DON ANTONIO

domenica 11 marzo 2012

Esaltazione della Santa Croce. 9




Eremo San Biagio


Dalla Parola del giorno
Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l?ha esaltato.

Come vivere questa Parola?
Il significato profondo di questa festa è racchiuso in questa breve pericope paolina, che ci fa contemplare, quasi al rallentatore per meglio assaporarne il senso, il progressivo inabissarsi del Figlio di Dio nell?umiltà della condizione umana.
Lo sguardo è invitato a fissarsi, inizialmente, sull?indicibile realtà divina del Verbo: il suo essere Dio come il Padre. E poi quel volontario svuotare annullare se stesso assumendo la nostra stessa natura umana, la condizione di ?servo?. Non si ha tempo di riscuotersi dallo stupore, che Paolo incalza: ?umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte?. E non basta ancora: il Figlio dell?Altissimo giunge ad annichilire se stesso fino al punto di abbracciare la più infamante delle morti: quella di croce, la morte del ?maledetto? da Dio oltre che dagli uomini.
L?abitudine a vedere il Crocifisso nei nostri ambienti, ci ha fatto perdere molto di questa tremenda realtà. Dio che si rende abietto dinanzi alla sua creatura.
No, non si capirà mai fino in fondo l?infinito amore di Dio, se non ci si lascia afferrare dalla durezza di questa immagine!
Ma allora, perché si parla di ?esaltazione??
Perché proprio in questo limite estremo, oltre il quale Gesù non poteva spingersi, possiamo contemplare che ?Dio ha tanto amato il mondo?. Qui, sulla croce appare in pienezza la ?gloria? di Dio, cioè si svela il suo volto, il suo essere profondo: il suo essere Amore.
Dinanzi a questa realtà sublime inconcepibile per la mente umana, c?è solo da piegare il ginocchio in un muto adorante, riconoscente atto d?amore.

Oggi, nel mio rientro al cuore, sosterò in silenziosa contemplazione del Crocifisso.

Grazie, Gesù!

La parola di una martire del XX secolo
Gesù Crocifisso dev' essere l'oggetto di ogni tua brama, di ogni tuo desiderio, di ogni tuo pensiero.
Edith Stein


Agenzia SIR


Questa Domenica coincide con la festa della Croce e, nella scelta del Vangelo, la seconda prevale sulla prima, perché è una festa liturgica del Signore. La festa non è data, dunque, dal legno dalla croce, ma dal mistero d?amore che su di essa si è compiuto. Sulla croce si sale e dalla croce si scende; in qualche modo essa è il luogo dove si congiunge la nostra infinita tensione a voler scalare e conquistare il cielo all?infinita umiltà di Dio che scende fino al nostro niente per solo amore. Di croce si muore e dalla croce si riceve la vita: è il mistero della fede che riesce a sciogliere il nodo e il problema ultimo dell?esistenza: perché il male? Perché il dolore innocente? Perché la guerra? Perché la separazione? Perché? Per sciogliere queste domande, Nicodemo ? fariseo, capo dei giudei, uomo giusto e saggio ? si reca da Gesù, di notte.

Nicodemo preferisce colloquiare di notte ? lui, un vecchio dottore della legge, con un giovane rabbì di Nazareth ? per non compromettersi dinanzi ai colleghi. Nicodemo era convinto di sapere chi era Gesù e invece si sente provocato a ricominciare tutto da capo, a ?rinascere dall?alto?, altrimenti non avrebbe potuto comprendere il mistero della salvezza accanto a quello della perdizione, il dono della speranza in risposta all?orizzonte della disperazione. Ebbene, Gesù addita a Nicodemo il simbolo del serpente di bronzo che, nelle vicende dell?esodo, permise agli ebrei di salvarsi dai morsi di serpenti velenosi. Come quel serpente innalzato sul palo, così Gesù stesso, crocifisso sulla croce, porta salvezza e redenzione a coloro che credono in lui. Gesù, inchiodato e innalzato sul colle Calvario, fino alla fine del mondo resta a braccia aperte, ?perché chiunque crede in lui, non muoia, ma abbia la vita eterna?.

Quanti colloqui ?notturni? viviamo anche noi in lotta con Dio, come Giacobbe con l?angelo! Come Gesù con Nicodemo, anche Dio si fa paziente con noi, e ci concede udienza, ma la risposta è sempre la stessa: ogni parola e ogni risposta di Dio è già detta e già data in Gesù, nel suo mistero di morte e resurrezione, di dolore e di salvezza. Passerà la storia e non cesserà la contrapposizione tra la nostra pretesa di scalare e conquistare il cielo e l?umiltà di Dio che scende in terra e si concede a noi.
Il colloquio notturno fra Gesù e Nicodemo simboleggia anche la notte protesa verso il giorno, il dubbio che cerca la luce della verità. Nel segno misterioso della croce, la notte si fa giorno, il dolore manifesta l?amore, la maledizione si tramuta in predilezione.

La figura di Nicodemo tornerà al tramonto della vicenda umana dell?uomo di Nazareth: lo difenderà prima e ne seppellirà il corpo in una tomba nuova dopo la tragedia del calvario. Alla fine il vecchio Nicodemo ci riuscirà a rinascere dall?alto: nei giorni decisivi della passione, lui sarà lì, vicino al crocifisso. In anticipo, però, Nicodemo viene istruito sulla possibilità di leggere e interpretare i segni in altro modo; non più ?dal basso?, secondo la sapienza e l?esperienza umana, ma ?dall?alto?, secondo la logica e la sapienza di Dio. Tornano, ancora una volta, le coordinate spaziali della croce: l?alto e il basso.

Anche l?esperienza religiosa dell?uomo di sempre può essere ricondotta a comprensione dinanzi alla croce di Cristo. Le religioni non nascono solo ?dal basso?, e cioè dal desiderio religioso dell?umanità, ma anche ?dall?alto? (o ?dall?intimo?), e cioè dal Mistero che si rende presente in esse. Se la rivelazione pone l?accento sul movimento di Dio verso la creatura, l?ascetica (e ancor più la mistica), invece, rende evidente l?ascesa (o immersione) della creatura e il suo libero aprirsi all?azione di Dio che illumina e trasforma. Rivelazione e ascesi (quest?ultima trova compimento nella mistica) sono il contenuto e il compendio dell?esperienza e della tradizione d?ogni religione. Questo processo, documentato dalle scienze della religione (etnologia, sociologia, psicologia e storia delle religioni), s?illumina di luce particolare quando si prende in considerazione l?evento di Gesù Cristo. Gesù è, allo stesso tempo, il Logos, la parola definitiva di Dio all?umanità, e anche Colui che si ?svuota? di Sé sino a donare tutto sulla croce. In Gesù crocifisso e risorto rivelazione e mistica coincidono perché il Figlio di Dio fatto carne rivela l?Amore che è Dio. Nella croce c?è tutto: il dolore dell?uomo, l?amore di Dio.

Commento a cura di don Angelo Sceppacerca


Suor Giuseppina Pisano o.p.


La ventiquattresima domenica del Tempo Ordinario, cede, per così dire, il passo alla festa dell?Esaltazione della Croce; era il lontano 13 settembre del 335, e l?imperatore Costantino, assieme alla madre Elena, faceva consacrare la grande Basilica della Resurrezione, divenuta, col tempo, la Basilica del Santo Sepolcro, ancor oggi, meta di pellegrinaggi; Basilica che include, al suo interno, la piccola altura del Calvario, e il Sepolcro del Redentore.
Il giorno successivo, il 14 di quello stesso mese, iniziò la solenne venerazione della Croce, reliquia trovata dalla stessa Imperatrice, come vuole la tradizione; questo, il ricordo storico, sul quale si fonda la festa liturgica, che, oggi, la Chiesa celebra, riproponendo il segno del sacrificio del Cristo alla contemplazione di tutti i fedeli.
?.. come Mosè innalzò il serpente nel deserto, sono le parole di Gesù a Nicodemo, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo..?
Il Maestro rievoca quel lontano, faticoso peregrinare del popolo eletto nel deserto, in cammino verso la libertà, un percorso che avanzava tra insidie mortali, per cui, su comando di Dio, Mosè fabbricò quel serpente di bronzo, guardando il quale, si veniva liberati dal veleno mortifero dei serpenti.(Nm.21)
Il deserto, arido e inospitale, il ? deserto senza strade?, è il simbolo dell?esodo che ogni uomo compie, per allontanarsi dal mondo del male e avviarsi verso la libertà e la salvezza; un esodo spirituale, che risponde alla chiamata di Dio, il quale vuole che ogni uomo giunga alla salvezza, opera del Figlio redentore.
E? questo che Gesù intende con quelle parole:?? come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna..?; infatti, come Mosè è figura del Cristo, il serpente, che l?antico patriarca innalza del deserto, è chiaro simbolo della salvezza, che verrà all?uomo, dal Figlio di Dio, quando sarà innalzato sulla croce, in espiazione del peccato.
E? Cristo, infatti, l? unica via di salvezza per l?uomo, Lui è la vera libertà e l?unico mediatore, che può condurre alla pienezza della vita; lui, il segno inconfondibile dell?amore del Padre, come ci ricorda passo del Vangelo, che, così recita:? Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna.?
E? questo il messaggio che viene dalla Croce: un dono di misericordia all?uomo peccatore, il segno drammatico del perdono, che Dio ha concesso, e concede ad ogni uomo, che si volga con fede al Figlio Gesù.
Di perdono, come segno dell?infinito amore di Dio, parla il passo del vangelo di Matteo, sul quale si sarebbe dovuta fermare la nostra riflessione, in questa ventiquattresima domenica; passo che è costituito in gran parte dal racconto della parabola, che potremmo intitolare: i due debitori.( Mt. 18, 21 35). La parabola che Cristo racconta ai suoi discepoli, in risposta alla domanda di Pietro sulla misura del perdono, è una parabola dai toni volutamente esagerati, modo, questo, per dare il senso dell?enorme debito che, col peccato, l?uomo ha contratto con Dio, quel sovrano creditore di una cifra incalcolabile, nei confronti di un servo, del quale, tuttavia, accoglie la supplica, per rimandarlo libero.
Il peccato, oggi spesso banalizzato, è, realmente un debito nei confronti di Dio, un debito al suo amore, e che l?uomo, da sé, non può saldare.
Anche se la mentalità corrente, rifiuta il concetto di peccato, esso tuttavia, esiste, esiste da quando l?uomo, per la prima volta, si pose in alternativa al suo Creatore, violandone le leggi e scavando, così, un vuoto incolmabile di solitudine, di angoscia, di paura e di morte.
Da allora, l?uomo cammina nella vita, come in un deserto, con la nostalgia di Dio nel cuore, col peso del suo debito, con l?angoscia della solitudine, e supplica, e attende quel perdono, che chiamerà sulla terra lo stesso Figlio, divenuto uomo in Gesù di Nazareth, il Cristo, che, oggi, contempliamo, nel suo totale abbassamento, che lo rende simile ad ogni altro uomo, e solidale con lui, nonostante il peccato, anzi, proprio perché schiavo di esso.
E? quel che Paolo, mirabilmente, ci dice nell? inno Cristologico della lettera ai Filippesi, che così recita:
?Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce.
Per questo Dio l' ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché, nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, nei cieli e sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.? ( Fil.2,6-11)
L?esaltazione di Cristo, è il suo innalzamento sulla croce, il patibolo infame dal quale è scesa sul mondo la pace, e la rinnovata comunione con Dio, allorché il Figlio, morente, disse quelle parole che sconvolsero il mondo e la Storia:? Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno.?(Lc. 23, 34)
?Dio non ha mandato il Figlio nel mondo, son le parole di Gesù a Nicodemo, per giudicare il mondo, ma, perché il mondo si salvi per mezzo di lui.?
Questo ci ricorda, oggi, la solenne liturgia che celebra la Croce di Cristo, realizzazione di quella promessa fatta dal Salvatore, nei giorni che precedettero la sua passione, e disse ai discepoli: ? Quando io sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me.?. (Gv.12,32); in quel momento estremo della vita terrena del Figlio di Dio, iniziava la nostra nuova vita in Lui, quella, che possiamo, anche, chiamare: la nostra resurrezione.
E? per questa ragione che la Chiesa celebra la Croce di Cristo, che la liturgia canta con queste parole:
?O croce, unica speranza,
sorgente di vita immortale,
accresci ai fedeli la grazia,
ottieni alle genti la pace.?


Sr Maria Giuseppina Pisano o.p.
mrita.pisano@virgilio.it

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