DON ANTONIO

giovedì 1 marzo 2012

La Teologia di fronte alla Sofferenza.Dr.essa Sr Riccarda Lazzari




1. Schemi interpretativi del dolore nella tradizione biblico - cristiana


1.1. La domanda di senso
Le scienze sanitarie, umanistiche e tecnologiche parlano di sofferenza e dolore con
categorie mentali che mirano ad illuminare i vari aspetti di questa realtà, esse tuttavia ne
parlano oggettivamente e in modo speculativo. Quando il dolore diventa esperienza
della persona, le scienze non sono più in grado di esprimere tutta la realtà e allora il
dolore diventa “mistero”.
Mistero non è una realtà che non si comprende ma è realtà che ci comprende;
essa è umana e al tempo stesso trascendente, è esperienza dura e terribile, ma anche
ricca di provocazioni e sfide. Quando la persona fa l’esperienza del dolore nella propria
vita, sperimenta una rottura, un disastro, un fallimento; il mondo crolla, i progetti sono
infranti, tutte le realtà si vedono con occhi diversi; nulla è più come prima, tutto sembra
così vano ed inutile, senza senso; la sensazione del vuoto e del nulla abbraccia tutte le
cose. Sorge allora la domanda di senso: perché? Perché è accaduto questo, perché a me?
Di chi è la colpa? E’ il destino, la sfortuna? Forse Dio ha voluto punirmi, oppure Dio
non esiste? Il dolore maggiore è talvolta quello spirituale che nasce proprio dalla
difficoltà di trovare un significato alla propria vita, al dolore, alla morte stessa.
L’esperienza del dolore spirituale è data anche dal sentire lontano, indifferente o nemico
Dio stesso. «Ognuno ha bisogno di una ragione per vivere e una ragione per morire
chi sta morendo cerca spesso un orizzonte di significati più ampi ed ha bisogno di
sentirsi parte di una comunità che li condivide».1


1 L. Sandrin, Convivere con la morte, in L. Sandrin (a cura), Malati in fase terminale, Piemme, Casa
Monferrato (AL) 1997, p.59.



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Gli interrogativi che l’uomo si pone nella dura esperienza del dolore sono infiniti.
Afflitto e dominato dal suo dolore, l’uomo ne cerca il senso e il dolore è tanto più
grande quanto più non riesce a trovarlo.
Ma è davvero facile trovare un senso al dolore?


1.2 Alcuni schemi interpretativi del dolore

La tradizione biblico-cristiana ha elaborato alcuni schemi interpretativi del dolore:2

1° schema: la giustizia retributiva
Il concetto di fondo di questa interpretazione è quello della colpa o peccato a cui
corrisponde un castigo. Il Dio, giudice e giusto, punisce autorevolmente. Se l’uomo
soffre è perché ha peccato (Cfr. Gb 4,1-21); è quanto affermano i tre amici di Giobbe
nell’interpretare la sventura dell’amico. “Nell’opinione espressa dagli amici di Giobbe,
si manifesta una convinzione che si trova anche nella coscienza morale dell’umanità:
l’ordine morale oggettivo richiede una pena per la trasgressione, per il peccato e per il
reato. La sofferenza appare, da questo punto di vista, come ‘un male giustificato’ ”3 .
Tuttavia Giobbe rifiuta tale affermazione perché sa di essere innocente. Giovanni Paolo
II afferma in proposito: “Non è vero che ogni sofferenza è conseguenza della colpa, né
che ha carattere di punizione”4. Tuttavia nella ricerca di un senso alla sofferenza sono
frequenti gli interrogativi: che male ho fatto? Perché a me?.
Questo aspetto interpretativo si affaccia sempre nella dinamica dei perché legati alla
sofferenza.

2° schema: la responsabilità umana
E’ una interpretazione già presente in Gn 2-3; 4; 11. “Molti mali presenti nel mondo e
nella storia provengono dai nostri errori, dai nostri egoismi, ambizioni, presunzioni,
ambiguità, inadempienze, indolenze …”5. Anche alcune malattie quali l’aids, la sifilide,
le patologie conseguenti all’uso della droga, dell’alcol ed altro, hanno una responsabilità
nel comportamento dell’uomo, nelle sue scelte ed abitudini di vita. Tuttavia non tutte le
malattie sono attribuibili alla responsabilità umana; l’uomo non è sufficiente a dar
ragione di tutti i suoi mali. Anche i cataclismi della natura rispondono a leggi naturali,

2 Per i seguenti schemi Cfr. Cinà G., Sofferenza approccio teologico in Cinà G. e altri (a cura di), in
dizionario di teologia pastorale sanitaria, Camilliane, Cuneo 1997, pp. 1186-1187
3 Salvifici Doloris n. 10.
4 Salvifici Doloris n.11
5 Cinà G., Sofferenza approccio teologico, in Cinà G. e altri (a cura di), op. cit., p. 1187.



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e solo in minima parte sono favoriti o provocati da una scorretta gestione ecologica da
parte dell’uomo. Le proporzioni del male e del dolore sono ben più vaste di quelle
attribuibili alle responsabilità umane.

3° schema della prova e purificazione
E’ la soluzione che il giovane Eliu applica a Giobbe. La sofferenza purifica l’uomo dal
suo limite e ne fa splendere tutto il suo valore. E’ vero che la sofferenza è opportunità di
purificazione ed è luogo di maturazione della persona, ma ciò suppone la possibilità di
essere aiutati a percorrere questo cammino. Talvolta la sofferenza e la malattia possono
essere invece causa di regressione della persona dal punto di vista umano, e di
allontanamento dalla fede dal punto di vista spirituale. C’è una parte di verità in questa
interpretazione ma non è sufficiente a spiegare tutta la realtà della sofferenza umana e
tanto meno il dolore innocente.


4° schema: il dolore come elemento educativo
Il termine “educare” dal latino “educere” significa: “cavar fuori”, far emergere delle
possibilità che altrimenti rimarrebbero inermi. E’ certo che la sofferenza ha una
funzione educatrice e formatrice6, essa infatti aiuta a vedere le cose nel giusto senso,
relativizza tante realtà, aiuta a discernere le cose importanti da quelle che non lo sono,
rende più comprensivi, più umili, più umani. Tuttavia questa è una riflessione teorica, in
pratica la funzione educatrice della sofferenza implica un equilibrio della persona, una
capacità di affrontare la sfida del dolore con dei principi solidi. L’insufficienza di
questa prospettiva è evidente 7, basti pensare alle tante sofferenze dovute a terremoti,
epidemie e simili che non assumono certamente una funzione educatrice.


5° schema: nel dolore c’è un germe di bene
E’ la proposta offerta da Isaia nei “ Carmi del servo di Jahvè”( Cfr. Is 52,13-53,12). In
questo testo il concetto è più elevato rispetto agli schemi precedenti: attraverso la
sofferenza del servo, giunge ad altri la salvezza. In quell’uomo innocente, colpito dal
dolore, “percosso e umiliato da Dio” si nasconde una forza liberatrice, misteriosa ma




6 Cfr. Salvifici Doloris n.12.
7 Cfr. Salvifici Doloris n.13.



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effettiva8. Il Servo di Jahvè è figura messianica ed il Nuovo Testamento porterà a
compimento il messaggio sul dolore iniziato dall’antico profeta.

Queste cinque forme interpretative della sofferenza contengono elementi preziosi di
verità, ma sono ancora insufficienti. Esse affiorano con frequenza nell’esperienza del
dolore e della malattia soprattutto nei malati di cancro. Queste interpretazioni sono assai
radicate nella coscienza comune e postulano altre risposte.



1.3 Giobbe interprete del dolore umano
Il libro di Giobbe narra la storia di un uomo innocente, di un giusto colpito
drammaticamente da una sventura dopo l’altra. Egli perde tutti i beni naturali; muoiono
i suoi figli, ed infine è costretto a vivere su “ un cumulo di rifiuti della sua città”. Egli è
messo alla prova per verificare la sua fedeltà al Signore.
I suoi atteggiamenti nella prova sono essenzialmente i seguenti: 9.
-Egli “è uomo pio e timorato di Dio” (Gb 1,1) , e supera la prova rimanendo integro nella
fede. Le sue affermazioni sono proverbiali: “Nudo uscii dal seno di mia madre e nudo
vi ritornerò. Il Signore ha dato e il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del
Signore”(Gb 1,21).
-Il secondo atteggiamento è quello della contestazione e del lamento; egli si lamenta di
se stesso, degli amici e di Dio. A Giobbe che è nel dolore, resta incomprensibile il
volto di Dio. Il lamento è il linguaggio proprio della sofferenza, ed è una forma di
preghiera, che ottiene la risposta di Dio. L’ epifania di Dio (Cfr. Gb 38-41) è, infatti,
una prima risposta al tema del dolore. L’uomo nel dolore si smarrisce e crede che Dio
non se ne curi, invece gli è vicino. Giobbe lo afferma:” Finora ti conoscevo per sentito
dire, ora i miei occhi ti vedono (Gb 42,5).
“La soluzione del mistero del dolore in Giobbe sta nell’incontro personale con Dio.. . La
sofferenza diventa l’occasione per l’affermazione della presenza di Dio costante,
universale, provvida, premurosa”10.
Giobbe, questo grande interprete del dolore umano, si ferma qui; egli non poteva
andare oltre. Ma a noi figli della redenzione operata da Gesù, è data una risposta al
perché della sofferenza, una riposta che è rivelazione dell’amore di Dio per noi.


8 Cfr. Salvifici. Doloris n.18,1
9 Cfr. Cinà G., Sofferenza approccio teologico, in Cinà G. e altri (a cura di), Op. cit., pp. 1187-1189.
10 Cinà G., Sofferenza approccio teologico, in Cinà G. e altri (a cura di), Op. cit., p. 1189.



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2. Il valore salvifico della sofferenza


Gesù è venuto sulla terra a portarci la salvezza che è appunto liberazione dal male e
dalla morte. . «Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo figlio unigenito perché
chiunque crede in Lui non muoia ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16). Il Salvatore ha
realizzato la salvezza attraverso la sofferenza e la croce. Il nuovo perché della
sofferenza sta appunto nella Redenzione operata da Gesù attraverso la triplice realtà del
Mistero Pasquale: la sua dolorosa Passione, la sua morte di Croce, la sua Risurrezione.
Questo è l’amore salvifico del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. IL Redentore
opera la salvezza attraverso un itinerario di sofferenza che lo conduce fino all’estrema
espressione del patire: la morte di croce. Nell’ottica della fede cristiana, la sofferenza
di ogni uomo, vissuta in Cristo, acquista un significato redentivo11.
La missione di salvezza del Cristo non riguarda solo il male nella sua dimensione
escatologica ovvero la perdita della vita eterna, ma riguarda anche il male nella sua
dimensione temporale. Afferma, in proposito, Giovanni Paolo II: “La vittoria di Cristo
sul peccato e sulla morte, non abolisce le sofferenze temporali della vita umana, nè
libera dalla sofferenza l’intera dimensione storica dell’esistenza; tuttavia su questa
dimensione e su ogni sofferenza, Egli getta una luce nuova che è la luce della
Salvezza»12. Ma la meraviglia della salvezza sta appunto nel suo movente fondamentale
che è l’amore. Gesù opera la Salvezza per amore dell’uomo, un amore che lo spinge ad
accettare ogni dolore fino a donare la vita. «L’umana sofferenza ha raggiunto il suo
culmine nella passione di Cristo e contemporaneamente essa è entrata in una
dimensione completamente nuova, quella dell’Amore»13.



3. Il rapporto del cristiano con la sofferenza

Sull’esempio di Cristo che ha scelto la via della croce per attuare la salvezza dell’uomo,
il cristiano vive la propria sofferenza nell’ottica del Mistero Pasquale del Redentore.
Questo, però, non significa accettazione passiva della malattia o del dolore, ma
tutt’altro.


11 Cfr. Salvifici Doloris n.15.
12 Salvifici Doloris n. 15.
13 Salvifici Doloris n.18.



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Vi sono due tipi di sofferenze:

a- la sofferenza “a causa di Cristo” e “per il suo nome”.
E’ quella di cui Gesù stesso afferma: “Se hanno perseguitato me perseguiteranno
anche voi.. Ma tutto questo vi faranno a causa del mio nome, perché non conoscono
colui che mi ha mandato”(Gv15,18-21). Con la forza della fede, il coraggio della
speranza e l’ardore della carità, il cristiano affronta ogni persecuzione “a causa di
Cristo” testimoniando con gioia la fedeltà al Vangelo e alla sua Chiesa.
b- La sofferenza legata alla precarietà e fragilità della natura umana e del cosmo;
malattie, calamità ecc.
Duplice è l’atteggiamento del cristiano verso la malattia e sofferenza:
1. Ogni persona ha il diritto e dovere di attingere alle risorse medico-infermieristiche,
tutto ciò che è necessario ed utile, per curare la malattia, dominare il dolore e salvare la
vita. Ad imitazione di Cristo che passava di villaggio in villaggio, sanando ogni
infermità (Cfr. Mc 4, 23), gli operatori sanitari professionali e pastorali continuano nel
tempo e nella storia, quella missione di cura e di tenerezza, verso l’umanità
sofferente,14 iniziata dal Salvatore nella sua vita terrena. Pertanto curare la malattia è
diritto di ogni malato ed è dovere della comunità civile.
2. Tuttavia, poiché la malattia e la sofferenza sono realtà inevitabili, collegate al limite
della dimensione umana, il cristiano affronta il sentiero del dolore alla luce del
messaggio evangelico: «Chi vuol essere mio discepolo prenda la sua croce e mi
segua».(Lc 9, 23.). Con queste parole Gesù presenta la “croce” come il distintivo che
accompagna il cristiano nel suo pellegrinaggio verso il Regno. Ogni sofferenza il
cristiano la vive in Cristo.
Il Mistero Pasquale del Redentore si ripete in ogni creatura redenta: come il venerdì
santo fu passaggio obbligato per l’evento della Risurrezione, così l’umana sofferenza
vissuta nella fede del Risorto, è fonte di grazia e di santità. Per questo Paolo afferma:
«Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che
manca ai patimenti di Cristo in favore de suo corpo che è la Chiesa»(Col 1,24). Ed
ancora: «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù
Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso come io per il mondo».
(Gal 6,14). L’apostolo ci indica anche la vetta cui tende l’itinerario spirituale della


14 Cfr. CEI., La pastorale della salute nella chiesa italiana, op. cit., n.13.



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sofferenza: «Siamo coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per
partecipare anche alla sua gloria. Io ritengo, infatti, che le sofferenze del momento
presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi»
(Rom 8,17-18). Ed ancora: «Il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci
procura una quantità smisurata ed eterna di gloria perché noi non fissiamo lo sguardo
sulle cose visibili ma su quelle invisibili».(2Cor 4,17-18). In questa luce, la sofferenza
diventa fonte di grazia, motivo di gioia, la prova certa che il Signore è la beatificante
eredità del cristiano.



4. La visione cristiana della morte

La visione cristiana della morte è un contributo decisivo all’ umanizzazione della morte
stessa. La morte inizia nel momento stesso in cui comincia la vita; c’è un coestendersi
della morte in tutto l’arco dell’esistenza. E’ grave il non parlare della morte. Ogni vita
sulla terra è destinata a morire.
La chiave di lettura della morte umana è l’interpretazione della morte di Gesù: solo alla
luce della morte del Redentore è comprensibile la nostra morte. La morte di Gesù si
conclude nella resurrezione in forza dell’amore; la morte umana è riscattata dalla morte
di Gesù ed è perciò via necessaria alla resurrezione.
Dice l’apostolo: “ Siamo infatti tribolati da ogni parte ma non schiacciati; siamo
sconvolti ma non disperati; perseguitati ma non abbandonati,(..) portando sempre e
dappertutto nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti
nel nostro corpo.. convinti che Colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà
anche noi con Gesù “(2Cor 4,8-11,14). Da questa espressione di Paolo, emerge
chiaramente che per il cristiano, anche la morte, come la vita, e qualunque altra cosa,
sono realtà ordinate al raggiungimento dell’unico vero bene: il Signore. Ed è proprio in
questa luce pasquale che l’Apostolo afferma: “ per me vivere è Cristo e morire un
guadagno” (Fil 1,21). E’ questa la visione cristiana della morte che sostiene i cristiani di
ogni tempo.
Anche oggi “i testimoni della croce e della resurrezione”15, affrontano il morire
nell’ottica della fede nel Risorto.



15 Salvifici Doloris n.25.

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