.org - autori vari


Una sfida e una opportunità
La festa dell?esaltazione della croce ricorre ogni sette anni in domenica e sostituisce la liturgia del tempo ordinario perché il suo contenuto è profondamente Cristologico. Indipendentemente dalla sua origine storica, nell?anno liturgico questa festa è come un richiamo al grande mistero del triduo pasquale, e specificamente al giorno del venerdì santo (un po? come il Corpus Domini ci fa rivivere alla fine del tempo pasquale il mistero del giovedì santo). Dipende da noi ?sopportare? questa liturgia fuori dalla serie ordinaria o farla diventare una opportunità pastorale di evangelizzazione, magari collegandola alla festa dell?Addolorata (15 settembre) che si comprende alla luce di questa.
Il titolo con cui la tradizione ci ha trasmesso questa festa rappresenta a sua volta una difficoltà e una opportunità: si può infatti ?esaltare? la croce, che è stata per Gesù e per moltissimi altri uno strumento di morte? (immaginiamoci che entrando in Chiesa troviamo una sedia elettrica al centro?). È possibile esaltare la morte? Se nella liturgia partecipasse un nostro amico che frequenta poco la Chiesa che cosa penserebbe di noi? Che senso ha questa festa? Può aiutarci ad entrare più profondamente nel mistero cristiano e dare un passo avanti nella fede? Le letture ci danno una risposta.

Un racconto
Si racconta che nel suo cammino attraverso il deserto il popolo di Israele non sopportò la fatica del viaggio, nauseato com?era dal cibo leggero della manna. Questa sofferenza fece nascere nel popolo il sospetto che Dio non volesse davvero liberarlo ma farlo morire, e per questo sentirono nostalgia della schiavitù (che per lo meno li manteneva in vita). La ribellione contro Mosè e contro Dio provocò la risposta divina: Dio mandò serpenti brucianti e quello che doveva essere un cammino di libertà si trasformò in una prigione di morte. Quando il popolo si rese conto dell?accaduto chiese aiuto a Mosè che ricevette da Dio l?ordine di costruire l?immagine di un serpente e issarlo su un?asta affinché fosse visibile da tutti. Chi infatti lo guardava dopo essere stato morso restava in vita. Nell?antico Oriente ai serpenti si riconosceva un potere sanante: il racconto risente di questa credenza ma attribuisce il potere della cura a Dio, della cui potenza il serpente di bronzo è soltanto un segno: guardarlo significa credere in Dio, che ha dato a Mosè quest?ordine. La cura fisica diventa il cammino e il segno di una cura più profonda e interiore: quella della fede, che toglie il sospetto e la disperazione (Dio ci ha abbandonati!) e porta a confidare di nuovo totalmente in Dio.

Un discorso
Durante il dialogo notturno con Nicodemo Gesù, dopo aver rivelato la condizione per entrare nel Regno, cioè nascere dall?alto, dall?acqua e dallo Spirito, rivela a questo maestro di Israele i misteri del Regno, le ?cose del cielo?. Lo può fare perché Egli è disceso dal Cielo e dice ciò che sa. Per parlare di queste ?cose celesti? fa un paragone tra l?episodio del serpente nel deserto e il Figlio dell?uomo, che sarà innalzato perché chi crede possa avere la vita. Anticipa in questo modo il senso della sua crocifissione (essere innalzato) e della sua morte. Per comprenderla, dice Gesù a Nicodemo e a noi, dovete ricordare la storia di Israele che nel deserto ha perso la fiducia nel suo Dio, si è sentito abbandonato, ma quando ha sperimentato l?angoscia della morte è ritornato a Dio e Dio gli è venuto incontro. Come il serpente, così il Figlio dell?uomo deve essere innalzato: perché tutti possano volgere a lui lo sguardo, e riconoscere in lui ciò che Dio fa per tutti; vedendo Dio che si dona in Gesù fino alla fine, possano superare il sospetto che Dio sia contro il loro bene e felicità. Le parole di Gesù che seguono spiegano di fatto la sua morte in croce come una consegna totale di Dio: consegna ciò che ha di più caro, il Figlio unico, perché tutti possano vederlo, e vedendo possano credere che Dio sta dalla loro parte. Credere questo significa avere la vita eterna; quando questa fiducia ha raggiunto il fondo del cuore, nulla può minacciare la vita, neppure la morte. Dio vuole soltanto la vita dell?umanità, non vuole giudicare o condannare, ma portare a compimento il suo progetto di creazione. Questa vita la può sperimentare soltanto chi crede, chi guardando il crocifisso vede, per fede, il segno dell?amore donato fino in fondo e non la prova di un Dio adirato o vendicativo.

Un inno
Nel brano della lettera ai Filippesi l?inno antico che Paolo ha ricevuto dai cristiani canta l?obbedienza di Gesù al Padre ?fino alla morte, e morte di croce? e l?esaltazione che il Padre fa del Figlio risuscitandolo dalla morte. Il Padre esalta il Figlio che ha accettato di obbedire fino al dono della vita; questo è il senso più corretto dell?esaltazione della croce, cioè il crocifisso che manifesta pienamente il cuore di Dio mentre dona la sua vita. La croce è segno della obbedienza di Gesù: non un?obbedienza forzata a una volontà superiore e non compresa, ma una adesione interiore che accompagna tutta la vita, fino a costargli tutta la vita. La vittoria di Gesù sulla morte non viene, per così dire, dopo il brutto momento della crocifissione, ma consiste nell?affidarsi totalmente nelle mani del Padre sentendosi sicuro, anche quando deve affrontare la morte.

Che significa esaltare la croce?
La croce è da esaltare perché è da guardare (per questo è messa in alto nelle nostre chiese). Non ha senso però per se stessa, ma per colui che su di lei fu innalzato. E Gesù non rivela Dio per il fatto che muore, ma per il motivo e il modo con cui dona la sua vita. Allora guardando la croce, contemplandola, siamo invitati a credere che Dio sta presente nella nostra vita come Gesù ce lo ha mostrato umanamente; siamo invitati a riconoscere che Dio ci ama nelle alterne e a volte tragiche situazioni della vita. La fede è questo sguardo capace di andare oltre la superficie, capace di riconoscere in un uomo che muore torturato una persona profondamente libera e realizzata, che sa amare fino in fondo.
Dio ci conceda che il nostro sguardo, formato così sulla croce di Gesù, possa guardare di nuovo al dolore umano, nostro e di chi ci sta accanto, riconoscendovi un senso, chiamandolo con il nome di ?croce?, ed esso non sia più un peso disperante e inutile, privo di senso. Infatti ciò che non riusciamo a sopportare non è il dolore o le difficoltà della vita, ma il non senso del dolore. La festa dell?esaltazione della croce, che ci presenta ancora una volta la ?buona notizia della croce?, non è un invito doloristico alla sopportazione passiva di chi non può reagire alle situazioni, ma la proposta di credere che nulla di ciò che accade sta fuori dalla mano di Dio che ci educa anche con il dolore per farci nascere (i dolori del parto) per una vita nuova, la sua.

Commento a cura di Padre Gianmarco Paris


Totustuus


Nesso logico tra le letture
Il termine "esaltazione" accomuna i testi dell'odierna liturgia. In contrasto con tante altre esaltazioni, sia nel passato che nel presente della storia umana, il cristianesimo esalta senza paura e con arditezza la Croce. La esalta come medicina di Dio, capace di guarire le malattie degli israeliti nel deserto (prima lettura). La esalta come "albero della vita" in cui Gesù è stato innalzato e dal quale offre a tutti noi la vita eterna (Vangelo). La seconda lettura fa il passaggio tra l'esaltazione di Gesù sulla croce all'esaltazione di Gesù fatta da Dio, suo Padre, alla gloria del cielo, dove ha ricevuto "il nome che al di sopra di ogni nome". Per questo, tutta la creazione, e noi con essa, ci postriamo davanti a Gesù Crocifisso per esprimergli con il cuore il nostro amore e la nostra gratitudine adorante.

Messaggio dottrinale
Perche Gesù è esaltato sulla croce e noi, cristiani, celebriamo l'esaltazione della Croce? Cosa c'è per noi nella Croce che non ci sia altrove? Sappiamo che la croce è simbolo dell'estrema sofferenza, icona del più sconvolgente e terrificante dolore: qualcosa di orribile, da rifiutare ad ogni costo. Gesù Crocifisso, invece, ha "redento" la croce, facendo di essa uno strumento efficace del suo amore fino alìestremo dolore, fino al limite estremo dell'humanum. E così la Croce diventata medicina di Dio, albero della vita, strumento di salvezza.

1. Medicina di Dio
Il popolo di Dio cammina nel deserto. Manca l'acqua, manca il pane e la carne per alimentare tutti. Il popolo si ribella e si lamenta. Rivolge lo sguardo nostalgico verso l'Egitto, luogo della schiavitù, e non dove dovrebbe guardare, verso la terra promessa, luogo della libertà. Yahweh, grande educatore del suo popolo, mandò loro le malattie perche riflettessero e si pentissero della loro infedeltà. E dopo il pentimento del popolo, giunse la misericordia di Dio: "Fatti un serpente e mettilo sopra un'asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita", (prima lettura). Il serpente era simbolo del Dio guaritore, non solo in Grecia ma in tutta la cultura del Mediterraneo orientale. Gesù non ha paura di usare questo simbolo e applicarlo a se stesso: "E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, cosi bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna" (Vangelo). Gesù Crocifisso è il vero medico che guarisce l'uomo da ogni malattia e donandogli vita per sempre.

2. Albero della vita
Non pochi Padri della Chiesa hanno identificato la croce con l'albero della vita nel paradiso. Nel racconto della Genesi viene proibito di mangiare dei frutti di esso. Ma Gesù, vera vita e vero albero di vita, ci offre da mangiare dei frutti di questo albero della vita che è la Croce. "Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui" (Vangelo). Non è l'uomo che prende i frutti, ma questi gli vengono donati da Gesù, fratello dell'uomo e Figlio di Dio. L'uomo è chiamato da Dio a ricevere la vita come dono, non a strapparla come conquista.

3. Strumento di salvezza
Yahweh, con la mediazione di Mosè, diede al suo popolo la vita, ma sopratutto la salvezza, in quanto lo salvò dalla tentazione di ritornare in Egitto, cioè allo stato di schiavitù. Gesù, esaltato sulla croce ed elevato in cielo mediante la risurrezione dai morti, è diventato per tutti gli uomini redenzione e salvezza. Al canto al Vangelo abbiamo proclamato: "Noi ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo perché con la tua croce hai redento il mondo". Nella lotta contro il peccato e nelle battaglie per un'umanità migliore, Cristo Crocifisso e Risorto è lo stendardo di forza e di salvezza.

Suggerimenti pastorali
1. Il lungo cammino della croce
La croce dell'uomo, come la croce di Cesù, percorre un lungo cammino, perché ha inizio con la vita. Per questo Gesù, nel Vangelo secondo Luca, esorta i suoi seguaci: "Prendete la croce ogni giorno e seguitemi". In questo cammino non siamo soli. Ci accompagna Gesù e ci accompagnano i nostri fratelli nella fede, e tanti altri non cristiani che pure portano la loro croce con dignità, fortezza e nobiltà di spirito. Potremo anche dire che nella storia umana c'è una sola grande Croce, quella di Cristo. La croce di ogni uomo, la tua e la mia, quella dei tuoi cari, dei tuoi amici di lavoro, dei tuoi compagni di scuola, è un pezzettino dell'unica Croce, cioè la Croce di Cristo. La mia croce non la porto solo io, ma l'ha portata sul Calvario e adesso la porta con me Gesù Crocifisso, facendola così più leggera e, soprattutto, con la forza della redenzione e della salvezza. Da qui la necessità di non amare un "Cristo senza croce", ma piuttosto amare "la croce con Cristo". È confortante pensare che Gesù e io portiamo insieme l'unica nostra croce.

2. Impara a leggere nella tua vita e in quella degli altri i frutti della Croce.
La prima e naturale reazione dell'uomo davanti alla croce è la paura e la fuga. In ogni uomo, infatti, c'è un rifiuto istintivo della sofferenza e del dolore, senza distinzione di età o di sesso, di razza, professione o stato di vita. L'uomo non è nato per soffrire, e quindi deve educarsi alla sofferenza, deve, cioè, imparare a soffrire.
Si impara a soffrire scoprendo il valore della sofferenza, i buoni frutti che produce l'albero del dolore. È chiaro, per esempio, che l'uomo diventa più uomo se accetta il dolore come parte del suo processo di crescita e maturazione. L'aver "digerito bene" il dolore fa sì che l'organismo umano nel suo insieme si trovi in buona forma e possa affrontare le diverse vicende della vita con successo e con grande dignità. D'altro canto, da cristiani noi riconosciamo il valore redentivo della sofferenza se unita a quella di Cristo. Neppure una stilla di dolore perde il suo valore quando è messa nel calice della passione e morte di Gesù Cristo. Questa è la nostra certezza di fede, questa la nostra speranza, questo il nostro desiderio più intenso e la nostra gioia. L'esaltazione redentrice della croce nei nostro cuore e nella nostra vita, nel cuore e nella vita dei nostri fratelli, è il modo migliore d'interpretare tante sofferenze dell'esistenza umana.


don Marco Pratesi
Il serpente di fuoco

Nel suo lungo cammino Israele si trova ancora in difficoltà. Di fronte alle fatiche e ai disagi viene a prodursi una situazione di tedio, scoraggiamento, insofferenza, demoralizzazione. La lamentela degli israeliti palesa un orizzonte totalmente buio: siamo in cammino verso la morte, verso il nulla. Essa inoltre non accusa esplicitamente Dio (è ben rischioso!), ma solo Mosè, quasi si trattasse di un cammino voluto soltanto da lui. Le coordinate sono del tutto smarrite, e il disorientamente assume l'aspetto della nausea e dell'accidia.
All'accidia segue in modo provvidenziale uno scossone, perché adesso, con l'arrivo dei serpenti, il male si fa aperto, incalzante, minaccioso. Anzi, insuperabile: qui si deve proprio sperare soltanto nella buona sorte, perché contro i serpenti non c'è nulla da fare, chi è morso muore senza scampo. Il testo usa una espressione strana ma molto suggestiva: «serpenti di fuoco» (v. 6, versione CEI: «brucianti»). Tale modo di esprimersi si riferisce al loro colore rosso, oppure al dolore bruciante che il loro morso infligge?
A questo punto c'è la presa di coscienza: accidia e lamentela sono finalmente percepite come un comportamento negativo, che provoca morte. Ecco la richiesta dell'intercessione di Mosè, quindi nuovamente l'accoglienza del suo ruolo nel piano di Dio e di ciò che egli in esso rappresenta, cioè l'alleanza.
La risposta di Dio è un segno. Nell'antico oriente il serpente era anche simbolo di vita e guarigione, e assai probabilmente si risente qui tale influsso. Chi guarderà al segno sarà salvato. Il segno di vita riproduce in qualche modo la causa di morte, sia per la forma sia per il colore. L'ordine di Dio infatti prescrive a Mosé di fare un serpente «di fuoco» (v. 8, la CEI omette la precisazione) ed è pertanto preferibile pensare che il materiale impiegato sia piuttosto il rame, di colore rosso vivo, con chiaro riferimento al fuoco dei serpenti. La lingua ebraica infatti (come del resto il greco e il latino) non distingue chiaramente tra rame e bronzo (che è quasi tutto rame).
La presentazione del segno consente una verifica: quella della fede. La salvezza è offerta, ma è richiesto comunque qualcosa: guardare al segno, il che implica fiducia in Mosè e in Dio. Poiché quel serpente non può avere in sé nessun potere sanante se non quello che Dio stesso gli conferisce, e alzare gli occhi a lui è un atto di fede nella parola data da Dio attraverso Mosè: «chi si volgeva a guardarlo era salvato non da quel che vedeva, ma solo da te, Salvatore di tutti» (Sap 16,7).
Lì, in quel serpente rosso, io vedo la causa di morte trasfigurata in causa di vita. C'è una metamorfosi, non un'abolizione; una trasformazione, non una cancellazione. Non posso saltare il male e la morte. Ma se io credo, la morte diventa vita, perché proprio lì io scopro che mi sbaglio, e di grosso, quando entro nell'orizzonte dell'accidia e interpreto l'azione di Dio come un portarmi verso il nulla.
Non solo. Mentre i serpenti mortiferi sono molti, il segno vivificante è uno solo: da molte morti a una sola salvezza (cf. Rm 5,15-16). Posso morire da solo, ma non salvarmi da solo. Posso perdermi per le mie strade, ma essere liberato solo in un popolo che crede.
Il serpente di rame sarà conservato nel tempio di Gerusalemme finché il pio re Ezechia, per evitare tentazioni idolatriche, lo distruggerà (cf. 2Re 18,4). Oramai il segno innalzato sul mondo per la salvezza di chi crede sarà soltanto Gesù crocifisso e risorto (cf. Gv 3,14-15).

I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano - EDB nel libro Stabile come il cielo.

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