DON ANTONIO

sabato 12 novembre 2011

INFINITA SOLITUDINE…dal Centro Studi “Edith Stein” di Lanciano

Mio Dio, te ne stai lì, impotente. Ti sei rialzato da terra, ma i tuoi piedi rifiutano di servirti, ora che le tue spalle devono di nuovo portare il peso enorme della croce. Tremante e agitato te ne stai in piedi, la croce fa da supporto impedendoti di cadere, ma quando devi sollevarla da terra per portarla avanti, barcolli e minacci di crollare di nuovo. Eppure tu devi e vuoi raggiungere il colle; è la volontà dei tuoi carnefici, ma anche tu vuoi portare la croce fino alla meta. Se non lo puoi fare da solo, ti si darà un aiuto, per non farti soccombere prima della fine del viaggio. Devi arrivare vivo alla vetta della collina. A questo sei arrivato, o Dio: più morto che vivo, sfinito dalle torture, esausto, in condizione di non trascinare la croce in cima alla collina nemmeno a forza di calci. Stai lì impotente. I tuoi nemici vogliono assolutamente che tu arrivi al luogo dell’esecuzione ancora vivo. Con apparente condiscendenza permettono che ti si aiuti, ma solo per poterti torturare ancora. Non importa quanto lo desiderano, in ogni caso non si degnano nemmeno di alzare un dito. Aiutarti? Vorrebbe dire semplicemente esporsi alla vergogna. Aiutarti? Solo pochi passi per la collina, ma è un’indegnità che non si osa pretendere nemmeno dai carnefici. Questi sono piuttosto pronti a colpirti a morte sul posto, e il loro lavoro è fatto. Non così i tuoi nemici, che vogliono vederti sulla croce, umiliato fino in fondo, fin dove è possibile per un essere umano. Chi ti aiuterà, o Gesù? Invano il tuo occhio si guarda attorno, per vedere se qualcuno vuole aiutarti: non c’è nessuno. Infinita solitudine. Non c’è nessuno, nessuno che voglia darti la minima consolazione. Nessuno che s’intenerisce per te. Tutti guardano indifferenti e lasciano che tu rimanga lì impotente, terribilmente impotente. Finalmente costringono uno straniero. Costui non è in condizione di resistere, e siccome non può fare diversamente ti aiuterà, non solo freddamente e con indifferenza, ma per forza, forse maledicendo te e la tua croce. Senza pietà per la tua debolezza, afferra la croce e la spinge insieme a te. Mio Dio, a volte penso che io mi sarei comportato meglio, che ti avrei alleggerito con amore del peso della croce, per alleviarti il dolore di quel terribile ultimo viaggio. Ma no, Simone è anche immagine di me! Dico che voglio seguirti sulla via della croce, ma poi allontano anche la più piccola, la più leggera. Di fronte al ludibrio e lo scherno di quelli che non ti amano, io non desidero più di lui far vedere che voglio servirti. Mio Dio non me ne starò più con le mani in mano. Fin da oggi voglio prendere la tua croce e cercherò di portarla dietro di te. (Beato Tito Brandsma, Via Crucis, Quinta Stazione)


Ci avviciniamo al triduo pasquale in compagnia del beato Tito Brandsma, un testimone esemplare della libertà cristiana, morto nel lager di Dachau, a causa della sua intrepida opposizione alla barbarie nazionalsocialista.
Chi ripercorre la vita di Brandsma coglie con chiarezza il darsi di una stretta interrelazione tra vita mistica e impegno nel mondo a favore della dignità dell’uomo: contemplazione incarnata nel flusso della storia che diviene contestazione profetica delle macchinazioni del potere.
Una meditazione carica di pathos, intrisa di quella commozione che nasce solo in un cuore realmente innamorato di Cristo, solo in chi è pronto a dare la vita per Lui. Solo guardando il crocifisso potremo capire l’amore di Dio, cui troppo spesso l’uomo risponde con l’indifferenza, con il volgere lo sguardo dall’altra parte, per non lasciarsi turbare nella sua placida quiete. Non c’è sequela di Cristo senza via del Golgota, senza crocifissione.
“Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mc 8,34).
Chi vuole avere parte alla vita di Cristo, “deve passare con Lui attraverso la morte di Croce: come Lui crocifiggere la propria natura con una vita di mortificazione, di auto rinnegamento ed abbandonarsi alla crocifissione nella sofferenza e nella morte, come Dio disporrà o consentirà. Quanto più perfetta sarà questa crocifissione, attiva e passiva, tanto più profonda sarà l’unione con il Crocifisso e tanto più ricca la partecipazione alla vita divina” (Edith Stein, Scientia Crucis).
E ancora per citare sempre Edith Stein: “C’è una chiamata a soffrire con Cristo e a cooperare con lui, in questo modo, all’opera della redenzione. Se siamo uniti al Signore, siamo membra del corpo mistico di Cristo; Cristo continua a vivere nelle sue membra e a soffrire in esse; la sofferenza sopportata in unione col Signore è sofferenza sua, innestata nella grande opera della redenzione, e perciò feconda” (Lettera ad Annelise Lichtenberger del dicembre 1932).
Parole queste che dovrebbero scuotere le nostre coscienze assopite. Chi aiuta oggi Cristo a portare la croce? Forse gli uomini gaudenti, in spasmodica ricerca di un piacere chiuso dentro gli angusti limiti sensoriali, talora tanto smodato da condurre alla dissoluzione della personalità? Forse una chiesa ancora legata alle suggestioni temporalistiche, alleata del trono, incapace di liberarsi di tutte quelle sovrastrutture che rischiano di soffocare la Buona novella del Regno, pronta a predicare la rassegnazione di fronte alle ingiustizie? O non forse chi si fa carico delle sofferenze delle vittime di un sistema che non conosce misericordia, brutale, che misura tutto con la legge del nudo profitto?
Ecco un compito che ci si prospetta come ineludibile: calarsi nella condizione degli ultimi non per portare un messaggio pseudo consolatorio, ma per udire dentro la sofferenza la voce di Dio che ci chiama all’impegno, ad un’azione di trasformazione della società.
Nella Passione e Morte di Cristo siamo posti innanzi al criterio ultimo con cui valutare il nostro agire: vi splende il dono totale di sé all’altro o esso è modellato sul tornaconto personale, magari imbellettato con qualche “buona azione”?
Nel cammino penitenziale della Quaresima siamo invitati alla preghiera, all’elemosina e al digiuno. E’ dunque nel rapporto con Dio e nel distacco da sé che cresce la carità, lo slancio generoso, senza riserve, verso gli altri, i crocifissi del mondo globalizzato.

Amedeo Guerriere
(Il Castello dell’anima, 31.03.06)
http://centrostudiedithstein.myblog.it/tag/sofferenza

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