DON ANTONIO

mercoledì 16 novembre 2011

GESÚ MISERICORDIA DI DIO di Don Pier Giorgio Piechele

Gesù come misericordia: un argomento vasto e importante che non può essere esaurito certamente in questa nostra conversazione. Infatti, in ogni passo del Vangelo ci imbattiamo non soltanto in Gesù, ma in Gesù che si manifesta ricco di misericordia: una manifestazione in un continuo crescendo che sfocia nella prova suprema della sua morte in croce. Gesù come amore misericordioso di Dio per gli uomini. A questa visione, forse, siamo talmente abituati che ci sembra quasi doveroso, obbligatorio, da parte di Dio, essere la misericordia. Almeno secondo la nostra sensibilità odierna. Forse meno in altri tempi nei quali, anche all’interno della Chiesa, era più accentuata la predicazione su Dio giudice, e l’insistenza sul giudizio di Dio era tale da mettere un pochino in ombra il Dio della misericordia. Oggi, invece, nella nostra condizione, con la nostra sensibilità, ci sembra quasi obbligatorio che Dio sia misericordia. Quindi corriamo il rischio di non venire più colpiti dalla grandiosità, dalla eccezionalità del nostro Dio che si presenta semplicemente come Dio amore, quell’amore che dovendo fare i conti con il male, la miseria, diventa misericordia.
Il Papa ha voluto iniziare una sua lettera enciclica proprio con queste parole: Dives in misericordia, cioè: Dio, ricco di misericordia.
La misericordia è il nome dell’amore, il volto dell’amore, la natura dell’amore quando esso si scontra con il male e si dimostra più forte sia del male che della morte. Questo è avvenuto in Gesù Cristo. In Gesù, Dio stesso è entrato nella nostra condizione umana, ha preso contatto con la nostra debolezza, ha preso su di sé la nostra miseria e si è dimostrato misericordioso. Tutto il vangelo parla di questa rivelazione della misericordia di Dio in Gesù Cristo. Prendiamo, come esempio, fra i tanti, alcuni episodi. Gesù che si fa battezzare nel Giordano da Giovanni Battista. Qualcuno si ricorderà con quali scene suggestive

1 Zeffirelli nel suo film Gesù di Nazaret descrive questo episodio: frotte di peccatori che s’immergono nell’acqua e vanno verso Giovanni, invocano perdono, dichiarano i loro peccati, scongiurano Dio di avere pietà di loro (richiamare alla mente queste
suggestioni visive aiuta a capire e a intravedere il mistero che in quel momento si è compiuto). Gesù scende anche lui nelle acque del Giordano e si confonde con i peccatori, uno come i tanti. Lui, il Santo, il Giusto appare pienamente assimilato alla condizione di tutti gli altri: bisognoso anche lui di perdono, invocante anche lui la pietà. Lui, sul quale e nel quale non c’è peccato, si allinea con questa povera gente che rappresenta tutti noi, tanto che Giovanni Battista, sconcertato, gli dice: « Ma tu vieni a farti battezzare da me?». E Gesù gli risponde: « Lascia fare, perché deve compiersi la giustizia, il progetto di Dio ». Il progetto che prevede che Gesù si carichi veramente di noi, del nostro peso, del peso delle nostre miserie. Gesù comincia qui, in maniera molto intensa, a solidarizzare con noi, a lasciarsi investire da questa nostra umanità con tutto il suo carico negativo. Confuso con tutti gli altri, in questa solidarietà che sembra quasi annullare la sua santità. In questo Gesù che si lascia così coinvolgere nella massa dell’umanità segnata dal male e dalla morte, è Dio stesso che si lascia coinvolgere. Vorrei dire che quando Gesù entra in queste acque sporche e contagiate della umanità peccatrice, è come se Dio stesso si lasciasse sporcare dalla nostra miseria.Perché l’amore sporca. Un sacerdote trentino morto giovane, qualche anno fa, ad un suo libro di poesie ha dato questo titolo significativo: L’amore sporca. Comprendiamo benissimo e d’istinto che cosa voglia dire. Se uno ama non si tira indietro. Neanche di fronte a situazioni brutte, neppure dove necessariamente bisogna sporcarsi e compromettersi. Una mamma o un papà che amano, sanno che l’amore esige talvolta di sporcarsi; e si sporcano volentieri, se, facendo questo, danno aiuto. Una mamma o un papa, invece, che per paura dello sporco non si lasciano immergere in situazioni difficili, penose, non amano sufficientemente.
Ecco: Gesù si cala in queste acque sporche del nostro peccato e le purifica, proprio perché entra in queste acque. E’ lui che purifica, anche se appare sporco come gli altri. Così l’amore si rivela in Gesù, in questa piena solidarietà che non si limiterà a questo momento, perché il battesimo nel Giordano è solo l’inizio della sua manifestazione pubblica. Nei tre anni della sua vita pubblica, infatti, troverà mille modi per esprimere la sua solidarietà. I contatti con la gente, l’esigenza profonda del suo cuore lo porteranno ad una familiarità sempre più intensa, ad una simpatia sempre più profonda proprio verso coloro che nella società d’Israele, per motivi di osservanza religiosa, venivano emarginati, segnati a dito. Quindi, i suoi prediletti erano quelli che, secondo le categorie religiose e morali del tempo, non meritavano alcuna considerazione, anzi, erano oggetto soltanto di disprezzo. Proprio questi sono ricercati da Gesù e soprattutto a questi Egli mostra la sua benevolenza. E anche di fronte alle critiche insiste in questo suo atteggiamento, senza lasciarsi scoraggiare, convinto, e lo dichiara apertamente, di portare avanti, di realizzare la missione assegnatagli dal Padre, da Dio. Anzi, nelle parabole della misericordia (le parabole del padre buono, della pecora smarrita, del buon pastore...) Gesù afferma di non poter fare diversamente, se non di mettersi completamente a disposizione, perché Dio, che lui rappresenta e di cui è la manifestazione visibile nel mondo, ha il cuore spalancato per quella povera gente, simbolo tangibile dell’umanità peccatrice.
non giudica ma accoglie
Un altro episodio nel quale Gesù esprime chiaramente il suo atteggiamento misericordioso è l’incontro con la donna peccatrice proprio nella casa di Simone il fariseo; una donna che non sa come esprimere a Gesù tutta la sua riconoscenza perché ha intraveduto in lui la misericordia e il perdono, ha sentito in lui una totale disponibilità per la comprensione delle miserie umane, ma particolarmente, in quel momento, della sua miseria. Ella si è sentita accolta da Gesù, compresa, compatita nel senso più nobile del termine. Ha sentito che quell’uomo la prendeva a sé senza minimamente farle pesare quel gesto perché traspariva un enorme rispetto della dignità della persona e del segno di Dio che, nonostante il peccato, rimanevano vivi ed esigenti in lei. E così, colpita da tanto interesse, da tanta apertura d’animo, la donna non sa a quali mezzi ricorrere per dimostrare la sua riconoscenza. E gli altri, dall’esterno, pensano ad una messa in scena. Tanto più deplorevole quanto più misurata sulla qualità di quella donna. Ma Gesù non legge la messa in scena nel volto di quella donna, bensì l’attestazione di un cuore colpito dal suo atteggiamento misericordioso. Più significativo ancora è l’episodio che leggiamo al capitolo 19 del vangelo di Luca: Zaccheo. Anche questo peccatore! Faceva, infatti, parte dei pubblicani, cioè dei riscossori delle tasse che, per il mestiere e per la collaborazione offerta alla potenza occupante, i Romani, erano considerati dei peccatori di professione e quindi evitati. Inoltre, Zaccheo, non era uno dei tanti, ma un pubblicano capo. Quindi non solo con un posto rilevante, ma anche con un gruzzolo considerevole che si era procurato, naturalmente, con ruberie e sopraffazioni. Ma questo pubblicano vuole vedere Gesù, l’uomo che si presentava come « nuovo », perché rivelava un Dio diverso. Non un Dio che, per accoglierti, aspetta prima la tua conversione, ma un Dio che ti viene incontro ancora prima, e che riversandoti addosso la sua benevolenza, ti attira e con il suo amore ti spinge a cambiare vita. Un Dio che non aspetta che tu faccia il primo passo, perché ne fa mille prima di te, perché ti decida finalmente a fare quel passo che colma il distacco ormai lungamente coperto dalla sua iniziativa. Zaccheo, allora, vuole vedere quest’uomo, lui che non era per niente un uomo religioso. Ma anche dopo una vita spesa in affari e appesantita dal disprezzo e dalla lontananza degli altri, egli porta dentro di sé una frustrazione, una nostalgia, una speranza, un’attesa. E vuole vedere Gesù. Per cui sale, lui persona seria e rispettata, con una dignità particolare, sale su quella pianta per vedere Gesù. E quando Gesù arriva, si ferma esattamente sotto quella pianta, guarda con intensità quest’uomo e gli dice: « Zaccheo, scendi. Oggi voglio mangiare a casa tua! ». E’ « l’oggi » che rivoluziona la vita di Zaccheo. Un « oggi » completamente segnato dall’iniziativa di Gesù. Come se in quel momento non ci fosse stato al mondo nessun altro, se non quel Zaccheo. Se da una parte Zaccheo si sente attirato verso Gesù da una simpatia inespressa, dall’altra. Gesù è ancora più profondamente attirato verso Zaccheo dal bisogno di salvarlo, di accoglierlo, di dimostrargli il massimo di attenzione, di rispetto, di amore facendosi invitare come ospite a casa sua. E Zaccheo rimane folgorato da tale invito, perché, forse per la prima volta, sente di essere stato guardato e accolto da un cuore spalancato. In quel momento fa esperienza che esiste l’amore, che la misericordia
non è solo una parola declamata ma una realtà viva che ha incontrato nella propria strada. E da quel momento l’uomo è vinto: non schiacciato, annientato, umiliato, ma vinto per una liberazione totale. Vinto da quella vittoria che è l’unica che non distrugge l’uomo: non lo sacrifica, ma lo restituisce a se stesso, facendogli percepire realmente chi egli è, e risvegliando in lui tutte le potenzialità prima nascoste. Zaccheo, che fino a quel momento sembrava aver vissuto soprattutto per i soldi, al brindisi di quel pranzo inaspettato, dice al Signore: « Io dò la metà dei miei beni ai poveri; e se ho rubato a qualcuno -e aveva rubato di sicuro parecchio! -restituirò il quadruplo ». Basta. Non gli interessano più l’avere, la roba, i soldi, i possedimenti, la carriera... Ora, è entrata nella sua vita una presenza nella quale, insieme all’amore incarnato e misericordioso di Gesù, ha scoperto che l’essere è molto più importante dell’avere. Dal momento che aveva riscoperto se stesso in un atto di misericordia, e si era sentito come rigenerato da quel dono che Gesù gli aveva fatto, Zaccheo capisce che la vita, la vita vera, la vita nuova, consiste nel trasmettere e nel ridonare ciò che si è ricevuto.
Gesù proclama la bontà di Dio
II fatto che per Gesù fosse familiare frequentare la casa e la mensa dei peccatori, disturba tremendamente gli avversari (in fondo, essi sono quelli che si sentivano apposto in cuor loro), tant’è vero che, appositamente, fanno circolare la battuta: « Giovanni Battista era un uomo austero, costui invece, è un mangione e un beone; mangia e beve con i peccatori e i pubblicani ». E’ una pennellata che ci rivela non soltanto l’animosità degli avversari di Gesù ma anche le sue consuetudini: a Gesù piaceva veramente mangiare e bere insieme, a tavola con questa gente. Era un gesto massimo per gli orientali (ma anche presso di noi) per manifestare simpatia, amicizia, riconciliazione, ospitalità. E con questo gesto Gesù vuole dire che è Dio, che è Dio che è così, che mangia e beve con i peccatori. Gli studiosi del vangelo oggi affermano unanimemente che in questo mangiare e bere insieme ai peccatori sia da intravvedere come un anticipo dei sacramenti della Chiesa. Quei sacramenti nei quali Gesù continua ad agire, a operare per donare Dio agli uomini. Quando Gesù mangia e beve con i peccatori tirandosi addosso la disapprovazione dei più, egli compromette veramente Dio; ma nello stesso tempo rivela che Dio sta volentieri con questa gente che, per riscattarsi, o meglio, per uscire da quella situazione, non ha bisogno di prediche, ma di sentirsi prima di tutto avvicinata con simpatia, accolta con benevolenza.
E’ in questo che si concretizza la figura di Gesù, rivelatore della misericordia. E quando gli viene contestata questa sua attività, o meglio, questo atteggiamento di comprensione e di misericordia, Gesù non soltanto non si lascia impressionare o scoraggiare, ma risponde con gravita. E se a volte rivela una certa durezza e molta energia è proprio nei confronti di coloro che gli vogliono impedire di essere segno vivo della misericordia di Dio. Ma è una energia anche questa frutto di amore per quella categoria di persone che nel vangelo vengono comunemente chiamati farisei. Le parole più dure sono proprio contro di loro, perché Gesù vuole rivendicare per sé, a tutti i costi, la sua missione: proclamare che Dio è buono e che ha il primato
della misericordia e della bontà. E’ grazia preveniente che va incontro a coloro che hanno bisogno di lui. Non sta semplicemente ad aspettare, ma corre, come viene detto nella parabola del figliol prodigo, corre, come padre verso il figlio. Dall’altra le sue parole suonano dure perché Egli soffre profondamente nel vedere questi farisei che fanno parte anche loro della povera gente: come tutti, tagliati dallo stesso legno, cavati dalla stessa miniera, e perciò tutti segnati dal peccato. Anzi, il loro peccato sta nella certezza che, pure trovandosi in questa situazione, credono di essere buoni, giusti, santi, di potersi presentare davanti a Dio a testa alta e grande prosopopea per affermare i loro meriti, le loro opere buone ed esigere, con uno spirito quasi mercantilistico, che Dio riconosca tutto questo impegno e premi una vita così ricca di meriti e così sfolgorante di santità. Mentre Gesù sa di aver a che fare con della povera gente, con della gente alla quale l’orgoglio impedisce di riconoscere il peccato, perché è troppo piena di sé per vedere la propria povertà.
E Gesù va a casa anche di questi, s’incontra, solidarizza anche con loro. Ma quando s’accorge che gli si oppongono con un atteggiamento di rifiuto, peggio ancora, vogliono impedirgli di essere l’espressione dell’amore di Dio che va alla ricerca di chi è perduto, come medico venuto nel mondo non per i sani -che poi non ci sono -ma per i malati, allora reagisce dicendo: « No. No, voi vi ostinate e mi rifiutate per la vostra orgogliosa autosufficienza. Siete voi che rifiutate l’amore che salva. Non impedite, comunque, a questo amore di battere le vie del mondo, di camminare sulle strade degli uomini per incontrare i più bisognosi, quelli nei quali c’è un anelito alla salvezza, una nostalgia di bene proprio perché hanno consapevolezza del loro male ». E il Gesù della misericordia diventa il segno di contraddizione: se da una parte attira, dall’altra sconcerta. Lo fu per il passato e lo è anche per il presente, per noi: di fronte alla misericordia di Dio in Gesù Cristo, siamo chiamati a scegliere: o a lasciarci amare, oppure, può capitare, a non credere di aver bisogno di amore. E così scuotiamo la testa e diciamo: « che cos’ha quell’uomo da darci? ». Per questo Gesù diceva che per entrare nel regno dei cieli, bisogna farsi piccoli. Non perché ci desideri bambini capricciosi e insensati, ma piccoli, perché i piccoli sono capaci di lasciarsi amare, di aprire la mano per ricevere un dono, sanno di avere bisogno e perciò non hanno paura di lasciarsi aiutare. Così la rivelazione della misericordia di Dio in Gesù Cristo ha bisogno di piccoli per essere percepita e accolta.
A questo riguardo mi viene in mente un disegno di una bambina di sette anni. Il catechista aveva chiesto ai bambini di raffigurare il Natale. E una bambina ha dipinto la grotta e, intorno a questa, delle lenzuola. Poi, una strada che portava alla grotta. E su quella strada un mostriciattolo, uno sgorbio (doveva essere una figura umana) che aveva delle mani grandi, sproporzionate. Il catechista chiese per prima cosa la spiegazione di quelle lenzuola. La bambina rispose: « Sono segno di festa; non sono lenzuola, sono coperte ». Come si fa quando c’è la festa del Corpus Domini. Poi il catechista le fece notare come le mani di quella figura fossero troppo grandi e sproporzionate. E la bambina (qui vediamo quanto i piccoli possano essere geniali nelle intuizioni cristiane di fondo!): «è ben giusto che abbia le mani grandi, perché, per accogliere Gesù, bisogna avere le mani grandi ». Ecco: quelle mani
grandi e vuote di chi si sa povero. Come quelle che magari, abbiamo visto (almeno i più anziani di noi) dopo la guerra, quando in certi paesi venivano distribuiti viveri o altri beni lasciati indietro dalle truppe di occupazione. Quegli scampati dalla guerra, in quei momenti di miseria, avrebbero voluto avere delle mani enormi per poter portare via tanta roba. Così deve essere il nostro atteggiamento nei confronti di Gesù: sentirci piccoli e per questo bisognosi di tutto.
ci amò sino alla fine
Ed ora una riflessione sul momento supremo della manifestazione della misericordia di Gesù: la sua morte in croce. Introducendo il racconto della passione, san Giovanni, al capitolo 13, scrive: « Gesù, sapendo che era giunta la sua ora, cioè quella di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine». E’ con queste parole che l’evangelista vuole caratterizzare, designare il contenuto, il significato ultimo di quello che sta per avvenire: l’amore portato all’estremo limite. E’ il momento nel quale Gesù porta fino in fondo l’amore perché solidarizza con noi (ricordate la solidarietà espressa nel Giordano?), prendendo su di sé perfino la tragedia della nostra morte. Ora non s’immerge più semplicemente nelle acque del Giordano, ma s’immerge nell’abisso della nostra morte. Tutto questo perché il suo desiderio è di essere, per amore, lì dove noi siamo. Essere presente, specialmente, nel momento più cupo, più tremendo, più pauroso della nostra esistenza. Lì, dove il male ci avvolge fino a stritolarci. In questo estremo passo, Gesù vuole essere presente, perché l’uomo immerso nel peccato e per questo vittima della morte, lo possa compiere nella comunione con lui presente, lo possa vivere nell’apertura di speranza a lui, che avendo sempre prevenuto l’uomo con la sua grazia misericordiosa, lo previene anche in questo momento. In modo che l’uomo lo incontri con le braccia spalancate e viva la morte non da solo, ma abbracciato a lui. In questo modo si realizza il salmo del buon pastore che così spesso cantiamo nelle nostre chiese: « se anche dovessi passare per valle tenebrosa (meglio sarebbe: per cupa valle di morte), non temo alcun male, perché tu sei con me ». E’ una preghiera che dovremmo avere cara in tanti momenti. Ad esempio, nei momenti nei quali si realizza, come in un preludio, il distacco, la rottura finale. Quei momenti nei quali l’ombra della morte si proietta già sulla nostra vita, quando siamo soli, senza nessuno accanto. E anche se c’è qualcuno, sentiamo che la sua presenza non infrange del tutto quella barriera che ci confina, soli, nei momenti della sofferenza più amara. In quei momenti, Gesù misericordia, calatosi nell’abisso della morte, è andato dentro la morte, mandato dal Padre per vincere la morte e vincere ogni momento di morte. Anche se la sua presenza è estremamente silenziosa. Come gli ultimi momenti della sua vita sigillati da un silenzio misterioso e profondo, rotto solamente da alcune parole che, in verità, accentuano ancor di più quel totale silenzio: « Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? ». Ecco: proprio in quel momento, in quei momenti, Gesù ci invita ad avere fiducia.

Qualche anno fa mi trovavo all’ospedale di Verona per assistere un confratello che aveva subito un grosso intervento al cervello. Era stato pure in grave pericolo di vita. Dopo l’operazione, un’infermiera che affermava di non credere in Dio, gli chiese a bruciapelo: « Quando si è visto così vicino alla morte, che cosa ha pensato?». E il sacerdote ha risposto semplicemente: « Ho pensato che comunque, un altro prima di me era passato per quello stesso momento e che proprio per questo non sarei stato solo ». E l’infermiera: « Per me questa non è una consolazione. So di chi sta parlando, di Gesù; però, per me, questo vuoi dire soltanto che un disgraziato in più è passato attraverso la morte ». L’infermiera, forse senza saperlo, aveva detto bene: un disgraziato in più, un disgraziato come tutti gli altri. Ma se Dio, se la luce di Dio ci dà la forza, il coraggio, la gioia di riconoscere in questo « disgraziato per amore» colui che ha accettato dal Padre la missione di farsi uguale in tutto agli altri uomini, perché nella sua disgrazia noi ricevessimo la grazia, allora, in noi, è avvenuto l’essenziale: abbiamo riconosciuto e sperimentato la grande misericordia e il grande amore di Gesù per noi. Gesù misericordia di Dio Padre. In quel momento del silenzio totale, Gesù ha veramente svuotato se stesso, si è spogliato di tutte le prerogative divine, « è diventato in tutto simile a noi -dice la lettera agli Ebrei -tranne che nel peccato». Ha preso su di’ sé quello che era nostro -afferma sant’Agostino -per darci quello che era suo. Cioè, ha preso su di sé il nostro peccato per darci la giustizia e la santità sua. E Gesù accetta di fare questa tremenda esperienza: di essere trattato dal Padre e dagli uomini come peccato. Ma in quel momento Lo sostiene la fede nel Padre suo. E quando tutto sembrava finito; morto, inizia la vita nuova, l’alba della risurrezione. Così per noi: quando tutto sembra finito, oscuro, tremendo, morto: è proprio allora che la misericordia, l’amore del Padre manifestato in Gesù suo Figlio, si fa sentire nella sua grande dolcezza e totalità. Proprio perché il Gesù che noi conosciamo è essenzialmente amore e misericordia del Padre.

http://www.ministridimisericordia.org/

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