DON ANTONIO

giovedì 10 novembre 2011

Essere beati per soffrire e nel soffrire by Francesco Vitale

Icona di Gesù Pantocrator che si trova nella mia stanza nel Cenacolo di Montegalda (Vicenza )


Anima mia, ama questo Dio legato come un malfattore per te, flagellato come uno schiavo per te, fatto bersaglio di scherno per te, un Dio morto in croce per te. Sì, mio Salvatore, mio Dio, io ti amo, io ti amo. Anzi, sii tu stesso a ricordarmi sempre quanto hai patito per me, perché io non mi dimentichi più di amarti. Funi che legaste Gesù, stringetemi con Gesù; spine che coronaste Gesù, feritemi d’amore per Gesù; chiodi che trafiggeste Gesù, inchiodatemi alla sua stessa croce, affinché io viva e muoia unito a Gesù.

(S. Alfonso Maria de’ Liguori, Pratica di amar Gesù Cristo, Città Nuova, 1996, p. 43)

“Per te, per me”: sono le espressioni ricorrenti in quest’ardente preghiera di S. Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787), con le quali intercala la sua contemplazione della Passione del Signore. Leggere, meditare, contemplare ciò che Gesù ha fatto per noi, per ciascuno di noi, è infinitamente di più che ricordare un fatto del passato: significa rivivere quei momenti, entrare in un rapporto vivo e vitale col Dio crocifisso e risorto, nella consapevolezza che il suo amore è così grande da arrivare “fino alla fine” (Gv 13,1) e “fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). La Sua sofferenza diventa, così, la nostra; la Sua umiliazione, la nostra; il suo morire, il nostro. Entrando in un rapporto d’amore con Lui, rivivendo con immensa gratitudine il suo dolore, Egli viene ad abitare la nostra vita e a colmarla della Sua Presenza.
Questo non significa che ci libererà dalla sofferenza, che ci toglierà il peso dell’incomprensione, dello scherno o anche del rifiuto e che ci eviterà di passare attraverso il fuoco della morte. Ciò che ci promette è che, soprattutto in questi momenti, sarà con noi. Vivendo in comunione con Lui, che ha riempito d’amore ciò che, in sé, sembra l’opposto, come la violenza, il disprezzo, la solitudine, la morte, a poco a poco faremo nostri i suoi stessi sentimenti, la sua capacità di soffrire amando, e amando sempre. Avvicinando nella preghiera il nostro cuore al Suo Cuore, Egli vi riverserà abbondantemente l’Acqua viva dell’Amore.
Si comprende, così, anche la seconda parte della preghiera di S. Alfonso, quella che, per la nostra sensibilità moderna, può sembrare più difficile da accettare. Come si può desiderare di “essere inchiodati alla sua stessa croce”, quando l’uomo è fatto per la felicità e non per la sofferenza? L’attenzione di S. Alfonso non è, però, tanto catturata dal desiderio di soffrire, ma, piuttosto, da quello di essere unito a Gesù. Sono le Sue funi, le Sue spine e la Sua croce, ciò che egli desidera, e non la sofferenza in sé. Queste realtà così macabre diventano attraenti solo se servono ad unirci ancora di più a Lui. Di fatto è ciò che accade: se siamo abituati a stare vicino a Gesù nella preghiera, i momenti di sofferenza, di solitudine, d’incomprensione, diventano occasioni per radicarci ancora di più in Lui.
Come ha scritto splendidamente Edith Stein (“Amore della croce”, in Nel castello dell’anima, ed. OCD, 2004, p. 225): “L’essere uno con Cristo è la nostra beatitudine e il continuo divenire uno con Lui, la nostra felicità sulla terra, l’amore per la croce quindi non si oppone per nulla all’essere lieti figli di Dio… La predilezione per la via della Croce non significa per nulla alcun orrore, perché il Venerdì santo è passato e l’opera della redenzione è compiuta. Solo i Redenti, solo i figli della grazia, possono essere portatori della Croce… Essere beati per soffrire e nel soffrire, stare sulla terra, procedere sui cammini sporchi e scandalosi e, insieme, sedere in trono con Cristo alla destra del Padre, ridere e piangere con i figli di questo mondo e cantare con i cori degli angeli senza interruzione la lode di Dio: questa è la vita del cristiano, finché non spunta il giorno dell’eternità”.


http://pregare.org/news.php?nid=541

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