DON ANTONIO

giovedì 15 marzo 2012

COMMISSIONE EPISCOPALE PER IL SERVIZIO DELLA CARITÀ E LA SALUTE







«Predicate il Vangelo e curate i malati».
La comunità cristiana e la pastorale della salute
PRESENTAZIONE

L’esigenza di un documento sulla pastorale della salute, in continuità con quello
pubblicato nel 1989 a cura della Consulta Nazionale per la pastorale della sanità, era
avvertita già da tempo davanti ai mutamenti in atto in ambito socio-culturale, nel mondo
sanitario e nella pastorale. L’occasione per dare attuazione a tale intendimento è stata
l’Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana, che si è svolta in Assisi nel
novembre 2005. La riflessione sviluppata dai vescovi sul tema della cura pastorale delle
situazioni di sofferenza suscitate dalla malattia ha fatto emergere proposte significative.
La presente Nota ne raccoglie gli elementi salienti, nella consapevolezza del compito
della Chiesa, «chiamata a manifestare l’amore e la sollecitudine di Cristo verso quanti
soffrono e verso coloro che se ne prendono cura»1.
La Nota intende offrire alle comunità ecclesiali criteri di discernimento e
indicazioni pastorali per un’adeguata evangelizzazione e una incisiva testimonianza
della speranza cristiana nel mondo della salute. Le luci e le ombre che emergono
nell’ambito della sanità costituiscono una provocazione feconda per l’agire pastorale
della Chiesa (cfr nn. 7-20). Dare attuazione convincente al comando di Gesù che mandò
i suoi discepoli «ad annunciare il regno di Dio e a guarire gli infermi» (Lc 9,2), è oggi
una fra le più urgenti forme di evangelizzazione.
La Nota intende anche invitare la comunità cristiana nel suo complesso a sentirsi
soggetto corresponsabile della pastorale della salute, integrandola in una pastorale
d’insieme. Le sfide che provengono dal mondo della salute chiedono alla Chiesa una
risposta animata dalla speranza. Tale azione profetica sarà possibile se la comunità
ecclesiale si sentirà costantemente provocata dal modo di agire di Gesù Cristo (cfr nn.
21-48). Ci ricorda il Santo Padre: «Cristo, soffrendo per tutti noi, ha conferito un nuovo
senso alla sofferenza, l’ha introdotta in una nuova dimensione, in un nuovo ordine:
quello dell’amore… Tuttavia dobbiamo anche fare del tutto perché gli uomini possano
scoprire il senso della sofferenza, per essere così in grado di accettare la propria
sofferenza e unirla alla sofferenza di Cristo»2.
La Nota, infine, offrendo orientamenti operativi, vuole promuovere e sostenere
un’azione pastorale più partecipata e coinvolgente, in cui il malato sia valorizzato come
soggetto attivo (cfr nn. 49-69). Tutti, infatti, siamo in debito verso quanti sono nella
sofferenza, perché essi immettono nel mondo, spesso a caro prezzo, silenziosamente e
in incognito, fiumi vitali di speranza. Anche in questo campo «è l’ora di una nuova
“fantasia della carità”, che si dispieghi non tanto e non solo nell’efficacia dei soccorsi
prestati, ma nella capacità di farsi vicini, solidali con chi soffre»3.
La coincidenza della pubblicazione della Nota con la fase finale del cammino
preparatorio verso il 4° Convegno Ecclesiale nazionale (Verona, 16-20 ottobre 2006)
vuole essere un segno peculiare dell’attenzione della Chiesa italiana nei confronti della
fragilità sperimentata nella malattia e nella sofferenza. La offriamo alle comunità
ecclesiali facendo nostre le parole di Benedetto XVI: «Duc in altum! Questo invito di
Cristo a Pietro e agli Apostoli lo rivolgo alle Comunità ecclesiali… e, in modo speciale,

1 BENEDETTO XVI, Messaggio per la XIV Giornata mondiale del malato, 8 dicembre 2005.
2 BENEDETTO XVI, Discorso alla Curia Romana in occasione della presentazione degli auguri natalizi,
22 dicembre 2005.
3 GIOVANNI PAOLO II, lettera apostolica Novo millennio ineunte, 6 gennaio 2001, 50: AAS 93 (2001), 303.
a quanti sono al servizio dei malati, perché, con l’aiuto di Maria Salus infirmorum,
testimonino la bontà e la paterna sollecitudine di Dio»4.

Roma, 4 giugno 2006
Solennità di Pentecoste


Francesco Montenegro
Presidente della Commissione Episcopale
per il servizio della carità e la salute
4 BENEDETTO XVI, Messaggio per la XIV Giornata mondiale del malato.
INTRODUZIONE

1. I cambiamenti in atto nel mondo della salute, unitamente ad alcune esigenze
emerse nel cammino della Chiesa, hanno fatto affiorare la necessità di offrire alle
comunità cristiane e a quanti in vario modo operano nel mondo sanitario nuovi elementi
di riflessione e linee operative comuni.
Si tratta di indicazioni pastorali da leggere in continuità e sintonia con quelle
contenute nei documenti elaborati dalla Chiesa italiana durante gli ultimi decenni, in
particolare nella Nota della Consulta Nazionale per la pastorale della sanità del 19895.
Unisce tutti questi documenti la volontà di mettere a punto una prassi ecclesiale che
risponda alle mutate condizioni del mondo sanitario «affinché i valori della vita e della
salute siano rispettati e orientati verso la salvezza e il momento della malattia e della
morte possano ricevere oltre il sostegno della scienza e della solidarietà umana anche
quello della grazia del Signore»6.

In linea con il cammino della Chiesa
2. Quanto viene proposto nel presente documento è in linea con il cammino
compiuto negli ultimi anni dalla Chiesa italiana, che, riflettendo sulle modalità della
propria presenza e attività, ha riconosciuto il primato dell’evangelizzazione rispetto a
ogni altra azione pastorale.
In questa prospettiva, la consapevolezza che il servizio ai malati e ai sofferenti è
«parte integrante della missione della Chiesa»7 rende urgente incorporare nel progetto
evangelizzatore la promozione della salute e l’impegno per alleviare la sofferenza e la
cura degli infermi, in ossequio al comando di Cristo, il cui agire connette strettamente il
compito di evangelizzazione e la guarigione dei malati8. Nella cura amorevole della
persona e nella promozione della salute è infatti insita un’attesa e un’esperienza di
liberazione e di amore che diventa segno e annuncio di una salvezza integrale.

Con animo grato
3. Le proposte offerte alla comunità ecclesiale per accompagnarla nella sua
missione evangelizzatrice nel mondo della salute non ignorano il compito che tanti
cristiani - laici, singoli o associati, consacrati e consacrate, sacerdoti e diaconi, operatori
e operatrici sanitari - generosamente svolgono, testimoniando attraverso la prossimità al
malato, il lavoro, lo studio e la ricerca, i valori evangelici della dignità della persona, del
rispetto della vita e della misericordia. Nella linea delle parole dell’apostolo Paolo: «Se
un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme» (1Cor 12,26), essi contribuiscono



5 CONSULTA NAZIONALE DELLA CEI PER LA PASTORALE DELLA SANITÀ, La pastorale della salute nella
Chiesa italiana. Linee di pastorale sanitaria, 30 marzo 1989: “Notiziario della Conferenza Episcopale
Italiana” 1989, 94-116.
6 Ibid., 2: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” 1989, 97.
7 GIOVANNI PAOLO II, motu proprio Dolentium hominum, 11 febbraio 1985, 1: AAS 77 (1985), 457.
8 Tra i numerosi passi evangelici che descrivono l’attenzione di Gesù e degli apostoli nei confronti dei
malati, ricordiamo Mt 10,1; Mc 6,3; Lc 9,1-6; 10,9; At 2,42; 3,6; 5,12; 6,8; 8,5-6; 9,34.40; 1Cor 12,9;
12,28-30; Gc 5,13-14.


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a costruire comunità in cui fioriscono la solidarietà fraterna, la condivisione di ciò che si
è e che si possiede, l’empatia per le gioie e le sofferenze degli altri (cfr At 2,42-48).
Né tali proposte sono indifferenti agli sviluppi tecnici e organizzativi della sanità
nel nostro Paese, indotti dalle conquiste della scienza e dalle scelte operate dalla politica
nell’ambito della tutela della salute: la presenza evangelizzatrice della Chiesa, infatti,
s’incarna in ogni sforzo di autentico servizio alla persona e di vera umanizzazione della
realtà sanitaria.
Riconoscendo con gratitudine la testimonianza offerta dai credenti impegnati nel
mondo della salute e alleandosi con gli sforzi compiuti da tutti gli uomini di buona
volontà, questo documento si propone di offrire alcune linee di risposta alle aspirazioni
profonde di salute e di salvezza presenti nel cuore di ogni persona. Si tratta di rendere
presente nella vita di ogni uomo la fondata speranza a noi donata in Gesù Cristo e
nell’adesione di fede al suo mistero. Non possiamo dimenticare, infatti, che il nostro
agire ecclesiale in campo sanitario costituisce una partecipazione misteriosa ma reale
all’azione di Gesù Cristo morto e risorto, sorgente di vita e di salvezza per ciascuno.

Obiettivi e articolazione del documento
4. In questa prospettiva si possono comprendere gli obiettivi della Nota
pastorale, che intende:
- favorire il discernimento delle sfide poste dal mondo della salute alla presenza e
all’azione della Chiesa, prospettando linee di collaborazione con tutti gli uomini di
buona volontà;
- offrire stimoli per un’educazione al valore della salute e al senso della sofferenza,
interpretate alla luce del mistero di Gesù Cristo;
- sostenere l’integrazione della pastorale sanitaria nella pastorale d’insieme delle
comunità cristiane;
- promuovere una maggiore integrazione tra l’assistenza spirituale assicurata nelle
strutture sanitarie e la cura pastorale ordinaria nelle parrocchie, sviluppando forme di
collaborazione tra le cappellanie ospedaliere e le comunità ecclesiali territoriali;
- fornire indicazioni per il coinvolgimento di tutte le componenti del popolo di Dio
nella pastorale della salute, potenziando gli organismi di comunione e
corresponsabilità;
- promuovere una maggiore organicità e progettualità della pastorale sanitaria, anche
mediante specifici itinerari formativi.
Le riflessioni e le indicazioni proposte sono sviluppate in tre parti. La prima
offre una visione del mondo attuale della salute, evidenziandone luci e ombre. Nella
seconda, viene indicato il messaggio di speranza che la Chiesa intende offrire al mondo
della salute, rispondendo alle sfide che da esso provengono. Nella terza, infine, sono
presentate alcune linee operative.
Ci accompagna la speranza che le riflessioni e le indicazioni pastorali qui
contenute aiutino le comunità ecclesiali a crescere nella fraternità e nella solidarietà, nel
segno evangelizzatore della cura dei malati e della promozione della salute.




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I. IL MONDO DELLA SALUTE OGGI

5. Fedele alla sua missione, la Chiesa fa sue «le gioie e le speranze, le tristezze e
le angosce»9 che caratterizzano il mondo della salute, pronta a offrire il messaggio di
salvezza del suo Maestro, che alla proclamazione del Regno univa costantemente il
ministero di guarigione: «Prese a parlar loro del regno di Dio e a guarire quanti avevano
bisogno di cure» (Lc 9,11).

Conquiste e difficoltà
6. La Chiesa italiana riconosce e apprezza i preziosi contributi offerti dalla
ricerca scientifica per la migliore cura e per l’assistenza sanitaria delle persone e
incoraggia in tal senso ogni progresso rispettoso della persona umana.
Parimenti, riconosce e apprezza l’impegno profuso dai responsabili della vita
politica e amministrativa nel promuovere e salvaguardare il diritto, costituzionalmente
sanzionato10, alla tutela della salute dei cittadini, e nell’assicurare al mondo sanitario il
più alto livello scientifico e tecnico e le più ampie garanzie sociali.

7. È peraltro vero che le difficoltà sperimentate dal legislatore nel rispondere in
maniera adeguata ai bisogni di cura e di salute dei cittadini si comprendono più
facilmente, se si considera che a tali sforzi spesso si contrappongono visioni culturali e
sociali inconciliabili con il perseguimento del bene comune.
Un’eccessiva libertà d’iniziativa, ad esempio, rischia di emarginare i soggetti più
deboli, mentre l’esasperazione dell’uguaglianza dei servizi socio-sanitari resi alla
popolazione può ingenerare burocratizzazione della risposta, passività e acquiescenza
dell’utente.
Anche l’adozione indiscriminata del modello aziendale in ambito sanitario,
seppur motivata dall’esigenza di organizzare i servizi in maniera più efficiente, si presta
al rischio di privilegiare il risultato economico rispetto alla cura della persona.
Per altro verso, l’aver demandato a livello regionale rilevanti competenze per la
tutela della salute deve comporsi con la garanzia, assicurata in misura uguale sull’intero
territorio nazionale, dei livelli essenziali delle prestazioni.
Occorre rilevare, infine, che laddove non si presta sufficiente attenzione al
principio di sussidiarietà, più difficile diventa anche nell’ambito sanitario l’azione dei
soggetti del privato sociale e del terzo settore.






9 CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, costituzione pastorale Gaudium et spes, 7 dicembre 1965, 1: AAS
58 (1966), 1025.
10 «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e
garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento
sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal
rispetto della persona umana» (Costituzione della Repubblica italiana, art. 32).


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Aspetti culturali
8. L’assetto attuale del mondo della salute va compreso anche alla luce di alcune
tendenze della cultura contemporanea e del progresso scientifico e tecnico che hanno
inciso sul modo di concepire la salute e la malattia, la vita e la morte.
Nell’evidenziare alcuni tratti caratteristici di questa visione del mondo, ci
limitiamo a sottolineare quelli che maggiormente costituiscono una sfida a cui la Chiesa
è chiamata a rispondere.

Atteggiamento “prometeico”
9. L’impiego di strumenti sempre più sofisticati consente alla medicina di
migliorare la qualità dell’esistenza, di prolungare la vita, di combattere più
efficacemente il dolore, intervenendo sull’organismo umano fin nel suo assetto
genetico.
Accanto a innegabili e provvidenziali benefici, il progresso della scienza e della
tecnica non manca d’ingenerare, come ha fatto notare Giovanni Paolo II, «una sorta di
atteggiamento prometeico dell’uomo che, in tal modo, si illude di potersi impadronire
della vita e della morte»11. Tale atteggiamento porta larghi settori della scienza e della
medicina a ignorare i limiti inerenti alla condizione umana, contribuendo a coltivare
l’immagine di un uomo padrone assoluto dell’esistenza, arbitro insindacabile di sé, delle
sue scelte e delle sue decisioni.
Due sintomi molto evidenti di questa concezione sono, pur nella diversità delle
motivazioni e degli esiti, da un lato l’accanimento terapeutico e dall’altro l’eutanasia.
A ben vedere, tra accanimento terapeutico ed eutanasia vi è una certa continuità logica,
perché in essi è sempre l’uomo a non accettare di misurarsi in maniera umana con la
morte: con l’accanimento terapeutico l’uomo usa tutti i mezzi per posticipare la morte,
mentre con l’eutanasia l’uomo si arroga il diritto di anticipare e determinare la morte. In
ambedue i casi, egli intende esercitare un dominio assoluto sulla vita e sulla morte.
«Il pericolo che l’uomo, fidandosi troppo delle odierne scoperte, pensi di bastare
a se stesso e più non cerchi cose più alte»12 alberga nella cultura contemporanea
malgrado l’insorgere di nuove malattie e di minacce (quali l’inquinamento atmosferico
e l’abuso di sostanze) che rendono tragicamente illusorio il sogno di un progresso
assoluto, mostrando l’impotenza della persona di fronte alla finitudine umana.
Il rifiuto della condizione finita dell’uomo non è privo di ripercussioni sul piano
socio-psicologico e spirituale. Infatti, il dramma costituito dallo scontro tra un progresso
tecnico senza fine e l’ineluttabilità della morte suscita nevrosi e disagio esistenziale e
influisce negativamente sulla ricerca del senso della vita e sull’elaborazione di una scala
di valori rispettosa della persona e della natura.

Dalla medicina dei bisogni alla medicina dei desideri
10. Se fino a ieri l’obiettivo prioritario della medicina era quello di far vivere,
oggi essa si pone anche quello di far vivere bene. Si può pertanto affermare che, accanto

11 GIOVANNI PAOLO II, lettera enciclica Evangelium vitae, 25 marzo 1995, 15: AAS 87 (1995), 417.
12 CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, costituzione pastorale Gaudium et spes, 57: AAS 58 (1966), 1078.
alla medicina dei bisogni, esiste anche una medicina dei desideri. Nella mentalità di
molte persone, infatti, non è più sufficiente non ammalarsi e guarire, ma è necessario
tendere verso una pienezza in cui siano soddisfatti non solo i bisogni primari ma anche
quelli subordinati, sconfinando impercettibilmente nel dominio del desiderio.
Tale tendenza, favorita da alcuni elementi tipici della cultura postmoderna, quali
l’attenzione alle dimensioni della corporeità e della sessualità, la rivalutazione del
piacere, la cura dell’ambiente e il primato delle relazioni, se da un lato è positiva,
esprimendo la nostalgia di una vita buona, dall’altro non è priva di esiti potenzialmente
problematici.

Rimozione delle esperienze dolorose
11. Una delle conseguenze negative è identificabile con la tendenza a rimuovere
gli aspetti faticosi dell’esistenza: la sofferenza è considerata scomoda compagna di cui
l’uomo diventa silenzioso spettatore impotente; la malattia è vissuta come evento da cui
liberarsi più che evento da liberare; il naturale processo di invecchiamento è rifiutato,
dal momento che la vecchiaia viene considerata un tempo dopo la vita vera e non tempo
della vita; la morte è vista come evento indicibile e inaudito; la disabilità è considerata
più come ostacolo che non come provocazione, più come bisogno assistenziale che non
come domanda di riconoscimento esistenziale.

Logica dei fini e logica dei mezzi
12. Nell’ambito sanitario si assiste a un crescente spostamento dei temi della
salute, della sofferenza e della morte dal terreno del senso e del valore a quello della
tecnica. Le enormi possibilità della medicina hanno sottratto questi temi dalla sfera
metafisica, morale e religiosa, trasferendoli nella sfera pratica. L’insignificanza dei
vissuti esistenziali, che caratterizza il nostro tempo, depotenzia la capacità di “dare un
senso” al tempo della malattia cronica e inguaribile, della decadenza di una vecchiaia
sempre più prolungata, della morte. La malattia come evento clinico, infatti, è spesso
presidiata dall’attesa dell’onnipotenza del sapere medico; l’evento esistenziale appare,
al contrario, rimosso e censurato.
Cogliere il senso della sofferenza, della malattia e della morte è reso difficile
anche dal fatto che la sanità è spesso irretita nella logica dei mezzi tecnologici e
finanziari, dimenticando l’orizzonte dei fini.
Nasce l’interrogativo su come armonizzare, nella cura della persona e nella
promozione della salute, logica tecnica e logica etica, mezzi e fini.

Situazioni di fragilità
13. L’affievolirsi del rispetto della vita è un altro aspetto che spesso caratterizza
il mondo della salute. Mentre si fanno sforzi ingenti e accaniti per prolungare la vita e
per produrla artificialmente, non si permette di nascere a chi è già concepito e non si
risponde adeguatamente ai bisogni di quelle fasce di persone che non rispondono a
canoni di efficienza e produttività.





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Si creano così situazioni di fragilità, cui sono esposte numerose frange della
popolazione. Anche nella sanità vi sono “gli ultimi della fila”, per la loro tutela non
basta la generica affermazione di diritti.
Spesso avviene che, in assenza di un consenso sociale sufficientemente ampio e
condiviso, anche la migliore “carta dei diritti” si rivela inefficace. Si potrebbe
paradossalmente affermare che i “diritti dei deboli” si fanno, giorno dopo giorno, “diritti
deboli”: sono quelli dei disabili, delle persone affette da forme gravissime di sofferenza
psichica, dei lungodegenti e degli inguaribili, dei malati cronici, di quanti necessitano di
riabilitazione estensiva di lungo termine. Le lodevoli iniziative promosse in questi
campi (interventi per gli anziani e i diversamente abili, cure palliative, ecc.) trovano
rallentamenti e ostacoli causati da una visione riduttiva della persona umana e da
interessi economici legati alla gestione delle strutture sanitarie.
In un contesto più ampio, ma ugualmente legato al mondo della salute e al
rispetto della vita, è da prendere in considerazione la problematica legata all’ecologia.
Smisurati interessi economici portano all’inquinamento dell’ambiente, compromettono
la qualità del territorio, impoveriscono il livello di vita dei cittadini.

“Curare” e “prendersi cura”
14. Il discorso sulla carenza di umanità nel servizio reso al malato è lungi
dall’essere esaurito. Si avverte un profondo bisogno di personalizzare l’approccio, di
passare dal curare al prendersi cura, di considerare la persona nella totalità del suo
essere.
Se l’esperienza degli anni più recenti ha fatto registrare una buona crescita a
livello tecnico e specialistico, ha portato anche a una cura settoriale e frammentata a
scapito di un approccio olistico della persona. Si pensi, ad esempio, all’accostamento
terapeutico con le persone in condizione di fragilità psichica o mentale: senza
un’accoglienza e una cura totale della persona è difficile che una semplice terapia
farmacologia, per quanto specializzata, possa rivelarsi davvero efficace.
Nel contempo sono diminuite alcune figure professionali, indispensabili per il
servizio di base al malato. Non è raro avvertire da parte di diversi operatori sanitari
l’incapacità di guardare la realtà del malato al di là dell’aspetto strettamente sanitario, la
paura di essere interpellati sui problemi esistenziali, la difficoltà di accogliere e
accompagnare le reazioni emotive del malato e dei familiari, soprattutto nelle fasi
terminali della malattia. Si tratta di un problema non esclusivamente religioso ma
antropologico e professionale.

Prevenzione, bioetica, formazione
15. Uno degli obiettivi che non trova ancora adeguata realizzazione è costituito
dalla prevenzione, che comprende sia misure specifiche atte a contrastare i fattori di
malattia nei luoghi di vita e nei luoghi di lavoro (educazione alla salute, medicina
scolastica, vaccinazioni, controllo di fasce di popolazione a rischio, ecc.), sia misure
preventive collegate a opzioni da attuare in altri ambiti (umanizzazione del lavoro,
miglioramento della nutrizione e delle abitazioni, educazione degli stili di vita, ecc.).
Se tutta la medicina si pone come scopo la salute, solo la prevenzione ha come
caratteristica specifica la tutela del bene comune e impegna ciascuno a essere soggetto
attivo del proprio benessere.

16. I problemi della bioetica, che sono al centro dell’odierno dibattito culturale,
sono seguiti con grande attenzione dai mezzi di comunicazione sociale e dall’opinione
pubblica. L’affievolirsi delle evidenze etiche e il soggettivismo delle coscienze,
unitamente al pluralismo culturale, etico e religioso, portano facilmente a relativizzare i
valori, e quindi al rischio di non poter più fare riferimento a un ethos condiviso,
soprattutto in ordine alle grandi domande esistenziali, riferite al senso del nascere, del
vivere e del morire.
Spesso manca un’informazione corretta, e da ciò conseguono giudizi e opinioni
avventati e scarsamente fondate. Si nota soprattutto un’insufficiente conoscenza delle
posizioni sostenute della Chiesa, che sono spesso riportate in maniera impropria o sono
giudicate inadeguate al tempo presente.

17. I programmi formativi, che raggiungono buoni livelli nel campo medico e
infermieristico, mostrano invece spesso significative carenze in quello antropologico ed
etico. Ciò, peraltro, contrasta sia con le richieste degli operatori sanitari, sia con quelle,
spesso implicite, dei malati. La disattenzione a questa problematica può considerarsi
come uno dei fattori all’origine del logorio psicologico e spirituale di molti operatori
sanitari.

18. Crocevia dell’umanità, il mondo della salute è anche terra del Vangelo. In
questo luogo dove s’intersecano cammini diversi, dove convivono generosità ed
egoismo, richiami materialistici e desiderio di spiritualità, proclamazione di diritti e
ingiustizie di fatto, la Chiesa è chiamata a offrire la luce e l’orientamento del Vangelo.
II. RENDERE RAGIONE DELLA SPERANZA
NEL MONDO DELLA SALUTE

19. Alle numerose sfide presenti nel mondo della salute, la Chiesa risponde
anzitutto con un messaggio di gioiosa speranza, fondata sulla certezza della risurrezione
di Gesù Cristo e, quindi, dell’amore e della fedeltà sanante e salvatrice di Dio. Di tale
speranza vuole rendere ragione (cfr 1Pt 3,15) attraverso un dialogo rispettoso, un
confronto onesto e una fattiva collaborazione.

Cristo il nome della nostra speranza
20. La pastorale della salute trova il fondamento nella contemplazione del volto
dolente e glorioso di Gesù Cristo, in cui il credente riconosce umilmente il suo
Signore13. La Chiesa, contemplando il mistero della sua passione, morte e risurrezione,
apprezza la specifica valenza evangelizzatrice della pastorale della salute e la sua
necessaria integrazione nella pastorale d’insieme della comunità cristiana.
Gesù, infatti, ha annunciato il regno di Dio come dono di salute e di salvezza per
tutti gli uomini soprattutto attraverso l’incontro con i poveri, i malati e i sofferenti. Egli
si presenta come promotore di salute e agisce come Buon Samaritano. Manifestando
l’amore misericordioso del Padre, si fa vicino e si prende cura delle persone malate e
sofferenti, le guarisce, le restituisce alla speranza e al senso pieno della vita.

La Chiesa “profezia di speranza” nel mondo della salute
21. Riscrivendo la parabola del Buon Samaritano (cfr Lc 10,29-37), la Chiesa
rende presente la speranza, dono della Pasqua di Cristo, attraverso l’annuncio della
parola, la celebrazione dei sacramenti e la preghiera, i segni della comunione fraterna e
del servizio amorevole e competente verso quanti soffrono.
Del dono della speranza la Chiesa vuol rendere partecipe quanti – credenti e
uomini di buona volontà – sono impegnati nella cura dei malati e nella promozione
della salute.

Una comunità ospitale, che si “prende cura”
22. Alla società che si impegna per garantire la tutela dei diritti dei cittadini alla
salute, la Chiesa con la parola che viene da Dio e con la testimonianza propone l’ideale
di una comunità che si prende cura, difendendo e promovendo la persona nella sua
globalità e coinvolgendo la famiglia, gli operatori sanitari e pastorali.

23. In tale prospettiva, si può individuare nell’ospitalità la dimensione
antropologica che riassume e collega le diverse forme della prevenzione, della cura e
della riabilitazione. Celebrando la prossimità dell’atto curativo, l’ospitalità evoca i
significati antichi, per cui al luogo della cura è stato dato il nome di “ospedale”:



13 Cfr GIOVANNI PAOLO II, lettera apostolica Novo millennio ineunte, 24-29: AAS 93 (2001), 281-286.


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- è volto, voce, gesto e parola, capace di generare cura e insieme di prendersi cura,
soprattutto quando la malattia si annuncia come degenerativa, cronica, irreversibile,
terminale;
- assume, quale criterio prioritario delle proprie scelte, la promozione della vita in tutti
i suoi momenti e in tutte le sue dimensioni e la tutela della vita di ciascuno,
privilegiando, all’interno dei processi formativi degli operatori sanitari, la cura della
“relazione”, quale modalità di ascolto, accoglienza e riconoscimento dell’altro, inteso
come prossimo e mai come estraneo, anche quando proviene da contesti sociali e da
appartenenze etniche e culturali diverse;
- si fa carico di accompagnare anche le malattie inguaribili nelle scansioni di un tempo,
che, per quanto faticoso o doloroso, può restituire significato all’esistenza intera;
- abilita all’accoglienza compiuta di tutta l’esistenza, propiziando e promuovendo
condizioni di vivibilità e appartenenza a chiunque chieda assistenza, cura e
riabilitazione, in quanto riconosce nella malattia un evento della vita carico di
significati, messaggi e annunci, seppure non sempre immediatamente decifrabili;
- sa accogliere il malato nella sua unicità e irripetibilità.

24. Compresa nei suoi più profondi significati, la categoria dell’ospitalità offre a
quanti sono chiamati a elaborare le politiche sanitarie criteri validi per perseguire
l’efficienza dei servizi senza nuocere ai diritti della persona, evitando o riducendo le
disuguaglianze sociali nell’accesso alle risorse sanitarie, rifuggendo sia dall’eccessiva
pubblicizzazione delle strutture sia dal mercantilismo sfrenato e valorizzando la
sussidiarietà sia istituzionale che sociale.
La Chiesa guarda con fiducia alle risorse presenti nella società – tra cui le
istituzioni sanitarie di ispirazione cristiana e il volontariato – nella certezza che esse
possono offrire un valido contributo all’azione dello Stato nell’ambito della sanità,
facendo appello al valore della solidarietà, nel rispetto del pluralismo dei valori e dei
soggetti.

Un servizio dal volto umano
25. È nella prospettiva dell’ospitalità che acquistano significato le iniziative
finalizzate a rendere più umano il servizio al malato.
Un contesto in cui vi sono tensioni, conflittualità, difficoltà di dialogo e di
comunicazione tra le persone nuoce alla cura del malato e rende difficile fare del lavoro
un’occasione di crescita personale. È, quindi, necessario promuovere un clima in cui la
diversità dei ruoli, delle competenze, delle mentalità o culture venga vissuta come
possibilità di reciproco arricchimento, di collaborazione complementare, di sincera
ricerca di quel bene prezioso rappresentato dalla salute.

26. La Chiesa ritiene che l’umanizzazione del mondo sanitario sia un compito
urgente e perciò la include nell’ambito dell’azione pastorale, convinta della valenza
evangelizzatrice di ogni iniziativa volta a imprimere un volto più umano all’assistenza e
cura dei malati. Infatti, quando tali gesti sono informati dalla carità – tradotta in
dedizione generosa, approccio caloroso, sensibilità attenta, presenza umile e gratuita –
possiedono una forte carica interna che li trascende, ponendo domande di senso14,
allargando gli spazi di comprensione e d’intesa comune, costituendo una piattaforma da
cui partire per ulteriori traguardi, aprendo la mente e il cuore a orizzonti nuovi,
diventando proclamazione silenziosa, ma assai efficace, del Vangelo.
Da ciò deriva che, mentre offre il proprio contributo all’umanizzazione del
mondo della salute, il credente non solo pone le premesse per l’evangelizzazione di tale
realtà, ma già realizza un’attività evangelizzatrice. I gesti che egli compie, infatti,
proclamano che l’uomo, anche quando subisce il degrado del corpo o della mente,
mantiene il suo valore di figlio di Dio, merita di essere trattato come persona e aiutato a
riacquistare la salute nel senso integrale del termine.

27. Nel leggere il fenomeno inquietante del degrado d’umanità presente nei
servizi al malato – quali il prevalere di interessi politici ed economici, l’eccessiva
burocratizzazione, l’inefficienza amministrativa, il deterioramento della scala dei valori,
la scarsa considerazione del malato come persona – la Chiesa invita a vedere la radice
della disumanizzazione nel peccato. Da ciò deriva che alla base di ogni riforma è
richiesta la conversione del cuore, prima che delle strutture. Infatti, secondo la visione
cristiana, il primo obiettivo dell’umanizzazione del mondo sanitario è costituito dalla
promozione di valori come la giustizia, il rispetto della persona, la fraternità e la
solidarietà, necessari alla costituzione della civiltà dell’amore.
Promovendo segni di riconciliazione, di reciproco rispetto, di accoglienza e di
comunione, sviluppando il gusto e la qualità di una relazione fraterna e gratuita, è
possibile trasformare il mondo della salute in un laboratorio di una nuova civiltà
dell’amore, modello di convivenza più umana, sulle orme di Cristo che «è venuto per
servire e non per essere servito» (Mt 20,28).

Grandezza e limiti della ricerca e cura sanitaria
28. L’ospitalità non è solo accoglienza ma anche risposta ai bisogni delle
persone ospitate. Nel mondo della salute tale risposta è stata ed è offerta da una
molteplicità di soggetti impegnati nella ricerca scientifica e nella sua attuazione.
La Chiesa ha sempre espresso un’alta considerazione nei confronti della scienza
e dell’arte sanitaria, intendendola come cooperazione all’opera creatrice e redentrice del
Signore. Chi è impegnato nella cura dei malati, infatti, si sforza di rispondere ai gemiti
della creazione di cui parla san Paolo (cfr Rm 8,22), iscrivendo così la sua azione in una
dimensione escatologica, alla ricerca di quei cieli nuovi e terra nuova (cfr 2Pt 3,13) che
sono aspirazione di ogni individuo e dell’umanità intera. I documenti della Chiesa si
rifanno frequentemente a questa visione, accogliendo con gioia e ammirazione i grandi
progressi compiuti dalla scienza e dalla tecnologia medica15.

29. Mentre incoraggia gli uomini della scienza e dell’arte medica a riconoscere e
a difendere la grandezza dell’uomo, la Chiesa li invita anche a recuperare, accettare e

14 Cfr PAOLO VI, esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, 8 dicembre 1975, 21: AAS 68 (1976), 19-20.
15 Nell’introduzione al Rito dell’Unzione degli infermi si legge: «La Chiesa incoraggia e benedice ogni
ricerca e ogni iniziativa intrapresa per vincere le infermità, perché vede in questo una collaborazione degli
uomini all’azione divina di lotta e di vittoria sul male» (n. 134).


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rispettare la debolezza creaturale della persona umana, caratteristica che non ne
mortifica la dignità ontologica ma carica di misterioso significato l’impedimento
corporeo, spingendo il nostro sguardo oltre l’orizzonte dell’effimero. Infatti, come
affermava Pio XII, «il medico cattolico sa che il suo paziente e lui stesso sono
sottomessi alla legge della coscienza e alla volontà di Dio; ma egli sa anche che tutte le
risorse della natura sono state messe a sua disposizione per proteggere e difendere gli
uomini dalla malattia e dall’infermità. Egli non divinizza né la natura né la medicina,
non le considera come degli assoluti, ma egli vede in esse un riflesso della grandezza e
della bontà di Dio e subordinate interamente al suo servizio»16.

Accompagnare con amore e competenza
30. Proprio il riconoscimento delle conseguenze della condizione finita
dell’essere umano stimola a sviluppare le risorse, umane e tecniche, necessarie per
rispondere ai bisogni di quanti vivono la difficile stagione della sofferenza.
«Si potrebbe dire che la sofferenza presente sotto tante forme diverse nel nostro
mondo umano, vi sia presente anche per sprigionare nell’uomo l’amore, proprio quel
dono disinteressato del proprio “io” in favore degli altri uomini, degli uomini sofferenti.
Il mondo dell’umana sofferenza invoca, per così dire, senza sosta un altro mondo:
quello dell’amore umano; e quest’amore disinteressato che si desta nel suo cuore e nelle
sue opere, l’uomo lo deve, in un certo senso, alla sofferenza»17.

31. Facendo leva su queste risorse presenti nel cuore dell’uomo, si possono
accompagnare quanti soffrono nel loro difficile cammino.
L’esperienza della sofferenza e di ogni altra forma di disabilità suscita domande
sempre nuove, invoca un orizzonte di senso, chiede prossimità e rispettosa attenzione,
richiama ai valori fondamentali del vivere. Per aiutare a rispondere ai persistenti
interrogativi che sorgono dal cuore della persona inferma e che riguardano il senso del
vivere e del morire, il significato del dolore, della malattia e della morte, la vita presente
e futura e il loro mutuo rapporto, la comunità cristiana offre la luce della parola di Dio e
il conforto della solidarietà cristiana. Per questo non solo si allea con quanti, nella
società, sono impegnati nella lotta contro la sofferenza, rigettando ogni forma di
dolorismo, ma anche vuole illuminare di speranza cristiana l’oscurità della sofferenza e
della morte e sottolineare il valore della solidarietà, della prossimità e del servizio18.
Per la persona umana che cerca ed è destinata alla gioia e alla vita eterna, il
soffrire e il morire sono un mistero che solo la croce e la risurrezione di Cristo possono
illuminare e trasformare in esperienza di salvezza.

32. Nel proporre il proprio messaggio sulla sofferenza, la Chiesa è consapevole
di scontrarsi con una diffusa mentalità materialista, efficientistica ed edonista, che
coltiva una concezione riduttiva della salute, rifugge il dolore, rimuove la morte, tende a
idolatrare il corpo.

16 PIO XII, Radiomessaggio al VII Congresso internazionale dei medici cattolici (11 settembre 1956), in
Discorsi e radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XVIII (1956-57), p. 425.
17GIOVANNI PAOLO II, lettera apostolica Salvifici doloris, 11 febbraio 1984, 29: AAS 76 (1984), 245.
18 Cfr Ibid., 25-27: AAS 76 (1984), 235-242; 28-30: AAS 76 (1984), 242-248.


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Questi ostacoli, però, non le impediscono di proclamare la buona notizia del
Signore morto e risorto, fonte di speranza per i malati e per coloro che se ne prendono
cura, invitandoli a trovare nel mistero della Pasqua di cui sono partecipi la luce, la forza,
la speranza, la gioia del dono e dell’amore.
All’accompagnamento del malato deve abbinarsi quello dei familiari. L’intera
famiglia viene infatti investita dagli eventi legati alla malattia, con ripercussioni
notevoli sulle relazioni tra i suoi membri e, in generale, sull’equilibrio della struttura
familiare19.

Verso la pienezza di vita
33. Nel promuovere il prendersi cura dei malati, la Chiesa non ignora la
crescente attenzione e sensibilità della società contemporanea ai problemi del benessere
psico-fisico e spirituale della persona.
Considerando legittima questa domanda di una vita piena, non esita a ricordare
che anche Gesù, nello svolgimento della sua missione, ha avuto di mira la pienezza di
vita dell’uomo.

34. Nella prospettiva evangelica, la promozione della salute psico-fisica e del
benessere possono diventare segni del regno instaurato da Cristo, apertura
all’accoglienza della salvezza, indicatori di una condizione che troverà la sua piena
realizzazione al termine della storia.
Fa quindi parte del progetto divino mettere in atto tutto ciò che è legittimo per
assicurare condizioni sempre migliori di vita a tutti gli esseri umani. Questo impegno,
che costituisce una precisa responsabilità per ciascuno, deve mirare alla crescita della
persona a livello di tutte le sue dimensioni, aprendosi anche a quell’appello alla
trascendenza insito in ogni essere umano.

35. Anche l’approccio globale nella cura del malato e nei programmi di crescita
della persona umana – tema oggi di costante considerazione nel mondo della salute e
nella società in generale – trova una spinta a essere più completo nell’insegnamento di
Cristo. Non si tratta solo di prendere coscienza delle diverse dimensioni della persona,
ma di saperle porre in relazione tra loro, ordinandole secondo quella scala di valori che
trova nell’insegnamento evangelico la sua più alta espressione e che aiuta a compiere
scelte e anche a fare rinunce necessarie per rispettare la vita, difendere la dignità della
persona propria e altrui, mantenere viva la tensione verso il trascendente.

Testimoniare l’amore e il servizio alla vita come messaggio di speranza
36. In una cultura complessa e spesso condizionata dagli strumenti di
informazione non è facile comprendere e approfondire, in modo responsabile, i
problemi che riguardano il senso della vita, la sua cura e la portata di interventi che ne
rispettano o ne violano la dignità. Non mancano correnti di pensiero caratterizzate, più o

19 Cfr CONSULTA NAZIONALE DELLA CEI PER LA PASTORALE DELLA SANITÀ, La pastorale della salute
nella Chiesa italiana. Linee di pastorale sanitaria, 32-37: “Notiziario della Conferenza Episcopale
Italiana” 1989, 105-106.


14







meno consapevolmente, dalla sindrome dell’onnipotenza della scienza o dalla presunta
padronanza assoluta della vita.
In questo contesto, la Chiesa sente il dovere di «impegnarsi per il rispetto della
vita di ciascun essere umano dal concepimento fino al suo naturale tramonto»20.

37. Tale impegno deve essere costantemente accompagnato dallo sforzo di far
comprendere le motivazioni che lo sorreggono: si tratta di argomenti mai ideologici, ma
d’intensa umanità, di amore e vicinanza a ogni persona nella sua concreta situazione
esistenziale, di difesa dei valori fondamentali iscritti nella natura della persona umana e
della relazione sociale.
Per quanto necessario, il solo pronunciamento dei princìpi non sembra oggi
sufficiente per far comprendere la necessità di rispettare la vita in ogni situazione. Nel
mondo della salute, la Chiesa deve manifestarsi e agire come “madre e maestra” di vita,
laboratorio di esperienze dove fede e scienza si coniugano a servizio della cura integrale
e permanente della persona umana. Allora la carità vissuta e testimoniata nel servizio
dei malati e dei sofferenti, diventerà «necessariamente servizio alla cultura, alla politica,
all’economia, alla famiglia, perché dappertutto vengano rispettati i principi
fondamentali dai quali dipende il destino dell’essere umano e il futuro della civiltà»21.

Le istituzioni sanitarie cattoliche
38. Una modalità specifica per testimoniare la speranza cristiana nel mondo
della salute è data dalla presenza delle istituzioni sanitarie cattoliche22.
Esse mantengono la loro ragione di essere all’interno di un orizzonte sanitario
sempre più complesso e attraversato da numerosi problemi. Presenze ecclesiali, luoghi
in cui si è chiamati a lodare Dio servendo il malato, le istituzioni sanitarie cattoliche
costituiscono l’attuazione storica di quell’“albergo” a cui il Buon Samaritano della
parabola evangelica affida, perché venga debitamente curata, la persona ferita, raccolta
sulla strada di Gerico, simbolo della strada percorsa da ogni uomo, anzitutto dal più
povero, superando ogni divisione di popoli.

39. Le istituzioni sanitarie cattoliche possono offrire, in un clima di dialogo e di
collaborazione, un significativo contributo al mondo della sanità per una cura più umana
della persona. Esse, infatti, non sono da considerarsi “sanità di parte”, bensì
componente integrante nella programmazione del sistema sanitario nazionale, per cui è
giusto che godano degli stessi diritti e abbiano gli stessi doveri delle altre istituzioni
sanitarie.

40. Sono molti gli interrogativi che vengono rivolti a tali istituzioni nel momento
storico presente: come essere fedeli al mandato di Gesù e alla grande tradizione
dell’hospitalis, nata nella Chiesa quale espressione del suo amore per l’uomo? Come


20GIOVANNI PAOLO II, lettera apostolica Novo millennio ineunte, 51: AAS 93 (2001), 304.
21 Ibid., 51 AAS 93 (2001), 304.
22 Cfr UFFICIO NAZIONALE DELLA CEI PER LA PASTORALE DELLA SANITÀ, Le istituzioni sanitarie
cattoliche in Italia, 7 luglio 2000: Enchiridion della Conferenza Episcopale Italiana 6, 1541-1580.


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tradurre in termini moderni i carismi delle diverse famiglie religiose, senza rinunciare a
qualificarsi come centri tecnologici polispecialistici, come richiesto dal Servizio
sanitario nazionale? Come coniugare ricerca scientifica e opzione di fede, efficienza
economica e cura etica, puntando a una sanità di eccellenza, autenticamente umana?

41. La risposta a tali domande esige che le istituzioni sanitarie cattoliche si
qualifichino per le prestazioni mediche e gestionali; si impegnino a rispondere con
iniziative concrete alle sfide della bioetica; pongano in risalto il primato dell’ammalato,
la cura integrale della persona e la testimonianza della carità come criteri adeguati di
intervento; siano scuole di comunione e luoghi dove l’ammalato possa aprirsi alla
speranza; sappiano «ritagliare spazi per attività solidaristiche in favore di categorie di
malati trascurate dal settore pubblico»23.

42. Affinché la presenza delle istituzioni sanitarie cattoliche possa esercitare un
influsso positivo sulla comunità ecclesiale e sulla società, occorre che vengano compiuti
alcuni passi.
Il primo porta le istituzioni a superare l’isolamento, rendendole sempre più
visibili nella comunità ecclesiale. La popolazione del territorio deve poter riconoscere in
esse un punto di riferimento, uno strumento di sensibilizzazione ai problemi della
salute, della morte, della vecchiaia e della disabilità. Ciò costituisce il compito
carismatico dei religiosi che le gestiscono: la missione loro affidata di servire i malati e
di promuovere la salute appartiene a tutta la Chiesa. A loro incombe il dovere di aiutare
la comunità ecclesiale a diventarne maggiormente consapevole.

43. Vi è poi un passo che spetta alla comunità ecclesiale territoriale, chiamata a
sentire come proprio l’ospedale, la residenza di anziani o la casa di accoglienza presenti
nel proprio territorio. Spetta anzitutto ai Vescovi e ai parroci animare, incoraggiare e
coinvolgere i cristiani nei programmi assistenziali.

44. Un terzo passo deve essere realizzato nel confronto tra le varie istituzioni
sanitarie cattoliche. Un prezioso coordinamento è offerto al riguardo dall’ARIS
(Associazione Religiosa Istituti Socio-sanitari). Una più efficace collaborazione tra le
diverse istituzioni rende possibile la condivisione di esperienze, il sostegno reciproco
soprattutto nei momenti di difficoltà economico-amministrativa, la messa in comune di
risorse tecniche e personali, collaborazione in progetti a livello zonale o regionale, lo
scambio di modelli gestionali e di operatori, interventi comuni per regolare i rapporti
con le autorità politiche e amministrative.

45. Un ultimo passo, infine, consiste in un maggiore coinvolgimento dei laici
all’interno delle istituzioni sanitarie cattoliche. A questo fine i religiosi devono offrire ai
laici opportune possibilità di condividere la spiritualità dei fondatori degli istituti,


23 Ibid., n. 18: Enchiridion della Conferenza Episcopale Italiana 6, 1558. Nello stesso paragrafo si
afferma: «Diventa realmente profetico lo specifico impegno nel realizzare apposite opere di sostegno ai
più poveri, non solo a motivo della loro condizione economica ma anche per le specifiche tipologie
patologiche o esistenziali».


16







rendendoli anche più partecipi della responsabilità dell’istituzione. Da parte loro i laici
sono chiamati a superare le barriere costituite da una lunga tradizione di passività,
assumendo il ruolo che loro compete nell’ambito della comunità ecclesiale.

46. Per tutti coloro che operano nell’ambito del servizio ai malati e ai sofferenti
è valido quanto il Santo Padre Benedetto XVI afferma nell’enciclica Deus caritas est, in
particolare là dove, dopo aver sottolineato come la Chiesa offra al mondo di oggi ancora
una volta come modello l’immagine del Buon Samaritano, esorta tutte le istituzioni che
agiscono in nome della Chiesa a «fare il possibile, affinché siano disponibili i relativi
mezzi e soprattutto gli uomini e le donne che assumano tali compiti. Per quanto riguarda
il servizio che le persone svolgono per i sofferenti, occorre innanzitutto la competenza
professionale: i soccorritori devono essere formati in modo da saper fare la cosa giusta
nel modo giusto, assumendo poi l’impegno del proseguimento della cura. La
competenza professionale è una prima fondamentale necessità, ma da sola non basta. Si
tratta, infatti, di esseri umani, e gli esseri umani necessitano sempre di qualcosa in più di
una cura solo tecnicamente corretta. Hanno bisogno di umanità. Hanno bisogno
dell’attenzione del cuore. Quanti operano nelle istituzioni caritative della Chiesa devono
distinguersi per il fatto che non si limitano ad eseguire in modo abile la cosa
conveniente al momento, ma si dedicano all’altro con le attenzioni suggerite dal cuore,
in modo che questi sperimenti la loro ricchezza di umanità. Perciò, oltre alla
preparazione professionale, a tali operatori è necessaria anche, e soprattutto, la
“formazione del cuore”: occorre condurli a quell’incontro con Dio in Cristo che susciti
in loro l’amore e apra il loro animo all’altro, così che per loro l’amore del prossimo non
sia più un comandamento imposto per così dire dall’esterno, ma una conseguenza
derivante dalla loro fede che diventa operante nell’amore (cfr Gal 5,6)»24.

Educare alla “speranza che non delude”
47. La speranza cristiana non è un semplice atteggiamento ottimista. Non
consiste nella fuga dalle difficoltà del presente proiettandosi in un avvenire migliore,
bensì nella capacità di rendere presente quell’avvenire di cui la fede in Cristo risorto ci
dà la certezza e di viverlo nell’adesso della storia. Così compresa, la speranza è sorgente
d’iniziativa, perché spinge colui che spera ad attuare qui e ora, anche se parzialmente,
quei valori che troveranno la loro piena realizzazione nell’era escatologica.
In una realtà in cui la speranza è spesso messa in crisi, la Chiesa è chiamata ad
aprire ed educare a quella speranza umana fatta propria da Cristo e impiantata dallo
Spirito nel profondo dei cuori, cioè all’unica speranza che non delude (cfr Rm 5,5),
perché risposta piena e definitiva di ogni attesa di salute e di pienezza di vita. È la
speranza che nutre la creazione intera e la stessa condizione di sofferenza e di limite
umano, nella certezza che «le sofferenze del momento presente non sono paragonabili
alla gloria futura che sarà rivelata in noi» (Rm 8,18), senza dimenticare che essa è
sorretta dalla fede e dalla carità, e a sua volta le nutre25.



24 BENEDETTO XVI, lettera enciclica Deus caritas est, 25 dicembre 2005, 31: “L’Osservatore Romano” 26
gennaio 2006.
25 Cfr Ibid., 39.


17







III. LA PASTORALE DELLA SALUTE
NELLA COMUNITÀ

48. La presenza e l’azione della Chiesa nel mondo della salute trovano la loro
realizzazione concreta nelle comunità particolari in cui si articola la sua presenza. È al
loro interno che i fedeli sono chiamati a porre attenzione alle situazioni di sofferenza
presenti nel territorio e a conoscere le molteplici strutture che, in esso, promuovono la
salute e attuano la cura dei malati26.
La panoramica attuale delle strutture sanitarie sul territorio italiano è costituita
dall’Azienda sanitaria locale, articolata in Distretti socio-sanitari, Aziende ospedaliere,
Case di cura, Istituti di riabilitazione, Servizi socio-sanitari, Istituti di ricovero e cura di
carattere scientifico.

Visita al mondo della salute
49. La prima attenzione della cura pastorale nelle comunità cristiane è la visita al
mondo della salute.
Si tratta in primo luogo di conoscere la reale situazione della sanità del proprio
ambito territoriale, consolidando e intensificando le attività che già si attuano mediante
la visita ai malati nelle strutture sanitarie o a domicilio da parte dei sacerdoti e dei
religiosi, l’attività dei ministri straordinari della Comunione, l’azione dei volontari delle
associazioni, il conforto e il sostegno ai familiari dei malati.
Nel suo significato globale, la visita implica anche la presa di coscienza di tutti i
problemi connessi con la salute e la malattia, come la prevenzione, il valore della vita,
l’educazione sanitaria, la partecipazione alle iniziative promosse dalle istituzioni civili.

Orientamenti pastorali
50. Dalla visita al mondo della salute, sull’esempio di Gesù e nella tradizione
della Chiesa, derivano alcuni importanti orientamenti per un’efficace azione pastorale.

Comunità sananti
51. Il primo progetto da realizzare è la costruzione di una comunità guarita e
sanante. Gesù, infatti, non solo ha curato e guarito i malati, ma è stato anche
instancabile promotore della salute. Il suo contributo in quest’area del vivere umano si è
rivelato attraverso la sua persona, il suo insegnamento e le sue azioni. Il suo agire,
infatti, è teso non solo a colmare l’indigenza dell’uomo, vittima dei propri limiti, ma
anche a sostenere la sua tensione verso la pienezza di vita: «Sono venuto perché abbiano
la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10).



26 Cfr CONSULTA NAZIONALE DELLA CEI PER LA PASTORALE DELLA SANITÀ, La pastorale della salute
nella Chiesa italiana. Linee di pastorale sanitaria, 23-24: “Notiziario della Conferenza Episcopale
Italiana” 1989, 102-103.



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Ne deriva che nella trasmissione della fede – insegnamento, catechesi, incontri
di studio, ritiri e esercizi spirituali, ecc. – non va solo instillata l’attenzione a tutte le
categorie di malati, ma va anche compiuta un’azione preventiva, aiutando i giovani a un
sano sviluppo umano e spirituale, accompagnando gli adulti nel superare con equilibrio
le crisi della loro età, offrendo agli anziani risorse che li aiutino a vivere serenamente la
vecchiaia.
Si tratta d’introdurre all’arte della vita interiore, stimolando la capacità di gestire
la propria sessualità, affettività ed emotività, educando al discernimento del bene e
male, al controllo delle situazioni, all’apprendimento della misura dei propri limiti, allo
sviluppo di modalità comunicative e relazionali significative. Tale attività educativa di
prevenzione libera dal mito dell’onnipotenza, difende dalla depressione, induce a
trovare un senso alla vita e favorisce lo stabilirsi di rapporti interpersonali caratterizzati
da collaborazione e fraternità.
La promozione della salute intesa nella sua integralità apre alla comprensione
dei valori della vita, esperienza da amare e rispettare in tutte le situazioni e i momenti,
anche in quelli della vulnerabilità e della morte.

Il malato, lavoratore nella vigna del Signore
52. È, poi, compito importante della comunità ecclesiale la promozione della
persona sofferente. Si tratta di rendere operativa l’affermazione di Giovanni Paolo II,
secondo cui l’uomo sofferente è «soggetto attivo e responsabile dell’opera di
evangelizzazione e di salvezza»27. Tale affermazione implica il riconoscimento del
carisma dei sofferenti, dei valori che essi richiamano, del loro apporto creativo alla
Chiesa e al mondo: «anche gli infermi sono inviati [dal Signore] come lavoratori nella
sua vigna»28.
A nessuno sfugge quanto sia importante passare da una concezione che intende
il malato come oggetto di cura a una che lo rende soggetto responsabile della
promozione del regno. Tale cambiamento di prospettiva è realizzata anche dalla nuova
sensibilità sociale e civile che ha trovato un’espressione significativa nelle diverse
“carte dei diritti dei malati”. Uno degli aspetti maggiormente considerati in tali
documenti è costituito dal diritto del malato a essere coinvolto nella propria terapia,
assumendo così un ruolo di responsabilità nel processo di cura che concerne la sua
persona.
Questo cambiamento di accento nella considerazione dell’infermo «diventa
credibile allorquando non risuona semplicemente sulle labbra, ma passa attraverso la
testimonianza della vita, sia di tutti coloro che curano con amore i malati, gli
handicappati e i sofferenti, sia di questi stessi, resi sempre più coscienti e responsabili
del loro posto e del loro compito nella Chiesa e per la Chiesa»29.



27 GIOVANNI PAOLO II, esortazione apostolica Christifideles laici, 30 dicembre 1988, 54: AAS 81 (1989),
501.
28 Ibid., 53: AAS 81 (1989), 499.
29 Ibid., 54: AAS 81 (1989), 501. In termini simili si esprime la nota pastorale La pastorale della salute
nella Chiesa italiana. Linee di pastorale sanitaria: «Difficilmente il malato potrà svolgere il suo ruolo di
soggetto attivo nella comunità ecclesiale se non sarà prima “termine dell’amore e del servizio della


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La valorizzazione della presenza dei malati, della loro testimonianza nella
Chiesa e dell’apporto specifico che essi possono dare alla salvezza del mondo, richiede
un lavoro di educazione amorosa da realizzarsi non solo nelle istituzioni sanitarie
attraverso un accompagnamento appropriato, ma anche e in modo tutto speciale nelle
comunità parrocchiali.

Una comunità che accoglie e celebra
53. Per questo la comunità parrocchiale deve aprirsi all’accoglienza,
impegnandosi a far sì che il sofferente non sia solo nella prova: gli è vicino Cristo che
perdona, santifica e salva, unitamente alla Chiesa che, con i gesti della “presenza”,
partecipa alla sua situazione di debolezza e prega con lui. Sono segni della misericordia
divina il conforto di una fraterna presenza, la qualità di una comunicazione sincera, la
proposta della parola di Dio, la preghiera, la grazia dei sacramenti, l’aiuto materiale.
Particolare significato e valore acquista la celebrazione del sacramento
dell’Unzione degli infermi, istituito da Cristo «medico del corpo e dello spirito»30.
L’apostolo Giacomo scrive: «Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e
preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta
con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno
perdonati» (Gc 5,14-15).
«Il sacramento dell’Unzione è il segno che gli infermi non sono soli nella prova,
ma che ad essi è vicino Gesù, che conosce il soffrire, per dar loro forza ed aiutarli a
conservare la fiducia in Dio Padre e ad aver pazienza verso il loro fragile corpo,
destinato alla risurrezione»31. Frutto del sacramento, per l’azione dello Spirito, è per il
malato il sentirsi sollevato e rinvigorito, e insieme aiutato a dare significato e a vivere
con più serenità la propria condizione.
In questa prospettiva, la comunità cristiana è chiamata a promuovere la presa di
coscienza di questo dono e a collocare la celebrazione del sacramento all’interno di una
proposta pastorale articolata e integrata.

Una sofferenza redenta ed educatrice
54. Di grande importanza è il ricorso a un’autentica teologia della sofferenza
che, evitando di cadere nel dolorismo, sappia comunicare che anche «gli eventi negativi
della vita - non esclusa la malattia, l’handicap, la morte - sono “realtà redenta” dal
Cristo e da lui assunta come “strumento di redenzione”»32. «Il cristiano, infatti,


Chiesa” (Christifideles laici, 54), trovando in essa appoggio umano, spirituale e morale» (n. 27):
“Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” 1989, 104.
30 CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, costituzione Sacrosanctum Concilium, 4 dicembre 1963, 5: AAS
56 (1964), 99. La medesima costituzione conciliare, collocando l’Unzione degli infermi nella prospettiva
di un rito continuato dopo la Penitenza e prima del Viatico (cfr Sacrosanctum Concilium, 73-75: AAS 56
(1964), 118-119), contribuisce a evidenziarne il carattere specifico di sacramento dei malati.
31 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Documento pastorale dell’Episcopato italiano Evangelizzazione e
sacramenti della Penitenza e dell’Unzione degli infermi, 142: “Notiziario della Conferenza Episcopale
Italiana” 1974, 159.
32 CONSULTA NAZIONALE DELLA CEI PER LA PASTORALE DELLA SANITÀ, La pastorale della salute nella
Chiesa italiana. Linee di pastorale sanitaria, 26: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” 1989,
103.


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mediante la viva partecipazione al mistero pasquale di Cristo può trasformare la sua
condizione di sofferente in un momento di grazia per sé e per gli altri fino a trovare
nell’infermità una vocazione ad amare di più, una chiamata a partecipare all’infinito
amore di Dio verso l’umanità»33.
Alle numerose e lodevoli iniziative che già esistono a questo riguardo – come le
diverse associazioni di malati – è opportuno che ne vengano aggiunte altre, come, ad
esempio, l’inserzione di malati negli organismi ecclesiali di partecipazione.
Non si tratta tanto di “programmare” una nuova pastorale, ma di chiedere il dono
di un cuore ricco di Dio e di umanità e di vivere la dinamica del “dare e ricevere”: dare
(tempo, cura, assistenza, ecc.) da parte dei sani ai malati, e ricevere dai malati quanto
sono in grado di donarci. Una sofferenza condivisa può diventare una forza
trasformatrice della società.
La malattia è “pedagogia” per tutti: fa imparare la riconoscenza a Dio per i tanti
doni ricevuti; spinge a pregare per chi è nella prova, ad apprezzare il bene nascosto, a
ridimensionare i propri problemi; fa ritrovare semplicità e umiltà e spinge a una
maggiore disponibilità verso gli altri; invita ad approfondire la domanda sul senso della
vita. Frequentando le persone sofferenti si impara ad ascoltare di più, a incoraggiare, a
compiere anche i servizi più umili per aiutare l’altro, a non fuggire dalla realtà
quotidiana.

Comunione e collaborazione
55. La pastorale della salute esige che si realizzi comunione e collaborazione tra
le varie categorie degli operatori presenti nella comunità.
Ciò è affermato dall’ecclesiologia del concilio Vaticano II e ulteriormente
sviluppato nella riflessione teologica post-conciliare. Secondo tale prospettiva, la
comunione è intesa come una realtà organica, cioè nella diversità e complementarità dei
ruoli: «La comunione ecclesiale si configura, più precisamente, come comunione
organica, analoga a quella di un corpo vivo e operante: essa, infatti, è caratterizzata
dalla compresenza, dalla diversità e dalla complementarità delle vocazioni e condizioni
di vita, dei ministeri, dei carismi e delle responsabilità»34. Grazie a questa diversità e
complementarità ogni membro si trova in relazione con tutto il corpo e a esso offre il
proprio contributo.

56. La comunione converge nella realizzazione dell’obiettivo comune a tutto il
popolo di Dio: l’evangelizzazione35: «Le sfide della missione, infatti, sono tali da non
poter essere efficacemente affrontate senza la collaborazione, sia nel discernimento che
nell’azione, di tutti i membri della Chiesa. Difficilmente i singoli possiedono la risposta
risolutiva: questa invece può scaturire dal confronto e dal dialogo. In particolare, la




33 Ibid., 26: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” 1989, 103..
34 GIOVANNI PAOLO II, esortazione apostolica Christifideles laici, 20: AAS 81 (1989), 425.
35 «Operai della vigna sono tutti i membri del popolo di Dio: i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i fedeli
laici, tutti a un tempo oggetto e soggetto della missione di salvezza. Tutti e ciascuno lavoriamo nell’unica
vigna del Signore con carismi e con ministeri diversi e complementari» (Ibid., 55: AAS 81 [1989], 502).


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comunione operativa tra i vari carismi non mancherà di assicurare, oltre che un
arricchimento reciproco, una più incisiva efficacia nella missione»36.
È forte il richiamo a educarsi alla comunione e alla collaborazione, mettendo in
questione il proprio modo di vivere e di lavorare per la promozione del regno di Dio nel
mondo della salute.

Coinvolgimento di tutte le categorie del popolo di Dio
57. È compito dei sacerdoti, sia di quelli che operano nelle istituzioni sanitarie in
qualità di cappellani sia dei parroci e dei loro vicari, coinvolgere nella pastorale della
salute i diaconi, i consacrati e le consacrate, i fedeli laici.
Come già nella Chiesa delle origini gli apostoli scelsero i diaconi per svolgere un
«servizio sociale… assolutamente concreto, ma al contempo… anche un servizio
spirituale… che realizza un compito essenziale della Chiesa, quello dell’amore ben
ordinato del prossimo»37, così anche oggi i diaconi sono chiamati a realizzare un
ministero di carità rivolto in modo particolare ai bisognosi, ai malati e ai sofferenti.
Preziosa, poi, è la partecipazione dei consacrati e delle consacrate alla pastorale
della salute. Lungo la storia, essi hanno costituito la principale forma di presenza
concreta della Chiesa nell’assistenza agli infermi: «Molte istituzioni religiose sono sorte
con la specifica finalità di promuovere, organizzare, migliorare ed estendere l’assistenza
agli infermi»38.
Irrinunciabile, infine, è il contributo che i fedeli laici possono offrire alla
pastorale della salute sia attraverso l’esercizio della loro professione negli ospedali e nel
territorio, sia collaborando ai compiti propri dei ministri ordinati.39 Nell’esercizio delle
attività verso gli infermi che competono alla comunità ecclesiale, lo spazio dei laici è
rilevante: possono visitare i malati a nome della comunità, portare loro la Santa
Comunione, guidare momenti di preghiera, partecipare attivamente alle celebrazioni
liturgiche.

Il ruolo della donna
58. Una partecipazione più attiva e corresponsabile della donna – consacrata e
laica – alla missione della Chiesa nel mondo sanitario non solo è auspicabile ma
raccomandabile. La sua presenza negli organismi operanti nelle istituzioni sanitarie e
nelle parrocchie offre una risorsa importante, portando a cambiamenti significativi nel

36 GIOVANNI PAOLO II, esortazione apostolica Vita consecrata, 25 marzo 1996, 74a: AAS 88 (1996), 449-
450.
37 BENEDETTO XVI, lettera enciclica Deus caritas est, 21: “L’Osservatore Romano”, 26 gennaio 2006.
38 GIOVANNI PAOLO II, motu proprio Dolentium hominum, 1: AAS 77 (1985), 457.
39 Cfr CONGREGAZIONE PER IL CLERO E ALTRE, Istruzione su alcune questioni circa la collaborazione dei
fedeli laici al ministero dei sacerdoti (15 agosto 1997): «Entro questa vasta area di concorde operosità, sia
specificamente spirituale o religiosa, sia nella consecratio mundi, esiste un campo speciale, quello che
riguarda il sacro ministero del clero, nell’esercizio del quale possono essere chiamati a coadiuvare i fedeli
laici, uomini e donne, e, naturalmente, anche i membri degli Istituti di vita consacrata e delle Società di
vita apostolica. A tale ambito si riferisce il Concilio Ecumenico Vaticano II, laddove insegna: “Infine la
gerarchia affida ai laici alcuni compiti, che sono più intimamente collegati con i doveri dei pastori, come
nell’esposizione della dottrina cristiana, in alcuni atti liturgici, nella cura delle anime” (Apostolicam
actuositatem, 24)» (Premessa): AAS 89 (1997), 854.


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modo di porsi in relazione con le persone e i problemi del mondo della salute. L’azione
pastorale della Chiesa può essere arricchita dall’integrazione di quelle caratteristiche
che sono tipiche della personalità femminile: la ricettività, la disponibilità,
l’accoglienza, la capacità di ascolto, l’abilità nel cogliere le situazioni, l’attitudine a
farsi carico dei problemi degli altri, l’inclinazione a offrire il proprio aiuto.
Come ha scritto Giovanni Paolo II: «Nella nostra epoca i successi della scienza e
della tecnica permettono di raggiungere in maniera ancora sconosciuta un benessere
materiale che, favorendo alcuni, conduce altri all’emarginazione. Questo progresso
materiale può comportare anche una graduale scomparsa della sensibilità dell’uomo,
verso ciò che è essenzialmente umano. In questo senso, soprattutto il nostro tempo
aspetta la manifestazione del genio della donna che assicuri la sensibilità verso l’uomo
in ogni circostanza: per il semplice fatto che è uomo!»40.

Progettualità
59. La comunione e la collaborazione non potranno essere efficacemente
promosse senza il passaggio dall’agire improvvisato alla progettualità e senza un
coordinamento intelligente delle risorse presenti nella comunità: i ministri straordinari
della Comunione, gli operatori pastorali e sanitari, i volontari delle diverse associazioni,
i familiari dei malati, i malati stessi.
La programmazione non può restare a livello di alcune decisioni prese in base
alla buona volontà, ma va vista come l’occasione per realizzare un processo dinamico
che unisce riflessione, discernimento e operatività. Per questo sono necessari luoghi e
momenti di confronto e verifica.
Ciò si rende tanto più necessario se si considera che il sistema sanitario esce
progressivamente dagli ambiti delle sole strutture ospedaliere per radicarsi su tutto il
territorio, con la conseguenza che un numero sempre più consistente di malati si trova
nelle famiglie, soprattutto nella fase dell’assistenza e della riabilitazione.

L’organizzazione a diversi livelli
60. Per un coinvolgimento creativo di tutta la comunità ecclesiale nella pastorale
della salute si richiede la presenza di strutture di comunione operanti a livello nazionale,
regionale, diocesano, parrocchiale e ospedaliero. Alcune di esse sono in funzione da
tempo, altre sono sorte in questi ultimi anni.

A livello nazionale
61. Due sono le strutture di riferimento istituite dalla Conferenza Episcopale
Italiana: l’Ufficio Nazionale e la Consulta Nazionale per la pastorale della sanità.
L’Ufficio Nazionale è la struttura che anima la pastorale della salute su tutto il
territorio nazionale. Suoi compiti specifici sono:
- promuovere in tutte le diocesi la costituzione di un ufficio analogo, così da
programmare un’adeguata pastorale nei suoi compiti fondamentali (evangelizzazione,
celebrazione dei sacramenti, servizio della carità);

40 GIOVANNI PAOLO II, lettera apostolica Mulieris dignitatem, 15 agosto 1988, 30: AAS 80 (1988), 1726.


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- favorire la collaborazione delle diverse realtà sanitarie di ispirazione cristiana
(associazioni professionali, organismi di volontariato, istituzioni sanitarie cattoliche,
ecc.) presenti sul territorio nazionale;
- seguire l’evoluzione della legislazione sanitaria per elaborare orientamenti pastorali
adeguati;
- promuovere lo studio e l’approfondimento dei problemi inerenti la pastorale della
salute, con particolare attenzione a quelli etici.
La Consulta Nazionale, composta dai rappresentanti delle principali realtà
cristiane operanti, a livello nazionale, nell’ambito della sanità, ha come compito
specifico la promozione di una pastorale d’insieme e l’offerta di un contributo di
riflessione sugli orientamenti generali della pastorale della salute in Italia41.

62. Accanto a queste due strutture, si è costituito il Tavolo nazionale delle
istituzioni sanitarie di ispirazione cristiana, le cui finalità sono:
- stabilire un collegamento permanente tra i soggetti aderenti per il confronto, la ricerca
e l’attuazione di comuni indirizzi etico-antropologici, anche per favorire l’effettivo
perseguimento delle finalità evangeliche per cui le istituzioni sono sorte;
- elaborare proposte di orientamenti pastorali, di iniziative e di interventi rivolti ai
diversi soggetti ecclesiali che operano nell’ambito sanitario;
- promuovere iniziative di formazione mirate all’efficienza, all’efficacia e
all’appropriatezza dei servizi e delle presidi sanitari, assumendo in via prioritaria
l’umanizzazione degli interventi.
È auspicabile che gradualmente vengano costituiti con le stesse finalità Tavoli
delle istituzioni sanitarie di ispirazione cristiana a livello regionale o interregionale.

A livello regionale
63. La sanità sta assumendo particolare importanza e rilevanza autonoma nelle
singole regioni, per cui s’impone la necessità di istituzione o potenziare la Consulta
regionale per la pastorale della salute, diretta da un responsabile designato dalla
Conferenza Episcopale Regionale. Spetta anche alla Conferenza Episcopale Regionale
designare al proprio interno un vescovo con l’incarico di seguire la pastorale sanitaria.
I compiti specifici della Consulta regionale riguardano in particolare la
promozione di iniziative a carattere formativo, il coordinamento degli uffici diocesani,
l’attenzione agli interventi legislativi, la sensibilizzazione della popolazione ai problemi
sanitari42.





41 Cfr CONSULTA NAZIONALE DELLA CEI PER LA PASTORALE DELLA SANITÀ, La pastorale della salute
nella Chiesa italiana. Linee di pastorale sanitaria, 66 -70: “Notiziario della Conferenza Episcopale
Italiana” 1989, 112.
42 Cfr Ibid., 74: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” 1989, 112-113.
A livello diocesano
64. Una pastorale organica nell’ambito diocesano trova il suo punto di
riferimento nella persona del vescovo che esercita il ministero di governo nella Chiesa
particolare mediante organismi e uffici pastorali.
Particolare rilievo per la promozione di una pastorale sanitaria organica assume
l’Ufficio diocesano, cui è bene sia aggiunta una Consulta diocesana, composta, oltre che
dal responsabile dell’Ufficio, da soggetti attivi nell’azione pastorale: parroci, cappellani,
rappresentanti di associazioni ecclesiali, di associazioni professionali cristiane e del
volontariato.
L’Ufficio diocesano per la pastorale della salute ha il compito di studiare le linee
pastorali diocesane nel campo della sanità, di sensibilizzare le comunità cristiane a tali
problemi, di coordinare le iniziative riguardanti la formazione e l’aggiornamento delle
persone che operano nel settore, di seguire i vari progetti locali in materia sanitaria.
Le principali attività della Consulta diocesana sono:
- la sensibilizzazione delle comunità ecclesiali, mettendo in rilievo il fatto che esse
costituiscono il soggetto primario della pastorale sanitaria;
- la formazione degli operatori sanitari, con particolare attenzione ai cappellani, ai
medici, agli infermieri e ai volontari. L’attività formativa può avvenire attraverso
l’apporto e la collaborazione delle associazioni professionali e di volontariato. Pur
lasciando a ogni associazione la realizzazione dei propri specifici programmi, è
opportuno fissare alcune iniziative annuali da svolgere insieme;
- la promozione di iniziative finalizzate a migliorare l’assistenza ai malati, con
particolare attenzione alle persone sole, emarginate, con patologie che richiedono
cure particolari, come i malati oncologici, gli anziani non autosufficienti, le persone
affette da AIDS e i malati psichiatrici.

A livello parrocchiale
65. La continua evoluzione della sanità, sempre più articolata sul territorio,
interpella le comunità parrocchiali, chiamate a farsi carico della cura e assistenza dei
malati, dell’educazione dei fedeli ai valori cristiani della vita e della loro
sensibilizzazione ai problemi della salute, della sofferenza e della morte43.
È compito soprattutto del parroco promuovere nel tessuto vitale della comunità
lo spirito della diaconia evangelica verso i sofferenti e l’impegno per la promozione
della salute. Nelle catechesi – soprattutto nei tempi forti dell’anno liturgico o in
occasioni particolari, come la Giornata mondiale del malato – devono essere trattate le
tematiche relative alla sofferenza e alla salute, al vivere e al morire. È importante,
infatti, che i fedeli siano sensibilizzati su questi grandi temi prima ancora di farne

43 «Nell’attenzione ai problemi del mondo della salute e nella cura ammirevole verso i malati, la comunità
ecclesiale è coinvolta in tutte le sue componenti» (CONSULTA NAZIONALE DELLA CEI PER LA PASTORALE
DELLA SANITÀ, La pastorale della salute nella Chiesa italiana. Linee di pastorale sanitaria, 23:
“Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” 1989, 103). «L’assistenza amorevole agli ammalati
raggiungerà più efficacemente il suo scopo, se si eviteranno facili deleghe a pochi individui o gruppi e se
si organizzeranno sapientemente interventi della comunità» (Ibid., 24: “Notiziario della Conferenza
Episcopale Italiana” 1989, 103).


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esperienza diretta nel periodo della malattia o nella vicinanza della morte. Attraverso i
sacramenti di guarigione – celebrati individualmente e comunitariamente – egli rende
presente l’azione del Signore verso coloro che soffrono.
Strettamente legato alla celebrazione dell’Eucaristia è il servizio dei ministri
straordinari della Comunione. Si tratta di una ministerialità da promuovere e da
valorizzare come segno di una comunità che si fa vicina al malato e lo ha presente nel
cuore della celebrazione eucaristica, come membro del corpo di Cristo, a cui va offerta
la cura più grande. In questa luce, è significativo che i ministri nel giorno del Signore
vengano inviati a portare la Comunione ai malati dall’assemblea stessa radunata per la
celebrazione.
Prezioso è il dono che si può offrire ai malati e ai loro familiari attraverso la
visita sia a domicilio che nelle strutture ospedaliere presenti nell’ambito della
parrocchia. La visita ai malati e ai familiari, fatta a nome della comunità, è sorgente di
fraternità e di gioia, li fa sentire membri attivi della comunità ed è segno della vicinanza
e dell’accoglienza di Dio. I visitatori possono farsi carico in maniera efficace delle
sofferenze dei malati e dei loro congiunti, identificarne i bisogni più immediati,
mediarne le esigenze.
L’azione in favore dei malati trae grande giovamento dalla presenza di adeguati
collegamenti tra la cappellania ospedaliera, il consiglio pastorale ospedaliero e la
parrocchia.
Un contributo efficace all’assistenza dei malati è offerta dal volontariato, che va
promosso, sostenuto e formato44.

A livello ospedaliero e di presidi socio-sanitari
66. L’ospedale rimane ancora luogo privilegiato di evangelizzazione che
favorisce l’incontro dell’uomo malato con Dio. Figura centrale dell’animazione
pastorale nelle istituzioni sanitarie è il cappellano, chiamato a «farsi centro e propulsore
di un’azione tesa a risvegliare e sintonizzare tutte le forze cristiane presenti
nell’ospedale, anche quelle potenziali e latenti»45.
L’azione del cappellano o assistente spirituale trova sostegno nella cappellania e
nel consiglio pastorale ospedaliero46, organismi necessari per una partecipazione attiva
di tutta la comunità ospedaliera ai progetti pastorali.
La cappellania permette di valorizzare la partecipazione e la collaborazione di
diaconi, consacrati e consacrati e laici, accanto alla figura irrinunciabile del sacerdote.
Questa varietà di presenze e di carismi contribuisce a favorire uno svolgimento più
articolato dei diversi compiti pastorali, dando spazio non solo alla celebrazione dei
sacramenti ma anche ad altre attività di evangelizzazione e servizio.




44 Cfr CONSULTA NAZIONALE DELLA CEI PER LA PASTORALE DELLA SANITÀ, La pastorale della salute
nella Chiesa italiana. Linee di pastorale sanitaria, 59-64: “Notiziario della Conferenza Episcopale
Italiana” 1989, 110-111.
45 Ibid., 41: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” 1989, 106.
46 Ibid., 79-81: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” 1989, 113-114.


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Alcune attenzioni particolari
67. Nella programmazione della pastorale sanitaria, è bene che le comunità
cristiane abbiano presenti alcune priorità:
a. Far riscoprire ai fedeli la loro vocazione missionaria, attraverso la presa di
coscienza del Battesimo come partecipazione all’ufficio sacerdotale, profetico e regale
di Cristo. Il ministero di cura, di accompagnamento e di compassione verso i malati è
una conseguenza di tale vocazione costitutiva.
b. Promuovere una formazione adeguata degli operatori pastorali. Per essere
lievito e fermento nel mondo della salute, i cristiani vanno resi idonei a svolgere con
amore e competenza il loro apostolato, utilizzando le risorse formative offerte dagli
istituti di pastorale sanitaria47. La formazione non può limitarsi a rimediare all’ignoranza
cognitiva, ma deve puntare a far maturare atteggiamenti che tocchino tutte le dimensioni
della persona. L’operatore pastorale, infatti, è chiamato a crescere non solo a livello del
sapere, ma anche a quelli del saper essere e del saper fare. Ne deriva che, nel processo
formativo, spiritualità e professionalità vanno perseguiti con uguale attenzione e
intensità. All’azione dell’operatore pastorale può essere applicato quanto affermato da
Paolo VI a proposito dell’evangelizzazione: «L’evangelizzazione non sarà mai possibile
senza l’azione dello Spirito Santo... Le tecniche dell’evangelizzazione sono buone, ma
neppure le più perfette tra di esse potrebbero sostituire l’azione discreta dello Spirito.
Anche la preparazione più raffinata dell’evangelizzatore non opera senza di lui. Senza
di lui la dialettica più convincente è impotente sullo spirito degli uomini. Senza di lui i
più elevati schemi a base sociologica e psicologica si rivelano vuoti e privi di valore. Si
può dire che lo Spirito Santo è l’agente principale dell’evangelizzazione»48.
c. Promuovere un coordinamento efficace delle associazioni che operano nel
settore sanitario e socio-sanitario, presenti sul territorio. Si tratterà di cercare nuovi
modi di esprimere la comunione ecclesiale, lasciandosi guidare dal comandamento
evangelico dell’amore e crescendo nell’esperienza e nella testimonianza della
solidarietà e della condivisione. È importante che nelle associazioni maturi la
consapevolezza che ogni iniziativa a favore dei malati e dei sofferenti, come pure ogni
presenza nella società, è fatta non a titolo personale o di gruppo, ma a nome dell’intera
comunità cristiana.
d. Valorizzare la Giornata mondiale del malato, come occasione formativa della
comunità. Le finalità della giornata sono molteplici49: esse vanno conosciute,
approfondite e attualizzate con progressività e con perseveranza, avvalendosi delle
tematiche annuali proposte dall’Ufficio Nazionale per la pastorale della sanità. Tale

47 Tra i Centri di formazione pastorale ricordiamo l’Istituto Internazionale di Teologia Pastorale Sanitaria
“Camillianum” di Roma, che offre programmi accademici.
48 PAOLO VI, esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, 75: AAS 68 (1976), 64-66.
49 Cfr Lettera di Giovanni Paolo II al Card. F. Angelini del 13 maggio 1992. In tale testo si afferma che la
Giornata mondiale del malato ha «lo scopo manifesto di sensibilizzare il popolo di Dio e, di
conseguenza, le molteplici istituzioni sanitarie cattoliche e la stessa società civile, alla necessità di
assicurare la migliore assistenza agli infermi; di aiutare chi è ammalato a valorizzare sul piano umano e
soprattutto su quello soprannaturale, la sofferenza; a coinvolgersi in maniera particolare le diocesi, le
comunità cristiane, le Famiglie religiose nella pastorale sanitaria; a favorire l’impegno sempre più
prezioso del volontariato; a richiamare l’importanza della formazione spirituale e morale degli operatori
sanitari e, infine, a far meglio comprendere l’importanza dell’assistenza religiosa agli infermi da parte dei
sacerdoti diocesani e regolari, nonché di quanti vivono ed operano accanto a chi soffre».


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Giornata deve fare un salto di qualità, sviluppando, oltre che la dimensione cultuale, già
diffusa e sentita nelle parrocchie, anche quella culturale. Ciò comporta che accanto alle
celebrazioni liturgiche siano promosse iniziative (quali convegni o conferenze) in
ambito parrocchiale, vicariale, zonale e diocesano, con lo scopo di far riflettere sul
valore della salute, sul senso della sofferenza, sull’impegno della cura dei malati, su
problematiche etiche, sanitarie e organizzative, coinvolgendo anche le autorità civili.
e. Favorire il sorgere o potenziare, se già esistono, microstrutture o concrete
iniziative che mirino a realizzare luoghi di assistenza e accoglienza per gli anziani, i
malati in fase terminale, i disabili, i bisognosi di cura, e a offrire ospitalità ai familiari
dei malati ricoverati.
CONCLUSIONE

68. Il cammino percorso in Italia dalla pastorale della salute dopo il concilio
Vaticano II è stato notevole. È cresciuta la sensibilità ecclesiale verso i problemi della
sanità, portando a un coinvolgimento più efficace di tutti i membri della comunità nel
servizio a chi soffre e nelle iniziative volte alla promozione della salute. La letteratura in
questo settore ha conosciuto un significativo sviluppo e si sono moltiplicati i centri per
la formazione degli operatori pastorali. Più aperto e costruttivo è divenuto il dialogo con
gli organismi e le istituzioni che a livello sociale e politico si occupano della cura dei
malati e della promozione della salute.
Le mete raggiunte costituiscono uno stimolo a mantenere costante la volontà di
compiere ulteriori passi, rinvigorendo lo slancio spirituale e apostolico e affinando
metodi e strategie pastorali, tenendo sempre fisso lo sguardo su Gesù Cristo, Buon
Samaritano, nella consapevolezza che l’impegno nella promozione della salute e nella
cura amorevole dei malati contribuisce efficacemente alla realizzazione del regno di
Dio.

69. Nell’affrontare le sfide poste dal mondo sanitario, la comunità cristiana,
impegnata nel servizio a chi soffre, guarda alla Vergine Maria, salute degli infermi,
come a un modello da imitare.
Dichiarandosi serva del Signore, Maria ha compreso e dimostrato che la resa
incondizionata alla sovranità di Dio può fornire all’uomo l’alfabeto primordiale per
intendere e realizzare ogni altro servizio umano. La vita divina, presente in pienezza in
lei, ha permeato tutto il suo essere e il suo operare. Partecipe della condizione dei
poveri, esperta nella sofferenza, Maria è icona dell’attenzione vigile e della
compassione verso chi soffre.
Subito dopo essersi dichiarata serva del Signore, è corsa con fretta premurosa a
farsi ancella di Elisabetta. Con sguardo attento ha colto il disagio degli sposi in Cana di
Galilea. Nel suo atteggiamento si esprime l’amore di Dio, la cui misericordia non
conosce limiti (cfr Lc 1,50). Il servizio della Vergine Maria trova la manifestazione
massima nella partecipazione alla sofferenza e alla morte del Figlio.
«Assunta alla gloria del cielo, accompagna con materno amore la Chiesa e la
protegge nel cammino verso la patria, fino al giorno glorioso del Signore»50. «Ora
risplende sul nostro cammino, segno di consolazione e di sicura speranza»51.
Alla sua intercessione affidiamo l’impegno delle nostre Chiese nel testimoniare
quella speranza che, sola, può confortare ogni uomo e ogni donna provati dalla
sofferenza e dalla malattia.






50 Messale Romano, Prefazio III della Beata Vergine Maria.
51 Messale Romano, Prefazio IV della Beata Vergine Maria.
INDICE
Presentazione

Introduzione

I. Il mondo della salute oggi

II. Rendere ragione della speranza nel mondo della salute

III. La pastorale della salute nella comunità

Conclusione

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