DON ANTONIO

domenica 4 marzo 2012

“CONTEMPLATORI DEL SACRO CUORE DI GESÙ”




GIANFRANCO BENEDETTO



www.it.contemplatori.com.ar



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La Piena Vita Cristiana

Troviamo in questa sezione un libro inedito scritto dal nostro Coordinatore Generale, Gianfranco Benedetto,
che riassume in maniera semplice e accessibile agli uomini e alle donne di oggi ciò che significa la piena
dimensione della vita cristiana, così svalutata e minimizzata in questo nostro tempo, partendo dalla concezione
integrale di essa fino al suo ultimo culmine.

Si può scegliere di leggere in maniera ordinata tutto il libro, od entrare direttamente in alcune delle loro parti e
capitoli che contengono l'argomento che interessi.

Questo libro rappresenta il sostegno dottrinale della parte introduttiva del Programma della “Scuola di
Preghiera e Crescita Spirituale”, come è spiegato in “Chi siamo”



INDICE:


Introduzione Pag. 3


Parte Prima: L’origine della Vita Cristiana

Capitolo 1: Il proposito di Dio per l’uomo Pag. 6
Capitolo 2: Il Compimento del proposito di Dio Pag. 11
Capitolo 3: Dio non abbandona l’uomo: L’Antico Testamento Pag. 21
Capitolo 4: La Salvezza per Gesù Cristo Pag. 34


Parte Seconda: Fondamenti della Vita Cristiana

Capitolo 1: La Redenzione Oggettiva e Soggettiva Pag. 51
Capitolo 2: Gli effetti della Grazia Santificante Pag. 59
Capitolo 3: L’Azione della Ragione nell’uomo Pag. 73
Capitolo 4: L’Azione della Grazia nell’uomo Pag. 86
Capitolo 5: La Santità nella terra Pag. 101
Capitolo 6: La Gloria nel Cielo Pag. 112
Capitolo 7: I Fenomeni Mistici straordinari Pag. 125


Parte Terza: I mezzi di crescita della Vita Cristiana

Capitolo 1: L’Aspetto Negativo della Crescita Spirituale Pag. 135
Capitolo 2: La crescita per i Sacramenti cristiani Pag. 145
Capitolo 3: La crescita per il Merito e l’Orazione Pag. 152
Capitolo 4: La parte della Vergine Maria nella santificazione degli uomini Pag. 158
Capitolo 5: La devozione al Sacro Cuore di Gesù come mezzo di santificazione Pag. 163


Parte Cuarta: Lo svilluppo della Vita Cristiana

Capitolo 1: La Vita spirituale al Modo Umano Pag. 171
Capitolo 2: La Vita spirituale al Modo Divino Pag. 180



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Introduzione


Oggi il mondo e invaso e sommerso in numerose fonti di informazione e di sapere, che piombano su l'uomo da
tutti i mezzi di comunicazione, compresi i canali televisivi specializzati in qualsiasi tipo di argomento, videi e
DVD su tutto ciò che possa interessare, giornali e riviste orientati a temi generali e particolari, come pure libri
tradizionali e digitali, ed anche l’assortimento che offre Internet a coloro che vi navigano dal suo computer,
tutto sommato alle università, scuole, accademie, corsi, e associazioni diverse che insegnano e formano a coloro
che concorrono, nel variato campo delle scienze ed altre materie immaginabili e inimmaginabili.

Tuttavia, nonostante tutto questo, la maggioranza delle persone resta ignara e disinformata per quanto riguarda
ad un tema presuntamente così diffuso come è la religione e la spiritualità cristiana, o, più precisamente, e in
modo che non vi siano errori di interpretazione, per quanto si riferisce alla essenza della spiritualità cattolica.
E quindi evidente che non manca in questo campo l’informazzione, altrimenti è molto abbondante, poiché in
termini di questioni di religione cattolica abbiamo una proliferazione di materiale accumulato in venti secoli
della sua esistenza davvero travolgente.
Ma quando mettiamo la mira sulla realtà pratica, visibile e verificabile di fino dove arriva la conoscenza che
esiste su ciò che costituisce veramente al cristianesimo, il suo nucleo, la sua più intima sostanza, sia tra i
cattolici come coloro che non lo sono, tanto se essi appartengono ad altre denominazioni cristiane o pseudo-
cristiane, o di qualsiasi altra religione, constatiamo che la visione è molto vaga, che le conoscenze sono molto
elementari e diffuse, e che, in generale, le idee che si hanno sono deformate e distorte da elementi estranei.

Siamo progressivamente arrivati alla classica visione degli alberi senza vedere la foresta. Si vedono alberi
diversi nella loro forma, nei dettagli delle loro foglie e frutti, si conosce come è il loro funzionamento vitale,
quanto vivono, e così via, ma ci sono tanti, uno accanto a l’altro, che si vanno miscelando e attenuando le
proprie caratteristiche, e, di fatto, si ha completamente perso di vista l'intera foresta, la sua ubicazione, la sua
forma generale, la sua utilità.

L'aspetto principale di questa situazione, che continua a peggiorare con il passare del tempo, è che si è persa
quasi completamente la nozione del fatto capitale del cristianesimo: è una vita, un modo di vivere, nuovo e
diverso della vita naturale che l'uomo possiede fin dal suo arrivo al mondo, perché e una vita soprannaturale
innestata da Dio stesso nell'essere umano. È ciò che costituisce la Piena Vita Cristiana.

Mentre soltanto si guardi il cristianesimo come una religione di più fra tante altre, con un fondatore, con alcuni
principi filosofici e di saggezza, con norme morali di vita che implicano precetti e comandamenti da seguire e
divieti da compiere, con un determinato culto che praticano i suoi aderenti, con una classe gerarchica che forma
un’istituzione chiamata Chiesa, nulla si avrà capito circa il fatto stupefacente e sconcertante per la mente umana
che il cristianesimo è una vita nuova, completamente diversa in termini del suo sviluppo e il suo obiettivo
finale, e che la costituisce in una religione unica e diversa dalle altre religioni esistenti nel mondo, che, tuttavia,
"cercano il Dio ignoto nelle ombre e sotto le immagini” (1)

Questo fatto generalizzato porta conseguenze spiacevoli: d’una parte, una maggioranza inmensa dei fedeli
nella Chiesa cattolica, poco o nulla fanno per vivere la piena vita cristiana, perché disconoscono i suoi principi
vitali e soffrono il ben noto adagio che "non si può desiderare ciò che non si conosce”, in modo che
normalmente restano vivendo la loro religione con una adesione più o meno esterna, senza veramente avanzare
nella trasformazione della sua vita naturale e razionale in una vita soprannaturale e spirituale. Questa situazione
si estende anche in parte al clero e le ordini religiose.

D'altra parte, coloro che non sono cattolici, non hanno la possibilità, per ignoranza, d’apprezzare nella sua
ampiezza e vera dimensione ciò che significa la piena vita cristiana, e restano così emarginati da quella che
potrebbe essere chiamata una azione evangelizzatrice con basi concrete, poiché coloro che hanno la vocazione
di fare conoscere il cristianesimo neppure dispongono di questa visione.



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Il Papa Giovanni Paolo II, alla fine del suo splendido e ricordato pontificato, ha sollevato questo tema con
grande coraggio, in queste frasi piene di eloquente densità: “sarebbe un controsenso accontentarsi di una vita
mediocre, vissuta all'insegna di un'etica minimalistica e di una religiosità superficiale... È ora di riproporre a
tutti con convinzione questa «misura alta» della vita cristiana ordinaria” (2) Il Papa si riferisce alla vita di
santità, definita dal Concilio Vaticano II come “pienezza della vita cristiana” (3).

Se dunque guardiamo attorno a noi in questo mondo, constateremo ciò che tutti sappiamo, ma che ci risulta
così difficile spiegare l'origine: vi è l'ingiustizia sociale, pochi che usufruiscono le ricchezze e il progresso
tecnologico, e molti che non riescono ad avere il minimo necessario per sopravvivere con dignità come esseri
umani; ovunque ci sono guerre, guerriglie e azioni terroristiche senza frontiere, molte volte mescolate con
manifestazioni di odio secolare di origine razziale o religioso, o con tenebrosi interessi politici ed economici,
che generano la morte, il dolore e la sofferenza, in gran parte a innocenti del tutto estranei alle ragioni in gioco;
la disintegrazione dell’ordine sociale, soprattutto in ciò che è basato nella famiglia, è un fatto crescente, ed ogni
volta aumenta più il numero di coloro che si emarginano della società in cui vivono, mediante la violenza,
l’alcool e la droga, o l’appartenenza a gruppi sotteranei di qualsiasi tipo.

Come si spiega questa pendente che sembra inclinarsi sempre di più? Io propongo una ragione fondamentale:
perché restano già pochi nel mondo che vivono la Piena Vita Cristiana, in modo che quasi non si nota più la
sua influenza nella società contemporanea.
Così troviamo grandi folle smarrite e ignoranti del "perché" della loro esistenza e lo scopo della loro vita, che
non possono spiegare in termini di ciò che essi percepiscono nel mondo che li circonda.
Il dramma attuale consiste in un fatto molto chiaro: l'uomo ha perso di vista per ignoranza il proposito per il
quale esiste e per il quale è stato creato da Dio e, di fatto, non conosce quale è il mezzo per raggiungere tale
obiettivo, che è niente meno che vivere la piena vita cristiana.

Tutti coloro che inventano e sviluppano oggetti destinati ad essere utilizzati dalle persone sanno che essi
soltanto avranno valore se servono per raggiungere lo scopo, l’obbiettivo per il quale sono stati progettati e
prodotti. Se non compiono questo, sia perché essi sono stati sviluppati male, o perché non possono essere
utilizzati perché non si capisce il loro funzionamento, hanno un solo destino: essere gettati ai rifiuti.

L'uomo è stato creato da Dio con un fine assolutamente chiaro, e sono stati disposti dal suo Creatore tutti i
mezzi e gli aiuti necessari di cui ha bisogno per compiere questo fine; ma quando tutto ciò è sconosciuto, allora
si comincia a distorcere tutto nella vita l'uomo, e appaiono i questionamenti ed i dubbi riguardo Dio stesso:
esiste Dio veramente? Come si spiega che se c'è un Dio così buono e potente come si dice vi è tanto male e
sofferenza sulla terra?
Di fronte a tutto ciò che è esposto, appare il senso di questo libro, che è quello di cercare di introdurre, in primo
luogo a tutti i fedeli cattolici, e dunque a tutti coloro che al di fuori della Chiesa vogliono conoscere questo
tema, in un modo semplice ed accessibile agli uomini e alle donne di oggi, nella conoscenza di ciò che significa
la piena dimensione della Vita Cristiana, così svalutata e minimizzata in questo nostro tempo, partendo da una
concezione integrale di quest’ultima infino la sua massima culminazione.

Sotto nessun punto di vista voglio affermare che questo non può essere trovato entro la ricchezza della
letteratura cattolica e le sue varie istituzioni d’insegnamento specializzato; ma quello che voglio dire, basato
sulla mia propria esperienza e quella di centinaia di persone con le quali ho dovuto lavorare per l'insegnamento
di tali materie, è che non sono facilmente accessibili per quei fedeli che desiderano vivere la loro fede cattolica
più profondamente, ma che non dispongono né di tempo né dei mezzi, o forse non possiedono la formazione
adeguata per affrontarli da soli.
Il vantaggio che ha questo libro è che è il risultato di più di dodici anni di preparare e dare insegnamenti di
formazione spirituale a gruppi cattolici laici, in modo che raccoglie temi portati oralmente alla comprensione di
un uditorio di fedeli non specializzati e che, in generale, vivono la problematica della disinformazione che ho
commentato all'inizio.

Per questo motivo ho la speranza di essere in grado di accedere alla comprensione di molti lettori che forse non
hanno mai abbordato questi temi nella letteratura specializzata, o, se hanno provato, è possibile che trovarono



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troppe difficoltà, e pertanto, non hanno seguito avanti nel suo tentativo. Implica allora tutto ciò detto che
leggendo questo libro si può cominciare a vivere una vita cristiana più completa? La risposta chiara è no.
Lo scopo è un altro: si tratta di permettere di scoprire ciò che è la Piena Vita Cristiana, cercando non che sia
compresa chiaramente, già che questo è difficile, ma almeno sufficientemente come per suscitare il desiderio
sincero, e anche costrittivo, di volerla vivere.

In questo Sito della "Scuola di Preghiera e di Crescita Spirituale" si troveranno informazioni pratiche per
iniziare questa esperienza.

Ma almeno vorrei che il lettore si affacci a questo mondo nuovo e fantastico della Piena Vita Cristiana, e che
resti consapevole che ogni essere umano è in grado di viverla, se nella sua libertà sceglie di farlo. Ma potrà
soltanto scegliere ciò che conosce, e questo elaborato auspica il raggiungimento di tale fine.
Saranno soltanto lo Spirito Santo, mediante la sua azione di Maestro interiore, la misericordia del Padre, la
grazia di nostro Signore Gesù Cristo e la potente e materna intercessione della Beata Vergine Maria, che
renderanno possibile il compimento di questo scopo.





I riferimenti al Introduzione:


(1): "Lumen Gentium" n. 16.
(2): Lettera apostolica "Novo millennio ineunte", n. 31.
(3): "Lumen Gentium" n. 40.



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Parte Prima: l’Origine Della Vita Cristiana


Capitolo 1: Il Proposito Di Dio Per L’uomo



Il Senso della Vita


C'è una domanda che, sebbene può essere comune e ripetuta, in generale risulta per la gente molto difficile da
rispondere, almeno con una certa precisione e convinzione, ed è la seguente: Quale è, per te, il senso della vita?
O anche detto altrimenti: Quale è il senso della tua propria vita?

Questa domanda si è fatta, più o meno di questa maniera, in infinità di inchieste, interviste, cronache, studi
sociologici, etc., e quello che richiama principalmente l'attenzione è la diversità di opinioni ed approcci che
risultano. Se prendiamo in primo luogo le risposte di persone intervistate per i mezzi di comunicazione di
massa, che normalmente appartengono ai personaggi più conosciuti per il gran pubblico e non alle oscure
persone che trascorrono la sua vita quotidiana nell'anonimato, troviamo lì un'espressione abbastanza ripetuta: il
senso della vita è "trionfare."

Il significato di questo trionfo varierà più o meno secondo l'attività del personaggio famoso che sta
rispondendo, ma rinchiuderà sempre il concetto di essere il migliore, di essere più che gli altri: significherà
guadagnare molto denaro, più che i suoi competitori, se quello che sta parlando è un uomo d'affari o un
professionista; a questo si potrà aggiungere il fatto di avere potere, già sia economico, come politico o di
qualunque altra classe, quello che sempre implica avere un potere di decisione sugli altri, quanti più, meglio
ancora.

Per chi fanno parte del mondo dello spettacolo, del cinema e della televisione, il trionfo implica, oltre al denaro,
il fatto della fama, l'essere conosciuti, ammirati ed idolatrati per le moltitudini, lì dove vadano. Per coloro che
praticano i sport, specialmente i più professionalizzati (chè sport rimane oggi nel mondo che sia solamente
sport per sé stesso?), anche il denaro e la fama si mischiano nel fatto di trionfare.

Ancora in personaggi diversi, come scrittori, investigatori, giudici o militari, il trionfare nella sua attività
riunisce di un modo o l'altro il senso di essere il migliore con quello di avere una buona posizione economica.
E, chè cosa dire di quelli che appartengono al mondo marginale della società che non appaiono nelle interviste
dei mezzi?: i truffatori, ladri, mafiosi di distinte scuole ed origini, trafficanti di droghe ed armi, ruffiani ed altri
con attività torbide e sotterranee. Anche essi cercano con veemenza il trionfo, come componente di denaro e
potere.

Approfondendo più nelle conseguenze del "trionfo" che cercano queste persone, troviamo il fatto di potere
vivere bene e soddisfare tutti i loro piaceri, comprandosi quello che desiderano, viaggiando alla parte del
mondo che più le piaccia, avendo l'ultimo modello di automobile, yacht o aeroplano privato, e, in qualche
modo, di "avere il futuro assicurato", di non patire privazioni nel domani, né essi né la sua famiglia.

Sorge anche il fatto di essere ammirati per gli altri, essere considerati come "modelli" ad imitare, quello che
senza dubbio fa che si "sentano bene", che si sentano amati per tanti, benché quest'amore sia sempre allontanato
nelle sue manifestazioni per gli steccati o per l'azione di muscolosi guardia del corpo che badano ad impedire
che le sue effusioni possano "disturbare" a chi è oggetto del suo culto amoroso.

Come contropartita di questi "benefici" del trionfo, normalmente si sottolinea anche l'enorme sacrificio
realizzato per ottenerlo: anni di duro lavoro, di studi esaurienti, di allenamenti senza fine, di viaggiare ed essere
lontano della casa o dalla patria, di lottare instancabilmente in mezzi molto difficili ed ostili, popolati da altri
che hanno le stesse intenzioni di trionfare.



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Ma si è trionfato perché si sono affrontati e vinte tutte le difficoltà, al modo di veri "superuomini", poiché
sempre di più i trionfatori di questo mondo appartengono ad una classe speciale, di caratteristiche quasi al di
sopra delle umane abituali.

Quando usciamo dal piccolo e scelto gruppo di persone che richiamano l'attenzione ai mezzi di comunicazione
di massa, ed andiamo verso le persone "comuni", o "normali" che compongono il grosso dell'umanità, la
domanda rispetto al senso della vita si scioglie in molte risposte abbastanza più ambigue.
Si mantiene nella maggioranza l'aspetto di trionfare, di essere il migliore, ma in un senso più che tutto di
desiderio, di possibilità più o meno certa, o molto lontana, ed in dimensioni molto più modeste: migliorare in un
lavoro o in una professione, sviluppare un commercio prospero, avere una buona famiglia, per potere, in termini
generali, vivere bene e soddisfare alcuni piaceri.

In molti in che questa meta non si vede possibile, si produce un'identificazione coi suoi idoli trionfatori,
vivendo come proprie le sue vite e le sue realizzazioni, in una specie di mimetizzazione che è quella che origina
i "fanatici" che solo pensano e vivono in funzione dell'idolo che seguono.

Troviamo anche in altre persone un senso della vita che abbraccia altri aspetti, non tanto personali: essere buoni
genitori, affinché i suoi figli siano importanti nella società; che il suo nome sia ricordato dopo la morte; che
possano investigare e scoprire cose che migliorino la qualità di vita delle persone; che possano aiutare a che la
vita sia più giusta, con meno guerre ed ingiustizie, ed altri motivi simili più o meno altruisti.

Tutte queste considerazioni sono valide quando stiamo considerando quelli che vivono nel primo o secondo
mondo, con una vita incorniciata dentro d’un schema di lavoro o di possibilità concrete di sviluppo. Ma chè
cosa possono dire circa il senso della vita quelli che vivono nei paesi più sottosviluppati o poveri del pianeta, o
fanno parte degli strati marginali delle società ricche?
Probabilmente troviamo lì risposte molto diverse: per molti, il senso della vita sarà solo quello di sopravvivere,
quello di avere un giorno più di vita, sommersi come sono nella fame e le malattie, o in guerre crudeli ed
interminabili. Terribilmente, per altri, la vita neanche presenta un senso, si vive solo perché si vive, fino a che
un giorno tutto finisce, e basta.

D’ogni modo, vediamo che in generale la parola senso implica sempre seguire in una certa direzione verso
quello che si ha deciso di cercare ed ottenere. Ma, presto o tardi, si arriva a constatare un fatto ineludibile:
quello che pianifichiamo non dipende solo da noi, ci sono cause, situazioni e circostanze esterne, molte di esse
imprevedibili, che fuggono dalle nostre possibilità di maneggio.

Ci sono specialmente due di esse, le più importanti, che rimangono fuori dal nostro controllo: la nostra nascita
e la nostra morte. Entrambe le circostanze sono quelle che incorniciano, dando inizio e termine, a quello che
chiamiamo la nostra vita, ed ovviamente, sono quelle che rinchiudono il senso d’essa.

Se pensiamo alla nostra nascita, vediamo che questa, non pensata né desiderata né definita per noi, ha
condizionato in qualche modo il senso della nostra vita: se siamo uomo o donna, alti o bassi, brutti o belli, con
corpi sani o malaticci, con capacità naturali distaccate o scarse; se siamo nati in una nazione avanzata o in una
zona povera ed emarginata; se apparteniamo ad una famiglia ricca o di alta posizione nella società o piuttosto
ad una famiglia senza lavoro o molto umile che lotta per sopravvivere; se potemmo accedere ad un'educazione
o semplicemente dovemmo rimanere con quello che imparammo lungo le strade di un bassofondo.

D'altra parte, se riflettiamo su quello che generalmente non vogliamo pensare che è la nostra morte, abbiamo
chiaro che neanche abbiamo controllo sul momento e le circostanze in cui essa sopravverrà, né pertanto
possiamo controllare i piani per i quali crediamo che possiamo dare un senso alla nostra vita, perché magari non
avranno tempo di realizzarsi.
Questa realtà si presenta d’improvviso un giorno con la morte, prevedibile o imprevista, di alcuno di coloro che
sono vicini a noi, e molte volte colpisce duramente e mette in questione quello che consideriamo il giusto senso
della nostra vita. Quante volte una malattia grave o una morte cambiano totalmente il senso una vita!



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Pertanto, in base a queste considerazioni, vediamo che quando cerchiamo di dare per noi stessi il senso alla
nostra vita, ci troviamo con difficoltà insuperabili, che cominciano a partire da un fatto certo ed irrefutabile:
nessuno di noi si è voluto per sé stesso, né si è pianificato per sé stesso, né abbiamo deciso in nessun aspetto
come siamo, né in che epoca dell'umanità siamo nati, né chi furono i nostri genitori.
E c'imbattiamo anche in un'altra difficoltà, magari ancora maggiore: come dare un senso alla nostra vita, se tutti
la finiremo, più presto o più tardi, con la nostra morte, neanche voluta né decisa per noi stessi. La morte è il
maggiore "nonsenso" che affronta l'uomo, a partire dalla sua propria capacità di ragionamento.

Ovviamente tutte questi idee e questioni rispetto al senso della vita non appartengono soltanto al mondo attuale,
ma sono sorte, con varianti nelle distinte epoche, durante tutta la storia dell'umanità, di fronte alla realtà che
affrontarono gli uomini che hanno una vita, con un principio ed un termine inesorabile: Per che motivo esisto?
Quale è il senso della mia vita? La morte è il fine? Da dove vengo? A dove vado? e molte domande più di
tenore simile hanno suonato e continuano a scampanare negli uditi del mondo.
La filosofia, la storia, la medicina, la psicologia, infine, le distinte scienze dell'uomo, sempre di più sviluppate
ed avanzate, non hanno potuto dare una risposta soddisfacente, tranquillante, a queste domande.

Ma, per quelle persone che credono in Dio, o che almeno hanno una certa idea che c'è un Dio che ha creato
tutto quello esistente, che è chi ha dato loro la vita, e ha deciso che nascano come sono e nel momento che lo
fecero, queste domande si dirigono a Dio stesso e, in definitiva, si riassumono in una sola e fondamentale:
Quale è stato il proposito di Dio per crearmi, quale è il suo piano per la mia vita?

Le distinte religioni, tanto le più antiche e già scomparse, come quelle che sussistono attualmente, hanno anche
cercato di dare una risposta all'enigma dell'esistenza umana. Entreremo ora in un aspetto distinto del senso della
vita, perché ci riferiremo alla vita dell'uomo, ma ad una vita affrontata da un punto di vista particolare, dalla
fede cristiana. Cominciamo allora a parlare di vita cristiana.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica riassume l'importanza della risposta che dà la fede sul tema della
Creazione:
“La catechesi sulla creazione è di capitale importanza. Concerne i fondamenti stessi della vita umana e
cristiana: infatti esplicita la risposta della fede cristiana agli interrogativi fondamentali che gli uomini di ogni
tempo si sono posti: “Da dove veniamo?” “Dove andiamo?” “Qual è la nostra origine?” “Quale il nostro
fine?” “Da dove viene e dove va tutto ciò che esiste?”. Le due questioni, quella dell'origine e quella del fine,
sono inseparabili. Sono decisive per il senso e l'orientamento della nostra vita e del nostro agire.” (4)


Il proposito di Dio per l'uomo

Per i cristiani che dirigono a Dio la domanda: quale è il proposito di Dio per crearmi?, Dio risponde loro, e non
solamente ai credenti, bensì a tutti gli uomini di buona volontà, attraverso la Rivelazione, attraverso la sua
Parola, nella Bibbia. Ci sono due aspetti fondamentali che Dio ci chiarisce nella sua Rivelazione: Perché ci
crea? e per fare ché ci crea?

La risposta alla prima questione, perché ci crea? è una sola: Dio ci crea per amore, perché, come c'insegna San
Giovanni, "Dio è amore" (5).

Fin dall'epoca dei filosofi greci si conosce che la costituente centrale dell'uomo, il "essere", deve uscire da sé
stesso per relazionarsi col mondo che lo circonda, per dare e ricevere. L'uomo è essenzialmente un essere di
relazione, e quando non esce da sé stesso è perché è infermo, come succede con quelli que soffrono di autismo,
catatonia od un altro tipo di malattie simili.

L'essere più imperfetto, più necessitato, esce da sé stesso per cercare quello che gli manca, mentre anche il più
perfetto esce, ma in generale non lo fa per ricevere, bensì per comunicare, per condividere ad altri esseri la sua
propria ricchezza interna. Questo atto di uscire da sé stesso è conosciuto come "amore."



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Il bambino che allunga i suoi piccoli bracchi verso la sua madre cercando in lei tutto quello che necessita, come
alimentazione, protezione, sicurezza, consolazione, riparo, possiede un amore ancora precario, imperfetto,
essenzialmente di ricerca, al che i greci chiamavano "eros", e Santo Tommasso d’Aquino lo denomina "amore
di concupiscenza."
Invece, la madre di fronte a questo figlio, è aperta alla sua necessità, ed esce da sé stessa per dargli quello che
ella ha e quello che la sua creatura necessita. È un amore disinteressato che non sta cercando niente per sé
stesso, ma ha per obiettivo il bene di suo figlio. Questo amore più perfetto è chiamato "agape", o "amore di
benevolenza."
Così si capisce che quanta più perfezione possieda un essere, tanto più uscirà da sé stesso in una consegna, in
un dono al che ha bisogno di lui.

Come Dio è la pienezza della perfezione, quando esce da sé stesso, può soltanto dare, essere "agape", poiché
non può chiedere niente perché tutto l'ha. Dio è, senza dubbio, infinitamente felice in sé stesso, e per niente ha
bisogno degli uomini, le sue creature, che non possono aumentargli quella felicità intima.
Ma come Dio è Amore, "Agape" pieno, vuole comunicare la sua propria vita ad altre creature, gli uomini.
Questo è il senso profondo del perché? della intera creazione e, in particolare, della creazione di ogni uomo:
Dio, nel suo amore e bontà, vuole comunicare le sue infinite perfezioni, e la cosa prima che ci dà ad ognuno per
amore è il nostro essere, ci creda ad ognuno degli uomini affinché esistiamo, affinché usciamo da quel niente
assoluto in cui ci trovavamo.

La seconda domanda, per fare ché ci crea Dio?, implica la rivelazione del proposito di Dio, del piano che ha
per ognuno, di quello che San Paolo chiama “il mistero nascosto dai secoli”: “Questo mistero non è stato
manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come al presente è stato rivelato ai suoi santi apostoli e
profeti per mezzo dello Spirito” (6)

I termini "Mistero" e "Piano", secondo l'uso di San Paolo, sono praticamente sinonimici. L'Apostolo preferisce
l'espressione "mistero" perché, come la maggior parte dei propositi della rivelazione di Dio, anche questo piano
non smette di essere qualcosa di incomprensibile per la ragione umana, senza la luce soprannaturale della fede.

Nella stessa lettera agli Efesini, San Paolo rivela questo mistero nascosto: “Benedetto sia Dio, Padre del
Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha
scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità,
predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà.
E questo a lode e gloria della sua grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto.” (7)

Così possiamo dire che il proposito eterno di Dio, la sua volontà da sempre, il "per chè motivo" ci ha creati ad
ognuno, è perché vuole avere una famiglia di figli simili a suo Figlio, cioè, c'adotta e vuole essere un Padre per
noi, nel più ampio senso della parola, facendoci condividere la sua propria vita. Questo piano si consumerà per
ogni uomo che l'accetti, e durerà per tutta l'eternità, quando saremo nella sua presenza, santi e senza macchia
alcuna di peccato che possa imbruttirci.

Di qui sorge con speciale chiarezza il fine ultimo del cristiano: la piena vita cristiana ha come finalità il potere
arrivare a condividere, insieme a Dio, la sua stessa vita, quello che porterà ad ogni beato alla felicità suprema
che si esprimerà in una lode eterna alla gloria di Dio.
Questo è allora il fine per il quale fu creato ogni uomo e, già sia che lo conosca o non, che lo creda o non, che
l'abbia in conto nella sua vita o no, nessuna persona può scappare da lui, né può evadere il fatto che sia stata
creata con questo proposito, e che il tempo della sua vita, molto o poco, è destinato a compiere questo fine.

È in funzione di tutto questo che, quando uno si va affacciando alla realtà misteriosa del proposito di Dio,
rimane in evidenza la deviazione totale di buona parte dell'umanità in quanto a questo fine, dominata per le idee
conosciute come "secolarismo" e "materialismo", che portano a riferire solamente il senso dell'esistenza umana
a quello che può realizzarsi nel decorso della vita in questa terra, perdendo di vista, o direttamente ignorando
che il transito effimero per questo mondo è solo un tempo di preparazione ed elezione per la vita vera e piena
che Dio ci vuole regalare per tutta l'eternità.



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Detto così semplicemente, tutto questo è inabarcable per la mente umana; pensare che cosa significa vivere
una vita simile a quella di Dio, condividere la sua presenza, e questo, per tutta l'eternità, sono concetti che
esulano dal nostro intelletto. Per questo motivo sarà necessario avanzare passo a passo, per vedere con più
dettaglio le reali implicazioni di questo sorprendente gesto di amore del nostro Dio Creatore.





PARTE PRIMA :


I Riferimenti al Capitolo 1:


(4): Catechismo della Chiesa Cattolica N° 282
(5): 1 Giovanni 4,8
(6): Efesini 3,5-9
(7): Efesini 1,3-6



11
Parte Prima: l’Origine Della Vita Cristiana



Capitolo 2: Il Compimento Del Proposito Di Dio






La Creazione


Abbiamo visto nel capitolo anteriore quale è stato il proposito eterno di Dio per creare l'uomo ed il mondo dove
abiterebbe. Abbordare il tema della creazione del cosmo e dell'umanità implica penetrare nel fondamento stesso
della realizzazione pratica dei propositi di Dio; il Catechismo della Chiesa Cattolica c'introduce
magnificamente in questo tema capitale per cominciare a comprendere la radice della piena vita cristiana:

“La questione delle origini del mondo e dell'uomo è oggetto di numerose ricerche scientifiche, che hanno
straordinariamente arricchito le nostre conoscenze sull'età e le dimensioni del cosmo, sul divenire delle forme
viventi, sull'apparizione del l'uomo. Tali scoperte ci invitano ad una sempre maggiore ammirazione per la
grandezza del Creatore, e a ringraziarlo per tutte le sue opere e per l'intelligenza e la sapienza di cui fa dono
agli studiosi e ai ricercatori.

Il grande interesse, di cui sono oggetto queste ricerche, è fortemente stimolato da una questione di altro ordine,
che oltrepassa il campo proprio delle scienze naturali. Non si tratta soltanto di sapere quando e come sia sorto
materialmente il cosmo, né quando sia apparso l'uomo, quanto piuttosto di scoprire quale sia il senso di tale
origine: se cioè sia governata dal caso, da un destino cieco, da una necessità anonima, oppure da un Essere
trascendente, intelligente e buono, chiamato Dio. E se il mondo proviene dalla sapienza e dalla bontà di Dio,
perché il male? Da dove viene? Chi ne è responsabile? C'è una liberazione da esso?

Fin dagli inizi, la fede cristiana è stata messa a confronto con risposte diverse dalla sua circa la questione
delle origini. Infatti, nelle religioni e nelle culture antiche si trovano numerosi miti riguardanti le origini. Certi
filosofi hanno affermato che tutto è Dio, che il mondo è Dio, o che il divenire del mondo è il divenire di Dio
(panteismo); altri hanno detto che il mondo è una emanazione necessaria di Dio, che scaturisce da questa
sorgente e ad essa ritorna; altri ancora hanno sostenuto l'esistenza di due princìpi eterni, il Bene e il Male, la
Luce e le Tenebre, in continuo conflitto (dualismo, manicheismo); secondo alcune di queste concezioni, il
mondo (almeno il mondo materiale) sarebbe cattivo, prodotto di un decadimento, e quindi da respingere o
oltrepassare (gnosi); altri ammettono che il mondo sia stato fatto da Dio, ma alla maniera di un orologiaio
che, una volta fatto, l'avrebbe abbandonato a se stesso(deismo); altri infine non ammettono alcuna origine
trascendente del mondo, ma vedono in esso il puro gioco di una materia che sarebbe sempre esistita
(materialismo). Tutti questi tentativi di spiegazione stanno a testimoniare la persistenza e l'universalità del
problema delle origini. Questa ricerca è propria dell'uomo.” (8)

Vedremo allora quale è la risposta che dà la Rivelazione di Dio attraverso la Bibbia, secondo la dottrina della
Chiesa Cattolica.

Il primo atto di Dio per portare a termine il suo proposito fu quello della creazione. Pertanto la creazione
cominciò un giorno, non è eterna. E possiamo domandarci: dove si trovava Dio prima che tutto fosse creato?
Non si trovava in nessuna parte, perché non c'erano cose; lo spazio è il posto delle cose, le quali appena
esisterono quando Dio decise, nel suo amore, che così fosse. Dio esiste in sé stesso, ed ha tutto in sé stesso, e
vedemmo già che crea solo perché vuole condividere la sua vita.
E come ci racconta nel principio della Bibbia il Libro del Genesi, Dio creó al mondo, ed infine alla creatura
"alla sua immagine e somiglianza" che era destinata a ricevere tutto il suo amore: l'uomo.



12

L'azione creativa di Dio, secondo la Rivelazione della Bibbia, implica richiamare all'esistenza al mondo e gli
uomini, cioè, fare dal niente. Qui si apprezza in tutta la sua grandezza l'amore disinteressato di Dio che nella
creazione si manifesta come il supremo donatore. Il Concilio Vaticano I proclama chiaramente questa verità di
fede cattolica che proviene dall'inizio dal Magistero della Chiesa:

"Questo unico Dio vero, nella sua bontà ed onnipotente virtù, non per aumentare la sua gloria, né per
acquisirla, bensì per manifestare pienamente la sua perfezione mediante i beni che distribuisce alle creature,
con decisione pienamente libera, 'simultaneamente dall'inizio del tempo tirò fuori dal niente una ed altra
creatura, la spirituale e la corporale, cioè, l'angelica e la materiale, e dopo la creatura umana, come partecipe
di una ed altra, essendo costituita di spirito e di corpo’ (Concilio Lateranense IV)” (9)

Dio non cerca, pertanto, nell'opera della creazione, niente che potesse mancargli, poiché Egli è l'Essere
totalmente ed infinitamente perfetto, e cerca soltanto, in una decisione pienamente libera e sovrana, fare
partecipare agli uomini in modo reale, benché limitato e parziale, della sua propria perfezione.

Per chi possa leggere la storia biblica della Creazione degli uomini con un sguardo semplicemente umano,
esiste il pericolo di prenderla come una favola per bambini, un racconto infantile molto semplice, e, se, inoltre,
si cerca di renderla compatibile con le teorie scientifiche sull'evoluzione dell'universo o dell'uomo, il risultato
più sicuro è che si lascerà da parte la sua lettura o si rifiuterà come qualcosa che già oggi, nell'epoca che
viviamo, non ha nessuna appoggiatura scientifica né maggiore interesse.

Ma se invece si legge in forma "spirituale", cioè, già vivendo la vita cristiana, almeno nei suoi inizi, come
vedremo più avanti, sarà possibile penetrare poco a poco nel mistero che rinchiudono quelli racconti
apparentemente tanto semplici.

Il fatto è che, lasciando da parte i dettagli biblici della creazione, descritti nei tre primi capitoli del Genesi, che
sono conosciuti in generale per tutti, tentiamo di contemplare al primo uomo ed alla prima donna, prototipi
della razza umana, vivendo in un luogo chiamato Paradiso.
La prima cosa che richiama l'attenzione è la familiarità e semplicità della sua relazione con Dio, che era
possibile perché, come dice la Bibbia, Dio disse creando l'uomo "facciamo all'uomo alla nostra immagine e
somiglianza" (10), e così fu come lo creó, per compiere il suo proposito eterno. La creatura si trovava in una
perfetta armonia con la natura che la circondava e col suo Creatore.

Chè cosa significa questa immagine e somiglianza dell'uomo rispetto a Dio, il suo Creatore? Il dizionario ci
dice che immagine è la figura o rappresentazione di una cosa, cioè, è una specie di copia di un prototipo
originale; e la caratteristica di simile implica che qualcosa somiglia ad una persona o cosa. Pertanto la
combinazione di queste due espressioni ci permette di dire che l'uomo fu creato per essere come Dio, per
somigliare il più possibile a Lui, per condividere la sua stessa vita divina, senza essere Dio per essenza.

In chè caratteristiche dell'uomo troviamo questa immagine e somiglianza di Dio? Alcune sono di tipo esterno,
come il fatto che l'uomo è stato destinato per Dio a comandare sulla Creazione, come lo rivela il Genesi:
“Dio li benedisse e disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui
pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra». (11)

Altre caratteristiche riguardano alla natura dell'essere dell'uomo: la principale è che l'uomo, a differenza delle
cose e gli animali, possiede un'anima, con facoltà spirituali, cioè, non materiali, che la caratterizzano, che sono
l'intelletto e la volontà. Queste facoltà permettono all'uomo prendere decisioni morali, cioè, che vanno
d’accordo con la regola delle buone abitudini umane, permettendole che si relazioni con le altre persone
secondo questa maniera.

Ma la capacità maggiore dell'uomo per assomigliarsi a Dio radica nella sua disposizione, unica tra le creature di
Dio, di ricevere nella sua anima qualcosa che non appartiene alla sua propria natura, e che per quel motivo si
dice che lo riceve in forma soprannaturale; è una partecipazione reale ed effettiva della stessa vita di Dio, un
germe di vita divina innestato nell'anima destinato a crescere, che riceve il nome di grazia santificante.



13
Dio gli diede, attraverso la grazia, un dono, un regalo, qualcosa di soprannaturale, che non aveva l'uomo nella
sua natura creata, che è quello che gli permette di avere una partecipazione della natura divina.
Di questa maniera l'uomo viveva in piena armonia con Dio, nel luogo tanto speciale dove si svolgeva quella
relazione intima del Creatore con la sua creatura, il Paradiso, godendo di un stato che i teologi denominano di
giustizia originale.

Anche la vita nel Paradiso dei primi uomini si caratterizzava per una felicità incomparabile, dovuta ad altri doni
soprannaturali che avevano ricevuto da Dio, che li aveva destinati a non conoscere il dolore e la sofferenza, a
non morire, ad avere una conoscenza infusa, data per Dio stesso, di molte verità naturali e soprannaturali, ed ad
avere, mediante il chiamato dono di integrità, un dominio perfetto sulle tendenze sensitive che si oppongono
alle riflessioni dell'intelletto ed alle risoluzioni della volontà.

Così rimane più o meno chiaro il senso dell'immagine e somiglianza dell'uomo con Dio, e per adesso
prendiamo solamente queste caratteristiche come un enunciato, poiché più avanti si svilupperanno in forma
dettagliata per la sua migliore comprensione.

Un autore spirituale definisce così quelli primi uomini:
"I primi uomini erano un principio, erano gioventù, ma erano pieni di gloria. Se entrassero nello stesso luogo
in cui stessimo noi, non potremmo sopportarlo. Ci risulterebbe annichilarmente chiaro che piccoli, che confusi
e che brutti siamo. Grideremmo loro: Andate via, affinché non dobbiamo vergognarci tanto! Non avevano
rottura nella sua natura; erano poderosi di spirito; chiari di cuore; risplendentemente belli. In essi c’era
l'immagine di Dio; ma questo vuole dire anche che Dio si manifestava in essi. Come dovette rifulgere la sua
gloria in tutti loro!” (12)


Il peccato e la caduta dell'uomo.

È in questo contesto che appena contemplavamo che si produsse l'atto più grave e funesto nella storia
dell'uomo, e che, ancora oggi, continua a ripetersi giorno per giorno: il peccato.
È cruciale per tutto cattolico potere avere chiaro in che cosa consiste il peccato, soprattutto in un'epoca in cui
tutto quello che si consume comincia ad essere "light", ed anche la nozione di peccato non scappa da essere
attenuata, alleggerita e fatta digeribile in qualche modo. Se perfino il vocabolo stesso, "peccato", suscita in
generale sorrisi ironici e sguardi equivoci, che cercano di ubicarlo tra le cose passate di moda, appartenenti ad
altre epoche, e che sono state cancellate per la cultura "moderna", nel suo permissivismo sempre di più
assoluto!

C'aiuterà anche una lettura attenta del passo che descrive il primo peccato degli uomini, chiamato "peccato
originale":
“Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. Egli disse alla donna: «È vero
che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?». Rispose la donna al serpente: «Dei
frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell'albero che sta in mezzo al giardino
Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete». Ma il serpente disse alla
donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e
diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male». Allora la donna vide che l'albero era buono da
mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne
diede anche al marito, che era con lei, e anch'egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si
accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.” (13)

Non rimaniamo solo con la descrizione, bensì cerchiamo la profondità dei simboli che si presentano in questo
passo fondamentale della Bibbia. I personaggi che troviamo sono: Dio, Adamo ed Eva, come prototipi dei primi
uomini creati, ed il serpente. In questo animale, tanto nella Bibbia (14), come nella Tradizione della Chiesa
(15), si vede a Satana o il Diavolo, essere di natura angelica che si è allontanato da Dio respingendolo in forma
irrevocabile.

L'uomo e la donna ascoltano tanto la voce di Dio come quella di Satana. Dio aveva detto loro:



14
“Il Signore Dio diede questo comando all'uomo: “Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma
dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi,
certamente moriresti.” (16)

Cioè, Dio aveva dato loro un mandato, qualcosa che dovevano compiere. Più avanti, man mano che trascorra la
storia dell'uomo, e che Dio gli continui a parlare attraverso altri uomini che sono abilitati come i suoi strumenti
per ricevere le sue parole e metterle per iscritto o proclamarle a viva voce (chiamati scrittori sacri o profeti), il
Creatore continuerà a dare diversi comandamenti agli uomini.

Quale è il senso di questi mandati? Chè Dio si senta bene perché gli uomini obbediscono a quello che chiede
loro? Chè Dio veda soddisfatte, a modo di capricci, tutte le cose che gli vengono in mente per sottomettere
l'uomo all'arbitrato della sua volontà? No, di nessuna maniera è così. Queste sarebbero le ragioni umane che
potrebbe avere un uomo molto poderoso e dispotico nella terra. Tutto quello che Dio chiede che faccia l’uomo è
per il suo proprio bene, per la sua felicità, ed affinché possa riuscire a raggiungere l'obiettivo per il quale, con
moltissimo amore, l'ha creato. Ma vedemmo già che Dio creó all'uomo alla sua immagine e somiglianza, ed
uno dei tratti di questa immagine di Dio, che paragona all'uomo al suo Creatore, è la libertà.

Questa facoltà gli permette all’essere umano di operare in un modo o nell'altro, per la sua propria elezione. Ma
teniamo in conto qualcosa di importante: per potere esercitare la libertà, bisogna avere la possibilità di scegliere
tra una cosa ed un'altra. Perché diciamo che un carcerato che si trova in prigione è privato della sua libertà?
Perché non può scegliere di rimanere dentro alla cella o fuori d’essa.

Magnificamente ci presenta la Bibbia questa realtà:
“Il Signore odia ogni abominio, esso non è voluto da chi teme Dio. Egli da principio creò l'uomo e lo lasciò in
balìa del suo proprio volere. Se vuoi, osserverai i comandamenti; l'essere fedele dipenderà dal tuo buonvolere.
Egli ti ha posto davanti il fuoco e 'acqua; là dove vuoi stenderai la tua mano. Davanti agli uomini stanno la
vita e la morte; a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà.” (17)

Il fuoco e l'acqua rappresentano qui le opzioni; l'uomo porterà liberamente la sua mano dove voglia, e le
conseguenze saranno molto diverse secondo sia la sua elezione. È per questo che Dio permette che gli uomini
ascoltino un'altra voce, molto differente alla sua, quella di Satana, o l'Avversario. Questo angelo caduto,
appartato da Dio, pieno di odio verso il suo Creatore, ha un unico proposito: allontanare gli uomini dal fine per
il quale sono stati creati per Dio, ostacolando che arrivino a compierlo.
Pertanto, il primo peccato dell'uomo, anche chiamato "peccato originale", ebbe il suo fondamento in un abuso
della sua libertà, alimentato per la tentazione. Così lo definisce il Catechismo:

“L'uomo, tentato dal diavolo, ha lasciato spegnere nel suo cuore la fiducia nei confronti del suo Creatore [Cf
Gen 3,1-11 ] e, abusando della propria libertà, ha disobbedito al comandamento di Dio. In ciò è consistito il
primo peccato dell'uomo [Cf Rm 5,19 ]. In seguito, ogni peccato sarà una disobbedienza a Dio e una
mancanza di fiducia nella sua bontà.” (18)

Per compiere il suo funesto proposito, Satana utilizza un arma molto sottile chiamata la tentazione. Questa si
sviluppa in distinte tappe che vediamo chiaramente nel passo del Genesi che stiamo prendendo come
riferimento: il tentatore si avvicina, cominciando la conversazione, basata in menzogne mascherate: “Dio ha
detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino”, (1° menzogna); “Non morirete affatto” (2°
menzogna); “diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male” (3° menzogna).

A partire da questa serie di bugie, presenta il Diavolo un panorama seducente, opposto a quello di Dio, ma
apparentemente migliore, tentando di ottenere per l'inganno la decisione libera e volontaria dell'uomo alla sua
proposta. Se questa si produce, sorgerà allora quello che chiamiamo peccato, che risulta allora chiaro che
consiste in una disubbidienza a quello che ci chiede Dio affinché otteniamo il bene supremo di arrivare ad
essere come Egli, vivendo e condividendo eternamente la sua propria vita.

A chè cosa ricorre la tentazione per riuscire la sua commissione? Al desiderio dell'uomo di essere come Dio per
i suoi propri mezzi e cammini, e non secondo la maniera in che Dio vuole che l'ottenga. Questo è quello che si



15
conosce come superbia, che etimológicamente significa "essere sull'essere", cioè, essere onnipotente, non
dipendere da nessuno.

In questo troviamo precisamente il maggiore nonsenso del peccato: Dio vuole elevare l'uomo affinché viva la
sua stessa vita, a che sia "come" Egli, e per questo motivo vuole guidarlo per un cammino sicuro che lo porterà
ad ottenere questo fine ultimo. Ma l'uomo disattende questa chiamata, perché egli vuole "essere come Dio", ma
attraverso i suoi propri cammini, che possono portarlo in realtà a perdere la possibilità di raggiungere quella
fine.

Nell'origine di ogni peccato umano troviamo sempre questi componenti: non ascoltare a Dio, disubbidendolo;
lasciarsi portare per la tentazione (che a quella proveniente di Satana, come la visse il primo uomo, si unirà
dopo la caduta per il peccato originale un'altra tentazione che viene dell'interno stesso dell'anima, chiamata la
concupiscenza), volendo essere "come Dio" per superbia, considerandosi autosufficiente e non dipendendo dal
suo Creatore.
L'atteggiamento di superbia esiste sempre nella disubbidienza a Dio, perché implica sentirsi al di sopra di Lui,
non dovendo compiere cioè quello che gli chiede, non avendo bisogno di Dio.

San Paolo esprime con chiarezza il suo concetto del peccato:
“In realtà l'ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità
nell'ingiustizia, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno
vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa. Mentre si dichiaravano sapienti, sono
diventati stolti e hanno cambiato la gloria dell'incorruttibile Dio con l'immagine e la figura dell'uomo
corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili.” (19)

Vediamo il commento su questa Parola di un autore spirituale moderno:
"L'oggetto primario della riprovazione divina l'identifica San Paolo con l'empietà ("asebeia" in greco). Questa
empietà consiste nella negativa a glorificare e rendere grazie a Dio. In altre parole, nella negativa a
riconoscere a Dio come Dio, e non tributarle la considerazione che gli è dovuta. Consiste, potremmo dire, in
'ignorare' a Dio, dove ignorare non significa tanto 'non sapere che esiste' quanto 'fare come se non esistesse.'
Ridotto al suo nucleo germinale, il peccato è negare questo 'riconoscimento'; è il tentativo, da parte della
creatura, di cancellare, per propria iniziativa, quasi con prepotenza, la differenza infinita che ci è tra lei e Dio.
È qualcosa di molto più oscuro e terribile di quello che l'uomo può immaginare o dire.
Questa negativa ha preso corpo, concretamente, nell'idolatria, dove si adora la creatura invece del Creatore.
Nell'idolatria, l'uomo non 'accetta' a Dio, ma si fabbrica un Dio, egli è chi decide per Dio, non alla rovescia.
Le parti si invertono: l'uomo si trasforma nel vasaio e Dio nel vaso che egli modella come gli piace." (20)

È molto chiara la conclusione che qui si evidenzia: il peccato muta totalmente la relazione che deve esistere tra
Dio e la sua creatura; vedremo di seguito le terribili conseguenze nell'umanità che produce questa situazione
"più oscura e terribile di quello che l'uomo può immaginare o dire."


Le conseguenze del peccato.

A causa del peccato si produce un fatto che cambia radicalmente la situazione dell'uomo dopo essere stato
creato: la creatura di Dio perde lo stato di giustizia originale per trovarsi nello stato peccaminoso. Questo è
esemplificato nella Bibbia con l'espulsione dell'uomo del Paradiso:

“All'uomo disse: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell'albero, di cui ti avevo
comandato: Non ne devi mangiare, maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i
giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l'erba campestre. Con il sudore del tuo volto
mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere
tornerai!». Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da dove era stato tratto.”
(21)



16
L'essere umano perde la grazia santificante che aveva ricevuto ed i doni che ella implicava. Ma la cosa più
aggravante di questa situazione è che il primo essere umano (uomo e donna), aveva ricevuto tutti quelli benefici
soprannaturali per lui e per la sua discendenza.
Pertanto l'essenza di quello che produce il peccato originale nell'uomo è la caduta in disgrazia (perdita della
grazia), situazione che si trasmetterà a tutta la discendenza umana.

L'uomo rimane ferito nella sua stessa natura razionale, e dovrà lottare permanentemente contro la sua tendenza,
spinta per la tentazione, di volere stabilire per sé stesso la legge morale, in forma indipendente del suo Creatore,
o, peggiore ancora, contro lo stesso.

Il "albero della scienza del bene e del male" rappresenta il limite che l'uomo non può varcare nella sua relazione
con Dio. Solo Dio è la Verità e la Bontà assolute, il Legislatore Supremo, di chi deriva ogni legge nel mondo
creato, ed in particolare le leggi della natura umana. Come conseguenza, quando l'uomo vuole decidere per sé
stesso quello che è il bene e quello che è il male, sta occupando il posto di Dio.

A partire dal peccato originale, l'uomo destinato ad essere immortale, a non patire sofferenze né dolori, ed avere
un'intelligenza rischiarata per conoscere la verità, comincerà un transito per una vita in cui "dovrà guadagnarsi
il pane col sudore della sua fronte", e la morte farà la sua entrata nella storia dell'umanità. Sorgerà allora sulla
terra quella terribile realtà che gli uomini denominano genericamente il “male".

Dice il ricordato Papa Giovanni Paolo II:
“Dobbiamo affrontare innanzitutto il tema del peccato, questa realtà oscura diffusa nel mondo creato da Dio,
che è alla radice di tutto il male nell’uomo e si può dire nel creato.” (22)

Chè cosa è il male? In principio la risposta che dà il cristianesimo a questa domanda è diversa a quella di altre
tradizioni religiose. Secondo la Rivelazione, il male non è qualcosa creato per Dio, poiché tutto quello creato da
Lui è buono, come lo testimonia la Bibbia nel racconto dei sei giorni della creazione, che finisce sempre con la
stessa frase: "E Dio vide che era cosa buona" (23).

Sant’Agostino definì il male come la "assenza di bene"; quando non si pratica il bene (situazioni di peccato), si
dà luogo a che appaia il male. Può darsi un esempio semplice per capire questo concetto: succede come con la
luce e l'oscurità; quella che esiste è la luce, non l'oscurità. L'oscurità è mancanza di luce. Se c'è luce non posso
portare oscurità in una valigia e metterla nel suo posto; l'oscurità appare solo quando la luce sparisce, quando è
coperta o spenta. Allo stesso modo, se tutto fosse bene, il male sparirebbe, non esisterebbe.

Giovanni Paolo II sosteneva questa dottrina con molta enfasi:

“Così dunque la realtà della sofferenza provoca l'interrogativo sull'essenza del male: che cosa è il male?
Questo interrogativo sembra, in un certo senso, inseparabile dal tema della sofferenza. La risposta cristiana ad
esso è diversa da quella che viene data da alcune tradizioni culturali e religiose, le quali ritengono che
l'esistenza sia un male, dal quale bisogna liberarsi. Il cristianesimo proclama l'essenziale bene dell'esistenza e
il bene di ciò che esiste, professa la bontà del Creatore e proclama il bene delle creature. L'uomo soffre a
causa del male, che è una certa mancanza, limitazione o distorsione del bene. Si potrebbe dire che l'uomo
soffre a motivo di un bene al quale egli non partecipa, dal quale viene, in un certo senso, tagliato fuori, o del
quale egli stesso si è privato.” (24)


Il male fa soffrire l'uomo, come un'esclusione del bene, ed è conseguenza del peccato, già sia proprio o altrui. Il
male si estende come conseguenza della peccaminosità che si manifesta negli uomini, che produce conseguenze
che già San Paolo descriveva con molta crudezza:

“Perciò Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i
propri corpi, poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la
creatura al posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen.



17
Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in
rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono
accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se
stessi la punizione che s'addiceva al loro traviamento. E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li
ha abbandonati in balìa d'una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno, colmi come sono
di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d'invidia, di omicidio, di rivalità, di
frodi, di malignità; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male,
ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia.” (25)

Pensiamo che questa situazione, scritta quasi 2000 anni fa, continua ad essere una realtà spaventosa nel mondo,
alla quale nessuno può sottrarsi.

Dobbiamo anche tenere in conto qualcosa di fondamentale: il peccato ha influenza su tutti, poiché non esiste il
peccato con conseguenze solamente individuali o personali. Anche Giovanni Paolo II parlò chiaramente delle
conseguenze del peccato personale, che vanno oltre quello che lo commette:

“Il peccato, in senso vero e proprio, è sempre un atto della persona, perché è un atto di libertà di un singolo
uomo, e non propriamente di un gruppo o di una comunità. Quest'uomo può essere condizionato, premuto,
spinto da non pochi né lievi fattori esterni, come anche può essere soggetto a tendenze, tare, abitudini legate
alla sua condizione personale. In non pochi casi tali fattori esterni e interni possono attenuare, in maggiore o
minore misura, la sua libertà e, quindi, la sua responsabilità e colpevolezza. Ma è una verità di fede,
confermata anche dalla nostra esperienza e ragione, che la persona umana è libera. Non si può ignorare
questa verità, per scaricare su realtà esterne - le strutture, i sistemi, gli altri - il peccato dei singoli. Oltretutto,
sarebbe questo un cancellare la dignità e la libertà della persona, che si rivelano - sia pure negativamente e
disastrosamente - anche in tale responsabilità per il peccato commesso. Perciò, in ogni uomo non c'è nulla di
tanto personale e intrasferibile quanto il merito della virtù o la responsabilità della colpa.
Atto della persona, il peccato ha le sue prime e più importanti conseguenze nel peccatore stesso: cioè, nella
relazione di questi con Dio, che è il fondamento stesso della vita umana; nel suo spirito, indebolendone la
volontà e oscurandone l'intelligenza...
Parlare di peccato sociale vuol dire, anzitutto, riconoscere che, in virtù di una solidarietà umana tanto
misteriosa e impercettibile quanto reale e concreta, il peccato di ciascuno si ripercuote in qualche modo sugli
altri. E', questa, l'altra faccia di quella solidarietà che, a livello religioso, si sviluppa nel profondo e magnifico
mistero della comunione dei santi, grazie alla quale si è potuto dire che «ogni anima che si eleva, eleva il
mondo». A questa legge dell'ascesa corrisponde, purtroppo, la legge della discesa, sicché si può parlare di una
comunione del peccato, per cui un'anima che si abbassa per il peccato abbassa con sé la Chiesa e, in qualche
modo, il mondo intero. In altri termini, non c'è alcun peccato, anche il più intimo e segreto, il più strettamente
individuale, che riguardi esclusivamente colui che lo commette. Ogni peccato si ripercuote, con maggiore o
minore veemenza, con maggiore o minore danno, su tutta la compagine ecclesiale e sull'intera famiglia
umana.” (26)

Così appare qualcosa che in sé stesso è un gran mistero, ed è la sofferenza dell'innocente. Molti soffrono, non
per il suo proprio peccato, bensì per il peccato che li circonda nel mondo. Il Concilio Vaticano II richiamò
molto concretamente l'attenzione su questo tema:

“Soprattutto oggi urge l'obbligo che diventiamo prossimi di ogni uomo e rendiamo servizio con i fatti a colui
che ci passa accanto: vecchio abbandonato da tutti, o lavoratore straniero ingiustamente disprezzato, o
esiliato, o fanciullo nato da un'unione illegittima, che patisce immeritatamente per un peccato da lui non
commesso.
Inoltre tutto ciò che è contro la vita stessa, come ogni specie di omicidio, il genocidio, l'aborto, l'eutanasia e lo
stesso suicidio volontario; tutto ciò che viola l'integrità della persona umana, come le mutilazioni, le torture
inflitte al corpo e alla mente, le costrizioni psicologiche; tutto ciò che offende la dignità umana, come le
condizioni di vita subumana, le incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la schiavitù, la prostituzione, il
mercato delle donne e dei giovani, o ancora le ignominiose condizioni di lavoro, con le quali i lavoratori sono
trattati come semplici strumenti di guadagno, e non come persone libere e responsabili: tutte queste cose, e



18
altre simili, sono certamente vergognose. Mentre guastano la civiltà umana, disonorano coloro che così si
comportano più ancora che quelli che le subiscono e ledono grandemente l'onore del Creatore.” (27)

Abbiamo così espresse le conseguenze del peccato originale che ancora noi sperimentiamo oggi dolorosamente,
e che a molti fa addirittura mettere in questione a Dio, e che può in alcuni casi arrivare alla negazione stessa del
Creatore. Tuttavia, quando si penetra nella verità del peccato, non solo si vede che è colpa dell'uomo, ma la
Bibbia ci permette affacciarsi ad un concetto inaudito: la sofferenza di Dio per il peccato degli uomini.
Vediamo quello che spiega al riguardo un gran scrittore spirituale e predicatore contemporaneo:

"Uno dei motivi che più ha contribuito nello spirito umano a questo rifiuto del Padre è il dolore degli
innocenti. Si dice: Non possiamo accettare ad un Dio che permette il dolore di tanti bambini innocenti! E se si
cerca di farle vedere che anche Gesù ha sofferto, allora rispondono: Precisamente Gesù è il nostro principale
argomento! Perché ha dovuto soffrire anche egli? Lui, almeno, è sicuro che era innocente! In fondo del
risentimento umano verso Dio Padre troviamo, dunque, la sofferenza del mondo, il fatto che egli, –l’uomo-
soffre, e Dio no; che il Figlio ha sofferto, mentre il Padre rimaneva impassibile. Per quel motivo, con l'aiuto
dello Spirito, vogliamo cercare di illuminare questo fatto. E soprattutto, rispetto all'atteggiamento del Padre
davanti alla sofferenza in generale.
Quando la Bibbia entrò in contatto con la filosofia, quello che maggiore scandalo causò furono le ‘passioni’ di
Dio, il fatto che il Dio della Bibbia ‘soffrisse’. In effetto, leggiamo nell'Antico Testamento, che a Dio ‘gli pesò
nel cuore’ (Genesi 6,6), che fu ‘arrabbiato’ nel deserto (Salmi 78,40). E non si tratta solo di poche frasi scelte.
Tutta la Bibbia è piena, di principio a fine, di una specie di lamento afflitto di Dio, che si esprime in quello
grido: ‘Popolo mio, chè cosa ti feci, in chè cosa ti disturbai? Rispondimi’ (Michea 6,3). La ragione profonda di
questo lamento è l'amore del Padre tradito: ‘Figli ho allevato ed educato, ed essi si sono ribellati contro me’
(Isaia 1,2). Ma Dio non si affligge per sé, come se gli mancasse qualcosa; si affligge per l'uomo che, di quella
maniera, si perde. Si affligge, dunque, per puro amore. La Bibbia non ha paura di tirare fuori alla luce una
certa ‘impotenza’ di Dio, causata per il suo amore all'uomo. Gli uomini fanno di tutto per provocare a Dio coi
suoi idoli e la sua ribellione; in giustizia, Dio dovrebbe distruggerli, tuttavia assistiamo ad un dibattito, ad un
certo dramma, in Dio stesso, rivelato per queste parole pronunciate attraverso Osea: “Come farei a lasciarti, o
Efraim? Come farei a darti in mano altrui, o Israele? Il mio cuore si commuove tutto dentro di me, tutte le mie
compassioni si accendono. Io non sfogherò la mia ira ardente” (Osea 11,8-9)
Certamente le parole ‘passione’, ‘sofferenza’, applicate a Dio, hanno un significato analogico, differente al che
hanno nell'ambito umano. In Lui si tratta di una sofferenza infinitamente libera, non sottomessa a nessuna
necessità o fatto, che non distrugge gli altri attributi divini, ma li conferma, anche se noi non vediamo come.
Una radicale incapacità per soffrire, al contrario, costituirebbe, per Dio, -indicavano alcuni Padri antichi-,
una limitazione e sarebbe un segno di libertà mancata. Dio può anche, se vuole, soffrire, e, dato che ama, lo
vuole. La passione di Dio è segno di una sovranità e potere infiniti, non meno che le altre perfezioni sue.”(28)

Aiutati per la Parola di Dio e per il Magistero della Chiesa abbiamo potuto penetrare nella realtà del peccato,
nel suo concetto e le sue conseguenze. Abbiamo presente che il peccato che si evidenzia, in molti casi porta
conseguenze personali dirette sul peccatore, quando si trasgrediscono le leggi del diritto umano, come succede
col furto, la violenza e gli assassini, le violazioni, le truffe, la tratta di bianche, la prostituzione e la pornografia
infantile, il traffico di droghe ed altri delitti penati per la legge.

Quando il peccato rimane nascosto, non trascende, o non è penalizzato per le leggi del mondo, che sono sempre
di più permissive in tanti casi, ricorrendo ad eccessi come la libertà ad oltranza delle persone, o allla non
discriminazione senza limite di certi individui per la società, rimane, tuttavia, una pena interna, che in ultima
istanza affronta l'uomo con Dio, benché sia credente o no, ed è quella che produce la chiamata voce della
coscienza.

Questa situazione di fronte a Dio ed ai suoi comandamenti non sarà possibile di evitare nelle sue conseguenze,
come molte volte possono evitarsi le leggi umane e le sue punizioni. Questo lo vedremo in dettaglio in un altro
capitolo, quando tratteremo quello che dovrà affrontare l'uomo nella sua anima immortale dopo che trasponga
quella soglia tanto temuta che separa la vita dalla morte fisica.



19
In quanto alle conseguenze del peccato altrui, quello che chiamiamo la sofferenza dell'innocente, questo
rappresenta qualcosa di molto più complesso e misterioso, poiché Dio, sebbene non è chi lo produce, come già
lo vedemmo, in molti casi lo permette, cioè, non agisce per evitarlo, e sa tirare fuori di lui un bene,
rappresentato per conversioni di vita, per pentimento di mali commessi, ed anche per espiazioni volontarie a
beneficio di altri. Tutte queste situazioni vanno unite direttamente al senso della Redenzione degli uomini
ottenuta per Gesù Cristo attraverso la croce, che analizzeremo un po' più avanti.


La perdita del senso del peccato.

Un altro aspetto importante riferito al tema del peccato nella nostra epoca è la perdita che ha sofferto in
generale nella società moderna il senso del peccato. Il Papa Giovanni Paolo II ha approfondito questo tema, in
quanto a che cosa è quello che si denomina senso del peccato e quali sono i principali motivi affinché questo
succeda oggi in una forma chiara. Vediamo quello che ci dice attraverso la sua autorizzata parola:

“Dal Vangelo letto nella comunione ecclesiale la coscienza cristiana ha acquisito, lungo il corso delle
generazioni, una fine sensibilità e un'acuta percezione dei fermenti di morte, che sono contenuti nel peccato.
Sensibilità e capacità di percezione anche per individuare tali fermenti nelle mille forme assunte dal peccato,
nei mille volti sotto i quali esso si presenta. E' ciò che si suol chiamare il senso del peccato.
Questo senso ha la sua radice nella coscienza morale dell'uomo e ne è come il termometro. E' legato al senso
di Dio, giacché deriva dal rapporto consapevole che l'uomo ha con Dio come suo creatore, Signore e Padre.
Perciò, come non si può cancellare completamente il senso di Dio né spegnere la coscienza, così non si
cancella mai completamente il senso del peccato.
Eppure, non di rado nella storia, per periodi di tempo più o meno lunghi e sotto l'influsso di molteplici fattori,
succede che viene gravemente oscurata la coscienza morale in molti uomini. «Abbiamo noi un'idea giusta della
coscienza»? - domandavo due anni fa in un colloquio con i fedeli -. «Non vive l'uomo contemporaneo sotto la
minaccia di un'eclissi della coscienza? di una deformazione della coscienza? di un intorpidimento o di
un'"anestesia" delle coscienze?». Troppi segni indicano che nel nostro tempo esiste una tale eclissi...
Il «secolarismo», il quale, per la sua stessa natura e definizione, è un movimento di idee e di costumi che
propugna un umanesimo che astrae totalmente da Dio, tutto concentrato nel culto del fare e del produrre e
travolto nell'ebbrezza del consumo e del piacere, senza preoccupazione per il pericolo di «perdere la propria
anima», non può non minare il senso del peccato. Quest'ultimo si ridurrà tutt'al più a ciò che offende l'uomo.
Svanisce questo senso del peccato nella società contemporanea anche per gli equivoci in cui si cade
nell'apprendere certi risultati delle scienze umane. Così in base a talune affermazioni della psicologia, la
preoccupazione di non colpevolizzare o di non porre freni alla libertà, porta a non riconoscere mai una
mancanza. Per un'indebita estrapolazione dei criteri della scienza sociologica si finisce - come ho già
accennato - con lo scaricare sulla società tutte le colpe, di cui l'individuo vien dichiarato innocente.
La perdita del senso del peccato, dunque, è una forma o un frutto della negazione di Dio: non solo di quella
ateistica, ma anche di quella secolaristica. Se il peccato è l'interruzione del rapporto filiale con Dio per
portare la propria esistenza fuori dell'obbedienza a lui, allora peccare non è soltanto negare Dio; peccare è
anche vivere come se egli non esistesse, è cancellarlo dal proprio quotidiano. Ristabilire il giusto senso del
peccato è la prima forma per affrontare la grave crisi spirituale incombente sull'uomo del nostro tempo.” (29)

La crisi di estrema gravità che colpisce l'uomo moderno nella sua esistenza di multiple forme, include questa
perdita del senso del peccato. Come affrontarla?
È rimasto chiaro che il peccato si evidenzia sempre in relazione a Dio, specialmente quando l'uomo confronta le
sue azioni ed atteggiamenti con l'amore e la misericordia di Dio.

Se l'uomo recuperasse l’esperienza profonda nel suo spirito dell'amore travolgente della Santissima Trinità
verso lui, la sua creatura, che si traduce nella misericordia infinita del Padre, nell'amicizia senza restrizioni e
redentrice del Figlio incarnato in Gesù Cristo, e nell'azione interna di guida verso la verità dello Spirito Santo,
sarebbe immediata la sua avversione fino all'orrore verso il peccato, perché non vivrebbe oramai come se Dio
non esistesse, ma Dio farebbe parte integrante della sua esistenza giornaliera.



20
Questo detto sopra può essere ottenuto di un'unica maniera, che è vivendo sempre più profondamente la piena
vita cristiana, ed è l'obiettivo di questo libro tentare di chiarificare in chè cosa consiste e come si vive questa
vita nuova e soprannaturale che è dono di Dio.



PARTE PRIMA


I Riferimenti al Capitolo 2:


(8): Catechismo della Chiesa Cattolica, N° 283, 284 e 285
(9): Concilio Vaticano I, Const. “Dei Filius”, Cap. 1
(10): Genesi 1,26
(11): Genesi 1,28
(12): Romano Guardini, “Meditazioni Teologiche”, “Il principio delle cose”, Cap. V
(13): Genesi 3,1-7
(14): Sapienza 2,24; Giovanni 8,44; Apoc. 12,9; Apoc. 20,2
(15): Catechismo della Chiesa Cattolica, 1992, N° 391: Dietro la scelta disobbediente dei nostri progenitori c'è
una voce seduttrice, che si oppone a Dio, [Cf Gen 3,1-5 ] la quale, per invidia, li fa cadere nella morte [Cf Sap
2,24 ]. La Scrittura e la Tradizione della Chiesa vedono in questo essere un angelo caduto, chiamato Satana o
diavolo [Cf Gv 8,44; 391 Ap 12,9 ]. La Chiesa insegna che all'inizio era un angelo buono, creato da Dio.
“Diabolus enim et alii dÍmones a Deo quidem natura creati sunt boni, sed ipsi per se facti sunt mali - Il diavolo
infatti e gli altri demoni sono stati creati da Dio naturalmente buoni, ma da se stessi si sono trasformati in
malvagi” [Concilio Lateranense IV (anno 1215)
(16): Genesi 2,16-17
(17): Siracide 15,13-17
(18): Catechismo della Chiesa Cattolica, N° 397
(19): Rom. 1,18.21-23
(20): Raniero Cantalamessa: “La Vita nella Signoria di Cristo”, Cap. II
(21): Genesi 3,17-19.23
(22): Giovanni Paolo II, Catechesi sul Peccato e Redenzione, 27/08/1986
(23): Genesi 1,10; 1,12; 1,21; 1,25; 1,31
(24): Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica “Salvifici Doloris”, N° 7
(25): Rom. 1,24-31
(26): Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica “Reconciliato et Paenitentia”, N° 16
(27): Concilio Vaticano II, Costituzione “Gaudium et Spes”, N° 27
(28): Raniero Cantalamessa, “La vita nella Signoria di Cristo”, Cap VI
(29): Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica “Reconciliato et Paenitentia”, N1 18



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Parte Prima: l’Origine Della Vita Cristiana



Capitolo 3: Dio Non Abbandona L’Uomo: L’Antico Testamento






La promessa di Salvazione di Dio di fronte al peccatto degli uomini.


Il panorama che presenta la realtà del peccato dell'uomo, e le sue funeste conseguenze fino al giorno di oggi,
per alcuni è segno del "fallimento di Dio", in quanto creó all'uomo con un proposito, ma, esercitando l'uomo la
sua libertà nel senso sbagliato, questo proposito si vide frustrato per il peccato e la caduta conseguente
dell'uomo dallo stato di "giustizia originale" in cui era stato creato, entrando nel dominio del dolore, la
sofferenza e la morte.

Alcuni correnti filosofiche come il "deismo" sostengono questo abbandono dell'uomo per Dio dopo la
creazione, ma la realtà che ci presenta la Rivelazione è assolutamente diversa: Dio non abbandona l'uomo dopo
il peccato originale; ma la cosa più straordinaria è che Dio interverrà costantemente nella storia dell'uomo, per
riuscire ad avviarlo, rispettando sempre la libertà con la quale lo creó, al compimento del suo proposito eterno.

È fondamentale per ogni cristiano potere vedere con chiarezza, a partire dagli avvenimenti che si succedono nei
libri della Bibbia che formano il "Antico Testamento", questo intervento pieno di amore e misericordia di Dio,
che culminerà con la più eccelsa delle sue opere d’amore: l'invio del suo proprio Figlio per incarnarsi nella
natura umana, portando così a termine il suo proposito creatore. Questi avvenimenti si ripetono nei microcosmi
delle nostre proprie persone, e c'aiuteranno a percepire e comprendere l'intervento divino nelle nostre vite.

Il Concilio Vaticano II c'insegna:
“Dio, il quale crea e conserva tutte le cose per mezzo del Verbo (cfr. Gv 1,3), offre agli uomini nelle cose
create una perenne testimonianza di sé (cfr. Rm 1,19-20); inoltre, volendo aprire la via di una salvezza
superiore, fin dal principio manifestò se stesso ai progenitori. Dopo la loro caduta, con la promessa della
redenzione, li risollevò alla speranza della salvezza (cfr. Gn 3,15), ed ebbe assidua cura del genere umano, per
dare la vita eterna a tutti coloro i quali cercano la salvezza con la perseveranza nella pratica del bene (cfr. Rm
2,6-7). A suo tempo chiamò Abramo, per fare di lui un gran popolo (cfr. Gn 12,2); dopo i patriarchi ammaestrò
questo popolo per mezzo di Mosè e dei profeti, affinché lo riconoscesse come il solo Dio vivo e vero, Padre
provvido e giusto giudice, e stesse in attesa del Salvatore promesso, preparando in tal modo lungo i secoli la
via all'Evangelo.” (30)

Pertanto, ci sono distinte tappe principali che segnano nel divenire della storia umana l'intervento deciso di Dio,
e che vedremo sinteticamente in questo capitolo.

Già nello stesso momento in cui si produsse la caduta dell'uomo a causa del peccato originale, il libro del
Genesi ci presenta la speranzosa promessa che Dio fa agli uomini:

“Allora il Signore Dio disse al serpente: ‘Poiché tu hai fatto questo, sii tu maledetto più di tutto il bestiame e
più di tutte le bestie selvatiche; sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. Io
porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai
il calcagno’.” (31)

Insegna il Papa Giovanni Paolo II:



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“Così dunque il passo di Gen 3, 9-15 (e anche il seguito di questo capitolo) contiene la risposta di Dio al
primo peccato dell’uomo. È una risposta diretta al primo peccato, e al tempo stesso una riposta in prospettiva,
perché si riferisce a tutta la storia futura dell’uomo sulla terra, fino al suo termine. Tra la Genesi e
l’Apocalisse esistono una vera continuità e insieme una profonda coerenza nella verità rivelata da Dio.
Queste parole della Genesi vengono definite come il “protoevangelo”, ossia come il primo annunzio del
Messia Redentore. L’analisi del “protoevangelo” ci fa dunque conoscere, attraverso l’annuncio e la promessa
in esso contenuti, che Dio non ha abbandonato l’uomo in potere del peccato e della morte. Ha voluto
soccorrerlo e salvarlo.
Le parole stesse del “protoevangelo” esprimono questa condiscendenza salvifica, quando annunciano la lotta
(“porrò inimicizia!”) tra colui che rappresenta “le potenze delle tenebre” e Colui che la Genesi chiama “la
stirpe della donna” (“la sua stirpe”). È una lotta che si concluderà con la vittoria di Cristo (“ti schiaccerà la
testa”). Però questa sarà la vittoria riportata a prezzo del sacrificio della croce (“e tu le insidierai il
calcagno”).” (32)

Nello stesso momento che l'uomo cade nel peccato delle origini, appare senza ritardi la misericordia divina. Dio
fa una promessa di salvazione che abbraccerà tutta la storia salvífica fino al fine dei tempi, e dove si intravede
una lotta, ancora misteriosa, tra la discendenza della prima donna (l'umanità), e Satana.

Vedremo di seguito come si va sviluppando questa storia salvífica, come Dio interviene ed opera nella storia
umana per portare all'uomo al compimento del suo destino finale. Non sarà mai esagerato risaltare la tremenda
importanza che ha l'intervento sovrano e personale di Dio nella storia del genere umano, quello che non arriva
ad essere captato, in generale, per molte persone.


L’Alleanza con Noè, il Diluvio, la Torre di Babele.

A partire dal peccato di Adamo ed Eva, il mondo si immerge nella sofferenza che produce la fragile condizione
dell'uomo privato della grazia di Dio. Già nei figli di quella prima coppia si vedono le conseguenze, e si
produce il primo omicidio della storia, niente meno che di un fratello, Caino, contro l'altro suo fratello, Abele.

La Bibbia ci presenta questa situazione:

“Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal loro
cuore non era altro che male. E il Signore si pentì di aver fatto l'uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo.
Il Signore disse: «Sterminerò dalla terra l'uomo che ho creato: con l'uomo anche il bestiame e i rettili e gli
uccelli del cielo, perché sono pentito d'averli fatti». Ma Noè trovò grazia agli occhi del Signore.” (33)

Quello che Dio si "sia pentito" della sua creazione, è, ovviamente, un antropomorfismo, che cerca descrivere
l'afflizione del cuore paterno di Dio di fronte all'umanità sviata per il peccato. Il racconto di Noé e del diluvio
universale (34), riconosce radici in miti orientali, ma l'autore biblico l'elabora per presentare un insegnamento
chiaro sulla malvagità dell'uomo e la giustizia e la misericordia di Dio, che puniranno il peccatore e salveranno
al giusto.
La giustizia di Dio si manifesta nel fatto che il peccatore deve morire, benché la misericordia del Creatore
salverà un piccolo resto, il patriarca Noè e la sua famiglia, per farlo una specie di secondo padre del lignaggio
umano.

Ugualmente Dio stabilirà un'alleanza con Noè ed i suoi discendenti; questa alleanza evidenzierà che Dio ha per
volontà gratuita e libera continuare la sua opera tra gli uomini, e che sebbene fosse stato giusto che Dio
eliminasse completamente al genere umano, così Egli non lo vuole:

“Quanto a me, ecco io stabilisco la mia alleanza con i vostri discendenti dopo di voi; con ogni essere vivente
che è con voi, uccelli, bestiame e bestie selvatiche, con tutti gli animali che sono usciti dall'arca. Io stabilisco
la mia alleanza con voi: non sarà più distrutto nessun vivente dalle acque del diluvio, né più il diluvio
devasterà la terra.” (35)



23
Questo passo ci trasmette due grandi verità rispetto alla relazione di Dio con gli uomini: da una parte, che Dio è
giusto e che non accetta il peccato ed il male che produce, e che, nella sua sovranità e potere, può cancellare in
un attimo la sua propria creazione, se così lo volesse; ma, d'altra parte, appare anche brillando il suo amore e
misericordia, che lo fa impietosirsi della debolezza dell'uomo, e lo porterà a dargli quello che sia necessario per
la sua salvazione.

Appare anche qui l'importante nozione del "resto", che mostra che ancora, in mezzo alla malvagità ed il peccato
generalizzati, rimane sempre almeno un piccolo numero di persone, un resto, che cerca a Dio con sincerità di
cuore; sarà a partire da questi "resti" che si daranno durante la storia umana che Dio potrà ricreare il suo
proposito eterno di salvazione per l'uomo.

Il diluvio è figura chiara di un giudizio di Dio sull'umanità, ed annuncio profetico del Giudizio Finale di Dio sul
mondo, come l'annuncerà Gesù. (36).
L'alleanza di Dio con Noè e la sua famiglia, il cui simbolo e segno è l'arcobaleno, assicurerà all'umanità caduta
la fedeltà di Dio per riuscire il compimento del suo proposito eterno quando creò l'uomo.

Dopo del diluvio, la terra si ripopolò a partire dalla discendenza di Noè, e gli uomini si raggrupparono "nei loro
territori, ciascuno secondo la propria lingua e secondo le loro famiglie, nelle loro nazioni." (37), e “si
dispersero le nazioni sulla terra dopo il diluvio” (38).
In questo contesto si produsse l'episodio di Babele, raccontato anche nel Genesi (39), che mostra il peccato del
genere umano in quanto a che vuole raggiungere la sua unità al margine di Dio: gli uomini vogliono edificare
una città, riunirsi in un insieme sociale ed essere forti e poderosi senza Dio. Questo tentativo concluderà col
fallimento e nella disunione e dispersione della famiglia umana, come sussiste oggigiorno nella terra, ma il
proposito di Dio sul mondo continuerà ad avanzare per ottenere un giorno quell'unità della razza umana.


Abramo, la promessa e l’Alleanza

Dio darà un nuovo passo nel suo paziente cammino per salvare gli uomini dal peccato: deciderà di procurarsi
un popolo, al quale formerà a partire dall'elezione di un uomo, Abramo (Abram), a chi l'imporrà un nuovo
nome, Abrahamo (Abraham), che significa "il padre di molti popoli."

Dio sceglie e chiama questo uomo di una maniera che non lascia posto a dubbi che c'è lì un intervento divino,
miracoloso. Gli fa una promessa solenne:
“Allora il Signore disse ad Abram, dopo che Lot si era separato da lui: «Alza gli occhi e dal luogo dove tu stai
spingi lo sguardo verso il settentrione e il mezzogiorno, verso l'oriente e l'occidente. Tutto il paese che tu vedi,
io lo darò a te e alla tua discendenza per sempre. Renderò la tua discendenza come la polvere della terra: se
uno può contare la polvere della terra, potrà contare anche i tuoi discendenti».” (40)

Dopo la promessa, Dio fa con Abramo un'alleanza, che implicherà che oltre all'elezione di un popolo per Lui,
ci sarà un patto tra Dio ed il suo popolo, rappresentato per chi sarà il suo iniziatore, Abramo:

“Quando Abram ebbe novantanove anni, il Signore gli apparve e gli disse: «Io sono Dio onnipotente:
cammina davanti a me e sii integro. Porrò la mia alleanza tra me e te e ti renderò numeroso molto, molto.»
Subito Abram si prostrò con il viso a terra e Dio parlò con lui: «Eccomi: la mia alleanza è con te e sarai padre
di una moltitudine di popoli. Non ti chiamerai più Abram ma ti chiamerai Abraham perché padre di una
moltitudine di popoli ti renderò. E ti renderò molto, molto fecondo; ti farò diventare nazioni e da te nasceranno
dei re. Stabilirò la mia alleanza con te e con la tua discendenza dopo di te di generazione in generazione, come
alleanza perenne, per essere il Dio tuo e della tua discendenza dopo di te».” (41)

Quello che chiama l’attenzione è che Abramo aveva già novanta nove anni, e sua moglie Sara, novanta, e come
ella era stata sterile tutta la sua vita, non avevano figli.
Per quel motivo, quando Abramo ascoltò le parole di Yahveh, non potè evitare di mettersi a ridere, e la stessa
cosa fece sua moglie quando s’accorge:



24
“Allora Abramo si prostrò con la faccia a terra e rise e pensò: «Ad uno di cento anni può nascere un figlio? E
Sara all'età di novanta anni potrà partorire?».” (42)

Tuttavia, Dio farà un miracolo, ed Abramo e Sara avranno un figlio al quale chiameranno Isacco. Con questo
inizio tanto modesto, a partire d’una coppia di anziani che non avevano figli, Dio porterà a termine il suo piano
per acquisire un popolo proprio, che più avanti porterà il nome di “Israele”, e che sarà conosciuto come il
popolo eletto.
Questo popolo sarà il destinatario, d'ora in poi, della rivelazione di Dio, a lui gli parlerà Dio attraverso i suoi
servi i profeti, ed avrà la missione di essere luce per tutte le altre nazioni, o popoli gentili, affinché, a partire dal
suo esempio, tutta la terra arrivi a conoscere a Dio e riceva le sue benedizioni.

L'alleanza di Dio col suo popolo, a partire dall'elezione di Abramo come padre dello stesso, implicherà, come
ogni patto, una contropartita in quanto al suo atteggiamento verso Dio, che Egli riassume in queste semplici
parole ad Abramo che vedemmo già: "Cammina davanti a me e sii integro." Che cosa significava questa
esigenza?: implicava camminare nella presenza di Dio, tentando di ascoltare la sua voce in ogni momento, e
l’integrità si traduceva in mansuetudine e semplicità di cuore, in spirito distaccato delle cose materiali (spirito
di povertà), in rassegnazione nelle tribolazioni e fede infrangibile in Dio, ed in oneste e pacifiche abitudini di
vita.

La discendenza di Abramo continua a crescere (43); suo figlio Isacco si sposa con Rebecca, chi risulterà anche
sterile, ma Isacco pregò a Yahveh ed Egli l'ascoltò:

“Isacco supplicò il Signore per sua moglie, perché essa era sterile e il Signore lo esaudì, così che sua moglie
Rebecca divenne incinta.” (44)

Rebecca ebbe gemelli, Esaù e Giacobbe.
I figli di Giacobbe, chi aveva ricevuto da parte di Dio un nuovo nome, Israele, spinti per la scarsità di alimenti e
la fame nel suo paese, andarono in Egitto, aiutati per la Provvidenza divina, che fece che uno di essi, Giuseppe,
arrivasse ad essere governatore di questo paese. I discendenti di Abramo che avevano adottato già il nome di
israeliti, si moltiplicarono grandemente in Egitto:

“Giuseppe poi morì e così tutti i suoi fratelli e tutta quella generazione. I figli d'Israele prolificarono e
crebbero, divennero numerosi e molto potenti e il paese ne fu ripieno.” (45)

Sembrava cosicché tutto si incamminava al compimento della promessa che Dio aveva fatto al primo dai
patriarchi, Abramo.


La storia di Mosè: l’essodo ed il Decalogo

Tuttavia, le circostanze per gli israeliti cambiarono radicalmente; in Egitto sorse un altro re che procedè in
forma molto distinta ai suoi predecessori:

“Allora sorse sull'Egitto un nuovo re, che non aveva conosciuto Giuseppe. E disse al suo popolo: «Ecco che il
popolo dei figli d'Israele è più numeroso e più forte di noi. Prendiamo provvedimenti nei suoi riguardi per
impedire che aumenti, altrimenti, in caso di guerra, si unirà ai nostri avversari, combatterà contro di noi e poi
partirà dal paese». Allora vennero imposti loro dei sovrintendenti ai lavori forzati per opprimerli con i loro
gravami, e così costruirono per il faraone le città-deposito, cioè Pitom e Ramses. Ma quanto più opprimevano
il popolo, tanto più si moltiplicava e cresceva oltre misura; si cominciò a sentire come un incubo la presenza
dei figli d'Israele. Per questo gli Egiziani fecero lavorare i figli d'Israele trattandoli duramente. Resero loro
amara la vita costringendoli a fabbricare mattoni di argilla e con ogni sorta di lavoro nei campi: e a tutti
questi lavori li obbligarono con durezza.
Poi il re d'Egitto disse alle levatrici degli Ebrei, delle quali una si chiamava Sifra e l'altra Pua: «Quando
assistete al parto delle donne ebree, osservate quando il neonato è ancora tra le due sponde del sedile per il
parto: se è un maschio, lo farete morire; se è una femmina, potrà vivere».” (46)



25

In questo punto sembrava che il piano di Dio e la promessa fatta ad Abramo fossero destinate al fallimento: il
suo popolo eletto sommesso allo schiavitú e con lavori esaurienti, e senza possibilità di discendenza, poiché
erano annichiliti i maschi che potevano produrrla. Così, il destino di questo incipiente popolo dell'Israele
sembrava che avesse un'unica possibilità: la sua lenta ma sicura sparizione.

Ma Dio tornerà ad intervenire in forma ostensibile nella storia umana; comincerà per suscitare un nuovo
strumento suo: Mosè. (47)
Questo bambino nasce sotto la legge dal massacro dei maschi israeliti, ma le levatrici egiziane si
impietosiscono di lui, e non l'ammazzano. Sua madre lo nasconde per tre mesi, fino a che, non potendo
occultarlo più, lo libera alla provvidenza di Dio, mettendolo in un cestino di giunchi e sciogliendolo nel fiume.
Il bambino sarà raccolto dalla figlia del Faraone, che stava prendendo un bagno nel fiume, chi l'adotterà, piena
di compassione. Comincerà allora Dio la sua opera in Mosè, chi sarà allevato come un principe egiziano,
formandosi in lui il futuro capo che Dio utilizzerà per salvare ai ebrei dalla schiavitú egiziana.

Mosè era già grande, aveva quaranta anni, quando sentì l'impulso di tornare a vedere i suoi fratelli di sangue, gli
israeliti:

“Quando stava per compiere i quarant'anni, gli venne l'idea di far visita ai suoi fratelli, i figli di Israele, e
vedendone uno trattato ingiustamente, ne prese le difese e vendicò l'oppresso, uccidendo l'Egiziano. Egli
pensava che i suoi connazionali avrebbero capito che Dio dava loro salvezza per mezzo suo.” (48)

Tutto seguiva un destino perfetto: Mosè, preparato come un principe per la guerra e come capo, dirigerebbe gli
israeliti nella sua rivolta contro l'oppressore egiziano, liberandoli così dalla schiavitú obbrobriosa in cui erano
sommersi. Ma i piani di Dio erano altri; gli stessi fratelli di sangue respingono Mosè:

“Ma essi non compresero. Il giorno dopo si presentò in mezzo a loro mentre stavano litigando e si adoperò per
metterli d'accordo, dicendo: Siete fratelli; perché vi insultate l'un l'altro? Ma quello che maltrattava il vicino lo
respinse, dicendo: Chi ti ha nominato capo e giudice sopra di noi? Vuoi forse uccidermi, come hai ucciso ieri
l'Egiziano? Fuggì via Mosè a queste parole, e andò ad abitare nella terra di Madian.” (49)

Tutto è perso per Mosè: i suoi fratelli lo respingono e non lo riconoscono come leader, e gli egiziani lo vogliono
ammazzare per avere assassinato uno di essi. La sua unica uscita è la fuga alla terra lontana di Madián. Lì si
stabilirà, si sposerà, avrà due figli, e passerà i seguenti quaranta anni badando le pecore a suo suocero,
portandoli giorno per giorno a pascolare sempre agli stessi luoghi. Che cosa avrà passato in tutto quello tempo
per l'interno di quell'uomo? Non lo sappiamo, ma non c'è dubbio che nella solitudine del deserto, lontano dal
suo popolo, Dio stava lavorando il suo spirito, dandogli la forza interna, oltre alla destrezza che aveva acquisito
già come capo e guerriero, che necessiterebbe per la missione alla quale Dio l'aveva chiamato. Ed arrivò il
giorno che Dio lo chiamò:

“Ora Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, e condusse il bestiame oltre
il deserto e arrivò al monte di Dio, l'Oreb.” (50)

In quel luogo Dio le parlò:

“Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi
sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto e per farlo uscire
da questo paese verso un paese bello e spazioso, verso un paese dove scorre latte e miele, verso il luogo dove si
trovano il Cananeo, l'Hittita, l'Amorreo, il Perizzita, l'Eveo, il Gebuseo. Ora dunque il grido degli Israeliti è
arrivato fino a me e io stesso ho visto l'oppressione con cui gli Egiziani li tormentano. Ora va'! Io ti mando dal
faraone. Fa' uscire dall'Egitto il mio popolo, gli Israeliti!». Mosè disse a Dio: ‘Chi sono io per andare dal
faraone e per far uscire dall'Egitto gli Israeliti?». Rispose: «Io sarò con te. Eccoti il segno che io ti ho
mandato: quando tu avrai fatto uscire il popolo dall'Egitto, servirete Dio su questo monte».” (51)



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Richiama l’attenzione come questo passaggio del Libro dell'Esodo risalta specialmente il fatto che Dio è
sempre attento a tutto quello che accade al suo popolo, come tutto lo vede e sente, e come decide di intervenire
senza dubitare nella sua storia. Osserviamo le espressioni che utilizza Dio: “ho udito il suo grido”, "conosco
infatti le sue sofferenze", “sono sceso per liberarlo", “ho visto l'oppressione”, “Io sarò con te”. Sono le
espressioni di un Padre pieno di amore, di compassione, di misericordia per i suoi cari figli, attento alle sue
necessità, quello che è tanto lontano di quell'immagine del Dio impassibile, inaccessibile, inalterabile che molti
hanno fabbricato erroneamente. E questo è lo stesso Padre che segue oggi stando attento dei suoi figli nel
mondo, ancora più sviati che quelli del tempo di Mosè.

Tutto questo si realizzerà fedelmente in quello che Moisés farà di lì in più, ascoltando la chiamata di Dio:
riceverà il potere di fare miracoli, per essere ascoltato dal Faraone; quando questo si rifiuti testardamente di
permettere l'uscita del paese ebreo, Dio, per mezzo di Mosè, invierà dieci terribili piaghe che colpiranno gli
egiziani, benché, nonostante tutto, il Faraone seguirà col suo cuore indurito, rifiutandosi di accettare che lì ci sia
la mano di Dio.

Finalmente sarà lo stesso Dio che ordinerà il principio della marcia di uscita dell'Egitto, in piena notte. In
questo Esodo si rivelerà la protezione costante e poderosa di Dio verso il suo popolo: attraverseranno
miracolosamente il mare Rosso, con le sue acque aperte per permettere il passo degli israeliti, quelle che si
chiuderanno dopo sull'esercito egiziano che li perseguiva; l'acqua non potabile si trasformerà in dolce per
calmare la sete nel deserto; quando non abbiano alimento, del cielo cadrà loro manna, alimento soprannaturale,
e si riempiranno di quaglie che non abitano in quei luoghi; dove ci sono solo rocce e secchezza, scizzerà acqua
dalle stesse pietre; affronteranno popoli guerrieri più forti e numerosi di essi, e li sconfiggeranno. In tutto il
fondo della narrazione degli avvenimenti dell'Esodo risuonerà con chiarezza l'intervento di Dio, la sua
assistenza al popolo eletto per Lui.

L'episodio dell'esodo del paese israelita sarà l'avvenimento che segnerà più profondamente l'anima di questo
popolo eletto per Dio, poiché l'intervento divino tanto chiaro e tanto onnipotente imprimerà fortemente nella
coscienza ebraica il fatto di essere realmente il popolo di Dio, e di potere contare sempre col suo amore e
protezione.

Avevano trascorso tre mesi di marcia per il deserto quando arrivarono al piede del monte Sinaí o monte Horeb,
lo stesso dove Mosè aveva avuto il suo primo incontro con Dio. Nuovamente lì Mosè si troverà lui solo con
Dio, salendo parecchie volte al monte, in mezzo a grandi manifestazioni della natura: tuoni, lampi, fuoco, fumo,
nuvole spesse, tremare della terra. Lì riceverà Moisés da parte di Dio la Legge, o Decalogo, chiamata così
perché la sua essenza la costituiscono dieci comandamenti principali. (52)

Così ci spiega il Catechismo il senso dei dieci comandamenti:

“La parola “Decalogo” significa alla lettera “dieci parole” (Es 34,28; Dt 4,13; Dt 10,4 ). Queste “dieci
parole” Dio le ha rivelate al suo popolo sulla santa montagna. Le ha scritte con il suo “dito” (Es 31,18 ) [Cf
Dt 5,22 ] a differenza degli altri precetti scritti da Mosè [Cf Dt 31,9; Dt 31,24 ]. Esse sono parole di Dio per
eccellenza. Ci sono trasmesse nel libro dell'Esodo [Cf Es 20,1-17 ] e in quello del Deuteronomio.
Il Decalogo si comprende innanzi tutto nel contesto dell'Esodo che è il grande evento liberatore di Dio al
centro dell'Antica Alleanza. Siano essi formulati come precetti negativi, divieti, o come comandamenti positivi
(come: “onora tuo padre e tua madre”), le “dieci parole” indicano le condizioni di una vita liberata dalla
schiavitù del peccato.
Fedele alla Scrittura e in conformità all'esempio di Gesù, la Tradizione della Chiesa ha riconosciuto al
Decalogo un'importanza e un significato fondamentali.
La divisione e la numerazione dei comandamenti hanno subito variazioni nel corso della storia. Questo
catechismo segue la divisione dei comandamenti fissata da sant'Agostino e divenuta tradizionale nella Chiesa
cattolica.
Poiché enunciano i doveri fondamentali dell'uomo verso Dio e verso il prossimo, i dieci comandamenti
rivelano, nel loro contenuto essenziale, delle obbligazioni gravi. Sono sostanzialmente immutabili e obbligano
sempre e dappertutto. Nessuno potrebbe dispensare da essi. I dieci comandamenti sono incisi da Dio nel cuore
dell'essere umano.” (53)



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Qui abbiamo quell'enunciato dei dieci comandamenti:

1 Non avrai altro Dio fuori di me.
2 Non nominare il nome di Dio invano
3 Ricordati di santificare le feste.
4. Onora il padre e la madre.
5. Non uccidere.
6. Non commetere atti impuri.
7. Non rubare.
8. Non dire falsa testimonianza.
9. Non desiderare la donna d'altri.
10. Non desiderare la roba d'altri.

La cosa importante è avere chiaro il senso profondo di questa Alleanza che si produce tra Dio ed il suo popolo
eletto nel Sinaí. A partire da lei Dio continuerà a dare corso all'opera di formazione di un popolo appartato per
sé degli altri paesi della terra. Lì rinnoverà Yahveh con l'Israele l'alleanza che aveva iniziato con Abramo, il
patriarca. Questa Alleanza avrà clausole molto più precise, dove si risalterà con una nitidezza maggiore il
carattere bilaterale della stessa.

Tutto quello che Dio promette al suo popolo è puro dono gratuito che proviene dalla sua misericordia e che
l'uomo non può meritare né con le sue opere né con la sua condotta, ma quello che Dio manifesta chiaramente è
l’intenzione che il suo proposito divino sul popolo eletto non si porterà a termine senza la cooperazione libera
del popolo con Lui. La Legge che, attraverso Mosè, darà Dio all'Israele, dovrà essere il segno della fedeltà a
Dio, e, a sua volta, si trasformerà nello strumento concreto che regolerà la risposta degli uomini a questa fedeltà
di Dio.

Il popolo eletto per Dio rimarrà definitivamente costituito attraverso questi due grandi avvenimenti salvifici:
l'esodo miracoloso dall'Egitto verso la Terra promessa, e la Legge data per Dio nel Sinaí. Vediamo che
l'alleanza del Sinaí differisce delle alleanze anteriori di Dio con Noé ed Abramo in quanto a che queste furono
fatte con individui, mentre ora è tutto un popolo quello che riceve il Decalogo come base di questa nuova
alleanza.

Rimarrà ancora un avvenimento decisivo in questa fondazione finale del popolo di Dio che modellerà
definitivamente con un carattere proprio agli israeliti: saranno i quaranta anni che dovranno peregrinare per il
deserto, prima di vedere realizzata la promessa della terra promessa.
Nel deserto, negli avvenimenti provvidenziali e miracolosi, nella lotta permanente tra la fedeltà a questo Dio
che si sta rivelando sempre di più chiaramente ed il ritorno verso l'idolatria quando appaiono il timore e la
sfiducia, si forgierà il senso comunitario di appartenenza a Dio, di dipendenza verso Lui, di coscienza di essere,
a differenza di altri paesi, una teocrazia, cioè, un popolo diretto e curato non per re o principi poderosi, bensì
direttamente per lo stesso Dio.

Al termine di questo lungo peregrinare, gli israeliti arriveranno alla vista della terra di Canaan, la terra
promessa per Dio al suo popolo; ma Mosè arriverà solo a contemplarla dall'altezza di un monte, poiché morrà
prima di potere mettere piede lì. Sarà il suo luogotenente Giosuè che avrà la missione di entrare nella terra
promessa, accompagnato per nuovi interventi miracolosi di Dio, come le acque che si aprono nel fiume
Giordano affinché passi il popolo Israelita, o la sconfitta della fortezza di Gierico, che custodiva l'entrata a
quella terra, col crollo anche miracoloso delle sue forti muraglie. (54)


Il periodo dei Giudici e l’instaurazione della monarchia

Il popolo ebraico, formato per dodici tribù, discendenti dei dodici figli di Giacobbe, comincerà un lungo
periodo di più di due secoli, conosciuto come il periodo dei "Giudici." Gli israeliti hanno penetrato nella terra di
Canaan, guidati per Giosue, e hanno conquistato parte dei territori, in realtà i più poveri; vivono una



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trasformazione nella sua società, nel senso che non sono oramai essenzialmente pastori nomadi, ma, insediati in
luoghi fissi cominciano anche a dedicarsi all'agricoltura.

Queste tribù israelite si trovano sottomesse in forma costante a due grandi pericoli che li insidiano in quella
terra in che si sono stabiliti: vivono attaccati in forma permanente per i popoli cananei vicini, che a volte li
vincono e li opprimono, ed altre volte sono sconfitti dagli israeliti, che vivono allora brevi periodi di pace.

Ma il pericolo maggiore è di ordine religioso: i popoli pagani che li circondano possiedono una religione nella
quale celebrano distinti dei, relazionati con la vita e la fecondità, chiamati "Baal." Si riuniscono nelle sue feste
nei luoghi sacri, in generali boschi o luoghi alti, dove praticano i suoi riti pagani, che abbracciano dalla
prostituzione sacra fino al dare morte ai propri figli, come propiziazione per la pioggia o per buoni raccolti.
Questa idolatria si presenta per gli israeliti come una tentazione permanente, nella quale molti continuano a
cadere, dimenticandosi di quello che Dio aveva fatto per essi nel passato.

Queste tribù erano guidate dai cosidetti "giudici", che erano in realtà capi che li governavano, e non solo
impartivano giustizia. In tutto l'Antico Testamento "giudicare" è sempre sinonimo di "governare." I giudici
sorgevano tra il popolo, e, nella pratica, erano suscitati per Dio.

Il processo che si ripete un ed un'altra volta in questo periodo può schematizzarsi della seguente maniera: il
popolo pecca contro Yahveh, in particolare essendo attratto per il culto agli idoli pagani ed adottando molte
delle sue abitudini religiose; allora Dio li rilascia alla sua fortuna, senza intervenire, essendo vinti e sottomessi
per i suoi nemici; nella sua disgrazia, miseria e disperazione, si ricordano di Yahveh e gridano a Lui, chi
susciterà di tra essi un Giudice, chi, aiutato per Dio in interventi miracolosi, restituirà loro la libertà e periodi di
pace e tranquillità, fino a che nuovamente il popolo farà il male davanti agli occhi di Yahveh e ricomincerà il
ciclo.

Nel Libro dei Giudici si narra con chiarezza questo atteggiamento ricorrente:

“Gli Israeliti continuarono a fare ciò che è male agli occhi del Signore e servirono i Baal, le Astarti, gli dèi di
Aram, gli dèi di Sidòne, gli dèi di Moab, gli dèi degli Ammoniti e gli dèi dei Filistei; abbandonarono il Signore
e non lo servirono più. L'ira del Signore si accese contro Israele e li mise nelle mani dei Filistei e nelle mani
degli Ammoniti. Questi afflissero e oppressero per diciotto anni gli Israeliti, tutti i figli d'Israele che erano oltre
il Giordano, nel paese degli Amorrei in Gàlaad. Poi gli Ammoniti passarono il Giordano per combattere anche
contro Giuda, contro Beniamino e contro la casa d'Efraim e Israele fu in grande angoscia. Allora gli Israeliti
gridarono al Signore: «Abbiamo peccato contro di te, perché abbiamo abbandonato il nostro Dio e abbiamo
servito i Baal». Il Signore disse agli Israeliti: «Non vi ho io liberati dagli Egiziani, dagli Amorrei, dagli
Ammoniti e dai Filistei? Quando quelli di Sidòne, gli Amaleciti e i Madianiti vi opprimevano e voi gridavate a
me, non vi ho forse liberati dalle loro mani? Eppure, mi avete abbandonato e avete servito altri dèi; perciò io
non vi salverò più. Andate a gridare agli dèi che avete scelto; vi salvino essi nel tempo della vostra angoscia!».
Gli Israeliti dissero al Signore: «Abbiamo peccato; fa' di noi ciò che ti piace; soltanto, liberaci in questo
giorno». Eliminarono gli dèi stranieri e servirono il Signore, il quale non tollerò più a lungo la tribolazione di
Israele.” (55)

Il più conosciuto dei giudici fu Sansone, per le imprese guerriere che compiè, soccorso sempre per Yahveh
(56). In questo periodo della storia dell'Israele possiamo vedere che il potere è puramente di Dio, esistendo una
vera teocrazia, poiché Dio guida e governa al suo popolo, non attraverso un'istituzione umana, bensì attraverso i
giudici, che Egli suscita quando e come vuole.

Gli israeliti continueranno ad avere sempre di più coscienza chiara, attraverso gli avvenimenti che vivono che il
peccato contro Dio produce conseguenze funeste e dolorose, ma che il ritorno verso Dio li libera e dà loro la
vittoria.
L'ultimo Giudice giusto sarà Samuele. Già anziano, istituisce i suoi due figli giudici, ma questi furono corrotti,
ed allora il popolo chiese a Samuele un re, come avevano gli altri popoli vicini:



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“Si radunarono allora tutti gli anziani d'Israele e andarono da Samuele a Rama. Gli dissero: «Tu ormai sei
vecchio e i tuoi figli non ricalcano le tue orme. Ora stabilisci per noi un re che ci governi, come avviene per
tutti i popoli».
Agli occhi di Samuele era cattiva la proposta perché avevano detto: «Dacci un re che ci governi». Perciò
Samuele pregò il Signore. Il Signore rispose a Samuele: «Ascolta la voce del popolo per quanto ti ha detto,
perché costoro non hanno rigettato te, ma hanno rigettato me, perché io non regni più su di essi. Come si sono
comportati dal giorno in cui li ho fatti uscire dall'Egitto fino ad oggi, abbandonando me per seguire altri dèi,
così intendono fare a te. Ascolta pure la loro richiesta».” (56)

Sebbene questa petizione sembrava un rifiuto a Yahveh, Egli l'accetterà, e sarà lo stesso Dio che benedirà i re.
Lascerà allora Yahveh che Samuele unga come re a Saul, il candidato ideale per il popolo.

In questo periodo della monarchia si porterà a termine la conquista totale della terra promessa, la terra di
Canaan; gli israeliti, guidati per i suoi re ed aiutati per "il poderoso braccio di Yahveh", che interverrà in
maniera prodigiosa una ed un'altra volta per dare loro la vittoria, domineranno tutto il territorio dei cananei:

“Saul si assicurò il regno su Israele e mosse contro tutti i nemici all'intorno: contro Moab e gli Ammoniti,
contro Edom e i re di Zoba e i Filistei e dovunque si volgeva aveva successo. Compì imprese brillanti, battè gli
Amaleciti e liberò Israele dalle mani degli oppressori.” (57)

Nonostante questo Saul separerà i suoi cammini di quelli di Dio, e Yahveh susciterà un nuovo re, Davide, che
lo succederà. Attraverso il profeta Natan, Dio stabilirà a partire dal suo unto Davide, un'alleanza eterna per la
sua discendenza:

“Ora dunque riferirai al mio servo Davide: Così dice il Signore degli eserciti: Io ti presi dai pascoli, mentre
seguivi il gregge, perché tu fossi il capo d'Israele mio popolo; sono stato con te dovunque sei andato; anche
per il futuro distruggerò davanti a te tutti i tuoi nemici e renderò il tuo nome grande come quello dei grandi
che sono sulla terra. Fisserò un luogo a Israele mio popolo e ve lo pianterò perché abiti in casa sua e non sia
più agitato e gli iniqui non lo opprimano come in passato, al tempo in cui avevo stabilito i Giudici sul mio
popolo Israele e gli darò riposo liberandolo da tutti i suoi nemici. Te poi il Signore farà grande, poiché una
casa farà a te il Signore. Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu giacerai con i tuoi padri, io assicurerò
dopo di te la discendenza uscita dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Egli edificherà una casa al
mio nome e io renderò stabile per sempre il trono del suo regno. Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio. Se farà
il male, lo castigherò con verga d'uomo e con i colpi che danno i figli d'uomo, ma non ritirerò da lui il mio
favore, come l'ho ritirato da Saul, che ho rimosso dal trono dinanzi a te. La tua casa e il tuo regno saranno
saldi per sempre davanti a me e il tuo trono sarà reso stabile per sempre.” (58)

Dio annuncia a Davide che le "edificherà una casa", nel senso che gli darà una dinastia ed un regno duraturi, ed
una posterità, nella quale il suo discendente sarà Gesù Cristo. La figura del re Davide preannuncia così il regno
eterno di Gesù Cristo.

A Davide lo succederà suo figlio Salomone, chi sarà chiamato "il Magnifico", e porterà al suo massimo
splendore il regno dell'Israele, e costruirà a Gerusalemme, constituita in capitale del regno dopo che fosse
conquistata da suo padre sconfiggendo ai Gebusei, il Tempio, grandiosa costruzione che conserverà l’arca
dell'Alleanza, che racchiudeva le tavole dei dieci comandamenti dati per Yahveh a Mosè, e che era per
eccellenza il simbolo della presenza di Yahveh in mezzo al suo popolo. A partire della finalizzazione del
Tempio, Gerusalemme sarà la "Città Santa”, centro e sede di tutta la vita religiosa dell'Israele.
Tuttavia, col re Salomone avrà termine la tappa della monarchia unica sopra l'Israele, ed anche l'era di
splendore dell'Israele, tanto nel aspetto politico come nel religioso. Nonostante l'intervento permanente di
Yahveh a beneficio dei re, questi non hanno conservato fedeltà a Dio, e sono caduti in forma reiterata nel
peccato:

* Davide commise adulterio con Betsabea, e dopo fece assassinare al marito per rimanere con lei.
* Salomone ebbe settecento mogli e 300 concubine, la maggioranza non ebree, e cadde nell'idolatria adorando i
dei pagani, lasciando da parte la religione dei suoi genitori.



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La divvisione del Regno, l’invasioni e la deportazione

Alla morte di Salomone lo succede suo figlio Roboamo, chi non è accettato per le dieci tribù del nord (Israele)
che nominano il suo proprio re, Jeroboamo, e si separano dal regno del sud, Giuda, formato per due tribù, Giuda
e Beniamino, che rimangono con la sua capitale Gerusalemme ed il tempio. L'Israele pone la suo capitale in
Samaria. Si sarà prodotto così lo scisma politico degli israeliti.

Roboamo deciderà di attaccare al regno dell'Israele, per sottometterlo al suo unico regno, ma Dio, attraverso un
profeta, lo farà desistere dal suo piano, rivelandogli che quello è il suo proposito:

“Roboamo, giunto in Gerusalemme, convocò tutta la casa di Giuda e la tribù di Beniamino, centottantamila
guerrieri scelti, per combattere contro Israele e per restituire il regno a Roboamo, figlio di Salomone. Ma il
Signore disse a Semeia, uomo di Dio: «Riferisci a Roboamo figlio di Salomone, re di Giuda, a tutta la casa di
Giuda e di Beniamino e al resto del popolo: Dice il Signore: Non marciate per combattere contro i vostri
fratelli israeliti; ognuno ritorni a casa, perché questa situazione è stata voluta da me». Ascoltarono la parola
del Signore e tornarono indietro come aveva ordinato loro il Signore.” (59)

Si produce non solo un scisma politico, bensì un scisma religioso, poiché Jeroboamo, deciso a rimpiazzare il
culto di Gerusalemme, ora nemica, cadrà in una religione idolatra:

“Geroboamo pensò: «In questa situazione il regno potrebbe tornare alla casa di Davide. Se questo popolo
verrà a Gerusalemme per compiervi sacrifici nel tempio, il cuore di questo popolo si rivolgerà verso il suo
signore, verso Roboamo re di Giuda; mi uccideranno e ritorneranno da Roboamo, re di Giuda». Consigliatosi,
il re preparò due vitelli d'oro e disse al popolo: «Siete andati troppo a Gerusalemme! Ecco, Israele, il tuo dio,
che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto». Ne collocò uno a Betel e l'altro lo pose in Dan. Questo fatto portò al
peccato; il popolo, infatti, andava sino a Dan per prostrarsi davanti a uno di quelli.
Egli edificò templi sulle alture e costituì sacerdoti, presi qua e là dal popolo, i quali non erano discendenti di
Levi. Geroboamo istituì una festa nell'ottavo mese, il quindici del mese, simile alla festa che si celebrava in
Giuda. Egli stesso salì sull'altare; così fece a Betel per sacrificare ai vitelli che aveva eretti.” (60)

Comincerà a partire da qui per il popolo israelita un lungo periodo di più di 900 anni, nel quale comproverà in
modo reiterato la sua impossibilità di compiere con il cammino che Dio l'ha tracciato come "popolo eletto", e
soffrirà le conseguenze tragiche di quella separazione. Si realizzeranno allora le maledizioni espresse per
Yahveh nella sua alleanza:

“Se disprezzerete le mie leggi e rigetterete le mie prescrizioni, non mettendo in pratica tutti i miei comandi e
infrangendo la mia alleanza, ecco che cosa farò a voi a mia volta: manderò contro di voi il terrore, la
consunzione e la febbre, che vi faranno languire gli occhi e vi consumeranno la vita. Seminerete invano il
vostro seme: se lo mangeranno i vostri nemici. Volgerò la faccia contro di voi e voi sarete sconfitti dai nemici;
quelli che vi odiano vi opprimeranno e vi darete alla fuga, senza che alcuno vi insegua.
Se nemmeno dopo questo mi ascolterete, io vi castigherò sette volte di più per i vostri peccati. Spezzerò la
vostra forza superba, renderò il vostro cielo come ferro e la vostra terra come rame. Le vostre energie si
consumeranno invano, poiché la vostra terra non darà prodotti e gli alberi della campagna non daranno frutti.
Se vi opporrete a me e non mi ascolterete, io vi colpirò sette volte di più, secondo i vostri peccati. Manderò
contro di voi le bestie selvatiche, che vi rapiranno i figli, stermineranno il vostro bestiame, vi ridurranno a un
piccolo numero e le vostre strade diventeranno deserte.
Se nonostante questi castighi, non vorrete correggervi per tornare a me, ma vi opporrete a me, anch'io mi
opporrò a voi e vi colpirò sette volte di più per i vostri peccati. Manderò contro di voi la spada, vindice della
mia alleanza; voi vi raccoglierete nelle vostre città, ma io manderò in mezzo a voi la peste e sarete dati in
mano al nemico.
Devasterò le vostre alture di culto, distruggerò i vostri altari per l'incenso, butterò i vostri cadaveri sui
cadaveri dei vostri idoli e io vi avrò in abominio. Ridurrò le vostre città a deserti, devasterò i vostri santuari e
non aspirerò più il profumo dei vostri incensi. Devasterò io stesso il vostro paese e i vostri nemici, che vi



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prenderanno dimora, ne saranno stupefatti. Quanto a voi, vi disperderò fra le nazioni e vi inseguirò con la
spada sguainata; il vostro paese sarà desolato e le vostre città saranno deserte.” (61)

Tuttavia, dopo di tanto terribili maledizioni, Dio manterrà, nella sua misericordia, una fiamma di speranza per il
suo popolo:

“Nonostante tutto questo, quando saranno nel paese dei loro nemici, io non li rigetterò e non mi stancherò di
essi fino al punto d'annientarli del tutto e di rompere la mia alleanza con loro; poiché io sono il Signore loro
Dio; ma per loro amore mi ricorderò dell'alleanza con i loro antenati, che ho fatto uscire dal paese d'Egitto
davanti alle nazioni, per essere il loro Dio. Io sono il Signore.” (62)

Le maledizioni di Yahveh pronto si realizzeranno nel popolo idolatra che ha abbandonato al suo Dio. Nell'anno
721 A.C. il regno del nord, Israele, con la sua capitale Samaria, è distrutto dagli assiri, che deportano alle dieci
tribù che lo formavano a distinti paesi pagani del nord, e mai più si saprà del destino finale di queste tribù, e le
sue orme si perderanno con il passo del tempo.

Meno di cento cinquanta anni dopo, ed a dispetto delle voci di avvertenza dei profeti, il regno di Judá, regno
degli ebrei che ha seguito fluttuando tra la sua fedeltà a Yahveh e la sua apostasia, sarà anche devastato, in
questo caso per i babilonesi; Gerusalemme ed il Tempio sono spianati ed il popolo nella sua maggioranza è
deportato alle lontane terre della Babilonia.


I tempi prima di Gesù Cristo

Nuovamente sembra che il piano di Dio sia fallito, che in quanto al popolo eletto tutto sta perso, e che il suo
destino sarà estinguersi poco a poco mischiato coi pagani, lontano dalla sua terra.
Ma si alza, un'altra volta, la voce di Yahveh attraverso i suoi servi, i profeti, i grandi profeti come Isaia,
Geremia ed Ezechiele, e molti altri. Essi ricordano a questo popolo infedele e caduto in disgrazia, che Dio,
nonostante tutto, rimarrà fedele alle promesse fatte al suo popolo, come l'espresse nella sua alleanza.

Attraverso il messaggio profetico mediante il quale Dio parla agli uomini, continuano a sorgere varie idee
centrali sul futuro del popolo dell'Israele, denominazione generica degli israeliti. In primo luogo, a dispetto di
tutto, sopravvivrà, e per la sua intermediazione il proposito di Dio si vedrà realizzato.
Sorgerà l'importante nozione dal "resto", come un piccolo germe che sopravvivrà a tutte le catastrofi e che,
nella sua fedeltà a Yahveh, manterrà viva la missione come popolo scelto per Dio.

Da questo "resto" sorgerà col tempo il "Messia" o "unto di Dio", chi sarà l'addetto di portare finalmente a
termine la missione del popolo eletto, salvando all'Israele e, per mezzo dell'Israele, al mondo intero. Si va anche
delineando con chiarezza che l'Israele futuro sarà un Israele completamente rinnovato che sarà realmente il
"Regno di Dio", chi regnerà sul suo paese fedele, in un'epoca di pace e benessere senza fine.

Per questa rinnovazione Dio stabilirà una nuova alleanza col suo popolo, perdonandolo dei suoi peccati e
dandogli una nuova legge, non già scritta su pietra, bensì registrata nel cuore di ognuno:

“Vi prenderò dalle genti, vi radunerò da ogni terra e vi condurrò sul vostro suolo. Vi aspergerò con acqua
pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli; vi darò un cuore
nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne.
Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò osservare e mettere in pratica
le mie leggi. Abiterete nella terra che io diedi ai vostri padri; voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio.”
(63)

Questa nuova alleanza avrà una caratteristica universale; non dipenderà dalla discendenza carnale,
dell'appartenenza ad una razza, bensì solamente terrà in conto la fedeltà a Dio e la disposizione interna, quello
che si chiamerà "la circoncisione del cuore" (64), poiché non basterà la "circoncisione" della carne, come segno
di appartenenza al popolo eletto.



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Il piccolo "resto dell'Israele" avrà il deposito di questa missione universale, per la conversione all'unico Dio dei
paesi pagani.

Prima che si produca questa rinnovazione totale della terra e degli uomini, dovrà arrivare il "Giorno di
Yahveh", giorno terribile in cui si manifesterà la giustizia di Dio, annichilendo gli infedeli e creando "cieli
nuovi e terra nuova" (65).
Questi annunci dei profeti si producono in un periodo di circa tre secoli, che va dall'esilio dell'Israele e di
Giudá, il ritorno degli ebrei a Gerusalemme quando la Babilonia è conquistata per il persiano Ciro il Grande, ed
i primi anni dopo la ricostruzione della Città Santa e del Tempio. A partire di lì la voce di Dio tace, non ci
saranno oramai profeti che parlino nel suo nome.

Nei seguenti 400 anni, passeranno gli ebrei da un dominio ad un altro di diversi conquistatori, con brevi
intervalli di indipendenza. Soffrono due conquiste importanti: quella dei greci, con Alessandro Magno, e
finalmente quella dei romani.
Troviamo i discendenti di due tribù, (Giudà e Beniamino), installati in Giudea, con Gerusalemme ed il tempio.
La religione continuerà a perdere molto nel suo senso interiore, rimanendo in generale ridotta ad una serie di
pratiche esterne di culto legalista, soprintese per gli scribi e maestri della Legge.

Rimarrà, in questo contesto storico e religioso del paese israelita, tutto preparato per il più straordinario, unico
ed irripetibile intervento di Dio nella storia umana: la missione redentrice che compierà suo stesso Figlio,
seconda persona della Trinità tra gli uomini, Dio per natura, attraverso il gran mistero chiamato l'incarnazione
di Dio nella natura umana.





PARTE PRIMA

I Riferimenti al Capitolo 3:

(30): Concilio Vaticano II, Costituzione Dogmatica “Dei Verbum”, N° 3
(31): Genesi 3,14-15
(32): Giovanni Paolo II, Catechesi su “Reddenzione e peccato”, del 7 e 10/12/1986
(33): Genesi 6,5-8
(34): Genesi 6,9 al 9,17
(35): Genesi 9,9-11
(36): Matteo 24,37-39
(37): Genesi 10,5
(38): Genesi 10,32
(39): Genesi 11,1-9
(40): Genesi 13,14-16
(41): Genesi 17,3-7
(42): Genesi 17,17
(43): Genesi Capitoli 25 al 36
(44): Genesi 25,21
(45): Esodo 1,6-7
(46): Esodo 1,8-16
(47): Storia di Mosè: Libri del Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio
(48): Atti 7,23-25
(49): Atti 7,25-29
(50): Esodo 3,1



33
(51): Esodo 3,7-12
(52): Esodo 20,1-17
(53): Catechismo della Chiesa Cattolica N° 2056, 2057, 2064, 2066 e 2072
(54): Giosuè, capitoli 3 al 7
(55): Giudici 10,6-16
(56): 1 Samuele 8,4-9
(57): 1 Samuele 14,47-48
(58): 2 Samuele 7,8-16
(59): 1 Re 12,21-24
(60): 1 Re 12,26-32
(61): Levitico 26,15-33
(62): Levitico 26,44-45
(63): Ezechiele 36,24-28
(64): Geremia 4,4
(65): Isaia 65,17; cf. Apocalisse 21,1



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Parte Prima: l’Origine Della Vita Cristiana



Capitolo 4: La Salvezza Per Gesù Cristo





L’Incarnazione


Arriva un tempo determinato nella storia umana, deciso per Dio nella sua sovranità in cui si produrrà
l'avvenimento di maggiore importanza in tutta la storia della salvazione degli uomini, previsto per Dio dallo
stesso istante della caduta delle prime creature umane nel peccato originale, e la conseguente perdita dello stato
di grazia chiamata "giustizia originale."

In che cosa consiste questo magno avvenimento? È l'invio per parte del Padre, prima persona della Trinità, di
suo Figlio, seconda persona della Trinità, al mondo. Questo invio si realizzò nella pratica mediante
un'operazione misteriosa denominata incarnazione del Figlio di Dio, anche chiamato nella Bibbia "il Verbo" o
"la Parola":

“In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio... E il Verbo si fece carne e venne ad
abitare in mezzo a noi;” (66)

Il Figlio di Dio, "facendosi carne" per il potere dello Spirito Santo, terza Persona della Trinità, sarà chiamato
"Gesù Cristo", e, per ogni cristiano è essenziale avere chiaro con certezza chi è questo Gesù Cristo.

Diceva il Papa Giovanni Paolo II:

“Riconosciamo infatti che di fronte a Gesù non ci si può accontentare di una simpatia semplicemente umana
per quanto legittima e preziosa, né è sufficiente considerarlo solo come un personaggio degno di interesse
storico, teologico, spirituale, sociale o come fonte di ispirazione artistica. Intorno a Cristo vediamo spesso
ondeggiare, anche tra i cristiani, le ombre dell’ignoranza, o quelle ancora più penose del fraintendimento
quando non addirittura della infedeltà. È sempre presente il rischio di appellarsi al “Vangelo di Gesù”, senza
veramente conoscerne la grandezza e la radicalità e senza vivere ciò che a parole si afferma. Quanti sono
coloro che riducono il Vangelo a loro misura e si fanno un Gesù più comodo, negandone la trascendente
divinità, o vanificandone la reale, storica umanità, oppure manipolando l’integrità del suo messaggio, in
particolare non tenendo conto del sacrificio della croce che domina la sua vita e la sua dottrina, né della
Chiesa che egli ha istituito come suo “sacramento” nella storia.” (67)

Il Cristianesimo, come tale, si riferisce ad una persona, Gesù Cristo, pertanto, in ultima istanza, vivere la piena
vita cristiana significherà conoscere Cristo, amare Cristo ed imitare Cristo. E tutto incomincia per conoscerlo,
prima dalla nostra intelligenza, e dopo dal "cuore", cioè, in forma sperimentale, come vedremo più avanti che si
realizza nella orazione. Per quel motivo avanzeremo per conoscere di più sulla reale dimensione di questo Gesù
Cristo.

Quando si produce l'incarnazione, il Figlio di Dio assume la natura umana per portare a termine attraverso lei la
salvazione degli uomini. Questa natura umana si formerà nel seno di una giovane e vergine ebrea di Nazaret, in
Galilea, chiamata María, chi stava promessa ad un uomo chiamato Giuseppe, discendente di Davide.
Da tutta l'eternità Dio aveva scelto María affinché fosse lo strumento ammirabile per il compimento di questo
gran mistero, e già dal momento stesso della sua concezione ella era stata pienamente santa, senza macchia di
peccato alcuno, piena totalmente di grazia, poiché per proposito divino aveva ricevuto la prerogativa unica di



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essere preservata del peccato originale, secondo quello che confessa la Chiesa Cattolica nel dogma Della
Immacolata Concezione.

Ma Dio non volle avanzare nel suo progetto senza prima fare l’annuncio alla Vergine María ed ottenere di lei il
suo libero consenso. Questa fu la missione raccomandata per il Padre all'angelo Gabriele nell'Annunciazione:

“Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una
vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria.
Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». A queste parole ella rimase turbata e
si domandava che senso avesse un tale saluto. L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia
presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio
dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di
Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all'angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo». 35 Le rispose l'angelo: «Lo Spirito
Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque
santo e chiamato Figlio di Dio. Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello
che hai detto». E l'angelo partì da lei.” (68)

Dando assenso a quello che Dio gli chiedeva per mezzo dell'angelo Gabriele, María passò ad essere parte del
piano di salvazione di Dio come strumento privilegiato, e, come dice san Ireneo, "per la sua obbedienza fu
causa di salvazione propria e quella di tutto il genere umano.” (69)

Insegna Giovanni Pablo II:

“Riconosciamo infatti che di fronte a Gesù non ci si può accontentare di una simpatia semplicemente umana
per quanto legittima e preziosa, né è sufficiente considerarlo solo come un personaggio degno di interesse
storico, teologico, spirituale, sociale o come fonte di ispirazione artistica. Intorno a Cristo vediamo spesso
ondeggiare, anche tra i cristiani, le ombre dell’ignoranza, o quelle ancora più penose del fraintendimento
quando non addirittura della infedeltà. È sempre presente il rischio di appellarsi al “Vangelo di Gesù”, senza
veramente conoscerne la grandezza e la radicalità e senza vivere ciò che a parole si afferma. Quanti sono
coloro che riducono il Vangelo a loro misura e si fanno un Gesù più comodo, negandone la trascendente
divinità, o vanificandone la reale, storica umanità, oppure manipolando l’integrità del suo messaggio, in
particolare non tenendo conto del sacrificio della croce che domina la sua vita e la sua dottrina, né della
Chiesa che egli ha istituito come suo “sacramento” nella storia.” (70)

María concepì Gesù per il potere dello Spirito Santo, senza intervento umano, e per quel motivo se la chiama
anche "Sposa" dello Spirito Santo.

Insegna il Catechismo:
“La verginità di Maria manifesta l'iniziativa assoluta di Dio nell'Incarnazione. Gesù come Padre non ha che
Dio” (71)


Chi è Gesù Cristo?

Leggiamo nel Catechismo:

“L'evento unico e del tutto singolare dell'Incarnazione del Figlio di Dio non significa che Gesù Cristo sia in
parte Dio e in parte uomo, né che sia il risultato di una confusa mescolanza di divino e di umano. Egli si è fatto
veramente uomo rimanendo veramente Dio. Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo. La Chiesa nel corso dei primi
secoli ha dovuto difendere e chiarire questa verità di fede contro eresie che la falsificavano.” (72)

È importante per i cristiani avere chiaro che cosa significa che Gesù Cristo sia "vero Dio e vero uomo."



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"Vero Dio" vuole dire che nella persona di Gesù Cristo esiste veramente la Seconda Persona della Trinità, il
Figlio di Dio. È lo stesso Dio Padre che, come raccontano i Vangeli, testimonia davanti all'ascolto degli uomini
che Gesù è suo Figlio amato: “E si sentì una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono
compiaciuto».” (73)

Anche Gesù dà innumerabili volte testimonianza su sé stesso come Figlio del Padre: “Tutto mi è stato dato dal
Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al
quale il Figlio lo voglia rivelare.” (74)

Quando la natura divina si unisce alla natura umana nell'incarnazione del Figlio di Dio nel seno verginale di
María per il potere dello Spirito Santo, si produce un'unione tra entrambe le nature conosciuta come "unione
ipostatica", dove la natura umana è assunta per la divina, ma non assorbita.

Così, in Gesù Cristo troviamo le due nature, unite ma non confuse, ma una sola persona che è il Verbo, il
Figlio di Dio. Tentiamo di chiarire un po' il concetto di persona. La persona non è il corpo, né l'anima, né
neanche il corpo e l'anima uniti.
Il corpo e l'anima costituiscono la natura umana, e fanno ad un uomo completo. Ma la persona è quella che
costituisce la totalità dell'essere, quello che ha autonomia ed indipendenza; possiamo dire allora che tutti gli
esseri umani possiedono la stessa natura (natura umana), composta di corpo ed anima razionale, ma ognuna è
una persona distinta, unica ed irripetibile.

Invece, Dio possiede la natura divina che condividono solo tre persone distinte, il Padre, il Figlio e lo Spirito
Santo, uniti indissolubilmente in un solo Dio, nel mistero della Trinità. Nell'incarnazione, la persona concepita
e nata della Vergine María è una Persona divina, il Figlio, seconda persona della Trinità. Non c'è persona
umana in Gesù Cristo, bensì la Persona divina del Verbo che ha assunto la natura umana, in un fatto misterioso,
unico ed irripetibile. È la persona divina che opera nella natura umana e per mezzo della natura umana come se
fosse un suo organo.

È per questa ragione che in vari Concili (Éfeso, Calcedonia, Secondo di Costantinopoli, nei secoli V e VI), si
proclamò il dogma della Maternità divina di María, dando da allora alla Vergine il titolo di "Madre di Dio." In
effetto, María è Madre di Dio, non perché il Verbo abbia preso di lei la sua natura divina, bensì perché ricevè di
lei la sua natura umana, e la persona che nacque della Vergine a Betlemme fu il Figlio di Dio fatto uomo.
Pertanto, distinguendo tra persona e natura razionale, risulta così María vera e propriamente Madre di Dio.

Gesù Cristo è "vero uomo" perché la sua natura umana possiede un'anima umana, come ogni uomo, dotata di
intelligenza e volontà proprie. La sua intelligenza umana e la conoscenza derivata di lei fu crescendo come in
ogni bambino, subordinato alle condizioni storiche e sociali che lo circondavano ed all'esperienza che
continuava ad avere, come l'insegnano i Vangeli:

“Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo
cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.” (75)

Ma, d'altra parte, la conoscenza davvero umana di Gesù Cristo, per la sua unione con la natura divina del Figlio
di Dio, godeva di scienza infusa, cioè, di conoscenza non acquisita in maniera umana, bensì infusa per Dio che
gli permetteva conoscere "i propositi eterni che era venuto a rivelare." (76)
Molti teologi spiegano che l'intelligenza umana di Cristo conosceva nella terra tutte le cose del regno di Dio
perché vedeva quello che insegnava nella luce della visione beatifica, nella stessa contemplazione di Dio che
godono i santi nel cielo.

Allo stesso modo, Gesù Cristo possiede due volontà, l'umana e la divina, benché la volontà umana si accontenti
con libera subordinazione, in maniera perfetta, alla volontà della sua natura divina. Lo stesso Gesù distingue
molto chiaramente, come testimonia la Scrittura, tra la sua volontà umana e la sua volontà divina, che possiede
in comune con Dio Padre; e subordina sempre la sua volontà umana alla divina:



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“Poi si allontanò da loro quasi un tiro di sasso e, inginocchiatosi, pregava: «Padre, se vuoi, allontana da me
questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà».” (77)

L'unione delle due nature in Gesù Cristo è, senza dubbio, un mistero molto grande, molto difficile da
abbracciare con la nostra intelligenza umana, ma non è qualcosa di assurdo né inintelligibile.

Possiamo riassumere così questo punto: la persona divina, Figlio di Dio, che possiede una natura divina, unita
alla natura umana opera attraverso lei umanamente, con le limitazioni che l'impongono l'intelligenza e la
volontà umane, benché le stesse siano informate ed influenzate profondamente per l'azione della natura divina
alla quale sono unite; si può dire che le facoltà umane di Gesù Cristo sono "divinizzate" per l'unione col Verbo.

Vedremo già più avanti che, in una scala ovviamente molto distinta a Gesù Cristo, anche negli uomini che si
aprono profondamente alla grazia redentrice e santificatrice che ci ha meritati il Signore, si produce una certa
"divinizzazione" nelle sue facoltà ed atti umani; appaiono allora quelli che conosciamo come "i santi", che
possono esclamare le stesse parole che diceva San Paolo: “Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io
che vivo, ma Cristo vive in me.” (78)

Il santo è chi è morto quasi completamente alla sua vita di uomo razionale, vivendo ed essendo mosso per
l'azione soprannaturale della grazia. Le sue azioni lasciano di essere umane, per essere divinizzate per l'azione
dello Spirito Santo, e solo opera per impulso delle mozioni di Dio, conoscendo e seguendo perfettamente la sua
volontà.

Non ci anticiperemo molto con questo tema, perché arriveremo già al momento di studiarlo a fondo, ma questa
trasformazione prodigiosa della mente e volontà umane, questa "divinizzazione" dell'uomo, ci permetterà di
captare meglio il portentoso fatto dell'incarnazione del Figlio di Dio, che è la porta che Dio apre all'uomo,
affinché questo, perso e lontano del Padre per il peccato e le sue conseguenze, possa unirsi nuovamente a Dio al
massimo che gli sia possibile, perché Dio si comunica di lì in più all'uomo di una nuova e soprannaturale
maniera.

Di fronte a queste verità che ha sostenuto sempre la Chiesa nel trascorso del tempo, sorsero diverse eresie
rispetto alla persona da Gesù Cristo: il docetismo ed i gnostici (secolo II) negavano la realtà del corpo umano di
Gesù Cristo, dicendo che era solo un corpo apparente; l'arrianismo (secolo IV) insegnò che il Verbo si unì ad
un corpo senza anima alcuna; l'eresia nestoriana, (secolo V), diceva che in Gesù Cristo c'erano due persone,
un'umana ed un'altra divina. Contro questa eresia si pronunciò il Concilio di Éfeso nell'anno 431, proclamando
la Vergine María "Madre di Dio."

Ci sono anche molte eresie che negano la divinità di Gesù Cristo; nell'antichità cristiana negarono la vera
divinità di Cristo gli ebioniti, Cerinto e gli ariani; Nei tempi moderni la nega specialmente la teologia liberale
che sebbene mantiene per Cristo i titoli di "Figlio di Dio" o "Dio", sostiene che Cristo è solamente figlio di Dio
in senso etico, poiché in lui si sviluppò la coscienza che Dio è nostro Padre, e così seppe comunicarlo agli
uomini.

Ugualmente seguendo l'insegnamento della teologia liberale, il modernismo abbandonò anche la fede nella
divinità di Gesù Cristo, distinguendo il Gesù storico, considerato puro uomo, col "Gesù" della fede, creato per
un'idealizzazione della pietà cristiana ed elevato al livello di divinità per influenza di idee pagane.

Quando la Chiesa afferma che Gesù Cristo è inseparabilmente vero Dio e vero uomo, ci presenta una realtà che
abbraccia tutti gli aspetti della vita dell'essere umano: Cristo soffrì veramente nel suo corpo (patimento
corporale) e nella sua anima (patimento morale), visse affetti sensitivi profondi (si rattristò, si angosciò, ebbe
paura, si arrabbiò, si rallegrò, si riempì di gioia, si commosse, pianse, si sentì abbandonato per il Padre, ebbe
pietà e misericordia per i poveri, i malati, i bambini, i peccatori, etc.).

E chi visse tutto questo fu la persona Figlio di Dio, per quel motivo dobbiamo accettare qualcosa di inaudito per
qualunque altra religione: nella croce, quello che soffrì e morì è veramente Dio.



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La missione di Gesù Cristo.

Visto con certezza chi è Gesù Cristo, c'occupiamo ora della missione per la quale il Figlio di Dio fu inviato al
mondo. In una maniera generale, si può definire la missione di Gesù dicendo che venne per salvare agli uomini
redimendoli del peccato.
Abbiamo visto già che il peccato, nella sua essenza, è una separazione volontaria di Dio, ignorandolo o
respingendolo, vivendo ed agendo come se Dio non esistesse. Pertanto la redenzione di Gesù Cristo cerca che
gli uomini tornino ad unirsi con Dio, avvicinandosi a Lui, quello che li libererà di essere sottomessi al potere
del peccato e di chi le spinge ad esso permanentemente, il diavolo.

È per questo motivo che si chiama conversione l'azione dell'uomo che accetta la redenzione che gli regala Gesù
Cristo, poiché implica un cambiamento totale di rotta, a somiglianza di quello che fanno le formazioni di soldati
quando sfilando cambiano completamente la direzione di marcia.

È interessante vedere come il nome di Gesù Cristo che significa "Gesù il Cristo", rivela già chiaramente la sua
missione. Il nome "Gesù" lo scelse Dio e lo rivelò ai genitori: a María glielo rivela l'angelo Gabriele
nell'Annunciazione: “Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù.” (79); a Giuseppe
glielo rivela anche un angelo,in sogno: “Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in
sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua
sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai
Gesù” (80)

Nel suo senso etimologico "Gesù" significa "Yahveh libera”, salva, aiuta. Così fu che, nonostante che la
tradizione implica che siano i genitori quelli che scelgono il nome dei figli, in questo caso il nome fu scelto per
Dio prima della sua nascita, per già indicare la sua missione, quella di essere il Salvatore, il Liberatore degli
uomini.

La genealogia di Gesù che presenta l'evangelista Matteo conclude così: “Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo
di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo.” (81) Il termine "Cristo" è l'espressione in greco della
parola ebrea "Messia" che significa "Unto." Tutta la tradizione profetica dell'Israele, come vedemmo nel
capitolo anteriore, annunciava la nascita di un "Messia" inviato per Dio, chi dovrebbe stabilire una "nuova
alleanza" col popolo di Dio.

Questo nome assegnato a Gesù implica riconoscere tacitamente che nella sua persona si darà compimento a
tutte le profezie chiamate "messianiche", cioè, che si riferiscono all'apparizione del "Messia" come salvatore e
liberatore del suo paese.
L'unzione con olio era abituale nelle tradizioni del popolo dell'Israele, e si riservava per quelle persone che
ricevevano da parte di Dio la dignità come re, sacerdoti o profeti, e che riunivano in essi i ministeri necessari
per guidare al popolo di Dio da parte di Yahveh.

Sarà precisamente a partire da questo triplo ministero di Gesù, come Messia o Unto di Dio che si porterà a capo
la sua opera redentrice, come subito vedremo.


Il compimento della missione di Gesù Cristo.

Gesù, dopo della sua nascita, crebbe come ogni bambino ebreo; sono molto poche le allusioni a questo
periodo della sua vita, chiamata la sua "vita nascosta", nei Vangeli. È Lucca che ci racconta che quando aveva
dodici anni Gesù, stando a Gerusalemme per la festa della Pasqua, stette nel Tempio, ascoltando e domandando
ai maestri della legge, che rimasero "stupefatti per la sua intelligenza e le sue risposte.” (82)

Avendo già Gesù più di trenta anni si produce un fatto che segnerà l'inizio della sua attività pubblica per
compiere la missione di salvazione raccomandata per Dio Padre: il battesimo nel fiume Giordano, da parte di
Giovanni:



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“In quel tempo Gesù dalla Galilea andò al Giordano da Giovanni per farsi battezzare da lui. Giovanni però
voleva impedirglielo, dicendo: «Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?». Ma Gesù gli disse:
«Lascia fare per ora, poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia». Allora Giovanni acconsentì.
Appena battezzato, Gesù uscì dall'acqua: ed ecco, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio scendere
come una colomba e venire su di lui. Ed ecco una voce dal cielo che disse: «Questi è il Figlio mio prediletto,
nel quale mi sono compiaciuto».” (83)

La presenza dello Spirito Santo in Gesù fin dalla sua concezione nel seno della Vergine María è indubbia,
poiché stava in stato di grazia piena. Ma questo battesimo di Gesù significa l'unzione per il potere dello Spirito
Santo, che attraverso i tre ministeri che porta questa unzione, reale, profetico e sacerdotale, spingerà Gesù ad
iniziare la sua missione come Messia:
“Voi conoscete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, incominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato
da Giovanni; cioè come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazaret, il quale passò beneficando e
risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui.” (84)

Vedremo di seguito come operò Gesù per la salvazione degli uomini secondo la tripla unzione ricevuta ed il
potere dello Spirito Santo che operava in lui.


L'unzione reale di Gesù Cristo.

Nell'Antico Testamento erano i re quelli che erano unti col ministero reale, per il quale esercitavano le funzioni
di governare e di giudicare. La funzione di governare, in quell'epoca, aveva un aspetto molto importante, che
era quella di dirigere le truppe nel campo di battaglia per lottare contro i nemici. Così lo vediamo nell'unzione
del primo re, Saul: “Samuele prese allora l'ampolla dell'olio e gliela versò sulla testa, poi lo baciò dicendo:
«Ecco: il Signore ti ha unto capo sopra Israele suo popolo. Tu avrai potere sul popolo del Signore e tu lo
libererai dalle mani dei nemici che gli stanno intorno.»” (85)

L'unzione reale di Gesù ha un doppio aspetto: liberare al suo popolo dello schiavitú del Diavolo e del peccato,
per allora instaurare il Regno di Dio.
Che cosa fa in primo luogo Gesù dopo il suo battesimo nel Giordano? I tre Vangeli sinottici, Matteo, Marco e
Lucca, ci raccontano la stessa cosa: Gesù si diresse al deserto, dove cominciò una dura lotta contro Satana che
volle tentarlo: “Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano e fu condotto dallo Spirito nel deserto
dove, per quaranta giorni, fu tentato dal diavolo.” (86)

Vediamo un commento autorizzato sul significato delle tentazioni di Gesù (87):

"La lettura cristologica dell'episodio delle tentazioni di Gesù nel deserto consiste in scoprire che tipo di Messia
volle essere Gesù e scoprirlo giustamente a partire dal contrasto con le proposte di Satana. Queste hanno come
obietto un messianismo attraente e trionfalistico, di impronta economica, pane e sazietà, politica, il potere dei
regni della terra, e spettacolare (lanciarsi dal pinnacolo dal tempio), mentre il Padre, con le parole
pronunciate su Gesù nel momento del Battesimo, le tracciò la strada opposta dell'umiltà, la sofferenza ed il
servizio.
La lettura cristologica consiste anche in domandarsi come potè essere tentato Gesù e se la sua fu veramente
tentazione. In questo senso, deve aversi presente che ci sono due classi di tentazioni: a) una tentazione
soggettiva che parte dell'soggetto stesso che è tentato e presuppone in lui, in qualche modo, l'esistenza del
peccato, anche se non siapiù che il peccato originale; b) una tentazione obiettiva che parte dell'esterno, di
Satana in persona, o di una situazione di fatto che si presenta all'individuo, capace di fare sorgere in lui il
dubbio su Dio e, attraverso il dubbio, la disubbidienza. La tentazione di Gesù non fu soggettiva (in lui,
innocente, non c'era niente che potesse fomentare la tentazione); fu, al contrario, una tentazione obiettiva e
pertanto una situazione di fatto (il contrasto tra l'amore dichiarato del Padre e la sua situazione di fame ed
impotenza) che Satana trattò di utilizzare per diminuire la fiducia di Gesù nel Padre. La tentazione di Gesù non
proviene dal suo interno, bensì di fuori.



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Per spiegare l'esistenza di simile tentazione in Gesù e prenderla per certo, e non considerarla fittizia o
pedagogica (cioè, per insegnarci come si fa), è sufficente ricordare la sua incarnazione reale, il suo essere
uomo, dotato di libertà umana oltre quella divina, il suo potere essere ubbidiente che suppone per lo meno la
possibilità della tentazione –si capisce, obiettiva- di non ubbidire. Di questa maniera la lettura cristologica
delle tentazioni ci rivela chi Gesù Cristo, è come è fatta, nella profondità, la sua persona divino-umana.
In modo che Gesù fu davvero tentato e vinse la tentazione; giustamente in questo si trasformò in modello per
noi, nel fatto di avere vinto una tentazione "vera", come sono vere le nostre tentazioni, ancora quando la sua fu
senza colpa, mentre le nostre invece molte volte non lo sono.” (88)

Il trionfo di Gesù di fronte alla tentazione di Satana, dicendo fermamente "Non!” alle tre proposte del Diavolo,
distrusse totalmente l'arma principale di Satana che è il fomentare la ribellione contro Dio. Affrontata la
tentazione col potere dello Spirito Santo, questa è vinta; rimarrà a Satana, per il momento, solamente il suo
potere sulla morte, ma questo lo perderà anche nella lotta contro Gesù durante la Passione, derivata dalla sua
unzione sacerdotale, che subito vedremo.

L'altro aspetto dell'unzione reale di Cristo è il suo carattere di "Messia Re." Già nell'Annunciazione, l'angelo
Gabriele parla alla Vergine María della regalità del figlio che concepirà: “Il Signore Dio gli darà il trono di
Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine.” (89)

Qui l'espressione "padre" che è dato a Davide in relazione a Gesù significa che questo è del lignaggio di
Davide, il suo discendente, quello che si realizza perché suo padre politico, Giuseppe, appartiene alla casa di
Davide. Si vede qui il compimento dell'antica promessa fatta al re Davide: “Quando i tuoi giorni saranno
compiuti e tu giacerai con i tuoi padri, io assicurerò dopo di te la discendenza uscita dalle tue viscere, e
renderò stabile il suo regno.” (90)

Pertanto la tradizione biblica del "re messianico" avrà compimento nell'unzione reale di Gesù, benché questo
"Regno di Dio", del quale Cristo sarà Re, non avrà le connotazioni che sostenevano le idee degli ebrei
nell'epoca di Gesù: non sarà un'istituzione politica o giuridica, bensì la Potestà di Dio sugli uomini, la sua
Volontà onnipotente accettata liberamente e per amore per tutti gli uomini.
Sarà precisamente il concetto ed il contenuto di questo "Regno di Dio", e la sua realizzazione storica, quello che
rivelerà Gesù attraverso l'esercizio della sua unzione profetica.


L'unzione profetica di Gesù Cristo,

Immediatamente dopo avere vinto le tentazioni di Satana nel deserto con la sua unzione reale, Gesù comincia il
suo ministero profetico pubblico:

“Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito Santo e la sua fama si diffuse in tutta la regione.
Insegnava nelle loro sinagoghe e tutti ne facevano grandi lodi. Si recò a Nazaret, dove era stato allevato; ed
entrò, secondo il suo solito, di sabato nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia;
apertolo trovò il passo dove era scritto:
Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l'unzione,
e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio,
per proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
per rimettere in libertà gli oppressi,
e predicare un anno di grazia del Signore.
Poi arrotolò il volume, lo consegnò all'inserviente e sedette. Gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra
di lui. Allora cominciò a dire: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi».
Tutti gli rendevano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca.”
(91)



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Gesù dice chiaramente che in lui si realizzeranno le parole profetiche di Isaia che egli è chi annuncerà la Buona
Novella, che è il significato di "Vangelo."

Quale è questa "Buona Novella” che Gesù annuncerà? L'evangelista Marco riassume il suo significato:
“Gesù si recò nella Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è
vicino; convertitevi e credete al vangelo».” (92)

Vediamo gli elementi che rinchiude questa proclamazione di Gesù; sono due principali: in primo luogo, il
regno di Dio è vicino e dopo, convertitevi e credete.
In primo luogo il Signore annuncia che il Regno di Dio è "vicino." Ma altre volte parlerà di un regno che è già
arrivato: “Interrogato dai farisei: «Quando verrà il regno di Dio?», rispose: «Il regno di Dio non viene in
modo da attirare l'attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o: eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a
voi!».” (93)

Quello che Gesù vuole trasmettere è che il Regno di Dio, in quanto al potere operante dello Spirito Santo tra gli
uomini, è già arrivato, perché egli stesso lo porta, ma che la consumazione o perfezione di questo Regno è
qualcosa futuro, qualcosa che si produrrà in un tempo sconosciuto. Per quel motivo Gesù insegna ai suoi
discepoli a chiedere al Padre la venuta di questo Regno, nella preghiera del Padre nostro: “Venga il tuo regno”
(94)

Qui Gesù, col suo insegnamento e predicazione a partire dalla sua unzione profetica, rivelerà un mistero che
rimaneva nascosto tra le profezie dell'Antico Testamento e che ora diventerà chiaro: ci saranno due venute
distinte del Messia o Salvatore. La prima, è già compiuta con l'incarnazione del Verbo, ed è una venuta in
umiltà e povertà, ed è quella che dà principio al Regno di Dio tra gli uomini, che crescerà lentamente, come
l'insegna il Signore attraverso molte delle sue parabole:
“Un'altra parabola espose loro: «Il regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senapa, che un uomo
prende e semina nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande degli
altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami».” (95)

La seconda venuta di Gesù al mondo, essendo ritornato già alla presenza del Padre dopo la sua passione, morte
e resurrezione, sarà per instaurare in forma completa e definitiva questo Regno di Dio, con una ricreazione
totale del mondo, e sarà una venuta in gloria e maestà, come Re di tutto quello creato.
Anche Gesù rivelerà la dimensione di eternità del Regno, e la resurrezione finale dei corpi dei salvati per
partecipare della vita in questo Regno senza fine. Si apriranno così nuove dimensioni nel concetto di Regno di
Dio messianico che avevano gli ebrei, come la dimensione di eternità e la dimensione celestiale, e non solo
terrena che fino ad allora imperava.

La seconda parte nell'annuncio della "Buona Novella" da parte di Gesù dice: "Convertitevi e credete." Quale è
la gran novità che porta questo annuncio rispetto all'Antico Testamento? Prima di Gesù la conversione
significava tornare a compiere i termini dell'alleanza con Dio che si sarebbero violati, a partire da una rinnovata
osservanza della Legge:
“Convertitevi a me - oracolo del Signore degli eserciti - e io mi rivolgerò a voi, dice il Signore degli eserciti.
Non siate come i vostri padri, ai quali i profeti di un tempo andavan gridando: Dice il Signore degli eserciti:
Tornate indietro dal vostro cammino perverso e dalle vostre opere malvage.” (96)

La conversione si otteneva cambiando la condotta di vita, e quella conversione era condizione per la
salvazione; così, la salvazione si otteneva per le opere mediante il proprio sforzo.
Gesù rovescia completamente le cose con la sua rivelazione: convertirsi significa ora credere nella Buona
Novella che il Regno di Dio è presente tra gli uomini, cioè, accettare per la fede il dono di Dio della Salvazione
che si offre in forma gratuita, prendendo questo Regno che è arrivato, con tutto quello che contiene, facendolo
proprio, ed allora si otterrà la salvazione.

La salvazione non è oramai prodotto dello sforzo dell'uomo per compiere i comandamenti di Dio, ma è dono di
Dio che regala attraverso l'azione dello Spirito Santo tutta quello necessario per accettarla e riceverla. Tutto
questo lo vedremo in dettaglio nelle parti seguenti di questo libro, ma per adesso, per captare il cambiamento



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radicale nella salvazione degli uomini che porta l'incarnazione del Figlio di Dio, rimaniamo con questa idea
espressa così chiaramente:
"«Convertitevi e credete» non significa due cose diverse e successive, bensì la stessa azione: convertitevi, cioè,
credete; convertitevi credendo! Conversione e salvazione si sono cambiate posto: oramai non prima la
conversione e dopo la salvazione («convertitevi e vi salverete; convertitevi e la salvazione vi verrà»), bensì
prima la salvazione e dopo la conversione («converttitevi, perché siete salvati; perché la salvazione vi è
venuta»). L'ordine antico era: peccato-conversione-salvazione; l'ordine nuovo è: peccato-salvazione-
conversione. Prima c’e l'opera di Dio e dopo la risposta dell'uomo, non viceversa. È stato Dio che ha preso
l'iniziativa della salvazione: ha fatto arrivare il suo regno; l'uomo deve accogliere solo, nella fede, l'offerta di
Dio, e vivere dopo le sue esigenze.” (97)

Con l'incarnazione, vita, passione, morte e resurrezione di Cristo, e per i suoi meriti, la Salvazione di Dio è
dono per gli uomini, e fu guadagnata da Gesù Cristo per il ministero al che lo portò la sua unzione sacerdotale.


L'unzione sacerdotale di Gesù Cristo: la sua preghiera.

Il terzo aspetto dell'unzione di Gesù Cristo corrisponde al ministero sacerdotale. In che cosa consiste il
ministero sacerdotale lo troviamo spiegato nel Nuovo Testamento:
“Ogni sommo sacerdote, preso fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che
riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. Proprio per questo nei giorni della sua vita terrena
egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per
la sua pietà; pur essendo Figlio, imparò tuttavia l'obbedienza dalle cose che patì.” (98)

Il sacerdote è colui che ha come ministero offrire preghiere e sacrifici a Dio, operando come mediatore tra Dio
e gli uomini.
Il Concilio di Éfeso (431), insegna che "il Verbo di Dio si fece egli stesso il nostro Pontefice quando prese
carne e rimase fatto uomo come noi." Pertanto, Gesù è sacerdote attraverso la sua natura umana.

Esercitò Gesù, in primo luogo, il suo sacerdozio a partire dalla sua preghiera. Quella che risalta nella vita
pubblica di Gesù è la sua predicazione del Regno, i segni e miracoli che opera, la capacità di scacciare demoni e
le controversie con gli scribi e farisei. Ma, come nascosto tra questi avvenimenti vistosi, troviamo un Gesù, che
nella sua intimità quasi la cosa unica che mostra è che prega, in ogni occasione, ed a volte per lungo tempo,
come una notte intera.

È in questi momenti di preghiera che si esprime con tutta la sua intensità l'intima unione del Figlio col Padre, a
cui si dirige con la pienezza della sua esistenza umana. Per Gesù la preghiera era come respirare, era la sua vita
stessa, ed accompagnava sempre gli avvenimenti importanti della sua vita, le decisioni cruciali che doveva
prendere. Vediamo come ci presentano la preghiera di Gesù alcuni passaggi dei Vangeli:

Gesù pregò quando fu battezzato nel Giordano: “Quando tutto il popolo fu battezzato e mentre Gesù, ricevuto
anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e scese su di lui lo Spirito Santo in apparenza
corporea, come di colomba.” (99)

Gesù pregava prima di andare a predicare: “Al mattino si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si
ritirò in un luogo deserto e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce e,
trovatolo, gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io
predichi anche là; per questo infatti sono venuto!».” (100)

Pregava dopo che guariva: “La sua fama si diffondeva ancor più; folle numerose venivano per ascoltarlo e
farsi guarire dalle loro infermità. Ma Gesù si ritirava in luoghi solitari a pregare.” (101)

Lasciava ai discepoli e pregava: “Subito dopo ordinò ai discepoli di salire sulla barca e di precederlo
sull'altra sponda, mentre egli avrebbe congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, solo, a pregare.
Venuta la sera, egli se ne stava ancora solo lassù.” (102)



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Pregava quando si trasfigurò e mostrò la sua gloria: “Circa otto giorni dopo questi discorsi, prese con sé
Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. E, mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto e la
sua veste divenne candida e sfolgorante.” (103)

Pregò tutta la notte per scegliere i suoi apostoli: ”In quei giorni Gesù se ne andò sulla montagna a pregare e
passò la notte in orazione. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede il
nome di apostoli.” (104)

Il Vangelo di San Giovanni ci presenta molte delle petizioni che Gesù faceva al Padre nelle sue preghiere, per le
quali intercedeva specialmente per i suoi discepoli:
“Io ho dato a loro la tua parola e il mondo li ha odiati perché essi non sono del mondo, come io non sono del
mondo. Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno. Essi non sono del mondo, come
io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità.” (105)

Gesù è il Sommo Sacerdote che intercede davanti al Padre per gli uomini, nell'unità totale che forma con Lui.
La caratteristica più chiara della preghiera di Gesù è la profonda familiarità ed intimità con che si dirigeva al
Padre, quello che si espressava nel vocabolo che usava: "Abbá!", che significa padre, papà, in un'espressione
usata familiarmente per i bambini piccoli. Questa parola non era stata mai usata nelle preghiere degli ebrei, e
rinchiude una meravigliosa novità nel discorso di Gesù che deriva dal fatto capitale che è lo stesso Figlio di Dio
che prega.

Anche nella preghiera di Gesù si percepisce come un continu rendimento di grazie, perché nel centro stesso di
tutto quello che Gesù fa e dice, si trova la profonda coscienza del dono, che tutto viene da Dio Padre, e l'unica
risposta che può ricevere il dono è la gratitudine, il rendimento di grazie. Vediamo alcuni esempi:
Gesù ringrazia nel miracolo della moltiplicazione dei pani ed i pesci: “Allora Gesù prese i pani e, dopo aver
reso grazie, li distribuì a quelli che si erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, finché ne vollero.” (106)

Ugualmente Gesù prega ringraziando nel miracolo della resurrezione di Lázaro:
“Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io
sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai
mandato». E, detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, con i piedi e le mani
avvolti in bende, e il volto coperto da un sudario. Gesù disse loro: «Scioglietelo e lasciatelo andare».” (107)

Specialmente Gesù dà grazie all'istituire l'Eucaristia nell'Ultima Cena:
“Poi, preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio corpo che è dato per voi;
fate questo in memoria di me». Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: «Questo calice è la
nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi».” (108)

"Eucaristia" è l'espressione in greco di "rendere grazie”, per quello che la celebrazione del sacramento
dell'Eucaristia o Messa, come sacrificio del Corpo ed il Sangue di Cristo, è la massima espressione di
rendimento di grazie a Dio.

Dice Giovanni Paolo II:

“Il canto di ringraziamento della Chiesa che accompagna la celebrazione dell’Eucaristia, nasce dall’intimo
del suo cuore, e anzi dal Cuore stesso del Figlio, che viveva di ringraziamento. Si può ben dire che la sua
preghiera, e anzi tutta la sua esistenza terrena, divenne rivelazione di questa fondamentale verità enunciata
nella Lettera di Giacomo: “Ogni buon regalo e ogni dono perfetto viene dall’alto e discende dal Padre della
luce” (Giac 1, 17). Vivendo di ringraziamento, Cristo, il figlio dell’uomo, il “nuovo Adamo”, sconfiggeva alla
radice stessa il peccato che sotto l’influsso del “padre della menzogna”, era stato concepito nell’animo “del
primo Adamo” (cf. Gen 3). Il ringraziamento restituisce all’uomo la consapevolezza del dono elargito da parte
di Dio fin “dall’inizio” e nello stesso tempo esprime la disponibilità a ricambiare il dono: dare con tutto il
cuore a Dio se stessi e ogni altra cosa. È come una restituzione, perché tutto ha in lui il suo inizio e la sua
fonte.” (109)



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Sentimento profondo di amore filiale ed autentico rendimento di grazie a Dio per ricevere tutto di Lui, furono
gli elementi essenziali della preghiera di Gesù che, per l'azione dello Spirito Santo, come già vedremo, si
riproduce nella preghiera di ognuno dei credenti.


L'unzione sacerdotale di Gesù Cristo: la sua passione e morte di croce.

Il secondo aspetto del ministero sacerdotale di Gesù è il sacrificio per i peccati degli uomini. Gesù Cristo non si
limitò solo a fare conoscere nuove idee su Dio ed i suoi comandamenti, ma costruì il ponte che tornerebbe a
coprire l'abisso aperto tra Dio e gli uomini per il peccato, a partire dal suo sacrificio.

Vedemmo già che il mestiere proprio del sacerdote è quello di essere mediatore tra Dio e gli uomini, quello che
significa offrire a Dio le preghiere ed il sacrificio, e dare al popolo quello che si riceve di Dio. Pertanto, nella
mediazione sacerdotale troviamo un movimento ascendente verso Dio, ed un altro discendente, da Dio agli
uomini.

Nel sacrificio si realizza in formi perfetta questa doppia mediazione: c'è un offerente (il sacerdote), un'offerta
visibile che si dà a Dio (che si denomina oblazione), un fine del sacrificio, che consiste primariamente nel
riconoscimento della sovranità di Dio attraverso la supplica, l'adorazione e il rendimento di grazie del
sacerdote, tutto quello che costituisce l'azione ascendente, e dopo la risposta di Dio come dono, fatto a chi
offrono il sacrificio.

Il sacrificio sacerdotale è tanto più perfetto quanto più si senta unito con Dio il sacerdote, e quanto più unito stia
con gli uomini per cui offre il sacrificio. A partire da questi principi si vede molto chiaramente che il sacrificio
sacerdotale di Cristo è il più grande che può concepirsi.

Abbiamo presente che Gesù è sacerdote, non come Dio, bensì come uomo, perché il mediatore deve essere un
intermediario tra Dio e gli uomini, e, pertanto, deve essere inferiore a Dio. Non possiamo immaginare un
sacerdote più unito a Dio che Gesù Cristo, con una santità piena ed esento di ogni peccato ed imperfezione,
poiché la sua umanità è santificata per l'unione personale (ipostatica) che l'unisce col Verbo che la possiede
intimamente e per sempre. Per questo motivo le azioni sacerdotali di Gesù Cristo, che procedono dalla sua
intelligenza e dalla sua volontà umane, prendono nella terra un valore soddisfacente e meritorio infinito che
esse ricevono dalla persona divina del Figlio di Dio.

Nel caso di Gesù Cristo il suo sacrificio è anche perfetto perché il sacerdote e l'offerta, cioè, la vittima del
sacrificio, sono la stessa cosa. Gesù si offre al Padre come offerta egli stesso, il suo corpo ed anima umane sono
la vittima nel sacrificio della croce. La missione messianica di Cristo come Salvatore degli uomini implica una
realtà concreta che ora appare con tutta la sua forza: Dio inviò al mondo a suo Figlio affinché portasse a
termine la Redenzione mediante il sacrificio della sua propria vita nella morte di croce. Questo avvenimento
come proposito di Dio continua ad essere un mistero non spiegabile in forma esaustiva per la ragione umana,
ma la risposta sorge dalla stessa Rivelazione di Dio.

Dice il papa Giovanni Paolo II:

“Perché la croce di Cristo?”; Gesù stesso formula tale risposta: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare
il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3, 16). Quando
Gesù pronunciava queste parole nel colloquio notturno con Nicodemo, probabilmente il suo interlocutore non
poteva ancora supporre che la frase “dare suo Figlio” significasse “darlo alla morte in croce”. Ma Giovanni,
che la narra nel suo Vangelo, ne conosceva bene il significato. Lo sviluppo degli eventi aveva dimostrato che
era proprio quello il senso della risposta a Nicodemo: Dio “ha dato” il suo Figlio unigenito per la salvezza del
mondo, dandolo alla morte di croce per i peccati del mondo, dandolo per amore: “Dio . . . ha tanto amato il
mondo”, la creazione, l’uomo! L’amore rimane la definitiva spiegazione della redenzione mediante la croce.
Esso è l’unica risposta alla domanda “perché?” a proposito della morte di Cristo compresa nell’eterno
disegno di Dio.



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Si tratta di un amore che supera la stessa giustizia. La giustizia può riguardare e raggiungere colui che ha
commesso una colpa. Se a soffrire è un innocente, allora non si parla di giustizia. Se un innocente che è santo,
come Cristo, si consegna liberamente alla sofferenza e alla morte di croce, per compiere l’eterno disegno del
Padre, ciò significa che Dio nel sacrificio del suo Figlio passa in un certo senso oltre l’ordine della giustizia
per rivelarsi in questo Figlio e per suo mezzo in tutta la ricchezza della sua misericordia – “Dives in
Misericordia” (Ef 2, 4), - quasi per introdurre, insieme a questo Figlio crocifisso e risorto, la sua misericordia,
il suo amore misericordioso, nella storia dei rapporti tra l’uomo e Dio.
Colui che “non aveva conosciuto peccato” - il Figlio consostanziale al Padre - portò su di sé il terribile giogo
del peccato di tutta l’umanità, per ottenere la nostra giustificazione e santificazione. Ecco l’amore di Dio
rivelato nel Figlio. Per mezzo del Figlio si è manifestato l’amore del Padre “che non ha risparmiato il proprio
Figlio, ma lo ha dato per tutti noi” (Rm 8, 32).” (110)


Il valore soddisfacente e meritorio del sacrificio di Gesù Cristo.

Per entrare nell'essenza del mistero della Redenzione, come fonte di tutte le grazie che hanno ricevuto, ricevono
e riceveranno gli uomini, è necessario considerare quelli che costituiscono gli atti soddisfacenti e meritori del
sacrificio di Cristo, ed il valore infinito che possiedono.

Per soddisfazione si capisce la riparazione di un'offesa, portata a capo per una compensazione volontaria
dell'ingiustizia inferita. Quando questa soddisfazione non è prodotta per chi è stato l'aggressore, bensì per
qualcuno che lo rappresenta, parliamo allora di soddisfazione vicaria. Questa è stata la riparazione del peccato
degli uomini per Gesù, chi non aveva peccato alcuno, ma caricò su sé tutti i peccati dell'umanità, quelli
commessi prima della sua passione, e quelli che si commetterebbero dopo fino al fine dei tempi: “Appunto
come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per
molti.” (111)

Su questa soddisfazione di Gesù Cristo ci parla anche chiaramente Giovanni Paolo II:

“Con l’omaggio perfetto della sua obbedienza Gesù Cristo riporta una perfetta vittoria sulla disobbedienza di
Adamo e su tutte le ribellioni che possono nascere nei cuori umani, più specialmente a causa della sofferenza e
della morte, sicché anche qui si può dire che “dove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia” (Rm
5, 20). Gesù riparava infatti la disobbedienza, che è sempre inclusa nel peccato umano, soddisfacendo al
nostro posto le esigenze della giustizia divina.
Così san Tommaso può asserire che la prima ragione di convenienza che spiega la liberazione umana mediante
la passione e la morte di Cristo, è che “in questo modo l’uomo conosce quanto Dio lo ami, e l’uomo a sua volta
viene indotto a riamarlo: e in tale amore consiste la perfezione dell’umana salvezza (S. Thomae “Summa
Theologiae”, III, q. 46, a. 3).” (112)

L'altro aspetto del mistero della Redenzione come fonte di tutte le grazie è data per il valore meritorio del
sacrificio di Cristo. Vediamo il concetto di questo: si chiama merito in generale ad ogni atto buono realizzato a
beneficio di un'altra persona che è degno di essere ricompensato.
Nel campo militare è conosciuta l'onorificenza che si dà ai soldati che hanno compiuto nella battaglia azioni
eroiche a beneficio di altri, chiamata "medaglia al merito”. Gesù Cristo meritò davanti a Dio una ricompensa
per la sua passione e morte, quello che costituisce il valore meritorio del suo sacrificio. I meriti di Cristo hanno
un valore assolutamente eccezionale, infinito, per il fatto che provengono da atti umani realizzati per una
persona divina la cui dignità è infinita.

Il merito di Gesù Cristo si applica, in primo luogo, alla sua propria persona; per il suo sacrificio ha meritato:
la sua gloriosa resurrezione, la sua ascensione al cielo e l'esaltazione del suo Nome soprattutto nome, come dice
San Paolo:

“Umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato e gli
ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei



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cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.”
(113)

Ma anche, e come coronamento della sua missione di Salvatore degli uomini, Gesù Cristo ha meritato per essi
la vita della grazia e l'eternità e tutti gli aiuti soprannaturali che hanno bisogno gli uomini per potere arrivare
fino al compimento della sua fine soprannaturale. Ha restituito all'uomo quello che aveva perso a causa del
peccato originale, e che questo, con la sua cooperazione libera, dovrà accettare e ricevere.


La discesa di Gesù Cristo agli inferni.

L'Antico Testamento rivela che, dopo la separazione tra l'uomo e Dio per il peccato originale, e l'entrata della
morte nella realtà umana, esiste un stato dopo la morte nel quale le anime dei defunti rimangono nello sheol
("hades" in greco), o inferno, un luogo situato sotto alla terra, in un abisso inaccessibile ai vivi, come
contrapposizione al "cielo", dimora di Dio e gli angeli.

Dopo la sua morte che fu reale e non apparente, Gesù Cristo, con la sua anima separata dal corpo, che rimase
nel sepolcro, "discese agli inferni2, come lo presenta la professione di fede cristiana nel Credo. Che cosa andò a
fare lì Gesù? Andò a proclamare la Buona Novella alle anime dei giusti che abitavano lì, e che erano private di
stare nella presenza di Dio, facendo validi per essi i frutti della Redenzione, cioè, aprendo l'accesso alla visione
di Dio nel cielo.

Dice il Catechismo:
“Gesù non è disceso agli inferi per liberare i dannati né per distruggere l'inferno della dannazione, ma per
liberare i giusti che l'avevano preceduto.
‘La Buona Novella è stata annunciata anche ai morti. . . ‘ (1Pt 4,6). La discesa agli inferi è il pieno
compimento dell'annunzio evangelico della salvezza. È la fase ultima della missione messianica di Gesù, fase
condensata nel tempo ma immensamente ampia nel suo reale significato di estensione dell'opera redentrice a
tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi, perché tutti coloro i quali sono salvati sono stati resi partecipi
della Redenzione.” (114)


La risurrezione di Gesù Cristo e la sua ascensione al cielo.

La resurrezione di Cristo dopo la morte è una verità fondamentale del cristianesimo, testimoniata in primo
luogo per il sepolcro vuoto, e dopo per le numerose apparizioni, nelle quali Gesù conversò coi suoi discepoli ed
apostoli, lasciò che lo toccassero e mangiò con essi.

San Paolo ci dice davanti a questo fatto:
“Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! 14 Ma se Cristo non è risuscitato, allora è
vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede. Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo
soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini.” (115)

Il Catechismo ci insegna:
“La Risurrezione di Cristo non fu un ritorno alla vita terrena, come lo fu per le risurrezioni che egli aveva
compiute prime della Pasqua: quelle della figlia di Giairo, del giovane di Naim, di Lazzaro. Questi fatti erano
avvenimenti miracolosi, ma le persone miracolate ritrovavano, per il potere di Gesù, una vita terrena
“ordinaria”. Ad un certo momento esse sarebbero morte di nuovo. La Risurrezione di Cristo è essenzialmente
diversa. Nel suo Corpo risuscitato egli passa dallo stato di morte ad un'altra vita al di là del tempo e dello
spazio. Il Corpo di Gesù è, nella Risurrezione, colmato della potenza dello Spirito Santo; partecipa alla vita
divina nello stato della sua gloria, sì che san Paolo può dire di Cristo che egli è “l'uomo celeste” [Cf 1Cor
15,35-50 ].” (116)

Quello che più interessa è il senso e la portata del fatto della Resurrezione di Gesù Cristo che presenta un
aspetto complementare del sacrificio del Signore: per la morte ci libera dello schiavitú del peccato, come già



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vedemmo, e per la resurrezione c'apre l'accesso ad una vita nuova, la vita della grazia di Dio. Vediamo questo
in più dettaglio: Cristo, con la sua obbedienza fino ad accettare la morte, vince la disubbidienza a Dio, radice
del peccato.

Inoltre carico su sé tutti i peccati degli uomini, offrendosi come vittima sacra per soddisfare la giustizia di Dio.
E, con la sua resurrezione, vince definitivamente al peccato, poiché la morte entra al mondo come conseguenza
del peccato:
“Quindi, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, così anche la
morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato. Come dunque per la colpa di uno solo si è
riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l'opera di giustizia di uno solo si riversa su tutti gli
uomini la giustificazione che dà vita. Similmente, come per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati
costituiti peccatori, così anche per l'obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti.” (117)

La resurrezione di Cristo, che lo mostra conquistatore della morte, implica anche che è il segno definitivo per
mostrare che è il vincitore del peccato, e che questa vittoria si fa estensiva a tutti gli uomini:
“O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per
mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai
morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova.” (118)

Il Figlio di Dio, nell'incarnazione, "discese" dal cielo, per prendere la natura umana. Dopo morto e risuscitato
"ritornerà al Padre”, nell'ascensione al cielo:
“Poi (Gesù) li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da
loro e fu portato verso il cielo.” (119)

Gesù Cristo stesso aveva anticipato già ai suoi discepoli nell'Ultima Cena l'evento della sua ascensione al cielo:
“Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo, e vado al Padre.” (120)

Per il fatto di andare al cielo con la sua natura umana, ed elevarla allo stato di gloria, Gesù Cristo chiude il
mistero della Salvazione degli uomini, poiché di questa maniera "apre" nuovamente l'accesso degli uomini al
cielo, alla presenza di Dio, chiuso per il peccato originale. La natura umana in Gesù Cristo ha consumato la sua
fine ultima che è figura ed anticipo di quello che succederà finalmente ai salvati alla fine dei tempi, con la
resurrezione universale.

Vivendo la stessa vita di Cristo, che è la vita della grazia che ci comunica il battesimo, come vedremo in
dettaglio nella Seconda Parte, potremo essere liberati del peccato, cominciando a vivere una nuova vita.
Questa è la conseguenza fondamentale che deriva dalla resurrezione di Cristo: per i suoi meriti, ed elevato alla
gloria del cielo nella presenza del Padre per la sua ascensione dopo risuscitato, da lì intercede per gli uomini ed
invia loro i doni della sua grazia, aprendo il cammino della salvazione a tutti quelli che lo accettino, che implica
arrivare dopo la morte anche alla presenza di Dio e, nel fine dei tempi, resuscitare ed unire nuovamente le sue
anime ad un corpo glorioso simile a quello di Gesù Cristo.


Conclusioni finali sulla Redenzione di Gesù Cristo.

In moltissime persone esiste un'idea, ovviamente sbagliata, ma che presenta loro un'immagine molto distorta di
Dio: credono che Dio Padre, nella sua impassibilità inaccessibile nell'altezza dei cieli, condannasse alla morte
di croce a suo Figlio, affinché col suo sacrificio desse soddisfazione alla sua dignità offesa per il peccato degli
uomini, riparando così la terribile offesa della creatura verso il suo Creatore.

Allora, "placata" l'ira del Padre con la morte di suo Figlio, è disposto a perdonare l'enorme debito degli uomini
per il suo peccato. Ovviamente, quelli che pensano così, subito riferiscono questo atteggiamento di Dio col suo
“permissivismo ed indifferenza” rispetto al male nel mondo, all'ingiustizia, crimini, vessazioni e sofferenze di
tanti innocenti.



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Rispetto a questo ultimo, vedemmo già all'inizio del libro, quando parliamo del peccato, che non è attribuibile
in nessun modo a Dio, ma sussiste ancora questa terribile immagine del Padre che non trepida in mandare alla
tortura e la morte a suo proprio Figlio.

Mettiamoci per un momento, in qualche modo, nel posto di Dio Padre, (come farlo?), e vediamo a che
problema si affronta, in un momento preciso, nella sua relazione con gli uomini: il primo uomo e la prima
donna creati, si allontanarono dalla sua presenza, indotti per la tentazione, poiché per superbia vollero "essere
come dei" solo per sé stessi.

La sua discendenza affondò nel peccato, ed allora Dio decise un nuovo principio per la razza umana, a partire
da Noé e la sua famiglia, unici sopravvissuti del diluvio sulla terra. Tuttavia, nuovamente i discendenti del
Patriarca antidiluviano, peccano e si allontanano da Dio, ed allora Egli decide formare un popolo per sé,
partendo d’un altro patriarca, Abramo. Sorgerà da lui il popolo eletto, la nazione israelita, che una ed altra volta
si allontanerà in forma sistematica dal suo Dio, volgendosi ad adorare altri dei, semplici idoli fabbricati per gli
uomini.

Questa condotta porterà al popolo di Dio successivi tempi di disgrazie, sottomissione ad altre nazioni, esili e
sofferenze di ogni tipo, nonostante le ripetute avvertenze ed ammonimenti di Dio attraverso i suoi profeti.
Persa la sua sovranità e sommessa a nazioni poderose, come i greci in primo luogo ed i romani dopo, la nazione
israelita che sussiste (solo due tribù di dodici), rimarrà rinchiusa in un culto al suo Dio puramente esterno, con
sacrifici rituali nel Tempio di Gerusalemme, convertito in una grotta di ladri ed opportunisti che si approfittano
delle necessità del popolo; si sono allontanati sempre di più dallo spirito dell'alleanza fatta con Yahveh, il suo
Dio, il peccato è generalizzato, e l'uomo non riesce, nonostante il suo sforzo, plasmare in opere buone, unite
alla sincerità del suo cuore, il culto a Dio.

Di fronte a questo panorama ogni volta peggiore, come fare che tutti i peccati degli uomini, quelli commessi
fino a questo momento, e tutti quelli che si commetteranno fino alla fine dei tempi, possano essere perdonati e
cancellati?
Chi potrà caricare con tutti essi ed espiare per ognuno degli stessi?

Evidentemente non poteva esistere nessun essere umano nel mondo che fosse in condizioni di assumere su sé
stesso tutto il peccato dell'umanità, ed, allora, espiare per tutto quell'enorme peso col suo sacrificio. All'essere
praticamente infinito il volume del peccato, chi poteva avere, per più santo che fosse, la capacità di soddisfare
per questo peccato infinito?

È cosicché, di fronte a questa realtà, sorge una "idea" sorprendente in Dio, frutto del suo ardentísimo amore
verso gli uomini, ed alla sua fedeltà assoluta, che fa che non desideri allontanarsi dalla sua creatura, né
cancellarla per sempre della creazione: l'unica vittima con meriti sufficienti per potere riuscire questo è suo
proprio Figlio, che è Dio, ed il cui valore soddisfattorio e meritorio è infinito.

Ma affinché Dio stesso sia questa vittima che guadagni la salvazione per gli uomini, deve assumere
necessariamente la natura umana, oltre a mantenere la sua natura divina. Così sorge allora l'incarnazione del
Figlio di Dio nella natura umana, in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo.

Quest’atto, e la seguente passione e morte di Gesù Cristo, grida fortemente a tutti gli uomini i profondi
sentimenti di amore e misericordia del Padre, e ci segue interpellando ad ognuno degli uomini, come ieri e
sempre.
È come se Dio Padre, quasi pregandoci da tutto il suo amore, nonostante del suo potere onnipotente, ci dicesse:

“Non ti rendi conto, figlio mio, dell'immenso amore che ho per te, e del mio desiderio bruciante che ti salvi e
vivi come figlio adottivo mio, insieme a me, per tutta l'eternità?"

“Non ti rendi conto che non dubitai per quel motivo di sacrificare mio unico ed amato Figlio, umiliandolo e
facendogli vivere una passione e morte ignominiosa, affinché possi percepire che grande è il mio amore per
te?"



49

“Non ti rendi conto che Egli, che era completamente innocente, prese su di sé tutti i tuoi peccati, benché ancora
non esistessi, ed anche quelli del resto degli uomini, in obbedienza alla missione che gli chiesi, solo per l'amore
che aveva per te, e per regalarti la possibilità della salvazione?

“Non ti rendi conto che ora, mediante questo sacrificio d’amore, trovi completamente aperta la porta ad una vita
di santità, per la grazia meritata per mio Figlio, e che quella santità ti porterà alla gloria definitiva ed eterna
della vita nel cielo?"

“Perché non prendi questa nuova vita che è alla portata della tua mano, aspettando che tu decida ad accettarla e
viverla?" “Non la desideri per caso?”

Questa ultima domanda di Dio risulta fondamentale per l'uomo, perché c'è un adagio molto certo che dice: “non
può desiderarsi quello che non si conosce." Tratteremo allora, a partire dal prossimo capitolo, di conoscere tutto
quello che è a nostra disposizione, come dono ottenuto per i meriti infiniti di nostro Signore Gesù Cristo, nella
forma di aiuti soprannaturali per raggiungere la nostra salvazione, per potere così desiderarli, e, desiderandoli,
cercarli per allora farli nostri.






PARTE PRIMA:

I Riferimenti al Capitolo 4:

(66): Giovanni 1,1; 1,14
(67): Giovanni Paolo II, Catechesi su Gesù Cristo nel udienza del 07/01/1987
(68): Lucca 1,26-35. 38
(69): Citato nel Catechismo della Chiesa Cattolica, N° 494
(70): Giovanni Paolo II, Catechesi su Gesù Cristo nel udienza del 28/01/1987
(71): Catechismo della Chiesa cattolica, N° 503
(72): Ibid. N° 464
(73): Marco 1,11; cf.: Matteo 3,17; Lucca 3,22; Matteo 17,5; Marco 9,7; Lucca 9,35
(74): Matteo 11,27
(75): Lucca 2,51-52
(76): Catechismo della Chiesa cattolica, N° 474
(77): Lucca 22,41-42
(78): Galati 2,19-20
(79): Lucca 1,31
(80): Matteo 1,20-21
(81): Matteo 1,16
(82): Lucca 2,47
(83): Matteo 3,13-17
(84): Atti 10,37-38
(85): 1 Samuele 10,1
(86): Lucca 4,1
(87): Le tentazioni di Gesù: Matteo 4,1-11; Lucca 4,1-13
(88): P. Raniero Cantalamessa, “La Parola e la Vita” Ciclo C



50
(89): Lucca 1,32-33
(90): 2 Samuele 7,12
(91): Lucca 4,14-22
(92): Marco 1,14-15
(93): Lucca 17,20-21)
(94): Matteo 6,10; Lucca 11,2
(95): Matteo 13,31-32
(96): Zaccaria 1,3-4
(97): P. Raniero Cantalamessa, “Unti per lo Spirito”, Cap IV
(98): Ebrei 5,1; 5,7-8
(99): Lucca 3,21-22
(100): Marco 1,35-38
(101): Lucca 5,15-16
(102): Matteo 14,22-23
(103): Lucca 9,28-29
(104): Lucca 6,12-13
(105): Giovanni 17,14-17
(106): Giovanni 6,11
(107): Giovanni 11,41-44
(108): Lucca 22,19-20
(109): Giovanni Paolo II, Catechesi su Gesù Cristo, udienza del 29/07/1987
(110): Giovanni Paolo II, catechesi su la Redenzione, udienza del 07/09/1988
(111): Matteo 20,28
(112): Giovanni Paolo II, catechesi su la Redenzione, udienza del 19/10/1988
(113): Filippesi 2,8-11
(114): Catechismo della Chiesa cattolica, N° 633 e 634
(115): 1 Corinzi 15,13-14.19
(116): Catechismo della Chiesa cattolica, N° 646
(117): Romani 5,12.18-19
(118): Romani 6,3-4
(119): Lucca 24,50-51
(120): Giovanni 16,28



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Parte seconda: Fondamenti Della Vita Cristiana.


Capitolo 1: La Redenzione Obiettiva e Soggettiva



La nuova Alleanza
Gesù Cristo, mediante la sua passione e morte di croce, che chiamiamo soddisfazione vicaria, compiuta a
favore di tutti gli uomini, e per l'infinito merito di questa azione, come Figlio di Dio, ha ottenuto la redenzione
o salvezza del genere umano, cioè, la riconciliazione definitiva degli uomini con Dio. Questo fatto è ciò che è
chiamato redenzione obiettiva, che è quella effettuata da Gesù Cristo stesso.

Questa redenzione obiettiva si è tradotta in un frutto molto importante, che può essere riassunto dicendo che
Gesù Cristo ha condotto a termine una nuova ed eterna Alleanza di Dio con gli uomini. Egli ha annunciato
l’inizio del Regno di Dio tra gli uomini, e questo Regno deriva principalmente in tutte le sue conseguenze, dalla
Nuova Alleanza, che sostituisce alla Antica Alleanza, fatta da Dio con gli uomini nella montagna di Sinaí per
mezzo di Mosè.

Gesù stesso, durante l'Ultima Cena, riunito con i suoi apostoli prima di essere consegnato tra le mani degli
ebrei per essere sottoposto alla sua passione e morte, ha proclamato questa Alleanza:
“Ora, mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai
discepoli dicendo: «Prendete e mangiate; questo è il mio corpo». Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo
diede loro, dicendo: «Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in
remissione dei peccati.».” (121)

Queste parole di Gesù sono collegate con ciò che sta per fare: la sua morte liberamente accettata per la
redenzione degli uomini. In questo discorso vi è una evidente allusione alla alleanza del Sinai, nella quale è
stato costituito il Popolo di Dio: “Allora Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: «Ecco il sangue
dell'alleanza, che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole».” (122)

Vale a dire, Cristo inaugura una nuova Alleanza con l'effusione del proprio sangue, che perfezionarà e porterà
alla sua pienezza l’antica Alleanza del Sinaí.
Questa nuova Alleanza darà luogo ad un nuovo popolo di Dio, che costituirà la nuova Casa di Israele, quella
che sarà conosciuta come la Chiesa cristiana. Questo nuovo popolo di Dio non sarà limitato ad una singola
nazione, ma comprenderà in esso agli uomini di tutte le nazioni, lingue e razze, che è il significato di Cattolico.
Ci dice la autorevole parola del Concilio Vaticano II:

“Tuttavia Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma
volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse secondo la verità e lo servisse nella santità. Scelse quindi
per sé il popolo israelita, stabilì con lui un'alleanza e lo formò lentamente, manifestando nella sua storia se
stesso e i suoi disegni e santificandolo per sé. Tutto questo però avvenne in preparazione e figura di quella
nuova e perfetta alleanza da farsi in Cristo... Cristo istituì questo nuovo patto cioè la nuova alleanza nel suo
sangue (cfr. 1 Cor 11,25), chiamando la folla dai Giudei e dalle nazioni, perché si fondesse in unità non
secondo la carne, ma nello Spirito, e costituisse il nuovo popolo di Dio.” (123)

La nuova Alleanza era già stata annunciata dai antichi profeti, e precisamente la rivelazione profetica,
compiuta con Gesù Cristo, rende chiaro quali siano gli elementi costitutivi di questa nuova Alleanza:

“Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri
idoli; vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi
darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò



52
osservare e mettere in pratica le mie leggi. Abiterete nella terra che io diedi ai vostri padri; voi sarete il mio
popolo e io sarò il vostro Dio.” (124)

Abbiamo visto così i principali aspetti della nuova Alleanza: Da parte di Dio, Egli dona agli uomini il perdono
e la remissione dei peccati (aspetto negativo), ed una vita nuova, un cambiamento interno profondo (aspetto
positivo), che il profeta chiama "cambiare il cuore di pietra per uno a base di carne". Da parte degli uomini Dio
chiede soltando quello che sempre ha sollecitato: che siano il suo popolo, che l’accetino come il suo Dio,
lasciando i propri idoli.
È importante rendersi conto del cambiamento radicale tra la antica e la nuova Alleanza: nella antica Dio aveva
dato una legge per compiere, che erano i suoi Comandamenti, che l'uomo doveva osservare. La realtà mostrò
che nessuno poté farlo partendo dalle proprie forze:

“Abbiamo infatti dimostrato precedentemente che Giudei e Greci, tutti, sono sotto il dominio del peccato,
come sta scritto:
Non c'è nessun giusto, nemmeno uno,
non c'è sapiente, non c'è chi cerchi Dio!
Tutti hanno traviato e si son pervertiti;
non c'è chi compia il bene, non ce n'è neppure uno” (125).

Nella nuova Alleanza la legge di Dio penetrarà direttamente nel cuore dell’uomo, e dal suo interno lo porterà al
suo compimento. È la nuova "legge dello Spirito", data dal dono di Dio, la grazia, che gli permetterà di vincere
il peccato e vivere una vita nuova. La grazia di Dio costituisce, dunque, il grande frutto della nuova Alleanza di
Dio con gli uomini effettuata mediante Gesù Cristo, Figlio di Dio, incarnato nella natura umana.


La grazia.
Siamo arrivati a ciò che costituisce il punto centrale del mistero della piena vita cristiana: la dottrina della
grazia. Dinanzi a questo tema cruciale per il cristiano dobbiamo situarci, in linea di principio, nella realtà della
condizione spirituale del tempo in cui viviamo, per essere così in grado di guardare da una corretta prospettiva
la dottrina cristiana della grazia.

Non vi è dubbio che l'uomo attuale soffre una profonda crisi spirituale, la cui base principale è l'autonomia che
cerca di avere nelle sue necessità e nelle diverse ricerche che fa; vorebbe doverlo tutto a sé stesso, senza
dipendere da nessuno, cosa che ovviamente comporta il suo distanziamento da Dio, che lo spinge ad ignorarlo
totalmente, ed anche a negarlo con enfasi.
Tutto ciò porta a trascurare quasi in modo deffinitivo la vita spirituale o vita interiore, dove si produce
l'incontro della creatura con il suo Creatore, rimanendo allora tutta la sperienza di vita circoscritta alle realtà
materiali che sono possibili di sperimentare e di spiegare secondo la ragione umana naturale.

La dottrina cristiana della grazia avanza dall'estremità opposta, come spiega san Paolo:“Chi dunque ti ha dato
questo privilegio? Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perché te ne vanti
come non l'avessi ricevuto?” (126)

Si parte del presupposto iniziale che tutto nella vita è dono di Dio, ricevuto gratuitamente, cominciando per
aver ricevuto l’essere, uscendo dal nulla, fino alla consumazione nella vita eterna, godendo della gloria nella
presenza di Dio. Quindi è essenziale tenere a mente questa radicale differenza tra il pensiero e l'atteggiamento
dell’ uomo del "mondo", l'uomo che resta soltanto a livello di ciò che è razionale, con l'approccio e la
concezione del cristiano, con la sua visione "spirituale", quando vogliamo penetrare nella comprensione della
dottrina cristiana della grazia.

Anche quando si parla di grazia non dobbiamo mai dimenticare che la rivelazione fondamentale della Bibbia,
che è la base della religione cristiana, è quella di avere fatto conoscere l'amore di Dio per noi uomini, le sue
creature. Abbiamo visto nei capitoli precedenti che questo amore di Dio si è espresso in un primo atto, che è la
creazione di tutto l'universo ed in particolare dell'uomo.



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Questo amore di Dio, che ha continuato a restare fedele agli uomini per tutto il periodo della storia umana che
conosciamo come l'Antico Testamento, si espressarà in un evento che avrà la dimensione di una ricreazione: la
Redenzione di Gesù Cristo, che inaugura il Nuovo Testamento o Nuova Alleanza di Dio con gli uomini.
Ora Dio scenderà, per così dire, dall'altezza inaccessibile per gli uomini dove si trova, ed abiterà all'interno
delle sue creature, in modo che possano partecipare alla sua vita divina, fatto che è del tutto impossibile per la
natura umana.

Per un incomprensibile atto di amore, Dio elevarà alla creatura razionale al di sopra delle condizioni della sua
natura, rivestendola d’una specie di nuova natura, partendo dal dono della grazia, che consentirà alll'uomo di
penetrare in un nuovo universo di vita, di comprensione e di amore, in modo da poter dirigersi verso le
profondità della intimità con Dio, entrando in un rapporto di vera amicizia con il suo Creatore.

Il concetto della grazia di Dio è stato lentamente rivelato agli uomini dalla Parola di Dio, fin dal Antico
Testamento. Abbiamo visto nel capitolo 3 della Parte Prima, una sintesi della storia della salvezza dopo la
caduta nel peccato dei primi genitori del genere umano, e questa mette in evidenza il fatto che Dio non
abbandona l'uomo, ma stabilisce successive alleanze con diversi individui, e mediante loro con famiglie e
popoli.
In questo atteggiamento di Dio si apprezzano la sua bontà e misericordia, collegate con la sua fedeltà, per cui
ama e perdona all'uomo, e quindi al suo popolo eletto, che molto sovente pecca e lo abbandona per l'idolatria.
Questa concezione ebraica della benevolenza e la misericordia di Dio, che i profeti dopo l'esilio in Babilonia
proietteranno alle generazioni future con una portata universale a tutta l'umanità, è la preparazione della
rivelazione del Nuovo Testamento circa la grazia di Dio, non più solo come un benevolo sentimento, ma come
un dono, fatto agli uomini come risultanza di questo sentimento, come qualcosa di creato in riguardo alla realtà
increata di Dio stesso.

Ora vediamo come possiamo dare una definizione della grazia che sia accessibile, senza perdere gli necessari
elementi teologici: La grazia è una qualità soprannaturale intrinseca alla nostra anima, ricevuta come un dono
gratuito di Dio, per i meriti di Gesù Cristo, che ci dà una reale partecipazione della natura e della vita di Dio.

Ciò significa che la grazia non appartiene alla natura umana, ma s’aggiunge, s’innesta su di essa, nella
profondità dell'anima, e la fa trascendere entrando nella sfera di quello che appartiene al divino. Così la grazia è
davvero come una nuova natura che ci ricrea, che ci rende creature nuove, trasformandoci e divinizzandoci o
deificandoci.

Anche se è difficile da capire, davvero l'uomo per la grazia si deifica, perché può vivere un modo di vita
veramente divino, ricevendo nuove facoltà anche loro divine, con le quali potrà praticare opere analoghe a
quelle dello stesso Gesù Cristo, o anche maggiori, come ha rivelato il Maestro stesso:
“In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi,
perché io vado al Padre. Qualunque cosa chiederete nel nome mio, la farò, perché il Padre sia glorificato nel
Figlio.” (127)

La Redenzione soggettiva o Giustificazione.
Abbiamo visto che mediante la Redenzione obiettiva di Cristo, Dio stabilisce una nuova Alleanza con gli
uomini, che implica porre a sua disposizione il dono della grazia. Ma questa Redenzione obiettiva deve essere
presa ed appropriata per gli uomini. Questo processo d’appropriazione personale è noto come Redenzione
Soggettiva o Giustificazione.

Dio non vuole salvare gli uomini senza la sua libera cooperazione, non impone loro nulla, neanche la sua
propria salvezza. Pertanto, la redenzione di Gesù Cristo non è qualcosa che viene automaticamente applicata a
tutti gli uomini ed ha un effetto immediato su di loro. Ogni persona, individualmente, deve fare sua la
Redenzione che è stata messa a sua disposizione, in un processo complesso che richiede non solo della sua
libera decisione, ma anche di sforzo e perseveranza lungo tutta la sua vita.

Gesù ha prevenuto i suoi discepoli sulla necessità di questo sforzo:



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“Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne
impadroniscono.” (128)
La violenza di cui parla Gesù è una violenza contro sé stessi, contro le proprie tendenze naturali, e costituisce
ciò che viene chiamato il "combattimento spirituale cristiano”, che vedremo in modo dettagliato più avanti.

Per il momento siamo interessati ad avere chiaro che l'uomo ha a sua disposizione la Redenzione obiettiva, e
dipenderà da lui appropriarsela e allora vivere tutti i suoi frutti. Prima di cominciare a studiare gli effetti
ammirevoli della grazia sul anima umana, vedremo un tema molto importante, che è il modo in cui si riceve la
grazia.

Il battesimo cristiano.
In primo luogo cominceremo a parlare d’ora in avanti della grazia santificante, per differenziarla da altre
divisioni della grazia che subito vedremo, che è il nome appropriato della grazia che si riceve nell’anima per
trasformarci e santificarci. Riceve anche il nome di grazia abituale, poiché una volta ricevuta rimane
nell'anima, nonostante esista la possibilità di perderla a causa del peccato.

Il mezzo per ricevere la grazia santificante è il battesimo cristiano. La parola "battezzare" significa
"sommergere", "introdurre nell’acqua". L’immersione in acqua simboleggia l'atto di seppellire a chi riceve il
battesimo insieme a Cristo, per risorgere con Lui a una nuova vita.

San Paolo esprime questo concetto con precisione: “Noi che già siamo morti al peccato, come potremo ancora
vivere nel peccato? O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella
sua morte? Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu
risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova.”
(129).

Questo è il motivo per cui il battesimo è una nuova nascita, è un morire ad una vita di peccato per nascere ad
una vita nuova e soprannaturale. San Paolo parla del battesimo anche come una rigenerazione e rinnovamento
(130), perché si tratta veramente di una nuova e vera generazione, che termina in una nascita reale.
Questa seconda nascita è incomparabilmente superiore alla prima, in quanto invece di una vita naturale ed
umana ci trasmette una soprannaturale e divina, destinata a sviluppare in ogni cristiano un uomo nuovo, che
San Paolo definisce come “creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera.” (131). Questa grazia
rigenerativa rinnova in pieno a chi la riceve, poiché rimuove il peccato originale, e tutti i peccati che
attualmente può avere.

Il Battesimo è assolutamente necessario per salvarsi, come ha insegnato Gesù: “Chi crederà e sarà battezzato
sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato.” (132).
La ragione teologica è chiara: l'ultima fine dell’uomo, cioè la vita eterna nel cielo in presenza di Dio, è una
impresa soprannaturale che supera la capacità naturale degli esseri umani. Pertanto si può solo ottenere questa
fine mediante la grazia santificante, dono soprannaturale di Dio che si aggiunge alla natura umana con il
battesimo.

Ciò che conta molto da chiarire è che ci sono diversi modi per ricevere il battesimo. Il modo più comune è
quello di ricevere il battesimo sacramentale. Ricorderemo brevemente la nozione di sacramento: questa
espressione etimologicamente significa "qualcosa che santifica”, o che è “santo", e nella dottrina cristiana è
utilizzata per indicare un segno esterno istituito da Cristo per produrre la grazia.
Vale a dire ogni sacramento è un segno che in virtù di Dio, dal suo potere onnipotente produce ciò che
significa. Il sacramento del battesimo ha come effetto quello di donare la grazia santificante a chi lo riceve.

Questo sacramento deve essere somministrato da un ministro, che è di solito un sacerdote. Ma in caso di
necessità, può amministrarlo qualunche persona, anche un no battezzatto, a condizione che lo faccia nel modo
che lo fa la Chiesa, vale a dire, versando acqua sulla persona che riceve il battesimo e pronunciando al stesso
tempo la formula stabilita ("Io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo"), e con la sincera
intenzione di fare ciò che la Chiesa fa mediante i suoi ministri.



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Coloro che si battezzano devono soddisfare determinate condizioni: se sono persone che sono arrivate all'uso
della ragione, è necessario che abbiano l'intenzione di ricevere il battesimo, avendo fede ed essendo pentiti dei
suoi peccati. Per questa ragione nei cosiddetti catecumeni è necessario un minimo di preparazione o di
catechesi, per ricevere l’istruzione sulle verità fondamentali della fede cristiana.
Di questo risulta che è infruttuoso il battesimo in coloro che sono costretti ad esso, o lo ricevano senza una
sincera intenzione, per esempio, facendolo solamente per ottenere alcun vantaggio personale.
Nei bambini che non hanno ancora raggiunto l'uso della ragione, la sua accettazione è fornita dai genitori e
padrini, essendo questi ultimi le persone designate dai genitori per fare in nome del bimbo la sua professione di
fede.

Il battesimo sacramentale, come mezzo comune per ricevere la grazia santificante, può essere supplito da mezzi
straordinari, quando senza colpa propria non si può ricevere il sacramento. Questi mezzi sono principalmente
due: il battesimo di desiderio e il battesimo di sangue.

Il battesimo di desiderio si compie quando vi è un desiderio esplicito di riceverlo, come ocorre nei catecumeni
che muoiono prima di ricevere il sacramento, o un anelito implicito, come troviamo nei pagani che non
conoscono il cristianesimo; entrambe le situazioni devano essere unite a una contrizione o pentimento per i loro
peccati.
E quindi evidente che, per coloro che hanno conosciuto la rivelazione cristiana, il desiderio di battesimo deve
essere esplicito, mentre per i non-cristiani o pagani, che non hanno notizie del sacramento, ma che sono alla
ricerca di Dio, e sono pentiti dei loro peccati e compiono con la legge naturale, ignorando senza colpa la vera
Chiesa, questo desiderio è implicito ed è valido per ricevere il battesimo. Naturalmente l'unico che conosce
questo desiderio è Dio stesso, che vede nel profondo del nostro essere, e Lui accorda in ogni caso, il dono della
grazia santificante.

Questa dottrina è stata chiaramente riaffermata dal Concilio Vaticano II:
“Tutti gli uomini sono chiamati a formare il popolo di Dio. Perciò questo popolo, pur restando uno e unico, si
deve estendere a tutto il mondo e a tutti i secoli, affinché si adempia l'intenzione della volontà di Dio, il quale
in principio creò la natura umana una e volle infine radunare insieme i suoi figli dispersi...
Tutti gli uomini sono quindi chiamati a questa cattolica unità del popolo di Dio, che prefigura e promuove la
pace universale; a questa unità in vario modo appartengono o sono ordinati sia i fedeli cattolici, sia gli altri
credenti in Cristo, sia infine tutti gli uomini senza eccezione, che la grazia di Dio chiama alla salvezza.
Infine, quanto a quelli che non hanno ancora ricevuto il Vangelo, anch'essi in vari modi sono ordinati al
popolo di Dio. In primo luogo quel popolo al quale furono-dati i testamenti e le promesse e dal quale Cristo è
nato secondo la carne (cfr. Rm 9,4-5), popolo molto amato in ragione della elezione, a causa dei padri, perché
i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili (cfr. Rm 11,28-29). Ma il disegno di salvezza abbraccia anche
coloro che riconoscono il Creatore, e tra questi in particolare i musulmani, i quali, professando di avere la
fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico, misericordioso che giudicherà gli uomini nel giorno finale. Dio
non e neppure lontano dagli altri che cercano il Dio ignoto nelle ombre e sotto le immagini, poiché egli dà a
tutti la vita e il respiro e ogni cosa (cfr At 1,7,25-26), e come Salvatore vuole che tutti gli uomini si salvino (cfr.
1 Tm 2,4). Infatti, quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa ma che tuttavia cercano
sinceramente Dio e coll'aiuto della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di lui, conosciuta
attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna. Né la divina Provvidenza nega gli
aiuti necessari alla salvezza a coloro che non sono ancora arrivati alla chiara cognizione e riconoscimento di
Dio, ma si sforzano, non senza la grazia divina, di condurre una vita retta. Poiché tutto ciò che di buono e di
vero si trova in loro è ritenuto dalla Chiesa come una preparazione ad accogliere il Vangelo e come dato da
colui che illumina ogni uomo, affinché abbia finalmente la vita.” (133).

Si riconosce allora che la grazia battesimale può essere ricevuta in modo misterioso, secondo la volontà e la
misericordia di Dio, in quelli che "coll’aiuto della grazia" cercano “sinceramente Dio”, e si “sforzano di
compiere con le opere la volontà di lui” conosciuta “attraverso il dettame della coscienza”. Così, questi uomini
possono anche ottenere la salvezza eterna, opera della grazia di Dio.



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Vediamo così che l'infinita misericordia di Dio pone alla reale portata di tutti gli uomini la salvezza eterna,
distruggendosi il malinteso che hanno ancora molti, dentro e fuori la Chiesa, per il quale solo si salva chi
appartiene alla Chiesa e che ha ricevuto il Battesimo sacramentale.

Ma si vedrà in seguito l'importanza cruciale che implica disporre degli aiuti che fornisce la Chiesa per avanzare
sul cammino della santificazione, poiché il battesimo, e la conseguente ricezione della grazia santificante, è
soltanto l'inizio, il primo passo nella Vita cristiana, che dovrà ancora crescere e svilupparsi.

Abbiamo un secondo mezzo straordinario per ricevere il battesimo, che è il battesimo di sangue, che consiste
nel martirio di una persona che, senza aver ricevuto il Battesimo sacramentale, arriva fino alla morte per aver
confessato la fede cristiana, o per aver praticato le Virtù cristiane.
Secondo la testimonianza della Tradizione, anche i bambini che non hanno raggiunto l'uso della ragione
possono ricevere il battesimo di sangue, come è il caso dei santi innocenti uccisi per ordine di Erode. (134)


Inserimento nel Corpo Mistico di Cristo.
Vedremo in seguito con maggiore dettaglio cosa accade quando si riceve il battesimo cristiano. Dice San
Paolo:
“Poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo.” (135).
Che cosa significa rivestirsi di Cristo? E prendere parte della sua vita, delle sue disposizioni interne, delle sue
virtù, dei suoi sentimenti. Possiamo dire che quello che è stato battezzato si "cristifica", essendo il battesimo
l’inizio di un cammino che dovrebbe portare ad ogni cristiano nella stessa certezza che ha avuto San Paolo:
“Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io
la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me.” (136).
Anche San Paolo esorta ai cristiani di questo modo:
“Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” (137).

Tutto questo si realizzerà attraverso un grande mistero, che fa parte del centro della fede cristiana, e che
consiste nella nostra incorporazione a Cristo. Ciò significa che per il battesimo siamo incorporati a Cristo, al
suo proprio Corpo, non il corpo fisico come quello nato da Maria, e che oggi si trova tra gli uomini
misteriosamente nascosto sotto i veli eucaristici, ma il cosiddetto corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa.

San Paolo lo esprime molto chiaramente, facendo il confronto con il corpo umano:
“Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo
solo, così anche Cristo. E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo.”
(138)
Il Battesimo ci incorpora al Corpo Mistico di Cristo, che è una grande società spirituale, di cui egli è il Capo e
tutti i battezzati sono i suoi membri, essendo lo Spirito Santo l'elemento di unità e di coesione.

Gesù, per rivelare questa grande verità, si serve di un raffronto, che ci trasmette San Giovanni Evangelista:
“Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni
tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche
voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza
di me non potete far nulla.” (139)

Gesù utilizza come raffronto la vita di una pianta, in questo caso la vite; i rami che danno le uve (tralci) sono
uniti al ceppo da dove ricevono la linfa vitale che li nutre e li fa crescere e dare i suoi frutti saporiti. Quando
essi sono separati dal ceppo, non ricevono il alimento, e allora i tralci si seccano.

Possiamo confrontare, come è stato fatto tradizionalmente, il nostro inserimento nel Corpo Mistico di Cristo, al
fatto di innestare una pianta. Sappiamo che utilizzando la tecnica adeguata, è possibile innestare un germoglio
di una pianta nel gambo di un altra, ed ottenere che lo stesso sia assimilato alla nuova pianta, e cresca in essa,



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rimanendo allora come parte integrante di quest’ultima; riceverà la nutrizione della linfa per vivere e crescere,
bene che avrà le nuove qualità della pianta che lo riceve, in quanto si nutre dall'essenza di essa
.
Anche in questo nostro tempo, esistono gli innesti o trapianti nel corpo umano. Con questi, realizzati con
sofisticate tecniche chirurgiche e immunologiche, organi come un cuore, un fegato, un rene o una cornea di una
persona particolare, sono incorporate nel corpo di un altro, e se tutto va bene, sono perfettamente assimilati,
ricevendo una nuova vita, e diventando parte integrante del nuovo organismo che li ha ricevuto.

Questo caso è molto più esemplare per quanto riguarda il significato della nostra incorporazione nel Corpo
Mistico di Cristo: gli organi che sono donati per un trapianto, anche se in alcuni casi, come quello di un rene
possono provenire da persone che ancora vivono con uno solo di essi, nella stragrande maggioranza sono
ottenuti da persone che sono sul punto di morire o recentemente decedute.
Colui che è fuori del Corpo Mistico di Cristo, sta morendo alla vita vera, alla vita eterna, e si può "salvare" al
essere trapiantato, innestato in questo Corpo, di cui riceverà il nuovo alimento che lo farà vivere eternamente,
ed eviterà la sua morte eterna.

Rimane così chiara la figura del battezzato: è innestato, trapiantato a un nuovo organismo in qualità di nuovo
membro, di cui Cristo è il Capo, che esercita una funzione di direzione, e lo Spirito Santo è come l'anima, che,
condivisa da tutti membri, li unifica e li coesiona.

L'ineffabile abbondanza di doni che ci regala la redenzione di Cristo viene distribuita ai credenti da Gesù
Cristo stesso, attraverso il suo Corpo Mistico. Così come i tralci ricevono la linfa vitale dalla vite, e grazie ad
essa producono il suo frutto, la uva, così i cristiani incorporati nel Corpo Mistico di Cristo ricevono da Lui la
grazia santificante.

La pienezza di grazia di Gesù Cristo è così versata nei suoi membri, come bene esprime San Giovanni:

“E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi vedemmo la sua gloria,
gloria come di unigenito dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto
e grazia su grazia.” (140)

Gesù Cristo, vero uomo e vero Dio, pieno con la grazia di Dio, la dispensa e distribuisce a tutti i membri del
Corpo Mistico, la sua Chiesa, che restano uniti con Lui.

La Comunione dei Santi.
Una conseguenza molto importante che deriva dalla dottrina del Corpo Mistico di Cristo, a modo di corollario,
è il dogma della Comunione dei Santi.
Il concetto di Chiesa come Corpo Mistico di Cristo ha un vasto senso, poiché comprende tutte le persone che
hanno ricevuto la grazia di Cristo, e che appartengono a tre settori distinti: in primo luogo, i battezzati che
vivono sulla terra, che formano la cosiddetta Chiesa Militante o Pellegrina, dove i credenti sono nel loro
cammino verso la patria celeste e definitiva, che li albergarà per tutta l'eternità.

Troviamo in seguito la Chiesa Purgante, formata dalle anime di coloro che sono morti senza essere
completamente purificati dal peccato, e che si trovano nel Purgatorio, stato preliminare alla sua entrata in cielo,
dopo che per l’espiazione siano interamente purificati.

Infine abbiamo la Chiesa Trionfante o Celestiale, costituita dalle anime dei santi riconosciuti e di tutti quelli
che hanno ottenuto la salvezza, che sono in cielo insieme ai angeli, arrivando a questo stato perché la loro
santità al tempo di morire ha permesso loro d’entrare direttamente al cielo dopo la sua morte (che dovrebbe



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essere la aspirazione di ogni cristiano), o perché già hanno espiato le colpe che avevano al morire nel loro
passaggio attraverso il Purgatorio.

Questi tre stati della Chiesa quindi costituiscono il Corpo Mistico di Cristo, e tra loro vi è una unione intima e
una comunicazione, che e chiamata "comunione" o "comune unione", perché hanno lo stesso Capo, Gesù
Cristo, lo stesso Spirito, che è lo Spirito Santo, e una stessa Vita, la vita della grazia, benché in diverse fasi di
sviluppo e di perfezione.

Questa dottrina della Comunione dei Santi, quando essa entra nei nostri cuori nella sua lucente realtà, attraverso
la crescita della fede, è tremendamente consolante. Fa "sentire" qualcosa di totalmente nuovo, poiché il
concetto umano che di solito si ha sulla Chiesa come un’istituzione costituita dalla gerarchia (Papa, cardinali,
vescovi e sacerdoti) e da religiosi e religiose di diverse congregazioni, è cambiato da una visione molto più
ampia, per la esperienza di “sentirsi” parte integrante d’un grande corpo, in cui vi è una misteriosa unione, ma
reale e tangibile, tra tutti i suoi membri.

Possiamo dire che uno non guarda più, come cristiano, alla Chiesa dal "fuori", ma sente che è parte integrante
d’essa, come quando si appartiene veramente a una grande famiglia. La visione cambia completamente, e sorge
un amore ogni volta più intenso per tutti i suoi membri, specialmente per i sacerdoti e religiosi, e si comprende
molto più chiaramente che alcuni di essi, come uomini che sono, possono essere indegni e peccatori.

Quando più avanti parleremo della orazione del cristiano, torneremo sulla dottrina della Comunione dei Santi,
poiché è la base della preghiera di intercessione, che è la preghiera dei membri del Corpo Mistico di Cristo gli
uni per gli altri, dove la orazione va e viene da uno Stato all'altro della Chiesa.




PARTE SECONDA:

Riferimenti al Capitolo 1:


(121): Matteo 26,26-28
(122): Esodo 24,8
(123): Lumen Gentium N° 9
(124): Ezechiele 36,25-27
(125): Romani 3,10-12
(126): 1 Corinzi 4,7
(127): Giovanni 14,12-13
(128): Matteo 11,12
(129): Romani 6,2-4
(130): Tito 3,5
(131): Efesini 4,24
(132): Marco 16,16
(133): Lumen Gentium N° 13 y 16
(134): Matteo 1,16-18
(135): Galati 3,27
(136): Galati 2,19-20
(137): Filippesi 2,5
(138): 1 Corinzi 12,12-13
(139): Giovanni 15,1-5
(140): Giovanni 1,14-16



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Parte Seconda: Fondamenti Della Vita Cristiana.


Capitolo 2: Gli Effetti Della Grazia Santificante






Il dono supremo di Gesù Cristo.


Abbiamo visto nel capitolo precedente, come la Nuova Alleanza stabilita da Dio con gli uomini, partendo dal
sacrificio di Gesù Cristo, porta alla perfezione l’antica Alleanza, iscrivendo la Legge di Dio, non già su tabelle,
ma direttamente nei cuori degli uomini. Dio, per i meriti di Gesù Cristo, dà il dono supremo all'umanità, il che
significa farli condividere con la sua stessa vita divina, attraverso il dono della grazia santificante. Incorporati
dal battesimo al Corpo Mistico di Cristo, di cui egli è il Capo ed i cristiani i suoi membri, essi ricevono la vita
divina della grazia che fluisce da Colui che è la pienezza della grazia, dando allora luogo alla Giustificazione.

Siamo ora in grado di cominciare a vedere l'aspetto della grazia santificante più meraviglioso e sublime, che si
riferisce agli effetti che produce nell'anima che la riceve, in modo tale che effettivamente comportano una
divinizzazione dell'uomo.

Vedremo, con il suo ordine, i seguenti effetti grandiosi della grazia nei giustificati:

* Il perdono dei peccati.
* La diffusione della vita di Cristo: figli adottivi del Padre, eredi di Dio e fratelli in Cristo e coeredi con Lui.
* L’Inabitazione della Santa Trinità nel anima.
* L'incorporazione al nostro essere d’un nuovo organismo soprannaturale.



Il perdono dei peccati.
Si può affermare che la giustificazione sempre ha il suo inizio con il perdono dei peccati, che significa una
vera e propria remissione del peccato originale che è presente nella natura umana, a causa della caduta dei primi
genitori, come anche qualsiasi peccato che abbia attualmente quello che vive la giustificazione.

Il Catechismo ci chiarisce molto bene questo aspetto:
“La remissione dei peccati nella Chiesa avviene innanzi tutto quando l'anima professa per la prima volta la
fede. Con l'acqua battesimale, infatti, viene concesso un perdono talmente ampio che non rimane più alcuna
colpa — né originale né ogni altra contratta posteriormente — e viene rimessa ogni pena da scontare. La
grazia del Battesimo, peraltro, non libera la nostra natura dalla sua debolezza; anzi non vi è quasi nessuno »
che non debba lottare « contro la concupiscenza, fomite continuo del peccato... La giustificazione separa
l'uomo dal peccato che si oppone all'amore di Dio, e purifica il suo cuore dal peccato. La giustificazione fa
seguito all'iniziativa della misericordia di Dio che offre il perdono. Riconcilia l'uomo con Dio. Libera dalla
schiavitù del peccato e guarisce.” (141)

Questo è ciò che è chiamato aspetto negativo della giustificazione, mentre l'aspetto positivo consiste nella
santificazione ed il rinnovamento interiore dell'uomo. Questi non sono due effetti distinti, ma possiamo dire che
essi siano uno solo, infatti, scompare il peccato e la grazia santificante è infusa, in quanto sono due realtà che
non possono coesistere (quando parliamo qui del peccato, ci riferiamo al peccato mortale, quello che fa morire
la grazia nell'anima).



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La diffusione della vita di Cristo nel cristiano.


Abbiamo detto nel capitolo precedente che la conseguenza fondamentale dell’incorporazione dei esseri umani
al Corpo Mistico di Cristo, la sua Chiesa, è quella di partecipare alla stessa vita del Capo, che è Cristo, essendo
questa vita condivisa da tutti coloro che formano questo Corpo.
La vita di Cristo si manifesta nel giustificato attraverso la grazia santificante per tre effetti che sono
strettamente collegati: noi diventiamo figli adottivi di Dio, suoi eredi e fratelli di Cristo.

San Paolo riassume molto bene questi effetti: “E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere
nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: «Abbà, Padre!». Lo
Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio,
coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.” (142)

In primo luogo, con la grazia santificante noi diventiamo veramente figli adottivi di Dio. Per comprendere la
piena portata di questa grande verità è necessario prendere in considerazione la differenza tra figlio naturale e
figlio adottivo. Nell’ordine naturale, i genitori sono coloro che trasmettono ai loro figli, tramite la generazione,
la propria natura umana.
Gli uomini non siamo figli naturali di Dio per la grazia, perché Dio Padre ha un solo Figlio secondo la natura
divina, che è il Verbo. Quando il Figlio si unisce alla natura umana nella persona di Gesù Cristo, rimane figlio
naturale di Dio, perché, come abbiamo già visto, Gesù è una persona divina.

Invece la filiazione divina mediante la grazia è molto diversa, perché la natura umana non si perde, ma riceve
per aggiunta soprannaturale una partecipazione alla vita divina, in modo che gli uomini in stato di grazia sono
figli adottivi di Dio .
Secondo le leggi umane il figlio adottivo avrà i stessi diritti di un figlio naturale, benché nelle sue vene non
corre il sangue dei genitori adottivi, né si producono cambiamenti nella sua natura e personalità umana. Il padre
adottivo ama il bambino adottato con un amore simile a quello che avrebbe per un figlio naturale. Invece, con la
grazia santificante, l’adozione divina è molto diversa e più completa.

Dio, mediante l'adozione, inculca nella nostra anima in forma fisica, una realtà divina, che è la grazia
santificante, che ci permette di dire metaforicamente che fa circolare lo stesso sangue di Dio nel nostro essere
spirituale. Si tratta di una vera e propria generazione, una nuova nascita, che non ci dà soltanto il diritto di
chiamarci figli di Dio, ma che ci rende una tale realtà, come si esprime San Giovanni:
“Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! La ragione per
cui il mondo non ci conosce è perché non ha conosciuto lui.” (143)

Un'altra differenza della divina adozione è che risulta molto più amorevole e liberale. Gli uomini adottano
perché non hanno figli in cui compiacersi, ma Dio Padre aveva già nel suo Figlio così amato infinita gioia e
compiacimento. Tuttavia, egli ha voluto che queste delizie venissero su di noi con la sua adozione, e il suo
amore per noi arriva fino all’estremo:
“Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia,
ma abbia la vita eterna.” (144)

L'implicazione che segue immediatamente dal fatto della filiazione divina adottiva è che diventiamo
effettivamente eredi di Dio. Ma, che diversa è questa eredità divina dalle eredità umane¡ Tra gli uomini, i figli
non ereditano finché il padre muore, ed inoltre l’eredità disponibile deve dividersi tra tutti gli eredi. Al
contrario, l’eredità divina la cominciamo a ricevere dal momento in cui siamo adottati, e la riceveremo
pienamente quando arriveremo alla presenza del Padre dopo la nostra morte, perché Egli vive in eterno; ed
inoltre, in quanto questa eredità significa il godimento di Dio attraverso la visione beatifica in cielo, e Dio è
infinito, la eredità eterna di ciascuno dei suoi figli è la stessa, non diminuisce in relazione al numero di essi.

Sarà in un altro Capitolo più avanti che vedremo in forma completa il significato della vita eterna nella gioia
della presenza di Dio, in quanto sia possibile abbracciare con le nostre menti umane un così grande mistero, ma



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per ora pensiamo solo in ciò che significa, che per questa eredità, Dio mette a nostra disposizione tutti i suoi
beni esterni, la sua gloria, la sua potenza, i suoi domini, la sua regalità, il suo onore, e così via. L'anima sarà
riempita in modo tale da una gioia e una felicità veramente ineffabile, che tutte le sue aspirazioni e desideri
saranno colmati in una abbondanza che non avrà mai fine.

Infine, secondo la Parola di San Paolo che ci aiuta in questa riflessione, la vita nuova ricevuta da Cristo
significa anche che giungiamo a essere suoi fratelli e, quindi, anche coeredi di Dio insieme a lui.
Anche San Paolo afferma questo fatto della fraternità con Cristo:
“Perché quelli che ha preconosciuti, li ha pure predestinati a essere conformi all'immagine del Figlio suo,
affinché egli sia il primogenito tra molti fratelli.” (145)

Naturalmente è chiaro che non siamo fratelli di Cristo secondo la natura, e neppure siamo figli del Padre in
questo modo. Con l'adozione il Figlio del Padre per sua natura diventa fratello dei figli adottivi e condivide la
sua eredità con loro. Questo che sembra così semplice ha un enorme significato, perché Dio Padre ci ama come
a Cristo, come se fossimo una stessa cosa con suo Figlio, e, allora, appare un fatto ammirevole: tutte le parole
d'amore che il Padre ha pronunciato per quanto riguarda il suo Figlio primogenito, sono anche dirette a noi, i
suoi figli adottivi!

Prendiamo alcune delle espressioni del nostro Padre per farle nostre:

“Ed ecco una voce dal cielo che disse: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto».”
(146)
“Poi si formò una nube che li avvolse nell'ombra e uscì una voce dalla nube: «Questi è il Figlio mio prediletto;
ascoltatelo!».” (147)

Anche Gesù ci rivela questo che implica essere figli del Padre e fratelli suoi:

“Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e
anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui».” (148)
“Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore.” (149)
“Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché
tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi.” (150)
“E la gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola.” (151)

Se potessimo veramente captare il significato di queste parole, e quindi viverlo, allora sarebbe l’inizio per
vivere la vita divina in noi, che è niente meno che vivere la piena vita cristiana!

Abbiamo così riassunto il primo grande mistero della nostra divinizzazione per la grazia: possiamo veramente
chiamare Dio con il dolce nome di Padre ed a Gesù Cristo con il riconfortante titolo di Fratello.



L’inabitazione della Trinità nelle nostre anime.
La vita divina comunicata a noi dalla grazia santificante ha come effetto un altro dono molto speciale, la cui
realtà riempie il cielo di una gioa inmensa, e versa torrenti di luce sulla nostra anima, dandogli una fecondità e
pienezza che produrrá frutti divini in essa senza interruzioni: è la inabitazione della Santissima Trinità nella
nostra anima. Vediamo in dettaglio in ciò che consiste questo straordinario mistero:

Una delle verità più chiaramente manifestate nel Nuovo Testamento è quella della presenza reale della
Santissima Trinità nell'anima di chi si trova in stato di grazia, bene che costituisce anche uno dei grandi misteri
della rivelazione di Dio. Gesù ha voluto insegnare questa verità a tutti gli uomini prima di lasciare questa terra,
dopo la sua risurrezione, per consolarli così della sua assenza fisica, e, d’un certo modo, dare loro un anticipo
sulla vita nel Cielo.



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Durante l'ultima cena che condivide con i suoi apostoli, i suoi amici, come egli li chiamò quella notte, le aveva
appena annunciato la venuta dello Spirito Santo, che restarebbe per sempre con loro. Dopo di questo le
aggiunge un’altra promessa, che sarà per sempre il grande conforto di tutte le anime in grazia, come lo
trasmette di San Giovanni:
“Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora
presso di lui.” (152)

Quindi, in base a tale solenne promessa di Gesù, ogni anima che viva il suo amore per lui e per questo stesso
amore rispetti i suoi comandamenti, sarà amata dal Padre, ed Egli verrà ad essa, insieme con il Figlio, non come
se si trattasse semplicemente di una visita, ma per stabilire in essa la sua dimora.

Gesù rivela anche che: “Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò. Se mi amate, osserverete i
miei comandamenti. Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per
sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo
conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi.” (153)
Il "Paraclito" ("difensore" o "avvocato" in greco) è lo Spirito Santo che “abita presso di noi” e "sarà" con noi
per sempre, ossia, anche lo Spirito Santo dimora nella nostra anima.

Questa presenza reale e soprannaturale delle tre Persone della Trinità nel anima dei giusti è chiamata in teologia
inabitazione della Trinità, e differisce notevolmente dalla presenza naturale di Dio in tutta la creazione, tra cui
l'uomo, che si denomina omnipresenza o presenza di immensità.

Dobbiamo a questo punto fare un chiarimento per evitare confusioni, poiché molti autori parlano di
"inabitazione dello Spirito Santo"; vi è una formula teologica che viene utilizzata per facilitare lo studio della
Santissima Trinità, che è nota come appropriazione.
L’appropriazione consiste nel attribuire ad una sola delle tre Persone divine, Padre, Figlio e Spirito Santo,
un’operazione o una perfezione che è comune a tutti e tre. Questo viene fatto perché è più facile comprendere
l'infinito modo d’agire di Dio, poiché attribuendo ad una delle persone divine certe perfezioni ed operazioni,
anche se sappiamo che sono comuni alle tre persone, si comprende meglio quello che è di intelligibile per la
mente umana in quelle perfezioni.

Ad esempio, nel Credo diciamo: "Credo in Dio onnipotente, creatore del cielo e della terra", quando
onnipotenti sono anche il Figlio e lo Spirito Santo, e i tre hanno creato il mondo visibile e invisibile. Così, per
appropriazione, diciamo che il Padre è Onnipotente e Creatore, il Figlio è la Saggezza, la Parola o il Verbo di
Dio e lo Spirito Santo è l'Amore, il Santificatore.
Di conseguenza, anche se per appropriazione si parla, così come fa in generale il Nuovo Testamento e la
Tradizione della Chiesa, della presenza e dell'azione dello Spirito Santo nella anima in stato di grazia, sappiamo
che in essa è sempre presente la Trinità Santissima.

Risulta allora che la presenza della Trinità per la inabitazione è una presenza speciale, intima, che ci dà il vero
possesso dello stesso essere infinito di Dio. Non tendiamo più, in effetto, a Dio come qualcosa che è fuori di
noi, bensí lo possediamo dentro la nostra anima.

Questa inabitazione della Trinità ha due obiettivi molto speciali per le anime, d’un ordine molto superiore alla
presenza naturale di Dio.
Il primo scopo è che la Santissima Trinità vuole farci prendere parte della sua intima vita divina, e quindi
trasformarci in Dio, non per essenza, ma per partecipazione in questa vita. Desidera trasformarci con la sua
presenza ed azione, e darci nuovamente l'immagine e la somiglianza con lei, quella che l'uomo ha perso con il
peccato originale, e che continua sfigurando con i suoi attuali peccati.

L'altro grande effetto, che stupisce veramente a qualunque persona, e va oltre la ragione umana, è che la
Santissima Trinità desidera che siamo capaci di godere, fruire, gradire della presenza di quest’ospite divino.

Un riconosciuto teologo contemporaneo ci dice al riguardo:



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"Questo è, in tutta la sua sublime grandezza, uno degli scopi più gradevoli della inabitazione della Santissima
Trinità nella nostra anima: darci una esperienza ineffabile del grande mistero trinitario, a titolo di anticipo e
pregusto sulla beatitudine eterna. Le Persone divine si affidano all'anima perché noi godiamo di esse, secondo
la stupefacente terminologia del principe della teologia cattolica, Santo Tomasso D’Aquino, interamente
verificata nella pratica dai mistici sperimentali. E benché questa esperienza ineffabile costituisca, senza
dubbio, il grado più elevato e sublime dell’unione mistica con Dio, non rappresenta, tuttavia, un favore di tipo
"straordinario" al modo delle grazie “gratis date" (o carismi straordinari); entra, invece, nel normale sviluppo
della grazia santificante, e tutti i cristiani sono chiamati a queste altezze, ed ad esse ariverebbero
effettivamente se fossero perfettamente fedeli alla grazia e non paralizzerebbero con le sue continue resistenze
l’azione santificante progressiva dello Spirito Santo.” (154)

Come vediamo è molto categorico questo parere, condiviso dalla stragrande maggioranza degli specialisti in
teologia mistica attuali. Alcune persone avranno letto o sentito parlare delle profonde esperienze dei grandi
mistici sperimentali, come Santa Teresa di Gesù, San Giovanni della Croce, Santa Catalina da Siena, la Beata
Angela da Foligno, Santa Maddalena da Pazzi, Santa Caterina da Genova, Suor Elisabetta della Trinità, S.
Teresa di Lisieux e così tante anime sante.
Doviamo avere chiaro fin d’ora che oggi, in questo mondo, un fedele cristiano, laico o consacrato, se persevera
e se è fedele alla "progressiva azione santificatrice dello Spirito Santo," è destinato a vivere questa vita di
intima relazione e piena di ineffabile gioia con la Santa Trinità che abita nella sua anima in stato di grazia.

Precisamente il modo di ottenere questo nella pratica, nella vita di ciascuno, è che questa Santissima Trinità, a
partire della sua presenza nel anima, forma nel cristiano un nuovo organismo soprannaturale, che lo abilitarà
per raggiungere la trasformazione che gli permetterà vivere ogni volta più profondamente una vita simile alla
sua, dando luogo ad un rapporto più intimo e profondo con le tre Persone divine, di cui ci testimoniano tanti
santi che l’hanno vissuto.


L'organismo soprannaturale.

Questo divino ospite che è venuto ad abitare nelle anime che lo ricevono, e che è Dio Trinità, Padre, Figlio e
Spirito Santo, vuole darsi pienamente a chi l’ospita e portarlo verso lui, e nella sua bontà, s’occupa di
completare e perfezionare la nostra anima, dandoci un organismo soprannaturale, che ci trasformerà, senza
toglierci nulla di ciò che potrebbe essere di buono naturalmente in noi, e ci permetterà elevarci gradualmente, in
modo che la distanza che ci separa con lui sia ogni volta più piccola.
Quando Dio viene in questo modo all’uomo, non è precisamente per rimanere lì inattivo, ma è per lavorare
dall’interno, per causare nelle anime divinizzate con la sua presenza atti simili a quelli che costituiscono la sua
propria vita.

Possiamo intravedere alcuni barlumi di ciò che questo comporta considerando un esempio a livello umano.
Pensiamo che arriva alla nostra casa un ospite molto importante, per rimanere a vivere con noi; supponiamo che
è il massimo esponente della nobiltà del nostro tempo, per esempio il re di un importante paese europeo, e che,
inoltre, è allo stesso tempo il pensatore ed intellettuale più conosciuto nel mondo. Improvvisamente, egli decide
di lasciare tutta la sua attuale vita e cambiarsi di casa, venendo a vivere in casa nostra.

Se così fosse, al di là delle differenze che ognuno di noi può avere nella sua cultura, la sua educazione o le sue
abitudini sociali, non c'è dubbio che per la stragrande maggioranza delle persone questo sarebbe uno "shock",
un prendere coscienza del fatto che vi è una separazione, una più o meno grande differenza tra il nostro stile di
vita, il comfort della nostra casa, il suo migliore o peggiore stato, in riguardo alle abitudini di questo importante
personaggio.

Ma lui non è preoccupato per questo, perché l’unico interesse che lo ha impulsato a venire e vivere con noi è
quello di trasmetterci e insegnarci il suo modo di vivere e ciò che egli conosce e sa, in modo che poco a poco
potremo avere il suo stesso stile di vita, che ci porterà a gustare e godere in pieno la sua presenza nella nostra
casa poiché sarà allora possibile per noi condividere il suo proprio modo di essere e di vivere, la sua conoscenza
e saggezza.



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Ovviamente, al principio ci sentiremmo molto diversi e distanti da lui, e sicuramente non sapremo
complessivamente come comportarci nella sua presenza, avendo forse timori e inibizioni, ma egli ci insegnerà
tutto quello che abbiamo bisogno, pieno di bontà, amore e pazienza. Ma nel caso di questo supposto
personaggio, anche se lui avesse la più grande capacità e bravura come professore e docente per insegnarci,
sempre dipenderebbe dalla nostra capacità intellettuale il fatto di ricevere e di imparare tutto ciò che ci vuole
trasmettere.

Al contrario, il "metodo" di Dio è completamente diverso e infallibile: come Egli è colui che ci ha dato il
nostro essere naturale, ha la capacità di aggiungerci un "nuovo" essere soprannaturale, che comprende delle
capacità che ci permetteranno, se perseveriamo, di vivere la sua stessa vita, al di là di quanto siano le nostre
capacità naturali. Soltanto ci chiede la nostra disposizione e cooperazione per fare ciò che ci manda per
sviluppare questo nuovo essere, e se così lo facciamo, i risultati saranno ammirevoli. Questo "metodo" non è
alla portata di nessun essere umano, perché è soprannaturale, e solo Dio può utilizzarlo.

Il nuovo organismo soprannaturale che è ricevuto dalla grazia santificante aggiunge nuove facoltà
soprannaturali all’organismo naturale dell’uomo, costituite dalle virtù infuse ed i doni dello Spirito Santo.


Le virtù infuse.

Per evitare confusioni, è necessario distinguere il concetto di ciò che sono le virtù morali acquisite o naturali,
in comparazione con le virtù morali infuse o soprannaturali.

Le virtù naturali sono buone attitudini acquistate dagli esseri umani attraverso l'istruzione e la ripetizione degli
atti che le sono propri, ed hanno come il suo oggetto tutto ciò accessibile alla ragione naturale. Troviamo molte
virtù naturali che l'uomo va imparando e sviluppando con la pratica; daremo alcuni esempi: l'ordine, con il
quale mantiene le cose che egli possiede in un particolare luogo per facilitarne la ricerca quando ne avrà
bisogno; l’igiene, necessaria per aiutare a vegliare la salute; la temperanza, che, per quanto riguarda, ad
esempio, il cibo, cerca di evitare gli eccessi o di mangiare cose nocive, per evitare di danneggiare la salute
fisica, o in relazione all’appetito sessuale, cerca di mantenerlo entro dei limiti "civilizzati", e così via.
Queste virtù naturali acquisite non conferiscono alcun nuovo potere, ma per l'abitudine che si contrae con la
sua pratica, si ottiene una maggiore facilità nel agire, in conformità alla regola che segna la ragione umana, per
ottenere il bene onesto.

Le virtù proprie della vita cristiana, invece, ricevono il nome di virtù infuse, perché è lo stesso Dio che ce li
comunica con la grazia. Queste virtù sono innestate negli uomini per elevare e trasformare le energie naturali,
rendendoli in grado di eseguire atti soprannaturali, destinati ad uno scopo molto speciale: quello di ottenere la
vita eterna nella gloria del cielo.
Vediamo allora che ci sono due differenze sostanziali tra le virtù naturali e quelle infuse: In termini della sua
origine, le prime sono abitudini acquisite con la pratica o la ripetizione degli atti che le costituiscono, mentre
che quelle infuse, così come è precisato dal suo nome, provengono da Dio, che le infonde nell'anima insieme
alla grazia abituale. La seconda differenza è per quanto riguarda alla fine di ciascuna.
Le virtù naturali cercano il bene onesto, per il quale l'uomo è agevolato a condursi rettamente in ordine alle
cose umane e la sua natura razionale. Le virtù infuse, invece, cercano il bene soprannaturale, ossia, ci sono date
da Dio perché possiamo condurci rettamente come i suoi figli adottivi, esercitando gli atti soprannaturali che
riguardano la natura divina di cui partecipiamo con la grazia.

Le virtù infuse sono di due ordini: si chiamano teologali quando ordinano all’uomo direttamente verso il suo
ultimo fine, che è Dio, e sono chiamate morali quando sono dirette ai mezzi che abbiamo bisogno per
raggiungere questo ultimo fine.

Le virtù teologali sono quelle più importanti della vita cristiana, in quanto tendono a condurci verso Dio ed
unirci con lui. Sono tre, cioè:



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La Fede, che permette al nostro intelletto umano di captare, in modo soprannaturale, la Rivelazione di Dio
attraverso la sua Parola, la Bibbia. Questo è, ci fa conoscere Dio come egli stesso si è rivelato, e ci mette in
comunione con il pensiero divino.
La Speranza agisce sulla volontà dell’uomo, facendolo desiderare a Dio come il Bene supremo per lui, e
generando la fiducia nelle sue promesse, lo incoraggia a raggiungerle.
La Carità anche opera sulla volontà, facendo che il credente ami Dio al di sopra di tutte le cose, come a un
Padre amorevole e infinitamente buono in sé, causando tra lui e noi una santa amicizia.

Le virtù morali si possono ridurre e compendiare in quattro principali, chiamate virtù cardinali, e da esse
derivano tutte le altre virtù. Queste quattro virtù cardinali sono:
La Prudenza, il cui ruolo è quello di aiutare a scegliere i mezzi necessari o utili che ci permetteranno di
avanzare verso la nostra fine soprannaturale, vale a dire, la vita eterna in presenza di Dio.
La Giustizia, che inclina la nostra volontà a dare a ciascuno ciò che le è strittamente dovuto, e ci fa rispettare i
diritti degli altri.
La Fortezza ci permette difenderci dai pericoli che si nascondono nella vita spirituale, senza timore o violenza,
e ci rende in grado di sopportare i fatti difficili e dolorosi della nostra vita.
Infine, la Temperanza ci aiuta in modo soprannaturale a moderare le nostre passioni, permettendoci di fare uso
dei beni e dei godimenti sensibili di questo mondo, in modo che non ci allontanino, per il suo disordine, dal
cammino della crescita spirituale.

Possiamo riassumere, sulla base di quanto sopra, che la giustizia governa i nostri doveri verso il prossimo; la
fortezza e la temperanza, invece, agiscono sui doveri verso noi stessi e, infine, la prudenza, in qualche modo, è
la virtù che governa l'esercizio corretto ed adeguato delle altre virtù, a seconda delle loro necessità.

Per cercare di capire con una certa chiarezza come si va perfezionando nell'uomo l'azione soprannaturale della
grazia attraverso le virtù infuse, dobbiamo considerare il aspetto più fondamentale della crescita dell’azione di
Dio nell'uomo.
Santo Tomasso D’Aquino insegnò molto chiaramente che Dio può agire nell'uomo che è in stato di grazia, in
due modi diversi.

In una prima istanza, Dio si adatta al modo umano di agire, vale dire, al suo agire come una creatura razionale.
Ciò implica che l'anima umana si trova in uno stato attivo, avendo piena coscienza che prende l'iniziativa, ed
agisce secondo il processo discorsivo normale del suo intelletto e volontà, benché queste facoltà della ragione
umana sono arricchite e ricevano una nuova capacità soprannaturale per l’azione su di esse delle virtù infuse.
Si potrebbe affermare che questo modo di ricevere l'azione di Dio è un modo inconscio, che rimane nascosto
nell’iniziativa che sviluppa l'uomo, e che sarà appena più o meno evidente quando si guardino i risultati delle
azioni intraprese, dove si potrà osservare che si è prodotta una azione soprannaturale, al di là delle possibilità
naturali.

Su questo tema così fondamentale per la vita spirituale, ci deve rimanere chiaro un altro concetto molto
importante: l’azionamento delle virtù infuse, quando si produce governato dalla ragione umana, è sempre
imperfetto, perché mentre le virtù sono realtà perfettisime, per la sua indole soprannaturale e divina, sono
esercitate imperfettamente, influenzate dal funzionamento psicologico del uomo, con i suoi dubbi, i suoi timori,
i suoi pregiudizi, in breve, per tutto ciò che le trasmette nella sua manifestazione il modo umano della semplice
ragione naturale, anche se illuminata dalla fede.

Sarà Dio, attraverso la sua azione diretta, ignorando il nostro processo umano razionale, chi permetterà che le
virtù raggiungano la perfezione necessaria per la santità, cosa che sarà prodotta per l'azionare delle virtù al
modo divino che le sarà fornito per i doni dello Spirito Santo, gli altri componenti del nuovo organismo
soprannaturale, che producono il secondo modo di agire della grazia santificante nell'uomo.

Sarà molto più chiaro il ruolo e l'azione delle virtù infuse nel prossimo capitolo, dunque per ora rimaniamo
soltanto con l'idea della sua incorporazione al nostro organismo naturale, della sua differenza con le virtù
naturali e anche della sua breve descrizione.



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Ci ocuperemo in seguito degli altri componenti del nuovo organismo soprannaturale che incorpora a noi la
grazia santificante: i doni dello Spirito Santo.



I doni dello Spirito Santo.


L'altra forma nella quale Dio agisce nell'anima umana è mediante un modo superiore alla maniera umana di
agire, facendo che il cristiano sia guidato da una specie di istinto divino, infuso da Dio, trascurando il suo
processo umano di ragionamente. Si dice che in questo caso l'anima si trova in uno stato passivo, nel senso che
prima che abbia avuto il tempo di riflettere per agire, riceve a modo di istinti divini, luci ed ispirazioni, senza
che questo sia stato deliberato. Resterà, tuttavia, entro la libertà dell'uomo, il suo consenso per agire in base a
queste ispirazioni ricevute dall'alto.
Questi istinti sono mozioni dello Spirito Santo, che quando Dio così lo dispone, senza il contributo diretto della
creatura umana, arrivano direttamente alla ragione dell'uomo, il suo intelletto e la sua volontà, per reggere e
governare in maniera diretta e immediata la sua vita soprannaturale, e portarla alla perfezione nella pratica delle
virtù infuse. Le facoltà del organismo soprannaturale che permettono questa azione sono i doni dello Spirito
Santo.

Siamo qui arrivati al punto chiave della teologia della perfezione cristiana, o santità: l'esistenza e l'azione dei
doni dello Spirito Santo sull'anima umana. Se, come si dice giustamente, lo Spirito Santo è per molti cristiani di
oggi il grande sconosciuto tra le persone della Santissima Trinità, possiamo anche aggiungere qualcosa di più:
per la stragrande maggioranza di coloro che vantano di conoscere lo Spirito Santo e di sperimentare la sua
presenza e la sua potente azione nella vita cristiana, i sette sacri e pregiatissimi doni dello Spirito Santo sono gli
illustri sconosciuti.

Troveremo, ad esempio, nel Rinnovamento Nello Spirito Santo, centinaia di libri ed articoli che ci spiegano e ci
insegnano con molta minuziosità ciò che sono i carismi, quale è il suo numero, come è l'azione di ciascuno,
come è possibile promuovere il suo sviluppo, quando e come si dovrebbero esercitare, e così via. Ma su i doni
dello Spirito Santo, si trova solo qui e là, una semplice menzione, senza spiegare chiaramente in che modo
agiscono nell’anima cristiana.

Su questo tema osserviamo un fatto molto certo: nella letteratura cattolica tradizionale, tranne in quella
specializzata diretta a chi studiano teologia, anche se a malapena è menzionato il fatto dell'esperienza dello
Spirito Santo e l'azione dei carismi, tanto meno si spiega il agire dei doni dello Spirito Santo. Quindi, in
generale, non si passa dal fatto di nominare l'elenco dei sette doni, l'intelletto, la saggezza, della scienza, il
consiglio, la fortezza, la pietà e il timore di Dio nelle celebrazioni della Pentecoste.

Perché è così importante la comprensione delle caratteristiche e l'azione dei doni dello Spirito Santo? Vediamo
ciò che ci dice uno specialista su questo tema:

"Il trattato dei doni dello Spirito Santo costituisce la chiave per la teologia mistica. I più grandi maestri
spirituali hanno sottolineato sempre questo ruolo primordiale dello Spirito di amore nella nostra vita
spirituale. Ignorare la dottrina dei doni dello Spirito Santo implica sconoscere l’azione più segreta di Dio nella
Chiesa. Questo trattato dei doni ci fornisce l’istrumento più potente per analizzare le profondità dell'anima dei
santi, e, per contrasto, quelle del dramma del peccato.
Lo Spirito Santo è il padrone e Signore dei suoi doni. Cuanto più docili si mostrano le anime alla sua azione,
più le avvicina Lui a Dio, e di più realizza su di loro le meraviglie della grazia e della gloria. Le operazioni più
elevate delle tre Persone divine nell’anime sono il frutto dei doni dello Spirito Santo." (155)

Infatti, senza conoscere questa azione profonda dei doni, è difficile sapere se uno già la sta vivendo, e tanto
meno si può avanzare nella disposizione necessaria affinché si dimostrino ogni volta più chiara e fortemente. In
altre parole, è molto difficile avanzare in profondità nella santità, superando gli ostacoli che si frappongono,



67
uno dei quali è precisamente l'ignoranza su questa azione segreta dello Spirito Santo nell’anima attraverso i
suoi sette doni.

Abbiamo visto che l'azione dei doni dello Spirito Santo nell’uomo implica che quest’ultimo trascuri la sua
propria iniziativa umana, e riduca la sua attività soltanto ad assecondare con docilità le mozioni dello Spirito
Santo che arrivano in modo diretto alla sua ragione, al momento che Dio così lo dispone.

E molto importante che sia chiaro questo concetto: i doni dello Spirito Santo funzionano, in qualche modo,
come "antenne" ricevitore delle mozioni che provengono direttamente dallo Spirito Santo. Ma non sono
principi di azione, altrimenti sempre sono le virtù infuse coloro che produrranno le azioni, tanto siano le virtù
teologali, dirette verso Dio, o le cardinali e le sue derivate, ordinate ai mezzi soprannatureli necessari sul
cammino che ci porta verso Dio. Così troviamo un motore diverso che mette in attività le virtù cristiane:
possono essere dirette da l'uomo attraverso la sua ragione illuminata dalla luce della fede, o dallo Spirito Santo,
mediante la ragione dell’uomo illuminata direttamente dai doni dello Spirito Santo.

Questo azionare soprannaturale possiede esattamente la stessa differenza che troviamo nell’ordine naturale,
nella vita del uomo razionale. Sul piano umano, generalmente si agisce partendo da un ragionamento, che
comporta meditare su una determinata situazione, valutando i motivi a favore e contro, esaminando le varie
possibilità che si ha, e la probabilità di successo di ogni alternativa, e infine, si prende una decisione ed è
eseguita l’azione risultante.

Ma a volte si agisce diversamente, mossi da una improvvisa ispirazione, a modo di una spinta irreflessiva, come
qualcosa istintivo, dove, senza tutto questo processo di riflessione e di valutazione, si agisce seguendo questa
ispirazione che è venuta improvvisamente, come un "flash" o un lampo che illumina l'intelletto e mostra ciò che
si deve fare.

Questo processo lo troviamo espressato molto chiaramente dallo stesso autore citato precedentemente:

"Mentre che sul piano umano, soltanto alcuni privilegiati geniali -artisti, pensatori, uomini d'azione- appaiono
con intermittenza come i beneficiari d’un’ispirazione dall'alto, tutti i cristiani, invece, se sono fedeli, sono
dimora dello Spirito Santo, che li incoraggia con il suo personale intervento tante volte quante siano
necessarie per la loro salvezza. È possibile formulare come un principio che "ogni volta che la ragione umana
è di fronte ad una difficoltà insormontabile per le proprie forze, interviene lo Spirito Santo per ispirargli, da un
istinto divino, la soluzione liberatrice.”
Ogni cristiano che ha bisogno del aiuto speciale di Dio secondo la sua vocazione e la sua missione nella
Chiesa, può contare con l’intervento personale e immediato dello Spirito Santo, come gli Apostoli ed i loro
primi discepoli.” (156)

Con questo panorama dell’azione dei doni nel anima del cristiano appare in tutta la sua dimensione la più
importante caratteristica dell’azione della grazia nell'uomo, se si persevera nella crescita spirituale, e se si ha
una crescente docilità alla azione profonda dello Spirito Santo: arriverà il momento in cui, a partire dall'azione
dei sette doni, la mente del uomo soffrirà una trasformazione soprannaturale, con la quale cessarà di
funzionare al modo umano, e si muoverà d’accordo al modo divino.

Ecco dove, dopo questa prodigiosa trasformazione, appare il "uomo nuovo", "adulto spirituale" o "uomo
perfetto" nella terminologia utilizzata da San Paolo, o, in definitiva, il “santo”. San Paolo ci descrive l'esistenza
di questa trasformazione, nella comunità cristiana o Chiesa, che porta al "bambino spirituale" ad essere un
"uomo perfetto":

”È lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e
maestri, per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo, finché
arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella
misura che conviene alla piena maturità di Cristo. Questo affinché non siamo più come fanciulli sballottati
dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l'inganno degli uomini, con quella loro
astuzia che tende a trarre nell'errore.” (157)



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Qui San Paolo differenzia il “bambino” cristiano, che è sballottato e confuso nella sua ragione per le cose e
influenze che arrivano dal mondo, dall’”uomo perfetto”, che risulta essere chi ha raggiunto “la piena maturità di
Cristo”. In che consiste questa maturità? Lo stesso Paolo lo spiega:
“Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter
discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto.” (158)

Così San Paolo ci segnala che l"adulto spirituale", l’"uomo perfetto", è quello che vive una trasformazione della
sua mente in modo che è completamente rinnovata, e quindi distingue chiaramente, "sa" quale è la volontà di
Dio di fronte alle circostanze della sua vita. Questa è l'azione dei doni dello Spirito Santo, che San Paolo
chiama "la sapienza tra i perfetti" (159), e il risultato di cui, come conclude, è uno solo: "Ora, noi abbiamo il
pensiero di Cristo.” (160)

Questa è la conseguenza più notevole della grazia! Ogni cristiano può arrivare ad avere la sua mente, intelletto
e volontà, totalmente trasformata, in modo che "riceve" attraverso i doni dello Spirito Santo direttamente le
mozioni dello Spirito Santo, che esprimono la volontà di Dio per la sua vita e le sue azioni. È stato quindi
trasformato in "un altro Cristo" e sarà allora in grado di esclamare, come ha fatto San Paolo: “Sono stato
crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me.” (161)
Siamo così in presenza del santo, dell' "uomo nuovo", quello che, se nella sua libertà resta docile all'azione
della grazia, si muoverà ed agirà in piena conformità con la volontà di Dio e, di conseguenza, sarà un perfetto
strumento dello Spirito Santo, secondo la sua vocazione e stato, agendo allora in piena "sintonia" con le
mozioni che riceve dall'alto.

E molto difficile per la ragione umana comprendere la grandezza di ciò che significa questa trasformazione
soprannaturale dell’uomo, che veramente lo “deifica”, ma la intravediamo quando leggiamo nella Bibbia, nei
Atti degli Apostoli, cosa hanno fatto loro dopo aver vissuto questa profonda trasformazione nel giorno di
Pentecoste, il giorno del "battesimo nello Spirito" che Gesù aveva loro promesso. Sono stati trasformati in
strumenti per l'evangelizzazione del mondo, con tutta la potenza dello Spirito Santo che si manifestava
attraverso di loro con segni, prodigi e miracoli.
E, naturalmente, questa stessa trasformazione la troviamo lungo la storia della Chiesa in tanti santi e sante, che
spesso attirano l'attenzione per le cose sorprendenti che hanno fatto nella sua vita, mossi dallo Spirito Santo al
quale ascoltavano così bene.

Vedremo nei prossimi capitoli in dettaglio in che maniera e seguendo quali passi e tappe si va producendo nel
cristiano che persevera questa enorme trasformazione, questa conversione profonda e totale.

Per finire con questo tema, guardiamo rapidamente il ruolo e l’azione di ciascuno dei sette doni dello Spirito
Santo. L’azione diretta e immediata dello Spirito Santo si esercita sulle due facoltà dell’uomo razionale,
l'intelletto e la volontà, ciò che permette differenziare i doni dello Spirito Santo in due gruppi:

Ci sono doni chiamati "doni intellettuali", perché la sua azione si centra sull’intelletto:

Dono d’Intelletto: permette in un singolo "sguardo", senza un processo di ragionamento, captare e penetrare
nelle verità primordiali della rivelazione di Dio. E il dono che permette di penetrare nel significato occulto della
Scrittura e degli eventi che avvengono a noi, delle imagini e simboli sacri, e così via. Conduce alla sua massima
perfezione alla virtù della fede.

Dono della Scienza: Consente di “vedere” l'azione di Dio nel mondo che ci circonda, e in particolare, nelle
creature. Siamo in grado di vedere attraverso questo dono prontamente e con certezza tutto quanto riguarda alla
nostra santificazione ed a quella degli altri. Mediante questo dono il predicatore comprende ciò che egli ha da
dire ai suoi ascoltatori per il loro bene, e il direttore spirituale come deve guidare le anime, perché penetra nei
loro movimenti segreti e può vedere i cuori nelle sue profondità, ed anche riceve il discernimento infuso degli
spiriti. Diventa così questo dono la guida ed il motore delle grandi imprese apostoliche.

Dono della Sapienza: agisce tanto sull’intelletto come sulla volontà; è il dono che perfeziona al massimo la



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virtù della carità, e dà una "conoscenza saporita", come la define San Bernardo, delle cose di Dio, producendo
una gioia ed un gusto soprannaturale. E il dono che dà una conoscenza quasi "sperimentale" della presenza
della Trinità nell'anima del giusto, e dal quale derivano le più profonde esperienze mistiche. Questa esperienza
dell'amore di Dio così straordinaria è quella che porta la carità, o l'amore di Dio, alla sua massima perfezione
qui nella terra.

Dono del Consiglio: si tratta di una luce con la quale lo Spirito Santo ispira al credente ciò che deve fare in
termini della sua vita in relazione a Dio, facendole capire presto e sicuramente, da una sorta d’intuizione
soprannaturale, cosa conviene fare o dire, specialmente in situazioni difficili che superano la capacità della
ragione umana.

Gli altri doni, che operano sulla volontà, e perciò si chiamano doni affettivi, sono:

Dono della Fortezza: perfeziona la virtù della fortezza, dando all'anima forza ed energia per potere fare, o
soffrire con allegria e con audacia, grandi cose per la sua salvezza o quella degli altri, nonostante tutte le
difficoltà.

Dono della Pietà: produce nel cuore un affetto filiale soprannaturale verso Dio e le cose divine, in modo che il
cristiano possa compiere con una grande devozione ed allegria i suoi doveri religiosi e le opere di misericordia
con il prossimo.

Dono del Timor di Dio: conduce alla volontà dell’uomo al rispetto filiale di Dio, e lo discosta dal peccato,
come per non offendere questo amorevole Padre. Non è una paura di Dio o per l'inferno, che possa rattristare o
perturbare, ma è riverenza e rispetto per un Dio così grande e buono a chi non si vuole offendere.

D’ora in poi chiariremo un concetto fondamentale: la comparsa della azione dei doni dello Spirito Santo, in
particolare dei cosiddetti "doni intellettuali" si va evidenciando a partire dall’esperienza della chiamata orazione
di contemplazione infusa, da dove risulta che l’esperienza di questo tipo di orazione, che molti credono
erroneamente che è riservata soltanto ai cosiddetti "mistici", si trova necessariamente entro il corso normale ed
ordinario della vera vita cristiana.
Il cristiano che non riesce a essere contemplativo, non avrà neppure "attivati" nella sua vita spirituale i sette
preziosi doni dello Spirito Santo, e non sarà in grado di raggiungere la vera e profonda conversione verso una
vita nuova, che dovrebbe essere la normale conseguenza del battesimo.

La orazione di contemplazione infusa diventa allora la "scuola" per conoscere e sperimentare l'azione dei doni
dello Spirito Santo, e la sua importanza è talmente grande che gli dedicheremmo tutto lo spazio necessario nella
Terza Parte, quando parleremo della orazione cristiana.

Non deve preoccuparci se questo che abbiamo sviluppato non è rimasto chiaro del tutto; lo dobbiamo
considerare come una introduzione al tema dei doni dello Spirito Santo, poiché nel prossimo capitolo, dove
vedremo questo nuovo organismo soprannaturale in azione, sarà più facile di capire la sua utilità, vedendo come
si manifestano nella pratica.


La Grazia attuale.

Ora vedremo un altro tipo di grazia che viene da Dio. Per esercitare le facoltà soprannaturali, le virtù e i doni, si
ha bisogno di un impulso di Dio, una mozione divina, che viene chiamata grazia attuale. A sua volta, queste
grazie dispongono l’anima per ricevere la grazia abituale, quando non la ha ancora ricevuta, o se forse la ha
persa per un peccato mortale.

Senza questa grazia non è possibile per l'uomo, in primo luogo, disporsi alla conversione cristiana, ne
addirittura perseverare dopo di questa nell esercizio effettivo delle virtù infuse, per raggiungere la santità..
Possiamo definire la grazia attuale dicendo che è quella che dispone o muove l’anima, in modo transitorio, per
ricevere o per agire gli abiti soprannaturali infusi (virtù e doni dello Spirito Santo).



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Ci sono due differenze fondamentali tra la grazia abituale o santificante e la grazia attuale. Vediamo quali
sono:

a) La grazia abituale (accompagnata dalle virtù infuse e dai doni dello Spirito Santo) è una qualità permanente o
abito, che produce il suo effetto in modo continuo nel soggetto in cui risiede, mentre che la grazia attuale è una
mozione che si presenta ad un determinato momento, con uno scopo specifico, questo perché si chiama
transeunte, e il suo effetto finale dipende dalla docilità o resistenza che l’oppone quello che la riceve.

b) La grazia abituale produce la disposizione per l’azione, mentre la grazia attuale è quella che spinge e produce
la azione stessa.

La grazia attuale è indispensabile per mettere in esercizio gli abiti infusi delle virtù e dei doni, poiché lo sforzo
puramente naturale dell'anima non può operare dei principi di azione soprannaturali, come lo sono le virtù e i
doni. Da qui risulta che in ogni atto di qualsiasi virtù infusa, o nell’attivazione dei doni, si presume
necessariamente una pre-esistente grazia attuale.

Anche la grazia attuale è necessaria per ottenere la disposizione necessaria per ricevere la grazia abituale, tanto
per non averla mai avuto, o perché è stata persa al cadere in peccato mortale. La grazia attuale lavora nello
spirito dell’uomo, generando pentimento e contrizione per le colpe, la fiducia nella misericordia di Dio, timore
per le conseguenze del peccato, e così via, cosa che, se ascoltata, produce la disposizione per ricevere
nuovamente la grazia, ad esempio con il sacramento della penitenza o riconciliazione.

Secondo i vari modi che agiscono le grazie attuali, troviamo, tra i più importanti, i seguenti:

Grazia operante e cooperante: Dio a volte muove l'uomo ad agire secondo la propria deliberazione, in base al
modo umano naturale. Ad esempio: se una persona si propone di pregare tutti i giorni ad una certa ora, quando
vede che arriva questo momento, lascia ciò che sta facendo, cerca un luogo adeguato, e comincia a pregare. Qui
agisce una grazia attuale cooperante, che aiuta l'azione umana in modo che sia effettiva, per soddisfare uno
scopo.
Altre volte, la grazia attuale opera in modo imprevisto; ad esempio, essendo una persona impiegata in un
compito, riceve improvvisamente l'ispirazione di pregare, e lasciando tutto, lo fa. Questa grazia speciale si
chiama grazia attuale operante, perché agisce nell’uomo senza una esplicita deliberazione, essendo l'anima
direttamente ispirata da Dio, bene che sempre ha bisogno del consenso libero della volontà umana.

Grazia preveniente e susseguente: la grazia preveniente suscita nel uomo buone idee o buoni pensieri, vale dire,
sono grazie preliminari agli atti del uomo, disponendo e muovendo la volontà. Se non si oppone resistenza a
questa mozione, Dio aggiungerà un'altra grazia attuale susseguente, che aiutarà accompagnando la volontà ad
effettuare l'atto e dandogli l'energia necessari per esso.

San Paolo afferma quest’azioni della grazia di Dio:
“È Dio infatti che suscita in voi il volere e l'operare secondo i suoi benevoli disegni.” (Filippesi 2,13).

Risulta da tutto ciò che la grazia, perché produca i suoi effetti nel cristiano, richiede sempre la sua libera
cooperazione. Dio, che ha creato a l'uomo libero, rispetta in un tale modo questa libertà, che, come dice San
Agostino, "Colui che ci ha creati senza di noi, non ci salverà senza di noi".

E di competenza dell’uomo accogliere l’ispirazioni della grazia attuale, seguirle docilmente, nonostante gli
ostacoli, e metterle in pratica. Così si trasforma in un collaboratore di Dio, e la sua azione sarà il risultato della
congiunzione della grazia divina e del libero arbitrio umano, poiché la grazia attuale è come un impulso di Dio
che mette in marcia l’organismo soprannaturale dato per la grazia abituale..

Purtroppo, la stragrande maggioranza delle grazie attuali con i quali Dio arriva ai uomini, o non sono avvertite,
o vengono scartate e non sono seguite. Di qui l'enorme importanza della orazione e dei momenti di
raccoglimento interiore, per cominciare a captare ed aprirsi a queste mozioni che vengono dall'alto.



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Conclusioni.

Possiamo riassumere quello che abbiamo visto fin qui in questi due capitoli, che è niente meno che il immenso
tesoro che costituisce la grazia ricevuta nel battesimo cristiano.

In primo luogo, abbiamo visto che l'uomo s’incorpora nel Corpo Mistico di Cristo, che è la Chiesa. L’individuo
che si trova nel "mondo" è innestato o trapiantato in un vero e proprio Corpo, e comincia da lì ad essere parte
integrante di esso.
Essendo così integrato, partecipa della stessa vita di tutto il corpo, che è la vita stessa del suo Capo, Gesù
Cristo. L'uomo diventa figlio adottivo di Dio, suo erede e fratello di Gesù Cristo. Si stabilisce fra tutti i membri
di questo Corpo una unione comune, appellata la Comunione dei Santi, di cui prendono parte i membri della
Chiesa nella loro totalità, quelli che formano la Chiesa militante, vale a dire, coloro che sono nella terra, come
la Chiesa purgante, con quelle anime che ancora si stanno purificando dopo la sua morte, ed anche la Chiesa
trionfante, con i santi nella gloria della presenza di Dio.

Questa vita divina che proviene dal Corpo mistico si diffonde nel cristiano unito a lui, producendogli due effetti
primordiali: la Santissima Trinità, Dio stesso, abiterà nell'anima del cristiano, e formerà in lui un nuovo
organismo soprannaturale, per che sia abilitato per vivere una vita soprannaturale simile alla sua. La Trinità
inabita nell'anima, con una presenza reale e piena, ed il cristiano potrà godere e fruire di questa presenza divina.
Questa nuova vita, che comporta un nuovo modo di essere e di agire, un cambiamento della sua condizione
umana e naturale, e possibile viverla a partire della l'azione delle virtù infuse, che aggiungono alle capacità
naturali dell'uomo la possibilità d’effettuare atti soprannaturali.

Le virtù sono esercitate in una prima istanza comandate dalla stessa ragione dell’uomo, al modo umano, ma,
man mano che il cristiano cresce e si sviluppa in lui questo nuovo organismo soprannaturale, vivrà ogni volta
più chiaramente l’azione diretta nella sua ragione delle mozioni dello Spirito Santo, in modo che cominciarà a
praticare più e più assiduamente le varie virtù cristiane sotto l'immediata direzione dello Spirito Santo,
mettendo da parte il suo processo naturale umano di meditazione discorsiva.
L'azione dello Spirito Santo ha effetto attraverso i doni, che consentono di "captare" le mozioni che provengono
dall’alto, a titolo di intuizioni o illuminazioni che accedono direttamente all’intelletto e la volontà. Vi si
verificherà allora la trasformazione del cristiano in adulto spirituale, uomo nuovo o santo, e solo allora i
credenti vivranno la piena vita cristiana.

Concludendo, per mettere per opera attraverso l'azione delle virtù, gli atti che ne derivano di esse, Dio fornisce
al cristiano un motore divino, un impulso soprannaturale, mediante l'azione delle grazie attuali, che agiranno
tanto di più quanto maggiore sia la apertura e docilità del credente alle mozioni che vengono da Dio.

Al momento abbiamo già tutti gli elementi per affrontare nei capitoli successivi l'azione del nuovo organismo
soprannaturale nell'uomo in stato di grazia.





PARTE SECONDA:


I riferimenti al capitolo 2:



(141): Catechismo della Chiesa Cattolica, N° 978 e 1990
(142): Romani 8,15-17
(143): 1 Giovanni 3,1



72
(144): Giovanni 3,16
(145): Romani 8,29
(146): Matteo 3,17
(147): Marco 9.7
(148): Giovanni 14,21
(149): Giovanni 15.9
(150): Giovanni 15,15
(151): Giovanni 17,22
(152): Giovanni 14,23
(153): Giovanni 14,14-17
(154): A. Royo Marin, "Teologia della perfezione cristiana," Parte 1 Cap.2
(155): PM Philipon, OP, nella sua introduzione al libro "I doni dello Spirito Santo"
(156): Idem sopra, parte 2, sezione I, capitolo 2
(157): Efesini 4,11-14
(158): Romani 12,2
(159): 1 Corinzi 2,6
(160): 1 Corinzi 2,16
(161): Galati 2,20



73
Parte Seconda: Fondamenti Della Vita Cristiana.


Capitolo 3: L’Azione Della Ragione Nell’Uomo.






L'antropologia cristiana.


Questo capitolo e quello che viene a continuazionee sono molto speciali, forse sono i più importanti del libro,
non lo so, perché in realtà tutti i capitoli sono necessari per formare una unità che possa esprimere nel miglior
modo possibile il concetto della piena vita cristiana, ma da qui in avanti parleremo del nostro funzionamento
come esseri umani, non solo in riferimento alle facoltà naturali, che è quello che viene comunemente descritto,
ma anche in relazione a quelle facoltà soprannaturali infuse da Dio e che ci permettano di vivere una nuova vita
al modo divino.

Io voglio ora fare menzione ad un pensiero molto profondo con cui Santa Teresa di Gesù inizia il suo libro
"Mansioni":

"Dobbiamo considerare la nostra anima come un castello fatto tutto di diamante o di cristallo molto chiaro,
dove ci sono molte camere, così come in cielo ci sono molte mansioni. Che se bene lo consideriamo, sorelle,
non è un’altra cosa l'anima del giusto, ma un paradiso, dove Lui ha i suoi piaceri ... Non trovo io nulla con cui
confrontare la bellezza d’un anima e la sua grande capacità. E veramente appena può arrivare la nostra
comprensione, per acuta che sia, per capirla ... Ma Egli stesso ha detto che ci ha creati a sua immagine e
somiglianza ... E basta che Sua Maestà dica che è fatta a sua immagine, in modo che possiamo a malapena
capire la grande divinità e bellezza dell’anima. Non è poco compianto e confusione, che per nostra colpa non
ci capiamo a noi stessi, ne sappiamo chi siamo. Non sarebbe grande ignoranza, figlie mie, che se le
chiedessero a uno chi è, questo non si conoscerebbe, né saprebbe chi era suo padre, né sua madre, ne di che
terra è? Se questo sarebbe una grande bestialità, senza comparazione e ancora maggiore quella che noi
abbiamo, cuando non procuriamo di sapere che cosa siamo, ma ci fermiamo soltanto nel nostro corpo, e
quindi, solamente perché l’abbiamo udito e perché la fede ci dice, sappiamo che abbiamo anime; ma che beni
possono trovarsi in questa anima, o chi si trova al suo interno, o il grande valore che ha, raramente lo
consideriamo, e allora si mette così poca cura per preservare la sua bellezza " (162)

Veramente, quante persone sono interessate a conoscere e capire ciò in che consiste questo bellissimo castello
di diamante che è l'anima umana divinizatta dalla grazia? Animiamoci ad aprire il cancello d’entrata per così
guardare all'interno, perché non stiamo parlando di altre persone, ma di ciascuno di noi.

La rivelazione di Dio mediante la sua Parola ha come riferimento a Dio stesso, e gradualmente svela i misteri
della sua esistenza fino ad arrivare con Gesù Cristo alla pienezza di questa rivelazione:
“Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti,
ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per
mezzo del quale ha fatto anche il mondo.” (163)

L'uomo è il destinatario di questa rivelazione, e, partendo d’essa, e quando trova la sua salvezza. Ma, a partire
della luce della salvazione que Gesù Cristo offre all’uomo, possiamo dire che egli scopre chi è realmente ed a
ciò che è chiamato

Il Concilio Vaticano II afferma noi questo:



74
“Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente
l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione.” (164)

È così come contro la nozione dell’uomo data dalla filosofia, la psicologia, la medicina ed altre scienze, il
cristianesimo, a partire dalla rivelazione, sviluppa il proprio concetto dell’uomo, che, anche se si può
certamente arricchire dai contributi di queste scienze, ha in sé una irrinunciabile originalità. Questo è quindi ciò
che costituisce l'antropologia cristiana, che ci dà la base per comprendere l'azione di Dio nell'uomo mediante la
grazia.

Prima di tutto doviamo riscattare un'idea che si è stata perdendo, ma che è estremamente fruttuosa per la
comprensione dell’uomo dalla prospettiva cristiana, ed è lo schema tripartito dell’uomo, composto di corpo,
anima e spirito. San Paolo fa menzione di questo schema:

“Il Dio della pace vi santifichi fino alla perfezione, e tutto quello che è vostro, spirito, anima e corpo, si
conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo.” (165)

Ognuna di queste aree della persona, sebbene formano un indivisibile unità nell’essere del uomo, esprimono
realtà diverse: il corpo è una realtà fisica, l'anima è una realtà psichica, e lo spirito appartiene a una dimensione
metafisica. Di fronte a questa concezione si è situato il modernismo, ed in particolare partendo da Descartes, si
riduce la visione dell’uomo ad un dualismo anima-corpo, perdendosi di vista ciò che viene da Dio e lasciando
soltanto intravedere la realtà naturale del essere umano.

Prima di andare avanti su questo tema, dobbiamo definire quale è la portata dei termini corpo, anima e spirito
che useremo, poiché quest'ultimi hanno diverse interpretazioni secondo il criterio di chi li utilizza, e possono
indurre in errore se noi non abbiamo chiaro quale è il significato che ci accingiamo a dare a questi termini.

Per corpo ("soma" in greco) intendiamo questi componenti: in primo luogo, tutti i componenti degli organi che
lo costituiscono fisicamente; dunque, i sensi esterni, che sono quelli che gli permettono percepire le proprietà
materiali delle cose che lo circondano; così attraverso la vista, l’udito, l’olfatto, il tatto ed il gusto, sono
percepite le qualità esterne dei oggetti, come ad esempio la forma, il colore, l’odore, il sapore, la tessitura, e
così via, che sono cose reali ed obiettive. Si riconoscono anche nell'uomo sensi interni, che assistono il
processamento ed il conservamento di tutto quello percepito dai sensi esterni, come la memoria,
l'immaginazione, il senso comune e gli istinti.

L'anima ("psiche" in greco) esiste nell’uomo come qualcosa suprasensible, che supera ciò che è materiale. In
essa diciamo che risiedono le due facoltà che fanno che l' uomo abbia una caratteristica completamente diversa
agli animali: sono l' intelletto e la volontà, che gli danno la ragione e lo trasformano un un essere razionale.
Anche l’anima così intesa, come sede delle facoltà razionale dell'uomo, è talvolta chiamata "mente", "ragione"
o "parte inferiore dell'anima".

Lo spirito ( "pneuma" in greco), che alcuni chiamano "la parte superiore dell’anima" quando soltanto parlano
di anima e di corpo, possiamo dire che è l’ambito in cui si produce l'incontro della creatura con il Creatore,
dove si incontrano l’immanente con il trascendente; è proprio nello spirito dove l'essere umano s'introduce nella
dimensione transcendentale, soprannaturale, della sua relazione con Dio. In questo schema quindi diremo che è
nello spirito che si riceve la grazia santificante, dove è ospitato questo "dolce ospite" che è la Santissima
Trinità, e dove si producono le comunicazioni della vita divina.

È importante osservare che quando si riduce la visione dell’uomo alla dualità di corpo-anima, l'anima rimane
soltanto composta dall'intelletto e la parte psichica, quindi si trascura la dimensione trascendente dell'uomo,
restando quest’ultimo ridotto solo alla sua dimensione naturale, cosa che è, in parte, causa della perdita nel
mondo d'oggi del senso della vera vita cristiana. Ma è valido parlare genericamente di “anima” come si fa
comunmente purché si riconosca in essa la differenziazione della “parte inferiore”, dove risiedono le facoltà
razionali, e “la parte superiore”, o lo spirito.



75
Vedremo nei punti seguenti il "funzionamento" dell’uomo, e come interagiscono questi diversi componenti che
riconosciamo nello schema dell' essere umano. Ovviamente, tutto ciò non cessa d'essere qualcosa di
schematico, valido soltanto per comprendere meglio le azioni dell'essere umano ed i suoi principi.
A tale proposito esamineremo quattro diversi modi di agire degli uomini, benché fin d’allora occorra chiarire
che mai troveremo nessuno d'essi in modo “chimicamente puro”, ma la realtà complessa dell'essere umano è
una miscela, in proporzioni diverse, di questi vari tipi di comportamenti, irripetibili nella pratica, così come è
irripetibile la fisonomia ed il carattere di ogni persona; al massimo si potrà distinguere la prevalenza in ogni
persona di alcuna di queste forme di comportamento. Ci riferiremo al comportamento animale, razionale e
spirituale, quest’ultimo diviso in due, al modo umano ed al modo divino.

Per una maggiore comprensibilità di ciò che esporremo dobbiamo tenere a mente che qualsiasi atto o azione
può essere scomposto, al fine di capire meglio, in tre fasi:

* In primo luogo, è necessaria la conoscenza, che implica definire qualcosa.
* Poi, gli atti di conoscenza sono seguiti da una tendenza o appetenza, che fa cercare o respingere ciò che è
conosciuto.
* Infine si produce l'esecuzione dell atto, che è l'azione propriamente detta, che si traduce in un atto esterno.

Vedremo come nell'uomo, essere complesso nel quale coesistono il corpo o “la carne”, l'anima razionale o
ragione e lo spirito, si producono gli atti che effettua in questi diversi componenti del suo essere.



L'uomo animale.


Il primo modo d'agire dell'uomo è ciò che possiamo chiamare l'animalità, ed è il comportamento simile a quello
che possiedono gli animali. Vediamo come è questo funzionamento:
Ricordiamo che il corpo materiale possiede sensi esterni, che sono organi che possono percepire direttamente le
proprietà materiali delle cose esterne: la vista, l'udito, l'olfatto, il tatto ed il gusto.

Ci sono anche i sensi interni, la cui funzione è quella di ricevere e conservare le sensazioni ricevute:
* Il senso comune: riunisce in una sola tutte le sensazioni ricevute d' uno stesso oggetto o fenomeno. Ad
esempio, se sto con un cane, si riuniranno in una sola le sensazioni che mi dà la vista (dimensione, forma e
colore dell'animale), l'udito (il suono del suo abbaio), il tatto (tessitura del suo pelame) e l'olfatto (odore
caratteristico).
* L'immaginazione o fantasia: è quello che forma immagini interne di ciò che è ricevuto dai sensi; essa li
compone e li combina.
* La memoria: conserva le immagini ricevute e le riproduce quando ne avrà bisogno.
* L’istinto o facoltà stimativa: è la capacità di stimare se quello catturato dai sensi è buono o cattivo.

La fase di conoscenza degli atti consiste allora in questa cattura con i sensi esterni ed il suo processo con i sensi
interni, che si collegono allora per la seconda fase, quella della appetenza o tendenza, con l'appetito sensitivo.
L’appetito sensitivo o sensualità è una facoltà organica con la quale si cerca il bene materiale captato dai sensi,
e si respinge il male.

Quest’ultima facoltà funziona sulla base di due potenze, che produrranno vari movimenti dell'organismo per
quanto riguarda il bene o il male conosciuto dai sensi. Questi movimenti sono conosciuti come passioni o
emozioni.

Una delle potenze dell’appetito sensitivo è l'appetito concupiscible, che è orientato verso il bene o il male
presente o facile da ottenere, e l’altra è l'appetito irascibile, che è orientato verso il bene o il male distante o
difficile da ottenere.

Vediamo uno schema che riflette questo detto sopra:



76




















Trattaremo di spiegare brevemente in ciò che consiste ciascuna di queste passioni:
L' amore come passione è una specie di adesione ed inclinazione dell'appetito sensitivo agli oggetti che i sensi e
l'immaginazione presentano come buoni o piacevoli o capaci di produrre piacere con il loro possesso. Si può
dire che l' amore è una passione che tende all'unione affetiva tra il soggetto e la cosa amata.
L’odio o avversione è una passione che tende a rimuovere qualsiasi cosa spiacevole, che può produrre un male.
Il desiderio è un movimento affettivo della sensibilità verso un bene che è assente, che non è ancora posseduto,
perché non si può desiderare ciò che già abbiamo, giacché allora si gode; il desiderio produce uno sforzo per
raggiungere il bene desiderato.
La fuga o avversione è una passione che muove a liberarsi del male che si approssima, respingendolo ed
allontanandosi da lui.
La allegrezza è la soddisfazione o fruizione che provoca il possesso del bene sensibile amato e cercato.
La tristezza o dolore è l'opposto della allegrezza, vale a dire, è l'afflizione che si soffre vivendo un male che è
presente, e questa passione spinge a sbarazzarsi di lui.
Queste sono le passioni che corrispondono al appetito concupiscible, ossia che si riferiscono al bene o il male
già presente o imminenti e che è facile che accada.

Le passioni del appetito irascibile si riferiscono a beni o mali accompagnati da difficoltà, o ardui, e sono:
La fiducia o speranza, che è la passione con s’inclina con ardore verso la cosa amata il cui possesso è possibile
ma difficile.
La disperazione è la passione che sorge quando il possesso del bene amato e desiderato sembra impossibile.
L’audacia o coraggio è la passione che porta alll'insurrezione dell’ànimo per superare e sconfiggere un male
grave o per unirsi alla cosa amata la cui possesione è molto difficile.
Il timore, è l’opposto della audacia, e spinge per allontanarsi da un male difficile da evitare.
La collera è la passione che rifiuta violentamente il male già ricevuto, o il danno inflitto.

Le passioni in sé non sono né buone né cattive; tutto dipende di come sono orientate, dell'ordine o del disordine
con il quale agiscono. Messe al servizio del bene producono grandi vantaggi, ma al servizio del male si
trasformano in forze distruttive.

Le passioni origineranno finalmente l'ultima fase dell 'atto, il movimento, azione o esecuzione, d’accordo a
ciascuna di esse, che chiamaremo azione animale. Questo processo d'azione è quello che vivono gli animali, ed
anche quello che si verifica negli esseri umani, benché se vedremo più avanti che nell’uomo troviamo alcune
differenze. E forse superfluo precisare che, malgrado che quest'atti a livello animale esistano nell'uomo, sono
sottoposti alla soggezione della ragione, come vedremo nel punto seguente, ed è quasi impossibile trovarli nella
sua manifestazione pura, eccetto in casi di disordini mentali gravi o in azioni sotto l'influenza praticamente
totale di droghe o dell'alcool.



77
Cercheremo di rappresentare in uno schema questo comportamento, per la nostra migliore comprensione. Lo
Schema 1 ci mostra gli elementi visti, in una rappresentazione grafica del comportamento dell' uomo animale.



L'uomo razionale.

L'uomo è un essere razionale che, oltre ad un corpo materiale con i suoi sensi esterni e interni possiede un
anima razionale. L'anima umana non è operativa in sé stessa, ma produce le sue azioni attraverso le due
potenze razionali: l'intelletto e la volontà.
Entreremo ora nella descrizione di ciò che chiamiamo propriamente atti umani, che sono caratterizzati da un
doppio aspetto: sono effettuati attraverso le loro facoltà umane, intelletto e volontà, e sono fatti in libertà, con
il pieno dominio e la decisione dell'uomo. Gli atti umani sono chiamati così atti volontari, e tutti partono d' un
principio generale: la volontà vuole e desidera ciò che è conosciuto da l' intelletto.

Vediamo come queste facoltà operano nei atti umani, quello che graficamente è rappresentato nello Schema N°
2:
Allo stesso modo che negli animali, l' uomo percepisce la realtà del mondo che lo circonda attraverso i sensi
esterni e la raccoglie con i sensi interni. Questa conoscenza sensitiva, in più d'agire sull'appetito sensitivo, come
abbiamo visto, alimenta anche a l'intelletto per produrre la conoscenza razionale, che elabora in passi
successivi, secondo di ciò che è noto come il ragionamento discorsivo: l' uomo va raggiungendo le verità con la
sua intelligenza passando d'una fase della conoscenza ad un'altra. E molto importante tenere a mente che ciò
che è proprio della natura dell’uomo e quello di andare avanti un passo dopo l’altro nella sua conoscenza
razionale; per questo si chiama "discorsivo", un termine che deriva dal latino "decurso", che significa "andare
per un cammino".
Questa è la modalità normale del ragionamento umano, deducendo passo per passo nuove verità partendo da
altre già conosciute.

Troviamo nella attività dell’intelletto una divisione, in quanto tale attività è applicata: abbiamo prima
l’intelletto speculativo o teorico, quando la sua attività è applicata con il solo scopo di conoscere la verità, o
almeno essendo quest'ultima la sua principale fine, poiché di fatto è molto difficile che si produca un'attività
soltanto dell’intelletto, senza che si rivolga ad un certo atto.
I passi che qui troviamo sono tre:

* Il primo è la semplice apprensione, che raccoglie ciò che sono le immagini ricevute e le trasforma in concetti
ed idee.
* Si produce in seguito il giudizio, che consiste nelll'affermazione o la negazione di qualcosa, comparando idee
diverse e definendo la convenienza o il disaccordo con esse. Il giudizio può essere vero o falsi, in quanto esiste
un'elaborazione personale del concetto, influenzata da molti fattori interni ed esterni.
* Viene finalmente il ragionamento, che estrae conclusioni più generali o universali di quelle che esprimono i
giudizi, anche unendo diversi di essi .

Cercheremo di vedere più chiaramente le tre fasi della conoscenza intellettuale con un semplice esempio,
riprendendo quello che abbiamo visto al punto precedente: abbiamo ricevuto dai sensi certe sensazioni per
quanto riguarda l'osservazione di diversi cani, che riassume il senso comune, e anche si formano immagini e
vengono immagazzinate nella memoria sensibile. Partendo di qui si formano concetti, per la semplice
apprensione, come ad esempio: il concetto di cane, che muove la coda, che mostra i denti, che abbaia, che
morde, che vuole giocare.

Componendo concetti, ed affermando e negando, si producono i guidizi; per esempio: quando i cani muovono
la coda sono amichevoli, e quando abbaiano e mostrano i denti vogliono mordere.

Il ragionamento, il terzo passo della conoscenza, estrae conclusioni dai giudizi, dando loro una maggiore
validità universale; nel caso che stiamo presentando il ragionamento potrebbe essere questo: "Quando i cani



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abbaiano e mostrano i denti non bisogna avvicinarsi, perché mordano ed è pericoloso, ma quando dimenano la
coda sono amichevoli e si può accarezzarli e giocare con loro ".

Ovviamente questo è un esempio molto semplice, tanto per capire il meccanismo della conoscenza razionale,
ma gli ragionamenti possono essere resi estremamente complessi, poiché l'intelligenza porta allo sviluppo di
teorie, leggi e dichiarazioni con la massima astrazione e complessità, ma nel suo funzionamento razionale
umano sempre parte di ciò che è stato appreso dai sensi, e va passo dopo passo, sviluppando concetti e idee di
crescente complessità.

L'intelligenza consente l'uomo qualcosa di impossibile per gli animali, ed è la conoscenza del bene razionale,
diverso da quello conosciuto attraverso i sensi. Questo bene, anche noto come bene onesto, è il bene che è
derivato, per esempio, dal desiderio di progresso e di conoscenza culturale o intellettuale, dall’onore, dal
desiderio di aiutare gli altri, infine, da soddisfazioni interiori, spirituali, che vanno al di là di quelle cose
gradevoli soltanto ai sensi.

Inoltre troviamo qualcosa che arricchisce ulteriormente questo processo, e consiste nel fatto che l'uomo è
l'unico essere creato terrenale (non contando gli angeli), che ha la facoltà di esprimere i suoi concetti, giudizi e
ragionamenti, sia per mezzo di suoni articolati (idioma) o da segni, scritti o disegnati, in modo che altri uomini
possono imparare e trarre beneficio dai ragionamenti degli altri, che diventano trasmissibili. Tuttavia, per
ricevere queste informazioni sono necessari anche i sensi (vista, udito o tatto, in caso di lettura Braille per non
vedenti); Troviamo così che sempre il dato iniziale necessario per la conoscenza umana proviene dai sensi
esteriori.

I suoni emessi dagli animali solo esprimano le loro passioni o la esperienza di esse che e stata immaganizzata
nella sua memoria. E interessante notare che sono molti i animali che possiedono organi simili a quelli degli
esseri umani, sia per parlare, scrivere o disegnare, ma non lo fanno perché non hanno concetti, giudizi o
ragionamenti da comunicare, ma solo emozioni derivate dalle passioni, e queste possono semplicemente
esprimerle attraverso gesti corporei o suoni inarticolati.

Questo processo descritto si produce nella porzione dell’intelletto chiamato teorico o speculativo. Ma vi è
nell’intelletto un’altra parte, conosciuta come l’intelletto pratico, quando l'attività intellettuale è applicata a
verità o ad oggetti che tendono a generare azioni. Nella pratica della vita quotidiana tutti noi vediamo
chiaramente questa distinzione tra ciò che è un pensiero puramente teorico, che alcuni chiamano sogno o
illusione, ed uno più pratico, diretto a generare azioni concrete.

I passi che distingueremmo nell'azione dell’intelletto pratico saranno descritti a continuazione, accompagnati
da un semplice esempio:

*In primo luogo si produce la semplice apprensione, che cattura le immagini ricevute e le trasforma in concetti
o idee, che determinano un eventuale fine; siamo ancora nel campo puramente psicologico.
Esempio: - Potrei mangiare qualcosa.
*Dopo di questo appare il giudizio di possibilità e convenienza: è valutata la convenienza ed il modo di
raggiungere tale fine. Qui è già colpito l'ordine morale, la sua convenienza o il disaccordo con lui.
-Potrei mangiare, perché è già la ora, ma dovrebbe essere un pasto leggero perché non mi faccia male.
*Segue la deliberazione o consiglio, che valuta le modalità per il raggiungimento di tale scopo o l'esecuzione di
tale atto.
–Forse potrei andare al ristorante di qui fronte, che ha una cucina molto elaborata, o quello che è a
cinque isolati di distanza, ma che ha del pasto come fatto in casa.
*Infine vi è il giudizio pratico; per questo giudizio s’indicherà alla volontà quale sia il modo migliore per
eseguire l'atto in corso di valutazione.
-E meglio andare al ristorante più semplice, anche se è più lontano, perché mi sentirò dopo più leggero,
già che devo continuare a lavorare.



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Il ultimo giudizio che risulta dall’intelletto pratico chiamato giudizio pratico, è essenziale nel comportamento
umano, perché sarà quello che presenti alla volontà la convenienza di un oggetto qualsiasi, in modo che essa
produca un'azione, come vedremo un poco più avanti.

Proprio sull’intelletto pratico attua la cosidetta coscienza morale. Cosa è la coscienza morale? La parola più
attualizatta della Chiesa su questo tema la troviamo espressa nella magnifica Enciclica "Veritatis Splendor" di
Giovanni Paolo II:
“Il rapporto che esiste tra la libertà dell'uomo e la legge di Dio ha la sua sede viva nel «cuore» della persona,
ossia nella sua coscienza morale: «Nell'intimo della coscienza — scrive il Concilio Vaticano II — l'uomo
scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce che lo chiama sempre
ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, quando occorre, chiaramente dice alle orecchie del cuore: fa'
questo, fuggi quest'altro. L'uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro il suo cuore: obbedire ad essa è
la dignità stessa dell'uomo, e secondo questa egli sarà giudicato (cf Rm 2, 14-16)»
Secondo le parole di san Paolo, la coscienza, in un certo senso, pone l'uomo di fronte alla legge, diventando
essa stessa «testimo- ne» per l'uomo: testimone della sua fedeltà o infedeltà nei riguardi della legge, ossia della
sua essenziale rettitudine o malvagità morale. La coscienza è l'unico testimone: ciò che avviene nell'intimo
della persona è coperto agli occhi di chiunque dall'esterno. Essa rivolge la sua testimonianza soltanto verso la
persona stessa. E, a sua volta, soltanto la persona conosce la propria risposta alla voce della coscienza.
Non si apprezzerà mai adeguatamente l'importanza di questo intimo dialogo dell'uomo con se stesso. Ma, in
realtà, questo è il dialogo dell'uomo con Dio, autore della legge, primo modello e fine ultimo dell'uomo. «La
coscienza — scrive san Bonaventura — è come l'araldo di Dio e il messaggero, e ciò che dice non lo comanda
da se stessa, ma lo comanda come proveniente da Dio, alla maniera di un araldo quando proclama l'editto del
re. E da ciò deriva il fatto che la coscienza ha la forza di obbligare».
Si può dire, dunque, che la coscienza dà la testimonianza della rettitudine o della malvagità dell'uomo all'uomo
stesso, ma insieme, anzi prima ancora, essa è testimonianza di Dio stesso, la cui voce e il cui giudizio
penetrano l'intimo dell'uomo fino alle radici della sua anima, chiamandolo fortiter et suaviter all'obbedienza:
«La coscienza morale non chiude l'uomo dentro una invalicabile e impenetrabile solitudine, ma lo apre alla
chiamata, alla voce di Dio. In questo, non in altro, sta tutto il mistero e la dignità della coscienza morale:
nell'essere cioè il luogo, lo spazio santo nel quale Dio parla all'uomo».” (166)

Pertanto, la coscienza produce un giudizio dell’intelletto pratico, lasciando da parte il processo di
ragionamento, circa la moralità di un atto da fare o già realizzato. Vale a dire, l'uomo ha una capacità interna
per "sapere", per emettere un giudizio, prima di utilizzare il suo ragionamento, sulla moralità delle sue azioni.
Si potrebbe dire che la coscienza è la voce di Dio che risuona nell’interno di ogni uomo, e che è incisa nel suo
cuore, e dà testimonianza della rettitudine o del male delle sue opere.

Possiamo perciò alla luce di quanto mostrato anche da qua, mettere la coscienza, nel Schema N° 2, nella parte
corrispondente allo spirito, dove abbiamo detto che si produce l’interazione tra Dio e l'uomo.

Un aspetto molto importante della conoscenza implica considerare che c'è uno stato, chiamato stato cosciente,
nel quale ci rendiamo conto che conosciamo, o in d'altri termini, avvertiamo che conosciamo; ma c’è un altro
stato, chiamato incosciente, in cui, tanto se si è addormentato, o sveglio ma soffrendo di disturbi della mente
(demenza grave, idiotismo, o essendo bambini molto piccoli) o alterazioni momentanee (ubriachezza,
tossicodipendenza, ipnosi, ecc.), non avvertiamo la nostra conoscienza ne ci rendiamo conto delle nostre azioni.
Questo concetto di avvertenza è essenziale per stabilire la gravità maggiore o minore del peccato, come
vedremo più avanti.

Quindi, con tutto quello visto finora rimane descritta nella sua totalità la conoscenza coinvolta nell atto umano,
che agirà nella seconda fase del atto razionale su l' altra potenza umana: la volontà.

Abbiamo già descritto come le fasi negli atti degli uomini sono tre: la conoscenza, tendenza o l’appetenza e
l'azione, come l’abbiamo rappresentato graficamente nei diagrammi che accompagnano questo capitolo.
A livello animale c’è una conoscenza sensibile, prodotta da quello percepito dai sensi, che genera una tendenza
o appetenza chiamata passione.



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Quando la conoscenza viene dalla intelligenza (conoscenza intellettuale), la appetenza o tendenza che si
produce si denomina appetito razionale o volontà. Possiamo quindi definire la volontà come la facoltà
dell'anima con la quale si cerca il bene conosciuto per l’intelletto.

L’oggetto proprio della volontà è il bene, non come è catturato dai sensi, bensí come le è proposto
dall'intelligenza nel ragionamento, e la volontà cercarà questo bene. La volontà è un potere cieco, e si lancia a
ciò che propone l’intelletto prendendolo sempre come il vero bene. L'atto proprio della volontà è l’amore, ossia
l’unione affetiva con il bene conosciuto attraverso l’intelletto.

Gli atti propri della volontà si dividono in atti eliciti ed atti imperati. I primi sono quelli veramente propri della
volontà, mentre che si chiamano imperati gli atti in cui la volontà comanda e vengono eseguiti da altre potenze,
come i movimenti deliberati del corpo, o quando la volontà ordina all’intelletto di pensare.

Ora vedremo la sequenza degli atti della volontà, seguendo con lo stesso esempio utilizzato per illustrare gli
atti dell’intelletto visto prima; intercaleremo nuovamente i suoi atti, cosa che ci permetterà d' apprezzare
nell'insieme all’atto umano, ed anche osservare l'interazione esistente tra intelletto e volontà. Ovviamente, nella
pratica, questa sequenza d'atti si produce come una totalità, senza potere essere isolato chiaramente ciascuno di
loro:

Intelletto: semplice apprensione. -Potrei mangiare qualcosa.

Volontà: Semplice volere: è una mera compiacenza del fine rivelato per la semplice apprensione. -Mi
piacerebbe mangiare.

Intelletto: Giudizio di possibilità e convenienza -Potrei mangiare, perché è già la ora, ma dovrebbe essere
un pasto leggero perché non mi faccia male.

Volontà: Intenzione del fine: è la decisione di ottenere il fine proposto come conveniente per l’intelletto
mediante il giudizio di possibilità e convenienza. - Voglio andare a mangiare adesso.

Intelletto: Deliberazione o consiglio. -Forse potrei andare al ristorante di qui fronte, che ha una cucina
molto elaborata, o quello che è a cinque isolati di distanza, ma che ha del pasto come fatto in casa.

Volontà: Consentimento alla proposta del consiglio dell’intelletto -Mi sembrano buoni i due ristoranti.

Intelletto: Ultimo giudizio pratico. -E meglio andare al ristorante più semplice, anche se è più lontano,
perché mi sentirò dopo più leggero, già che devo continuare a lavorare.

Volontà: Libera ellezione, che è la decisione finale di efettuare l’atto. –Vado al ristorante che prepara i cibi
come a casa mia.

Dopo dell’ellezione proviene l'organizzazione e il coordinamento delle altre potenze operative partendo da un
ordine o imperio della volontà, con la quale muove alle potenze necessarie, producendo la terza ed ultima fase
dell’atto razionale, che è l'azione. In questo esempio, la volontà ordinarà al corpo di alzarsi e camminare fino il
ristorante scelto. Rimarrà ancora un ultimo atto proprio della volontà:

Volontà: Gioia o fruizione, già che, ottenuto il fine gradito, e anche posseduto, appare la felicità o gioia, e dopo
di questa il riposo. -Che bene mi sento dopo aver mangiato questo cibo saporito ma molto sano!

Quando la volontà ottiene il bene ricercato da essa, si producono la gioia e la felicità, che costituiscono il
sentimento di soddisfazione che colma il desiderio della volontà al cercare questo bene. In tutti gli esseri umani
vi è un desiderio naturale, innato, di felicità, che soltanto può essere soddisfatto interamente dal possesso del
bene supremo che è Dio, quello che si svolge in modo imperfetto qui sulla terra nella cosiddetta unione con
Dio, ma che raggiungerà la sua perfezione con la visione beatifica nel cielo.



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Questo è il motivo per cui l'uomo non può essere soddisfatto con i beni materiali, perché sono partecipati da
altri, e, o li dobbiamo condividere, o ci sono levati in qualche modo. L'unico bene che può produrre la piena e
completa felicità dell’uomo è Dio stesso.

Per terminare con lo studio sulla volontà diremo che così come l'appetito sensitivo produce movimenti che noi
chiamiamo le passioni, che impulsano gli atti animali, l'appetito razionale o volontà anche possiede i suoi
movimenti, che denominiamo sentimenti o affetti, che si differenziano da i movimenti del appetito sensitivo
(passioni), in quanto essi si basano sulla conoscenza intellettuale, ed inoltre non sono così forti e impetuosi
come questi.
Dobbiamo anche tenere a mente in questo caso che i termini "sentimento" o "affetto" sono utilizzati con molti
significati diversi a quelli che impiegamo in questo studio, per cui dobbiamo evitare confusioni.

I sentimenti possono essere classificati secondo che siano più o meno elevati gli oggetti che li generano, in
modo che abbiamo, prima di tutto, i sentimenti razionali provenienti dal ragionamento basato su dati
provenienti dai sensi e che nascono dal desiderio del bene onesto o bene razionale. Gli altri sentimenti già sono
derivati dalla grazia attuando negli esseri umani, e sono chiamati sentimenti cristiani, quando provengono dal
funzionamento della grazia al modo umano, e sentimenti divini, cuando appariscano dalla grazia operando al
modo divino.

Sulla base di questi sentimenti o affetti, che sono molto numerosi e diversi, anche se alcuni coincidono nel loro
nome con le passioni, si produrranno le azioni razionali.


Resta ancora un elemento molto importante da considerare: le potenze dell 'anima (l’intelletto e la volontà),
man mano che ripetono i loro atti, sviluppano per operare alcune qualità stabili chiamati abiti, che le
dispongono per lavorare più facile e rapidamente. Se sono buone abitudini, si chiamano virtù naturali, e se sono
cattive, sono chiamate vizi.

Le virtù naturali o acquisite possono essere di due tipi: le virtù intellettuali, che perfezzionano l’intelletto per
realizare meglio le loro operazioni proprie (la studiosità, la saggezza, la scienza, la guida di operazioni esterne,
o "arte", che include l'architettura e ingegneria, la scultura, la letteratura, la musica e la pittura).
Queste virtù non hanno alcun rapporto con l'onestà dei costumi e degli atti umani, siccome si può essere un
"virtuoso" straordinario del pianoforte, ed avere una vita perversa e completamente allontanata dalla moralità.

Troviamo anche le virtù morali naturali che adesso sono legate ai buon’costumi. Esse sono molto numerose,
ma possono essere ridotte a quattro, denominate cardinali (di "cardinis", che è il cardine o perno sul quale
girano le porte), già che su queste virtù gira tutta la morale umana:

*La Prudenza perfezziona l’intelletto, aiutando a cercare i mezzi più a proposito per cercare di raggiungere un
fine naturale, come la prudenza del industriale, del commerciante, dell'artista, che cerca di guadagnare denaro o
fama.
*La giustizia perfeziona la volontà di dare a ciascuno la sua parte secondo quello che stabiliscono le leggi
umane.
*La fortezza attua sulla volontà rafforzando l'appetito irascibile per tollerare quello sgradevole ed affrontare ciò
che è difficile da ottenere.
*La temperanza anche opera dalla volontà sopra l’appetito concupiscible, moderando la tendenza delle
passioni verso i piaceri della carne.

Questo è il mecanismo degli atti razionali dell'uomo. Vediamo che nei suoi atti l'uomo a livello razionale è
sottoposto a due forze o principi d'azione che tirano in direzioni diverse: quelle prodotte dal apetito sensitivo, le
passioni, e quelle derivate dall’appetito razionale o volontà, i sentimenti.

Molte volte l’appetito sensitivo o sensuale disturba o si oppone, in qualche modo, all'appetito razionale, fatto
questo che genera una lotta costante in ogni uomo, dove la sua intelligenza e volontà tentano di gestire ed



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educare le passioni che si generano in loro, cercando di scostarle dal male e di metterle al servizio del bene
onesto, quello che significa in ultima istanza evitare che esse si disordino.

Ecco un esempio: una persona decide che vuole studiare e diventare un buon medico perché desiderebbe
affermare il suo avvenire con questa professione, e, a sua volta, ritiene che potrà aiutare alle persone; questo è
un bene onesto che la sua intelligenza suggerisce alla volontà, che allora tenderà verso di lui.
Ma questo scopo comporterà molte ore di studio, e sacrificare altre cose, piacevoli per i sensi, come il
divertimento, il tempo libero, ecc., e dunque si stabilirà una lotta costante per evitare che l'appetito sensuale
possa deviare alla volontà del obbiettivo fissato dello studio.

Troviamo allora che l' uomo naturale si trova così sottoposto alla lotta tra due forze: la forza della ragione, che
si mostra a volte debole ed impotente per guidare ed ordinare la forza dei suoi instinti e passioni. San Paolo
manifesta questa lotta chiaramente:
“La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si
oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste.” (167).

Nel vocabolario paolino, "carne" significa esattamente quello che deriva dal appetito sensitivo. Nella Lettera ai
Romani, spiega anche drammaticamente le conseguenze di questa lotta interna:
“Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c'è in me il desiderio del bene, ma non la
capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio.” (168)

Ma in aggiunta esistono impedimenti interni ed esterni nel processo dei atti umani, che li deviano dalla retta via
in cerca della verità che lo porterà a raggiungere il suo fine ultimo:

a) Impedimenti interni: si originano nel danno subito dalle facoltà dell’uomo a causa del peccato originale.
L'intelletto ha perso la scienza infusa che possedeva nel Paradiso, nello stato di giustizia originale, e pur
mantenendo la capacità di conoscere la verità, è molto incline al errore.
La volontà è influenzata dalla concupiscenza, che è una inclinazione interna dell’uomo verso il male ed al
peccato, come è definito dal Catechismo:
“Il peccato originale, sebbene proprio a ciascuno, in nessun discendente di Adamo ha un carattere di colpa
personale. Consiste nella privazione della santità e della giustizia originali, ma la natura umana non è
interamente corrotta: è ferita nelle sue proprie forze naturali, sottoposta all'ignoranza, alla sofferenza e al
potere della morte, e inclinata al peccato (questa inclinazione al male è chiamata « concupiscenza »).
La « concupiscenza », nel senso etimologico, può designare ogni forma veemente di desiderio umano. La
teologia cristiana ha dato a questa parola il significato specifico di moto dell'appetito sensibile che si oppone
ai dettami della ragione umana. L'Apostolo san Paolo la identifica con l'opposizione della « carne » allo «
spirito ». È conseguenza della disobbedienza del primo peccato. Ingenera disordine nelle facoltà morali
dell'uomo e, senza essere in se stessa una colpa, inclina l'uomo a commettere il peccato.” (169)

San Giovanni parla della triplice concupiscenza, che si trova nel mondo, nell’uomo razionale allontanato da
Dio, e che non proviene dal Creatore:
“Non amate né il mondo, né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l'amore del Padre non è in lui; 16 perché
tutto quello che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della
vita, non viene dal Padre, ma dal mondo.” (170)

Queste tre concupiscenze provengano dalla stessa causa, che è l'egoismo o amore disordinato di sé stesso che
possiede l'uomo. Quando noi amiamo disordinatamente il nostro ego, anche sorgerà l’appetito disordinato per i
beni terreni, che è da dove proviene il peccato. Quindi la triplice concupiscenza è come la radice dei cosiddetti
peccati capitali, che sono le fonti da cui provengono tutti gli altri peccati. In realtà i peccati capitali, piuttosto
che peccati, sono cattive abitudini o abiti viziosi (vizi), che possono facilmente trascinare al peccato.

Questi peccati capitali sono sette:
Dalla concupiscenza della carne, che è l'appetito disordinato per il piacere sensibile o sensuale, si derivano:
la gola, l'appetito disordinato per mangiare e bere, la lussuria, l'appetito disordinato per il piacere sessuale, e la
pigrizia o accidia, che è la fuga dal lavoro e dalle realtà spirituali per il sforzo che presuppongono.



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La concupiscenza degli occhi, che è l'amore disordinato dei beni materiali e le ricchezze, s’identifica con
l’avarizia, come un desiderio veemente di essere in possesso di ricchezze e beni senza limiti.
Dalla superbia della vita nascono l’orgoglio o superbia propriamente detta, che è un disordine nell'inclinazione
a stimare ciò che è buono nell'uomo, attribuendolo al proprio sforzo e non considerandolo come un dono di
Dio, come avevamo visto in precedenza in riferimento al peccato originale; l'invidia, che è una profonda
tristezza che è vissuta di fronte ai beni che altri hanno e che non si possiedono, e che fa male come se si
trattasse di qualcosa che diminuirebbe la propria superiorità, e, infine, la collera, come un ardente desiderio di
punire coloro che ritieniamo ci hanno aggredito o ferito in qualche modo.
La collera come passione può essere legittima, in risposta ad una aggressione, ma quando come sentimento va
generando l'odio, il rancore ed il desiderio di vendetta, spesso sproporzionato in comparazione con l'offesa
ricevuta, si può convertire in un peccato grave, per le sue conseguenze funeste.

Possiamo riassumere a questo punto il tema esposto dicendo che la triplice concupiscenza è una tendenza che
colpisce gravemente la volontà umana, inclinandola verso i peccati capitali.


b) Impedimenti esterni: sono due, il mondo e il diavolo. Chiamamo mondo all’atmosfera anticristiana che si
respira tra le persone che vivono completamente dimenticate di Dio e dedite soltanto alle cose della terra. La
sua influenza, in particolare sull’intelletto, si manifesta con le false idee e massime, in opposizione al Vangelo,
nelle burle e persecuzioni contro la vita di pietà e la famiglia cristiana, nei piaceri e divertimenti offerti ogni
volta più abbondantemente e nei scandali e cattivi esempi.

Il demonio attua attraverso la tentazione, l’ossesione o infestazione e, molto raramente, per la possesione
diabolica. Non può mai agire direttamente sull’intelletto né la volontà, in cui solo Dio può entrare con le sue
mozioni, ma lo fa in modo indiretto, agendo sui sensi e molto fortemente sulla imaginazione, in modo da
indurre in errore ai giudizi ed esacerbare le passioni, ravvivando l'azione della triplice concupiscenza, già che
come insegna lo stesso Gesù, Satana fa della menzogna la sua arma preferita:
“Il Diavolo è stato omicida fin da principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui.
Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna.” (171)

Siamo ora in grado di scorgere ciò che potrebbe essere chiamato il "meccanismo" del peccato, o la psicologia
del peccato. Quello che rende possibile l'emergere del peccato è la debolezza della ragione umana (intelletto e
la volontà), malata e diminuita dal peccato originale. Il fondamento di ogni peccato è che si produce un grave
errore nell’íntelletto, da cui l'uomo può confondersi e prendere come un bene vero qualcosa che soltanto lo era
in apparenza.

Dobbiamo tenere a mente che l'obiettivo proprio della volontà è il bene, al quale cerca per l’amore. Non è
possibile da un punto di vista psicologico normale che la volontà si lanci verso il possesso di qualcosa, se
l’intelletto non se lo presenta come un bene.
Pertanto, qualunque cosa che l’intelletto presenti alla volontà come un male, sarà immediatamente respinta da
lei, e di ciò risulta che la volontà non può mai desiderare il male di per sé, dato che è l'opposto dell'oggetto
proprio di questa facoltà, che è sempre il bene.

Abbiamo già visto che l'intelletto, indebolito dal peccato originale, può essere confuso, in primo luogo dalle
passioni. Tutti sappiamo per esperienza che quando siamo sottoposti a una forte passione (collera, timore,
amore sensuale, ecc.), attuamo in gran parte prescindendo del ragionamento, e facendo cose che altrimenti non
faremmo.

Anche l'influenza dei criteri del mondo, o l'azione sottile del diavolo, essere spirituale con capacità superiori a
quelle naturali dell'uomo, fanno errare l’intelletto, che presentarà alla volontà qualcosa che apparentemente è un
bene, ma se accettato porterà al peccato. E molto importante notare come anche in un atto come un suicidio, che
attenta contra il massimo bene materiale che possiede l'uomo, che è la sua vita, l’intelletto infermo e sbagliato
presenta alla volontà che morire è meglio, per esempio, che vivere essendo disprezzato, o essendo un fallito, o
soffrendo, o dovendo affrontare la giustizia, come possibili cause che spingono al suicidio.



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A causa di questa psicologia del peccato, basata nel fatto che l’intelletto cade in errore per quanto riguarda alla
convenienza di un bene apparente, si capisce perché i beati in cielo sono impeccabili (non possono peccare),
perché al contemplare faccia a faccia a Dio, Verità Infinita, il suo intelletto solo può restare nella verità e non vi
è alcuna possibilità che cada in un errore che permetta il peccato.

Questa è infine la situazione nella quale si trova l'uomo razionale, quando attua soltanto con le sue forze
naturali. Come si può vedere facilmente, le risulta all’uomo in pratica impossibile con la sua sola capacità
naturale, e sottoposto ai suoi nemici spirituali, avanzare verso il suo fine ultimo, perché è costantemente
allontanato da Dio per la sua inclinazione al peccato. E questa la situazione vissuta in tutta la fase della storia
umana conosciuta come l'Antico Testamento.

Ma Dio non dimentica ne l'uomo ne il suo clamore, eco di quello che già si udiva nel Antico Testamento:

”Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia;
nella tua grande bontà cancella il mio peccato.
Lavami da tutte le mie colpe,
mondami dal mio peccato.
Riconosco la mia colpa,
il mio peccato mi sta sempre dinanzi.” (172)

Anche il grido proviene dall'anima di San Paolo:
“Io trovo dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. Infatti acconsento nel
mio intimo alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un'altra legge, che muove guerra alla legge della mia
mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra. Sono uno sventurato! Chi mi libererà
da questo corpo votato alla morte?” (173)

La Redenzione di Gesù Cristo darà all’uomo il suo dono più prezioso, la grazia santificante, dando origine
all’uomo nuovo o uomo spirituale, che potrà affrontare e superare la situazione nella quale si incontra, come lo
vedremo nel prossimo capitolo.

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