DON ANTONIO

giovedì 17 novembre 2011

L’UOMO ALLA RICERCA DI DIO .Dic mihi, quid est Deus ? A. Lobato, OP (Studia Theologica V, 4/2007, 241 -253 )

I. Situazione odierna: L’eclisse di Dio. Non è facile la descrizione completa della situazione odierna dell’uomo di fronte a Dio per fare un giudizio su di essa. Ci capita spesso questo fenomeno. L’occhio umano ha bisogno di una certa distanza per distinguere le realtà che ha davanti a se, che per essere viste, devono essere situate nella zona della visione, ne troppo vicine, ne troppo lontane. Di solito l’uomo non è buon giudice in propria causa, ma è anche vero che nessuno conosce l’uomo dal di fuori come il singolo uomo conosce se stesso. Il mondo culturale odierno è così complesso che sembra accogliere tutte le possibilità e realizzare in se stesso la chiamata coincidentia oppositorum. Descrivere il rapporto odierno dell’uomo con Dio risulta sempre un rischio. Non basta per farlo l’appello a la propria coscienza, che è solo un punto di vista, non è possibile a nessuno conoscere a fondo come gli altri soggetti si mettono davanti a Dio, non basta attenersi alla fenomenologia, a ciò che dicono i mezzi di comunicazione , al criterio democratico della maggioranza. Mi chiedo come fare per ottenere una giusta visione di questo rapporto. Parecchie volte ho fissato lo sguardo sul tema, ho presso parte in tanti congressi, che un tempo si occupavano della secolarizzazione, della esperienza religiosa, e soprattutto dell’ateismo. Questi erano gli argomenti più alla mano per parlare di Dio, ma sempre un po’ da lontano, imitando agli ebrei intorno alle mura di Ierico. Il rapporto dell’uomo con Dio nell’attualità viene descritto mediante il paragone con altre epoche. Per natura l’uomo tende verso Dio, al quale lo porta un certo instinctus di dipendenza sia nell’origine che nel destino. La religiosità è connaturale all’uomo. Ma la natura può essere deviata dalla cultura, e solo in questa l’uomo scopre il Dio al quale è legato in modi nascosti. La religiosità profonda dell’uomo entra in crisi con la modernità, in quanto questa viene compressa come una uscita dalla minorità, un entrare nell’età adulta quando l’uomo ha l’audacia di lasciare la fede e fondare nei limiti della ragione le sue profonde convinzioni, seguendo il motto: sapere aude!.
Nei Salmi, colui che non crede in Dio viene descritto come stolto: dixit insipiens in corde suo, non est Deus (S.13,1). Il poeta medievale spagnolo descrive la mancanza di religiosità di alcune persone, dicendo che mangiano prima di pregare : almuerzan antes que fagan oración. Il filosofo Hegel osserva il comportamento dell’uomo della modernità, che quando si sveglia al mattino, invece di pregare e lodare Dio, legge il giornale, o ascolta le notizie dei successi della giornata precedente. Heidegger descrive la situazione odierna dal punto di vista religioso, come allontanamento degli dei . Nietzsche , nella sua lucidità pazzesca ha fatto risuonare in tutto il mondo il grido del perturbato mentale che vocifera nella piazza
Got ist tot”. Ma forse la migliore descrizione di questa situazione sul rapporto dell’uomo con Dio e la presenza di Dio nel nostro tempo è quella fatta da Martin Buber , che parla del “eclisse di Dio”. L’eclisse comincia per un progressivo oscuramento, passa ad una fase di notte buia, per poi ritornare di nuovo alla zona di luce. Mai nella storia del passato era capitato un simile fenomeno come è accaduto nel secolo XX, quello dell’ateismo. L’uomo libero è in grado di dire si e di dire no a Dio. Nella celebre descrizione di Maimonide, sono pochi, dopo molto tempo e con abbondanti errori coloro che con la sola ragione affermano l’esistenza di Dio, quando la maggior parte lo fa perché crede. Ma la fede deve essere libera. Resta quindi la libertà di dire no a Dio da parte dell’uomo. Nella cultura moderna, che mette alla base la libertà, la non credenza è diventata normale. Il Vaticano II afferma che l’ateismo è il fenomeno più grave dell’uomo dei nostri tempi. Uomini senza fede, uomini atei ci sono stati sempre nella storia. Lo stesso Socrate era condannato per la sua empietà, i cristiani erano portati ad bestias per il fatto di non riconoscere l’imperatore come Dio. Ma che una buona parte dell’umanità diventasse atea, non era mai capitato. Il sistema comunista, fondato sul materialismo storico dialettico, ha escluso Dio nel modo più assoluto, come il nemico dell’uomo, e ha imposto con la violenza l’ateismo. Questa novità storica, si è diffusa largamente nei due strati opposti della società,quello del mondo operaio,e quello del mondo dei cosiddetti intellettuali. Per lunghi anni il mondo risultava diviso in due blocchi contrapposti, uno aperto a Dio, altro dove nominare Dio o fare atti di culto era un delitto grave. Si poteva osservare un paradosso in questa divisione; mentre il mondo detto libero e aperto alla religione diventava sempre più materialista e afferrato a questo mondo presente, nel mondo detto comunista si diffondeva mediante una certa mistica di liberazione e di ricerca dell’uomo del futuro. Ubi Lenim, ibi Jerusalem, proclamava Questo “eclisse” di Dio è stato fatale per l’umanità. Il pazzo che grida nella piazza Got ist tot, invitava a riflettere sulle conseguenze di un tale evento. Se Dio non esiste, essendo il fondamento della realtà, niente si può dire saldo, tutto crolla nella natura e nella cultura. Che senso ha la mia stella di capitano, se Dio non esiste? dice uno dei personaggi di Dostoieski. Come il mondo potrà continuare dopo “la morte di Dio?. Se Dio è vero Dio, come può morire?. Infatti la proclamata “morte di Dio”, nel suo significato, è un fenomeno culturale, non metafisico. Significa lo stesso che il “nichilismo”. L’uomo del secolo XX ha scelto di vivere “come si Dio non ci fosse”.
Oggi possiamo scoprire il percorso che ha avuto questo “eclisse”. Qualche volta io ho enumerato i sette gradini che ha percorso la cultura occidentale per arrivare all’ateismo. Parte del principio di immanenza, si affida alla sola”ragione”, concede il primato alla libertà e la liberazione, sogna con il progresso per arrivare al regnum hominis, si dissolve nella storicità, proclama la fine della metafisica, e dal deismo passa al agnosticismo, alla morte di Dio, e quindi all’ateismo. Il processo ben concatenato, è una scala di discesa, simile a quella percorsa dal figlio prodigo del vangelo quando si allontana dalla casa del padre (Lc, 15, 11-20). Anche qui vale l’adagio virgiliano: Facilis descensus averni. I sette scalini della discesa si possono ridurre a tre: esaltazione del soggetto libero, perdita della trascendenza, un
mondo senza Dio. Dal primo uomo a noi, la tentazione radicale rimane, quella di voler essere come Dio. L’uomo moderno, libero, ha pensato a Dio come un rivale della propria libertà, e quindi è propenso a negarlo per restare libero. E’ il filosofo Sartre colui che espressa questa moderna tentazione: Se Dio esiste, io non sono libero . E convinto della sua libertà racconta l’inizio del suo stupido ateismo: “Una mattina non sapendo cosa inventare, decise di pensare dell’onnipotente. Subito egli diede un balzo nel azzurro scomparve senza darmi nessuna spiegazione: “non esiste” dissi a me stesso con strana educazione,e così tutto restò chiuso tra me e Lui” . Quando si vogliono scoprire le cause e le radici del moderno ateismo, l’uomo del sec. XX, oltre all’argomento della propria libertà, non è in grado di presentare altri argomenti, che quelli due ben noti agli antichi: l’autonomia e ordine del mondo che non sembra avere bisogno di nessun motore e tutto si può spiegare senza di lui, etsi Deus non daretur, e quello tremendo e insuperabile della presenza del male nel mondo. Tutte e tre sono vere difficoltà per l’uomo d’oggi. Sono argomenti ben noti a Tommaso che non le nascondi, ma le propone subito quando tratta dell’esistenza de Dio e cerca la soluzione. Il problema più arduo, già esperimentato nella sua drammaticità da Agostino, è quello del male. La ragione trova soluzione a quello della libertà e a quello della sufficienza della natura, poiché la libertà umana è vera, ma è finita e deve essere radicata nella verità, e la natura è anche fatta e diretta da Dio, dal quale riceve l’ordinamento, e la stabilità nei suoi processi, in tale modo che la scienza non fa altro che scoprire ciò che la sapienza del creatore ha lasciato come sua orma nelle cose. Dio sì è nascosto nella sua opera, perché egli è un Deus absconditus (Is,45,15). Ma per il problema del male, così patente nel sec. XX, che stimola ai filosofi a chiedere se, dopo Auschwitz, possiamo chiedere se realmente l’uomo esiste ancora?. Il problema dal male, va sempre insieme al problema di Dio. Agostino trova la radice nella onnipotenza di Dio che lo permette perché dal male egli produce il bene. Tommaso aggiunge che la soluzione radicale solo si trova nel mistero pasquale: la passione, la morte,e la risurrezione di Cristo. Il vero male, che è sempre privazione del bene, è il peccato, la personificazione del male è il diavolo, che sono vinti nella vittoria di Cristo.
Un mondo senza Dio è un mondo ridotto alla materia, al caso e alla necessità. L’uomo senza Dio non ha senso, è un assurdo, dato che non può respirare nel mondo senza Dio. H de Lubac ha dimostrato quale sia la tragedia dell’umanesimo ateo. Il mondo senza Dio è una navicella nell’ oceano lasciata alla deriva. L’uomo senza Dio è condannato a adorare falsi Dei che egli stesso fabbrica,di quelli,che hanno occhi e non vedono, piedi e non camminano, opera delle mani dell’uomo (S.115, 5-7). Un mondo senza Dio non è più mondo, e deve essere come l’anticamera dell’inferno che è il vero luogo della lontananza de Dio. Un mondo senza Dio potrà essere il mondo del diavolo, ma non dell’uomo .
II. San Tommaso: la ricerca di Dio
Coloro che conoscono San Tommaso e leggono i suoi scritti sanno come egli sia il genio della sintesi, dei principi, della verità e dell’essere. Nei suoi schemi ha una preferenza per i processi circolari, simili a quelli della natura, come quello del
sole che ogni mattina inizia il suo cammino, e torna al punto di partenza: o quello dell’acqua che esce dal mare, sale alle nubi, cade sulla terra e ritorna di nuovo al mare. Era quest’immagine ed esempio il centro della sua prima lezione a Parigi, inspirato nel salmo 103, 13: Rigans montes. Ritorna a questo processo quando scrive il prologo al suo giovanile commento al libro III delle Sentenze: Ad locum unde exeunt flumina, revertuntur, ut iterum fluant (Ec. 1,7). Lo schema neoplatonico del exitus-reditus è il preferito da Tommaso nelle grandi opere come le due Somme. Il principio contiene in nuce tutto il processo. Il piccolo seme ha virtù e potenza per diventare un grande albero. In questo senso tutta l’opera di San Tommaso, con circa nove milioni di parole, che una ad una occupano i 52 volumi dell’Index thomisticus, risponde ad una breve domanda. Aristotele, il genio metafisico, diceva che tutto quanto hanno ricercato gli uomini del passato e del presente e continueranno a ricercare nel futuro è la risposta a questa piccola domanda: cosa é l’ente. All’inizio delle questioni sulla verità Tommaso rivela il segreto della vita intellettuale: ha un punto di partenza, un processo e un ritorno: Primum quod a mente concipitur, et in quod omnia resolvit est ens. Il processo della mente è solo lo specchio del processo della realtà. L’idea segue la cosa ed è solo un mezzo per scoprire la sua verità. Perciò non basta cercare l’ente, che è una partecipazione finita dell’essere, abbiamo bisogno di conoscere l’essere, e da questa inclinazione della mente alla verità ha origine tutto l’umano sapere. Da questo si segue che la domanda radicale che Tommaso ha fatto lungo tutta la sua vita,e alla quale sapeva che non si arriva del tutto, era la domanda sull’essere di Dio, la questione prima e ultima, era su Dio. Tutto Tommaso sta nella domanda che da bambino faceva ai monaci : Dic mihi, quid est Deus?. Tommaso, bambino fortunato, giovane di grandi intuizioni, maestro che tutto lo rinnova, non fa altro che cercare una precisa risposta alla domanda radicale, la domanda su Dio; ha un vitale bisogno di conoscere non solo la sua esistenza, ma di arrivare al meno ai confini del suo mistero. E questo il punto di partenza, è anche la sostanza del processo, è la conquista che egli offre alla umanità. Anche se è poco ciò che possiamo conoscere su Dio, quel poco vale molto di più che tutte le altre conoscenze che può acquistare l’uomo. Non possiamo pretendere qui seguire passo per passo l’itinerario di questo ricercatore di Dio, forse il più grande della storia, dobbiamo accontentarci con tre brevi approcci: ex ungue leonem! Bernardo Gui, uno dei biografi di San Tommaso, ha raccolto nella tradizione benedettina, la quale sempre ha ritenuto che Tommaso fosse un vero oblato, pronto sempre ad ubbidire, come dice ancora nell’ultimo suo scritto, ci trasmette la domanda del bambino Tommaso ai monaci di Montecasino: Dic mihi, quid est Deus?. La storicità della domanda sembra probabile. Tommaso è portato dal suo padre da Roccasecca a Montecassino, e consegnato ai monaci per l’educazione nelle lettere. C’erano per i bambini della borghesia lungo il medioevo, due vie di educazione, quella delle armi per la guerra, e quella delle lettere, più consona ai monaci e ai preti. I fratelli di Tommaso furono allevati per la guerra e per la corte dell’imperatore Federico II, dove la cultura della poesia non era esclusa. Uno dei primi sonetti della lingua italiana, che canta l’amore, è attribuito a Rinaldo,il fratello di Tommaso, che sarà decapitato dall’imperatore per la congiura di Capaccio.
Tommaso fu destinato alla formazione letteraria, clericale. Aveva solo cinque o sei anni, quando nel 1230 lasciava la famiglia, il castello nativo, per entrare nel collegio dei monaci. Ciò che oggi pensiamo sia una lacuna, è stato per Tommaso una fortuna. Lungo nove anni si è iniziato nella cultura e la vita dei monaci, insieme ad altri bambini della sua età e della sua classe sociale. Nella scuola ha imparato le lettere, le materie del trivium e del quadrivium. Quando nel 1230 viene trasferito a Napoli prosegue lo studio della filosofia nello Studium di Federico II, la prima Università laica. In questi anni, bambino, adolescente, universitario, Tommaso ha assimilato le fondamenta della cultura del tempo, non solo quella latina, ma anche quella che veniva dall’oriente. molto più ricca nella tradizione greca, ebrea e araba. Tommaso alla fine di questo lungo periodo conosce la Bibbia, e ha assimilato la sintesi della cultura cristiana, si apre alla filosofia di Aristotele e dei pensatori arabi, tradotti in latino nelle scuole di Palermo, di Toledo e di Napoli. La domanda su Dio nasce in Tommaso in questo contesto culturale ben preciso. E’ una domanda radicale, esistenziale, prima vissuta, poi formulata. La domanda su Dio lo ha portato alla scelta fondamentale della sua vita, quella della vocazione domenicana, che ha difeso con tanto coraggio di fronte ai fratelli, ai genitori, agli stessi benedettini. La sua vocazione domenicana è frutto di questa appassionata ricerca di Dio. Il carisma domenicano lo libera del lavoro manuale, ma le impone un grave dovere, quello dello studio, della ricerca, del lavoro intellettuale, della predicazione che è esercizio profetico dell’annunzio della salvezza . Questa prima tappa della formazione di Tommaso, dai 5 ai 19 anni, è quella dell’interrogazione, non della risposta. Nessuna delle domande che egli ha fatto nella scuola era per lui tanto importante quanto lo era questa: Dic mihi, quid est Deus?. La domanda, come tale, è costitutiva della vita intellettuale. Da una parte indica ignoranza, ma dall’altra implica una certa conoscenza. Si domanda proprio per conoscere meglio quello che si sa di ignorare. Non si cerca se non ciò che in parte già si è trovato quando si inizia la ricerca. Senza dubbio Tommaso ha ascoltato le risposte dei monaci, ma nessuna le ha soddisfatto del tutto, e lo lasciano ancora con più fame e sete di Dio. Egli, come il poeta, cerca l’incontro con Dio, al di la delle risposte. Nessun mediatore è sufficiente: “no saben decirme lo que quiero”.
Un secondo momento dell’itinerario di Tommaso è quello della ricerca intellettuale, della risposta della mente. Tommaso ha avuto gran fiducia nella capacità della mente per la verità. L’uomo si distingue delle altre creature per questa sua condizione di intelligente. L’intelligenza richiede l’esercizio, lo sviluppo, gli abiti intellettivi, l’assimilazione personale del problema e la risposta esatta. Agostino confessa che egli è arrivato a un punto, nel quale si era fatto una enorme confusione, magna questio; quid sum ergo, Deus meus?—Tommaso non è diventato problema per se stesso, il suo problema è Dio. Dieci anni più tardi, circa il 1254, dopo che ha ascoltato i maestri, e ha ricevuto il primo titolo della carriera verso il magistero, egli propone la sua intuizione giovanile, che in fondo è una risposta alla questione su Dio. La espone in un piccolo scritto, che lo dedica ai suoi confratelli, e lo titola De ente et essentia. E’ una risposta trasparente, lucida, nuova. La risposta su Dio implica
tutto il processo della vita intellettuale. Tommaso non nasconde le fonti, lascia parlare ai filosofi che sono in grado de adoperare il linguaggio della ragione umana. Tutto il sapere si concentra nella questione dell’ente. Ma l’ente dice un rapporto all’essere e alla essenza. Ciò che conosciamo sono le essenze delle cose, composte e semplici, sostanze e accidenti. Il modo normale di conoscere è un processo che va dalle cose sensibili alle intelligibili, dalla composte alle semplici. Così egli scopre la scala che porta dai corpi agli spiriti, e dagli enti all’essere. L’intelligenza umana ha l’ente come oggetto. Nell’ente scopre le due sfere del reale, quella della potenza e quella dell’atto, e tra gli atti, nell’alto della scala, si trova, come causa e principio, il puro essere, ciò che egli chiama ipsum esse subsistens. Dio è l’essere, la pienezza della realtà: uno, vero, buono, bello. E dall’alto di questa scala degli enti è possibile la discesa, per la via della partecipazione, entra nella via della molteplicità nella misura che si trovano nuove potenze che ricevono l’atto di essere. Il grado più basso è la materia prima, la pura potenza, capace di tutte le forme, la realtà più lontana da Dio. Tommaso alla ricerca di Dio con il primo strumento affidato all’uomo, è arrivato a dare la sua prima risposta, quella della natura, dell’intelligenza, della mente umana che è aperta alla totalità, e perciò è capax Dei, come le piace a Agostino. Il Tommaso giovane raccoglie in questa risposta tutti i contributi dei filosofi sia degli aristotelici, che dei neoplatonici. Avicenna è stato per Tommaso un grande aiuto nella metafisica che arriva a Dio e tiene conto della creazione, nella quale l’atto di essere procede solo dall’essere che è Dio. In questa ricerca Tommaso resta soddisfatto quando avverte che è proprio questa verità su Dio, come essere, quella che Dio stesso ha rivelato a Mosé: e la chiama la sublimis veritas.
Un terzo approccio nella ricerca di Dio è quello che Tommaso fa come maestro di teologia. Egli ha presso sul serio il suo ufficio di maestro, e dall’inizio si propone percorrere l’itinerario nel quale si risponde veramente alla questione su Dio. Nel principio della Summa contra Gentiles ci lascia una finestra aperta verso l’interno di Tommaso teologo, colui che vuole parlare solo di Dio. Ha scelto l’ufficio del “sapiente”, che ordina e giudica . Il suo compito e proporre la verità che professa la fede cattolica, e questo in un modo integrale, cioè non solo con le parole, ma anche con tutti gli altri modi umani de locuzione, con la stessa vita, con le opere. Parlare di Dio e non tacere di Dio. Solo Dio parla bene di se stesso, ma parla agli uomini, mediante i due libri che ha scritto con il suo dito: la natura e la scrittura. Di Dio parlano tutte le creature, e bisogna ascoltare questo linguaggio: ignorare le creature è ignorare Dio. La sacra dottrina che il teologo deve proporre o porta a parlare sempre di Dio, o in se stesso, o come principio e fine di tutto. Due questioni deve proporre su Dio, l’esistenza, e l’essenza. La prima è più facile, e si fa percorrendo il cammino dell’ente, partendo dei fatti di esperienza e salendo nella scala con la base del principio di causalità, percorrendo cinque vie, al termine delle quali si arriva al principio che chiamiamo Dio . Siamo davanti a Dio, ma ancora resta la domanda radicale: Dic mihi, quid est Deus?Il teologo propone la questione dell’essenza, e si trova tra due poli: Dio è mistero, e Dio si rivela e manifesta all’uomo. E deve conciliare tutte le due cose, che sono vere. Come fare? Tommaso
percorre questa via della risposta: si comincia per la via negativa, poiché diciamo più facilmente cosa non è Dio, ed è un modo di approccio; passiamo poi alla via positiva, e abbiamo due modi di salire fino a Dio: uno, nell’analisi delle perfezioni degli enti che sono partecipate e quindi si trovano in Dio in un modo originario, causativo; altro nella la via dell’eminenza, Deus sempre maior. Così è possibile conciliare due affermazioni in contrasto, che nessuno ha visto Dio (Gv, 1, 18) e che “vedremo Dio faccia a facia, come egli è” (I,Cor, 13,12). Solo Dio comprende totalmente se stesso.Per noi e per tutte le creature Dio resta un mistero da adorare. E così nella misura che conosciamo Dio lo possiamo nominare. Tommaso, come Dionigi, ha meditato a lungo sui nomi di Dio, quello rivelato a Mosè “Io sono” (Ex, 3,14), che è sacro e va sempre rispettato, e quello che indica l’essenza in quanto principio e fine di tutte le cose, appunto Dio. Questo ci da una certa comprensione e non si oppone al mistero che importa sempre Dio.
Ma al teologo resta una via più accessibile per parlare di Dio, è la via principale in quanto è lui che si é presentato così: Io sono la via (Gv, 14, 6). Nella sua scuola Tommaso proponeva così la questione: se uno studente conoscesse che vi è un libro nel quale si contiene tutto il sapere , lo cercherebbe subito e si metterebbe allo studio di quel tesoro così grande. Noi siamo in questa situazione: tutto il nostro sapere su Dio è veramente contenuto in un libro che possiamo acquistare: questo libro e Gesù Cristo, nel quale il vero Dio si rivela agli uomini. Tommaso ha dedicato a questa via l’ultima parte della Summa, nella quale tratta di Cristo, qui secundum quod homo, via est nobis tendendi in Deum . Tommaso ha cercato lungo tutta la sua vita la risposta adeguata alla domanda su Dio. In realtà il suo discorso abbraccia la totalità, ma sempre dal suo punto di vista formale, parla di Dio, e parla all’intelligenza umana. Vi è un luogo che concentra tutto il discorso su Dio e sull’uomo,questo è il commento al salmo 8, che in principio è una interrogazione sull’uomo. Ma in fondo si tratta della comprensione dell’uomo davanti a Dio. E’ Dio che ha fatto cose grandi, e la più grande nel cosmo è propriamente l’uomo. Distingue con Boezio due categorie di uomini: i semplici del popolo, e i dotti. Di sé i dotti sono in grado di conoscere Dio più e meglio che i semplici. Ma talvolta succede il contrario, quando i dotti sono deviati dagli errori. In questi casi sono i semplici che hanno il giusto rapporto con Dio al quale si dirigono per un certo istinto infallibile, mentre i dotti deviati dicono con lo stolto che Dio non c’è. Il salmo paragona il mondo universo e l’uomo. In quantità l’universo, opera delle dita di Dio, eccede l’uomo che diventa parva res. Ma davanti a Dio l’uomo ha più valore dell’immenso universo: Dio lo visita, ha cura di lui, lo ha fatto un po’ minore degli angeli e lo ha coronato di gloria, dei doni, per conferirle il dominio del mondo. Il rapporto giusto dell’uomo è cooperare con Dio portando il mondo al suo destino di rendere gloria a Dio. Il salmo parla dell’uomo in pienezza quale si realizza in Cristo . Tommaso era un uomo alla ricerca di Dio. Il suo itinerario dura tutta la sua vita e le conferisce una splendida unità. Se nell’inizio fa una domanda che perdura lungo l’itinerario, se nel mezzo egli ascolta la voce di Cristo che lo incoraggia a proseguire: Bene scripsisti de me, Thoma!, alla fine ha la sensazione che le resta
tanto per la risposta, che tutto è ancora paglia non grano. Qui cerca trova. Tommaso non è solo il teologo della pura domanda, come lo è dalla pura ricerca, ma si converte nel teologo della risposta su Dio, per tutti quanti lo cercano.
III. Facciamo l’uomo
L’ingresso nel III millennio è allo stesso tempo per noi grazia e impegno responsabile. Sulle nostre spalle , come nuovi Atlanti, gravita tutto il peso del passato cristiano, e alla nostra mente e alle nostri mani viene affidata la costruzione del futuro. In questo versante risuonano con tutta la sua forza le parole originarie del principio dell’umanità: Facciamo l’uomo (Gen, l,26). Questo imperativo al plurale ha due sensi complementari, da una parte l’invito di Dio ad ogni singolo uomo alla collaborazione con lui, creatore dell’uomo, senza la quale l’uomo non raggiunge la sua misura, e d’altra l’invito a tutti gli uomini a portare avanti questo compito in quanto comunità e famiglia umana dalla quale nessuno può sentirsi escluso. In questo senso il Papa invita alla collaborazione in vista al nuovo umanesimo cristiano, Salviamo l’uomo. Salviamolo tutti insieme”. L’esempio di Tommaso ci incoraggia a mettere ben saldi i fondamenti in questa costruzione, come saggi architetti, in parole di S. Paolo (1 Cor, 3,10), come uomini prudenti che edificano la casa sulla roccia (Mt.7,24-27). Mediante questa collaborazione al plurale, con Dio e con gli uomini nuovi, tutti diventiamo una “edificazione di Dio” (1 Cor, 3,9), costruttori dell’uomo, della casa e della città (Sal. 126.1 ). La costruzione della casa, nella moderna architettura può iniziare dall’alto, dalle stanze superiori. In realtà anche l’uomo comincia dall’alto. Mentre l’anima, forma della materia, non viene creata da Dio e infusa nel corpo organizzato, non vi è l’uomo, essere personale. All’inizio del trattato De Anima, Aristotele fa un paragone tra l’uomo e l’albero, la bocca dell’uomo è come le radici dell’albero. Quest’immagine si è sviluppata nel medio evo. L’uomo è un certo albero, ma con le radici in su. Alberto Magno prega in questo modo: “Insegnami, Signore, a inserire la radici del mio albero nel cielo e non nella terra…”. La biologia attuale ha scoperto come l’uomo inizia la sua esistenza e porta avanti lo sviluppo , come architetto di se stesso, partendo della testa, del sistema neurovegetativo, con ammirabile precisione, e edificando allo stesso tempo la corporeità e la propria casa, a spesse del seno materno nel quale è ospite. Tommaso ha conosciuto questi processi, e ha meditato a lungo sulla embriologia umana, la prima formazione dell’uomo, affidata alla natura. Ma ci ha aperto un’altra via, che porta a compimento quanto fa la natura, e questo è il compito della famiglia. I genitori non solo sono chiamati alla cooperazione con Dio nella generazione dei figli. Il figlio non è una copia dei genitori, è una persona ben distinta di loro. Aristotele lo aveva detto chiaro e tondo: “Socrate non genera altro Socrate, ma un altro uomo”. Tommaso va oltre. Se la natura basta con i suoi processi, come opera di Dio, nella generazione del figlio nell’utero materno, lascia ai genitori la cura del nuovo essere umano, affinché possa acquistare la perfezione umana. Compito della famiglia è l’educazione e la promozione dei figli. L’uomo è un essere educabile, un essere che non si accontenta con ciò che riceve della natura, ma viene conformato dalla cultura. Questa è la nobiltà del compito della famiglia .
Il processo dell’arte educativa deve essere simile al processo naturale, ars imitatur naturam in quantum potest. Tommaso parla, con immagine plastica, della famiglia come utero spirituale. Su questi presupposti se basa la costruzione del nuovo umanesimo, degli uomini nuovi per il terzo millennio. La chiesa percorre la via dell’uomo. Anche essa è una famiglia il cui compito è costruttivo, edificante, in quanto inviata al mondo ad insegnare e fare possibile la salvezza dell’uomo in Cristo (Mt, 28,16).
Il primo e insostituibile fondamento dell’uomo è Dio. L’uomo si rinnova e trova la risposta alla sua vocazione nella misura nella quale si rapporta con Dio. Malraux aveva detto, che l’uomo del prossimo secolo ò sarà religioso o non ci sarà affatto. Tommaso è andato molto più oltre nel mostrare quale sia la via dell’uomo che porta alla nuova umanità. L’uomo, nella sua profonda struttura è vocazione, è un essere in rapporto a Dio, cioè teologale, teotropico, religato con Dio come principio e fine. Questa sua condizione deve essere il fondamento del nuovo umanesimo cristiano, già in parte attuato, ma ancora da attuare nella maggior parte degli uomini fino ad arrivare a tutti in tutto il mondo. L’uomo è un essere davanti a Dio, capace di Dio, da cui viene e a cui tende. Ma essendo per natura libero, può prendere una delle tre posizioni, teista, ateo, agnostico. Tommaso ci guida a superare l’agnosticismo, a evitare l’ateismo, a costruire l’uomo integrale che conosce e ama Dio, quale si manifesta in Gesù Cristo. Nelle attuali circostanze dell’inizio del terzo millennio, il nuovo umanesimo cristiano implica tre grandi compiti: il ricupero della trascendenza, la concezione dell’uomo nella sua integralità, la conformazione con Cristo, uomo in pienezza, perfetta immagine di Dio. L’orizzonte che si apre davanti a noi è affascinante, ed è decisivo per la sorte dell’uomo lungo questo nuovo millennio cristiano. Percorrere queste vie richiede tempus et oleum. Qui dobbiamo accontentarci con indicare le vie , lasciando il percorso sotto la guida di Tommaso. Il ricupero della trascendenza è un compito assai arduo. Il discepolo di Tommaso sa quale sia il suo più qualificato contributo alla cultura filosofica di occidente: la scoperta della trascendenza dell’atto di essere. Questo non era possibile senza i passi precedenti, che lo stesso Tommaso enumera. Nella via di accesso alla trascendenza, l’uomo ha percorso la salita paulatim et pedetentim in tre momenti: il livello fisico dei corpi, il livello dell’ente come sostanza, il livello dell’atto di essere e l’origine dell’ente, non soltanto nel suo atto di esistere, ma dello esse come atto puro. Anche se Tommaso attribuisce questo terzo passo ai grandi pensatori della filosofia greca, Platone e Aristotele, è ben chiaro che questo passo definitivo, è lui, Tommaso d’Aquino, che lo ha fatto per primo nella storia. Ma le conquiste culturali non hanno la stabilità delle montagne, rischiano la dimenticanza nel corso della storia, e sono soggette alla scomparsa nell’oblio. E’ molto significativo che questo contributo di Tommaso no sia conosciuto da tutti i discepoli, a abbia un certo “offuscamento” nella storia. Il fatto grave è accaduto nel pensiero moderno, che inizia con la proclamazione kantiana del principio d’immanenza, e nega la possibilità della metafisica. L’oblio dell’essere cambia la faccia della cultura. Il problema dell’essere lascia il posto a quello del conoscere, per passare presto a quello del
parlare o del linguaggio. Gli ostacoli alla trascendenza sono oggi quelli del materialismo,l’edonismo, l’estetismo. Dio è assente, e l’uomo viene lasciato in preda alla sola fenomenologia, alla scienze empiriche,all’immanenza. Quantum mutatus ab illo. Senza il ricupero della trascendenza non sarà compito facile trovare la roccia come fondamento per la nuova antropologia. Dio si è allontanato dall’orizzonte della modernità. Il primo compito della nostra impressa di andare verso l’uomo è quello chiamato “removens prohibens”, togliere di mezzo gli ostacoli. L’uomo moderno ha delle grosse difficoltà per farlo. Sembra l’antico Sisifo condannato a spingere la pietra fino al vertice della montagna, con enorme fatica, e quando le sembra di aver raggiunto la meta, la pietra rottola veloce per la pendice e ritorna nel profondo, mentre Sisifo è dannato a cominciare di nuovo la infinita e inutile fatica.
Non meno laboriosa appare la fatica della scoperta della verità tutta intera sull’uomo. Dopo Kant l’uomo è diventato la questione radicale del pensiero, quasi l’unica perché quella del mondo è lasciata alla scienza, quella invece di Dio, è lasciata da parte, agli agnostici o agli atei. La tappe di questa nuova prospettiva sull’uomo sono due, quella iniziata da Kant, e quella cercata da Max Scheler. In realtà non è sorta una antropologia, ma la cultura odierna si trova in mezzo al bosco delle antropologie, la maggior parte in conflitto tra di loro; mentre alcune sono prodotto delle scienze dell’uomo, altre procedono dalla prospettive dei filosofi, e sono anche molte proposte dai teologi . In verità, come erano sorte un tempo, partendo dal albero aristotelico tante psicologie senza anima, così possiamo oggi trovare le cosiddette antropologie senza l’uomo. In questa situazione babelica, è necessario come seconda tappa del pensiero verso il nuovo umanesimo, percorrere le vie che conducono alla verità integrale sull’uomo. Quali sono? In una sintesi attenta all’essenziale, sotto la guida di Tommaso che scopre le cinque vie che partono dalla umana esperienza e arrivano a Dio, io ho proposto cinque sentieri da percorrere verso, la antropologia del futuro dell’uomo. L’uomo deve essere visto nel suo essere da cinque prospettive complementare: cioè, integrale, personale, relazionale, culturale, teologale.
Inoltre il nuovo umanesimo per il terzo millennio è quello cristiano. E’ questo l’umanesimo proposto e sviluppato da Tommaso. Da teologo cristiano, che decide parlare di Dio e poi di tutte le altre cose in ordine a Dio, ci ha lasciato un programma di grande portata. L’uomo nuovo deve esse l’uomo che si conforma con l’uomo tale quale è nel progetto di Dio e si verifica nell’uomo creato da Dio, e molto meglio ancora in Gesù Cristo, uomo-Dio. Questo uomo nuovo richiede attenzione ai tre momenti, inizio, processo e modello. L’inizio si trova nell’opera trinitaria, che per primo ama e progetta l’uomo dall’eternità. Tomaso vede l’uomo nella sua origine come un progetto di Dio. Prima di essere oggetto, e proprio per farlo soggetto,l’uomo ha sue radici nel progetto divino. Dio amore, genera il figlio, e dall’eternità progetta l’uomo. Questo progetto sta nell’origine della nuova umanità. Il processo della realizzazione dell’uomo nella dottrina di San Tommaso implica le due grande tappe
della salvezza, quella dell’exitus, e quella del reditus. L’uomo è creato da Dio per amore, e messo nel mondo come immagine sua, personale e famigliare, vincolo tra lo spirito e la materia, anello nella scala degli enti, l’infimo degli spiriti, e il vertice dei corpi. La sua grande dignità nell’essere si sviluppa nel divenire, nell’itinerario della libertà che il cammino dell’uomo verso Dio, un lungo itinerario dove la natura, le potenze, gli abiti, la grazia e l’ordine sopranaturale delle virtù e dei vizi, della carità e dei carismi, fa possibile la pienezza dell’umanità. Ma questo itinerario ascendente ha un modello, una via che deve essere accolta, l’incontro con Gesù Cristo, il Dio fatto uomo, affinché tutti gli uomini possano essere conformi con lui. Sequela, imitazione e conformità con Cristo, sono il vero cammino per il nuovo umanesimo. Tommaso l’amico di Cristo, il teologo dei misteri di Cristo come via di salvezza, indica questa via della conformazione come il grande itinerario del nuovo umanesimo. Il nuovo umanesimo, sotto la guida di Tommaso, è possibile nel III millennio nella misura di realizzazione di questo triple itinerario. La povera situazione attuale ancora con le sequele del eclisse di Dio, deve lasciar passo alla novità cristiana, e alla presenza di Dio tra gli uomini, non solo nel modo radicale della presenza, essenza e potenza, se non anche nel modo trasfigurante della conformazione di ciascuno degli umani con l’uomo, immagine di Dio, Gesù Cristo. L’ateismo superficiale e falso, lascia il posto all’uomo cristiano, religioso, che contempla il volto di Dio nell’uomo.
http://www.ministridimisericordia.org/

Nessun commento:

Posta un commento