DON ANTONIO

domenica 13 novembre 2011

SPIRITUALITA’ DELLA CROCE…Centro Studi “Edith Stein” di Lanciano

Essere figli di Dio significa procedere mano nella mano con Dio, fare la volontà del Padre, non la propria, riporre nelle mani di Dio tutti gli affanni e tutte le speranze, non preoccuparsi più di sé e del proprio futuro. Ecco su che riposano la libertà e la letizia dei figli di Dio. Quanti pochi sono, anche tra gli uomini di autentica pietà, anche tra quelli che si sanno sacrificare eroicamente, coloro che le possiedono! Vanno sempre come piegati sotto il peso opprimente dei loro affanni, dei loro doveri. Conosciamo tutti la metafora degli uccelli del cielo e dei gigli del campo. Ma quando si incontra un uomo che non ha un patrimonio, né pensione, né assicurazione, e che tuttavia vive senza preoccuparsi del suo futuro, allora si scuote il capo come su qualcosa di anormale. Certo chi si attendesse dal Padre celeste che gli dia sempre a suo tempo quel reddito e quel sostentamento che lui ritiene auspicabili, avrebbe potuto far male i propri conti. Non a queste condizioni si stipula un patto con Dio. Vivere nell’inconcussa fiducia nel Signore si può solo quando questa comprenda la disponibilità ad accettare dalla mano del Signore qualsiasi cosa. Egli solo sa, cosa ci giovi. E se venisse il tempo in cui il bisogno e la privazione fossero più convenienti di una condizione agiata e sicura, o l’insuccesso e l’umiliazione fossero migliori dell’onore e della considerazione, allora si dovrà essere pronti anche per quello. Se si procede così, allora si può vivere, sgravati dal futuro, dal presente. Il “Fiat volutas tua!” nella sua piena dimensione deve essere la norma di una vita cristiana. Deve regolare il corso della giornata da mane a sera, e il dipanarsi dell’anno, e la vita tutta. Diviene allora anche l’unica preoccupazione del cristiano. Tutte le altre le si è gettate sul Signore, ed egli le ha prese su di sé…Chi appartiene a Cristo deve vivere fino in fondo tutta la vita di Cristo. Deve crescere sino alla maturità di Cristo, deve intraprendere la Via Crucis, deve passare per il Getsemani e il Golgota.
(Edith Stein, Il mistero del Natale
Ci piace accostare questo splendido passo d Edith Stein con una serie di variazioni sul tema, al di là di ogni sforzo esegetico, ma con fedeltà allo spirito di un testo da cui traspare un’esperienza vissuta, una fede che rompe con la prosaicità delle convenzioni sociali, di cui si alimenta il mito del buon cittadino, dell’uomo onesto, ligio ai propri doveri. Una fede dunque che non decade a strumento per “vivere tranquilli e attraversare felicemente il mondo” (Kierkegaard). Si gioca al cristianesimo: esercizio ludico particolarmente frequente in occasione di alcune festività. Gioco che viene messo da parte quando entrano in scena i presunti problemi reali della vita: assicurarsi un futuro agiato, economicamente garantito, ricco di successi e riconoscimenti. Affidarsi a Dio, senza preoccupazioni per un domani che non ci appartiene, nella consapevolezza che i progetti umani non coincidono, anzi quasi sempre confliggono, con il progetto di Dio. Sia fatta la volontà del Signore: metro di valutazione e criterio ispiratore di ogni azione quotidiana, orizzonte unico di riferimento del proprio essere nel mondo. Gesù Cristo, centro unico dell’esistenza. “In obsequio Jesu Christi vivere”: una sequela che comporta necessariamente sofferenza, che si fa più acuta laddove il nostro sogno di un mondo intriso di amore e misericordia si infrange sugli scogli del dolore delle vittime e degli innocenti, del trionfo della malvagità. Deus absconditus. Notte oscura, dove ci assale l’angoscia, la tentazione della disperazione, della ribellione. Notte che ci libera dai nostri pregiudizi, dall’immagine di un Dio garante dell’ordine borghese e delle piccole aspirazioni umane. La strada del Calvario continua a marcare il corso della storia: oppressione, miseria, ingiustizia, fame, sofferenza. Ed il cristiano è chiamato a battere questa strada dolorosa con lo sguardo rivolto al Cristo crocifisso. Amico “della passione di Cristo”, crocifisso “interiormente ed esteriormente con Cristo” (S. Giovanni della Croce).
“Gesù crocifisso sia il vostro specchio e la croce il vostro riposo” (s. Maria Maddalena de’ Pazzi). “Un impegno dentro le vicende terrene proiettato verso ‘cieli nuovi e terra nuova’, dentro il qui ed ora della storia, con tutti i suoi conflitti tarlati dal peccato” (D. Buggert).
Un impegno nutrito di preghiera, di contemplazione. Di infinita fiducia in un Dio che non abbandona l’uomo, nonostante le sue infedeltà, i suoi tradimenti, i suoi peccati. Di consegna all’amore di Dio. Di partecipazione alla passione di Cristo: avvenimento cruciale nella storia della salvezza, a partire da cui dare un senso alla sofferenza e alla morte.
“Non c’è vita umana senza sofferenza, non c’è vita umana senza morte. La scelta per noi non è tra una vita in cui c’è sofferenza e una vita senza sofferenza; la scelta è tra una vita in cui cerchiamo di portare e di combattere da soli la sofferenza – e così ci schiaccia -, o una vita in cui la sofferenza nostra è affidata alla Croce di Cristo, vissuta in unione con Lui, sofferenza, questa, reale, ma vittoriosa e feconda. Dio è tanto buono e tanto potente da usare anche la lacerazione e la stortura del male per realizzare qualcosa di più bello, di più perfetto ancora”.(M. Paolinelli)
Camminare ora sulle orme di Cristo, abbracciando la sua croce. “Oggi dietro le sue orme, dobbiamo fare nostra la solidarietà nell’amore con i poveri. Nella partecipazione ai processi storici di liberazione dei poveri-crocifissi della terra è presente la croce di Gesù Cristo” (J. Lois).
Ove manchi questa partecipazione la spiritualità della croce rischia di trasformarsi “in stoicismo, masochismo o, peggio ancora, in alibi per non ripercorrere la via della croce, illudendosi di trovarsi già in essa” (J. Sobrino). La follia della croce che ci apre allo stupore al di là della fredda logica della ragione e “noi, cristiani, abbiamo cessato forse di stupirci: una lunga tradizione degenerata in routine, ha ammantato e addomesticato il mistero che abita pacificamente le nostre strade e le nostre case. Questo segno, sul ciglio della strada, troppo spesso non ci inquieta. Fa parte dei nostri oggetti familiari. Bisognerebbe che ridiventasse il ‘tremendum’ e il ‘fascinosum’ della nostra fede” (S. Breton).
Ed è qui – nella croce di Cristo- che si colloca la rivoluzione di cui ha tanto bisogno un’umanità pietrificata dall’odio e devastata dalla violenza.

Amedeo Guerriere ocds
(Il Castello dell'anima, 31.03.04)

AVE CRUX SPES UNICA!
Dobbiamo riconoscere che il mondo occidentale vive nel benessere: il sogno illuministico di un progresso, coinvolgente un’umanità asservita alla ragione strumentale, si è realizzato. L’uomo borghese della nostra società può dirsi fiero di aver guadagnato quel tipo di libertà legata ad uno stile di vita funzionale al successo, all’accumulazione di ricchezze, all’ostentazione dei propri possedimenti. Il trionfo della tecnologia ci viene propinato attraverso slogan inneggianti all’intelligenza umana sviluppata massimamente dalle continue innovazioni tecnologiche. Eppure si assiste, inoperativi, ad un degrado subdolo ed inesorabile della coscienza.
“Il mondo è in fiamme” ammonisce E. Stein, avvilito dalle miserie accumulate dall’uomo che pone un’illimitata fiducia nel suo volere e nelle sue capacità, ma che è costretto a convivere con i massacri provocati dal suo delirio di onnipotenza. “Lo spettacolo del mondo in cui viviamo – le sciagure e la miseria e l’abisso della malvagità umana, - è sempre lì ad offuscare l’esultanza per la vittoria della luce. L’umanità combatte ancora con una marea di fango, ed è pur sempre un piccolo gregge che si è posto in salvo sulle cime più elevate dei monti”. Il mondo occidentale vive nel benessere materiale, ma nella povertà più atroce della propria anima: non vede i propri limiti, non riconosce le sue mancanze e le sue colpe contro l’altro essere umano, non guarda alle necessità dei “meno fortunati”..
Come operare per un “riscatto” dell’umanità? Su cosa porre fiducia per intraprendere un cammino di riconquista del senso della vita? Quale il mezzo per donare al mondo la liberazione dalle schiavitù autocostruite?
Noi affermiamo con convinzione, insieme ad E. Stein, che “la prima delle armi è la croce”! “Il mondo è in fiamme: desideri spegnerle? Contempla la Croce: dal Cuore aperto sgorga il sangue del Redentore, sangue capace di spegnere anche le fiamme dell’inferno…Rendi il tuo cuore libero e aperto; allora si potranno riversare in esso i flutti dell’amore divino, sì da farlo traboccare e renderlo fecondo fino ai confini della terra”.
Il carico di degenerazione, di peccato, di miseria, di dolore dell’essere umano di ogni tempo è sulla Croce portata da Cristo lungo la via che da Betlemme conduce al monte Calvario: “strappare via dal mondo tutto questo peso che opprime: questo è il senso della Via Crucis”.
Siamo abituati a pensare alla pratica devozionale che in Quaresima si ripete ogni venerdì nelle nostre parrocchie e vi partecipiamo il più delle volte con spirito contrito di chi ripensa alle sofferenze patite dal Figlio di Dio. E. Stein ci propina un percorso più personale: lungo la via crucis Cristo non è solo nel suo cammino di sofferenza, coinvolge nel suo atto di amore ogni essere umano intimamente unito a Lui: “attorno a lui non ci sono soltanto i nemici che lo sospingono: c’è anche chi gli è vicino da amico. Come modello dei seguaci della croce di ogni tempo, c’è la Madre di Dio; come tipo di coloro che si assumono il carico di una sofferenza loro imposta e che, nel sottoporla, sperimentano la sua benedizione, c’è Simone di Cirene; come rappresentante di coloro che amano e il cui impulso è quello di servire il Signore, c’è la Veronica”.
Dunque ripercorrono la propria via crucis tutti coloro che in ogni tempo e in ogni luogo hanno creduto nella Croce come sacramento dell’amore divino e per questo hanno “consacrato” la propria vita al progetto di divenire speranza per gli altri; tutti coloro che vivono il peso della sofferenza: i malati, i poveri, gli abbandonati, gli emarginati, i “non desiderati” della società dell’efficienza; tutti coloro che incarnano lo Spirito dell’amore, del servizio caritatevole rivolto all’altro, guardato ed abbracciato nell’atto di donare soccorso, disponibilità, conforto con gesti di estrema gratuità.
Nel “recitare” la propria via crucis uniti a Cristi ci si rende efficaci collaboratori dell’opera di salvezza, anche nel limite imposto dal proprio stato o condizione sociale: “Senti il grido dei feriti sui campi di battaglia dell’est e dell’ovest? Non sei un medico o un’infermiera, non puoi fasciar loro le ferite…Senti il grido pieno di angoscia degli agonizzanti? Vorresti essere sacerdote per assisterli. Ti commuove il pianto delle vedove e degli orfani? Desidereresti essere un angelo consolatore per aiutarli. Contempla il Crocifisso:…unita a lui, diventi onnipresente come lo è lui. Non sarai limitata ad aiutare qua o là come medico, infermiera, sacerdote, ma attraverso la potenza della Croce puoi essere presente su tutti i fronti, in tutti i luoghi del dolore, dovunque ti porta la tua compassionevole carità, quella carità che attingi dal Cuore divino e che ti rende capace di spargere ovunque il suo preziosissimo Sangue per lenire, salvare, redimere”.
L’essere umano crede nella capacità di realizzazione del suo personale piano salvifico, l’essere umano crede nella sua onnipotenza ed è costretto a fare i conti con i suoi continui fallimenti. La liberazione, la realizzazione piena, la redenzione vengono dall’alto, dal “monte della purificazione” dove è eretta quella Croce come unico mezzo che dalla terra conduce al cielo e che “esige una scelta”. “Gli occhi del Crocifisso ti fissano interrogandoti, interpellandoti. Vuoi stringere di nuovo con ogni serietà l’alleanza con Lui? Quale sarà la tua risposta? ‘Signore dove andare? Tu solo hai parole di vita’. Ave Crux Spes Unica!”.

M. Concetta Bomba ocds

(Il Castello dell’anima, 31.03.04)
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