DON ANTONIO

venerdì 9 marzo 2012

Riflessioni sulle letture 11 marzo 2012 (Manicardi) Monaco a Bose




Es 20,1-17; Sal 18; 1Cor 1,22-25; Gv 2,13-25

L’alleanza di Dio con Israele, mediata dalle “dieci parole” (il decalogo; I lettura), si compie in Gesù Cristo, tempio non fatto da mani d’uomo, luogo definitivo della presenza di Dio, mediatore escatologico della comunicazione di Dio con l’uomo (vangelo). In Cristo, rivelatore del Padre, si manifesta che Dio ha scelto la stoltezza e la debolezza della croce per manifestare e comunicare la sua sapienza e la sua forza a quanti credono (II lettura).

Gesù, salito al tempio per la Pasqua, con gesto profetico che esprime il suo zelo, il suo amore bruciante per il Padre, scaccia i cambiavalute, i venditori degli animali destinati ai sacrifici e gli animali stessi. Egli significa così che il tempio, ridotto a “casa di commercio”, è in verità “casa del Padre mio”. Dal tempio si passa alla persona di Gesù; da un ordine cultuale a un ordine personale e relazionale; dal meccanismo di delega in cui le vittime animali sostituiscono l’offerta personale della propria vita, all’offerta diretta di sé. E alla domanda sul segno che fonda la sua autorità per compiere tali gesti, Gesù risponde: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo risusciterò”. Si tratta di un velato annuncio pasquale: “Egli parlava del tempio del suo corpo”. Il testo ha dunque una profonda qualità rivelativa: il Cristo morto e risorto è il tempio escatologico, il luogo di incontro, alleanza e comunione tra Dio e uomo. Inoltre, nell’evento pasquale Cristo è la vittima e l’offerente. Egli morirà come agnello pasquale a cui non è spezzato alcun osso (cf. Gv 19,33.36) e deporrà liberamente la propria vita per riprenderla di nuovo (cf. Gv 10,17-18).
Ma come comprendere il gesto di Gesù senza ridurlo a gesto di ribellismo, di mera contestazione? Con la memoria della parola della Scrittura. “I discepoli si ricordarono che sta scritto: ‘Lo zelo per la tua casa mi divorerà’ (Sal 69,10)”. Le Scritture ci danno l’intelligenza di Cristo. Ovvero, riprendendo Gerolamo: “L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo”. Quanto poi alla parola di Gesù sul tempio, il testo dice che, dopo l’evento pasquale, “i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù”. Questo ricordo non è meramente psicologico, ma memoria nello e dello Spirito santo: quello Spirito che sarà consegnato con la Pasqua di Cristo e condurrà alla pienezza della verità facendo ricordare “tutto” ciò che concerne Cristo (cf. Gv 7,39; 14,26; 16,13).
Se il brano evangelico opera la distinzione (misconosciuta dalla traduzione italiana che rende sempre “tempio”) tra hieròn (2,14.15; il recinto sacro identificato con l’intero complesso templare) e naòs (2,19.20.21; “santuario”, luogo più interno, spazio della presenza di Dio) e attua il passaggio dal tempio di pietre a Cristo quale presenza di Dio, esso suggerisce anche che il cristiano offre a Dio il culto gradito santificando il Signore nel suo cuore, dunque nella sua relazionalità, nella sua corporeità. È il culto “in Spirito e Verità” (Gv 4,23.24) che coinvolge totalmente il credente: “Santificate il Signore, Cristo, nei vostri cuori” (1Pt 3,15).Solo così si può sfuggire alla tentazione, che nella storia può assumere forme sempre nuove, di trasformare la casa di Dio, la chiesa, in luogo di mercato, di compravendita, di commerci che nulla hanno a che fare con il vangelo. Certo, il prezzo è alto. Gesù viene divorato, consumato, dalla passione per la casa di Dio, dall’amore per il suo Dio. La parola della Scrittura che lo ha nutrito (cf. Mt 4,4) e la volontà di Dio che è stata suo cibo (cf. Gv 4,34) ora divorano lui, conducendolo a spendersi e a consumarsi per il suo Dio e Padre.Solo così si può sfuggire al rischio di una fede inaffidabile, una fede fondata su segni esteriori: “molti, vedendo i segni che faceva, credettero nel suo nome. Ma Gesù non credeva loro” (Gv 2,23-24), non si consegnava loro, non poneva fede nella loro fede. La fede affidabile è quella di chi accetta di consegnarsi al suo Signore fino a perdersi, fino a perdere la propria vita, fino a consumarsi per amore.
LUCIANO MANICARDI
Comunità di Bose

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