DON ANTONIO

venerdì 11 novembre 2011

SUL PROBLEMA DELLA SOFFERENZA dalla Parrocchia Madonna del Buon Consiglio della Opera don Orione ,tel. 0131 –44 33 69

Siamo abituati recitare nel Credo: "(Gesù) fu concepito di Spirito santo, nacque da Maria vergine, patì sotto Ponzio Pilato...". Due accostamenti inverosimili. La Madre che ha dato la vita a Gesù, accomunata all’uomo che ne ha decretato la morte. “Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. (Maria) diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo”. (Lc 2,6-7). Pilato, alla folla: "Non sono responsabile, disse, di questo sangue; vedetevela voi!". E tutto il popolo rispose: "II suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli". Allora rilasciò loro Barabba e, dopo avere fatto flagellare Gesù, lo consegnò ai soldati, perché fosse crocifisso. (Mt 27,24-26). Gesù, "pur essendo di condizione divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e diventando simile agli uomini... " (Fil 2,6 s). Gesù si fa simile ai più piccoli, ai più poveri, come loro è buttato in mezzo ad una strada di Betlemme, è deportato lontano da Nazaret.
“PREDICHIAMO CRISTO CROCIFISSO”
S. Paolo non ha paura di affrontare il tema a modo suo: “Vi ho trasmesso, fratelli, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture" (1 Cor.15,1 ss).
"È RISUSCITATO... ".
La vita di sofferenza di Cristo è inseparabile dalla sua glorificazione. “Io ritengo, che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura, che dovrà essere rivelata in noi. La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità — non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa e nutre la speranza d'essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene, infatti che tutta la creazione geme e soffre fino a oggi nelle doglie del parto. (Rm 8,18-22) "La croce non avrebbe senso alcuno, se fosse la croce d'un Dio morto. Non è una bara. La risurrezione: ecco il frutto di quest'albero di vita che è la croce. Albero della conoscenza di Dio, la croce ci ha permesso di conoscere Dio fino in fondo, di sapere fin dove andava Dio: fino alla risurrezione. Non possiamo separare croce e risurrezione" (P. Talec).Siamo costretti a parlare prima della croce, e poi della risurrezione. Non è facile guardare contemporaneamente il dritto e il rovescio di un'unica medaglia. Dobbiamo stare attenti a non costruirci una teologia o una pietà della croce, dimenticando che esiste la gloria; oppure una teologia o una pietà della gloria, dimenticando che esiste la croce. La tentazione di dimenticare la croce non è di oggi. Già san Paolo se ne lamentava: "Perché molti, ve lo ho già detto più volte e ora con le lacrime agli occhi ve lo ripeto, si comportano da nemici della croce di Cristo: la perdizione però sarà la loro fine, perché essi, che hanno come dio il loro ventre, si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi, tutti intenti alle cose della terra" (Fil 3,18 s). E questo vale anche in questa nostra società di consumo, in cui astenersi da qualche cosa sembra un comportamento da imbecilli. "Non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro". Gesù dice: "Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perchè chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà" (Mt 16,24 s). Per un battezzato queste parole non possono suonare a vuoto: "O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte?" (Rm 6,3). "Non sapete...?". Oh sì, quasi tutti i battezzati praticamente lo ignorano. Pietro disse: "Signore, con te sono pronto ad andare in prigione e alla morte". Gli rispose: "Pietro, io ti dico: non canterà oggi il gallo prima che tu per tre volte avrai negato di conoscermi". (Lc 22,33-34) Pietro è "pronto a tutto", a parole, anche se sincere; pronto perfino a dare la propria vita! È pronto a tutto Pietro... eccetto a quanto accade in quel momento .
"...LA CROCE, SCANDALO, FOLLIA..."
La croce, quella di Cristo come quella di ogni condannato, è uno scandalo. Peggio: una maledizione: "Maledetto chi pende dal legno" (Gal 3,13). Cristo non ha cercato la croce! Di fronte alla passione, ha sudato sangue, ha gridato la sua paura, ha supplicato la sua "grazia": "Non questo, Padre!". E tuttavia, per amore grida: "Non la mia volontà, ma la tua volontà sia fatta...". Arrivò allora l'esecuzione: tortura, oltraggi, patibolo, agonia di sangue e d'arsura, e poi la morte. "Patì”! È forse questa la risposta di Dio al mistero della sofferenza degli uomini?
SCANDALO! MALEDIZIONE!
Ogni uomo cozza duramente contro la sofferenza. "Se ci fosse il buon Dio... ". Epicureo: "O Dio vuole sopprimere il male e non può, e allora è impotente... Oppure non vuole e non può, e allora è un “niente”... Oppure può sopprimere il male e non vuole, e allora è malvagio... O, infine, può e vuole, e allora dove è questo Dio e da dove viene il male?...".
QUALE È IL NOSTRO PENSIERO?
Da che mondo è mondo, tutti i filosofi hanno tentato delle spiegazioni: è il loro mestiere. Non le riportiamo per tre ragioni:
Innanzitutto perché la sofferenza, spesso, non conosce limiti. Un ciclone o un terremoto uccidono migliaia di persone; una chiesa crolla su una folla in preghiera .. Un Kamikaze si fa esplodere inmetropolitana. Quale filosofo spiegherà l'orribile, il fatale? Inoltre, perché sembra una cosa piuttosto cinica voler giustificare la sofferenza... degli altri. Per disquisirne, infatti, bisogna godere d'un certo benessere, cosicché coloro che non soffrono, non sanno che farsene dei teorici della sofferenza, mentre chi soffre non li sopporta, e con tutte le ragioni. Infine, perché tutte le spiegazioni vanno in frantumi di fronte allo scandalo d'un bambino che soffre. "Non parlo della sofferenza degli adulti, dice Ivan Karamazov. Costoro hanno mangiato tutti la mela, e che il diavolo se li prenda! Mai bambini, i bambini!... " Una parte enorme della sofferenza terrena, anche dei bambini, è dovuta all'incuria, all'imprudenza, alla malvagità umane: guerre, genocidi, inquinamento dell'aria e del suolo, esplosioni, collisioni, anomalie dei feti... Non dobbiamo cercare una spiegazione: il Creatore ha fatto l'uomo libero e il mondo "galantuomo" (con leggi fisiche ben determinate). Se vi gettate contro un albero a cento all'ora, questo non diventerà per voi un materasso di piume. Però c'è ancora molto male in cui l'uomo non c'entra... C’è sempre un’ultima tragica domanda. Perché a me, perché a mio figlio?
ANCHE CRISTO SI È RIBELLATO
Cristo, il Giusto, non tenta nessuna giustificazione della sofferenza e della morte. Le combatte. È venuto a distruggerle, e le vincerà. La ribellione degli uomini è anche la sua. La sua vita stessa è guarire i malati, risuscitare i morti, lottare per gli umiliati e offesi, perdonare ai peccatori, e da ultimo uccidere la morte. Ai nemici fra di loro, dice: "Perdonatevi"; agli aggressivi: "Amate!". Ne dà l'esempio. Il suo grido di vendetta contro i suoi carnefici è: "Padre, perdona loro... ". Gesù, uscendo un giorno dal tempio, vede un cieco nato: "Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?" (Gv 9,2). I discepoli cercano una spiegazione. Non bisogna cercare delle spiegazioni. Dobbiamo fare qualcosa. Di fronte a ogni sofferenza è possibile fare qualcosa: è doveroso "manifestare le opere di Dio" (Gv 9,3), le opere dell'amore. Su questo punto, verterà anche il giudizio nei confronti del mondo e di noi stessi alla fine dei tempi: “poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. Anch'essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me. (Mt 25,41-45) Per i filosofi il male è un problema. Per Cristo e i cristiani è un nemico, uno scandalo ed esige una protesta, una mobilitazione. Non si spiega il male, lo si combatte! E Gesù apre gli occhi al cieco, anche se è giorno di sabato!
Dio vede la sofferenza inmodo diverso dal nostro.
Inoltre, "prendendo un corpo mortale per fare, o Dio, la tua volontà" (5-7), scegliendo la croce "in cambio della gioia che gli era posta innanzi" (12,2), lui, l'innocente, proclama nella sua carne che soffrire e morire, croce e gioia, per Dio non hanno lo stesso significato che per noi: "La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio... Noi predichiamo Cristo crocifisso... potenza di Dio e sapienza di Dio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini" (1 Cor 1,18 ss). Ammettiamo, dunque, come primo punto fermo che le viste di Dio non sono le nostre. Dio ha una concezione molto positiva della sofferenza al punto tale che accoglie per se stesso il dolore come una strada necessaria. "Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?", spiega Gesù ai discepoli d'Emmaus. E agli apostoli: "In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto" (Gv 12,24). Pertanto, secondo il modo di vedere di Dio e nell'esperienza di Gesù, la passione stessa sfocia nella gloria del Risorto, la morte dà frutto abbondante della redenzione del mondo. E allora, per lui, con lui e in lui, le nostre passioni e le nostre morti saranno necessarie per la nostra stessa gloria e la nostra stessa vita?
È questo il mistero "pasquale", il mistero del "passaggio" da una vita all'altra. “Il principe mi domandò: "che hai da darmi?". Trassi dal mio sacco un chicco di grano e vidi fra le mie dita un granello d'oro... Piansi amaramente pensando: "Avessi avuto il coraggio di dare tutto!". L'angoscia del mio cuore è formata dal peso di tutto quanto non ho dato. (Tagore). Un alpinista che ha aperto con altri sei giovani amici, una nuova via verso la Vetta Lenin, a 7134 metri d'altezza racconta: "Dovemmo affrontare 2200 metri di asperrimo ghiacciaio... Affondavamo nella neve fino ai fianchi, accompagnati da cattivo tempo con la tempesta incombente. Sbavavamo come pazzi... L'altitudine ci fece soffrire negli ultimi 150 metri. A quell'altezza, con zaini pesantissimi, si faceva un passo, e poi ci si fermava per respirare, e poi un altro passo... Raggiungemmo la cima. Quale felicità! Facemmo fotografie, filmini, ci riempimmo gli occhi di quelle bellezze!... Un momento simile, potete immaginarlo, lo si gusta intensamente, lo si è sognato, preparato, voluto per dei mesi. E poi è talmente bello!... A momenti sembra che si crolli, che non ci sia più un'oncia di forza, che sia l'inferno. Si pensa di abbandonare l'impresa. E poi la volontà di continuare vince. Si pungola il proprio corpo, ci si supera per scoprire, dall'alto, la bellezza del mondo. E il premio è immediato. Ritornando si è felici, veramente felici... Il corpo è leggero, dominato. Vi siete ridotti all'estremo, ma ci siete riusciti”
Questa ascensione è la parabola del mistero cristiano, la nostra "pasqua", ossia il nostro "passaggio" verso l'amore, verso Dio, verso la vita, con Gesù Cristo morto e risorto. "Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?". E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.” (Lc 24,26-27) Ciascuno di noi deve conformarsi a Gesù sofferente per essergli eternamente simili nella sua vita e nella sua gloria di Figlio; deve quindi "rinunciare a se stesso", "prendere la propria croce" d'ogni giorno (Lc 9,23) e "seguirlo". "Perchè chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo la salverà" (Mc 8,34 ss).
Abramo dovette sradicarsi dalla sua terra, dalla sua casa, dal suo parentado, per "passare" alla sua vera patria. Il popolo d'Israele dovette abbandonare la carne e le cipolle d'Egitto per "passare" alla terra promessa. Gesù di Nazaret "dovette" "passare" attraverso la morte "per entrare nella sua gloria", per essere "costituito Figlio di Dio con potenza... mediante la risurrezione dai morti" (Rm 1,4). Questa "potenza" di Gesù risorto è quella del chicco di grano che rinasce in una messe copiosa, perché è stato gettato nella terra per morirvi. Gesù di Nazaret, accettando di morire, non "rimane il solo" figlio di Dio, ma risuscita come "moltitudine", in milioni e miliardi d'uomini; li afferra con la "sua piena potenza di Figlio di Dio", li trasforma in figli "perché egli sia il primogenito fra molti fratelli" (Rm 8,29). Che oseremo allora dire della sofferenza dei bambini? Ecco, solo questo: essa entra certamente nella condizione generale dell'umanità solidale che, insieme, porta nel suo corpo "la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo" (2 Cor 4,10). Sofferenza, morte: non ci sono altri "passaggi" alla vita.
VIVERE È AMARE;AMARE È MORIRE
Per Dio vivere è amare. E amare significa uscire da se stessi, dimenticarsi, sacrificarsi, cancellarsi, negarsi, per gli altri. La morte, quindi, che rappresenta l'annullamento completo di sé, se è accettata, è il vertice dell'amore. La morte per gli altri è la sola testimonianza irrefutabile d'un amore senza egoismo. Così Dio muore per amore verso gli uomini. Così l'uomo è chiamato a morire per amore verso Dio e verso i fratelli. Non c'è "amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici" (Gv 15,13). Sfortunatamente, però, il nostro amore non è infinito! Tutt'altro. Non è nemmeno puro, perché nessuno può amare, senza che ami anche se stesso proprio nel momento in cui ama l'altro! Grazie a Dio, la croce ci è offerta come un fuoco purificatore: "La sofferenza è il solo mezzo per la nostra purificazione, il mezzo cui non possiamo sottrarci per ridurre in noi stessi l'egoismo e generarvi l'amore. L'amore s'acquisisce solo attraverso la croce... È necessario che in noi sia consumato, quanto deve essere distrutto, affinchè Dio possa regnare da signore assoluto... La sofferenza non è qualcosa d'accidentale, un ulteriore peso fastidioso che s'aggiunge sulle nostre spalle, ma è la via" (Yves de Montcheuil). In questo modo, per il credente, la sofferenza non è assolutamente un'assenza di Dio, ma una presenza d'amore: "Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo... Ogni tralcio che in me porta frutto, lo pota, perché porti più frutto" (Gv 15,1 s). Come nessuno ama Dio senza soffrire, così nessuno vede Dio senza morire. Nulla gli si riferisce che non sia risorto; infatti nessuna volontà è buona, se non è uscita da sé per lasciare tutto lo spazio all'invasione di quella di Dio. (Maurice Blondel) Se la sofferenza è un mistero, anche l'amore è un mistero, e più grande . .. Chi può rifiutare l'amore?

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