DON ANTONIO

venerdì 17 febbraio 2012

Esaltazione della Santa Croce. 5





padre Ermes Ronchi
La croce, punto di congiunzione tra Dio e il mondo

L? unica parola che il cristiano ha da consegnare al mondo è la parola della Croce. Dio è entrato nella tragedia dell?uomo, perché l?uomo non vada perduto, con il mezzo scandalosamente povero e debole della croce. Per sapere chi sia Dio devo inginocchiarmi ai piedi della croce ( Karl Rahner).
Tra i due termini, Dio e mondo, Dio e uomo, che tutto dice lontanissimi, incomunicabili, estranei, le parole del Vangelo indicano il punto di incontro: il disceso innalzato, al tempo stesso Figlio dell?uomo e Figlio del cielo. Cristo si è abbassato, scrive Paolo, fino alla morte di croce; Cristo è stato innalzato sulla croce, dice Giovanni, attirando tutto a sé.
Tra Dio e il mondo il punto di congiunzione è la croce, che solleva la terra, abbassa il cielo, raccoglie i quattro orizzonti, è crocevia dei cuori dispersi.
Colui che era disceso risale per l?unica via, quella della dismisura dell?amore. Per questo Dio lo ha risuscitato, per questo amore senza misura.
L?essenza del cristianesimo sta nella contemplazione del volto del crocifisso ( Carlo Maria Martini), porta che apre sull?essenza di Dio e dell?uomo: essere legame e fare dono.
Ha tanto amato il mondo da dare il Figlio. Mondo amato, terra amata. Da queste parole sorgive, iniziali ripartire: «Noi non siamo cristiani perché amiamo Dio. Siamo cristiani perché crediamo che Dio ci ama» ( P. Xardel).
E noi qui a stupirci che, dopo duemila anni, ci innamoriamo ancora di Cristo proprio come gli apostoli. Quale attrazione esercita la croce, quale bellezza emana per sedurci?
Sulla croce si condensa la serietà e la dismisura, la gratuità e l?eccesso del dono d?amore; si rivela il principio della bellezza di Dio: il dono supremo della sua vita per noi.
Lo splendore del fondamento della fede, che ci commuove, è qui, nella bellezza dell?atto di amore.
Suprema bellezza è quella accaduta fuori Gerusalemme, sulla collina, dove il Figlio di Dio si lascia annullare in quel poco di legno e di terra che basta per morire. Veramente divino è questo abbreviarsi del Verbo in un singulto di amore e di dolore: qui ha fine l?esodo di Dio, estasi del divino. Arte di amare.
Bella è la persona che ama, bellissimo l?amore fino all?estremo. In quel corpo straziato, reso brutto dallo spasimo, in quel corpo che è il riflesso del cuore, riflesso di un amore folle e scandaloso fino a morirne, lì è la bellezza che salva il mondo, lo splendore del fondamento, che ci seduce.


padre Raniero Cantalamessa
Riscoprire la croce di Cristo, strumento di salvezza

Oggi la croce non è presentata ai fedeli nel suo aspetto di sofferenza, di dura necessità della vita, o anche di via per cui seguire Cristo, ma nel suo aspetto glorioso, come motivo di vanto, non di pianto. Diciamo anzitutto qualcosa sull'origine della festa. Essa ricorda due avvenimenti distanti tra loro nel tempo. Il primo è l'inaugurazione, da parte dell'imperatore Costantino, di due basiliche, una sul Golgota e una sul sepolcro di Cristo, nel 325. L'altro avvenimento, del secolo VII, è la vittoria cristiana sui persiani che portò al recupero delle reliquie della croce e al loro ritorno trionfale a Gerusalemme. Con il passar del tempo, la festa però ha acquistato un significato autonomo. E' diventata celebrazione gioiosa del mistero della croce che, da strumento di ignominia e di supplizio, Cristo ha trasformato in strumento di salvezza.

Le letture riflettono questo taglio. La seconda lettura ripropone il celebre inno della Lettera ai Filippesi, dove la croce è vista come il motivo della grande "esaltazione" di Cristo: "Umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre". Anche il Vangelo parla della croce come del momento in cui "il Figlio dell'uomo è stato innalzato perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna".

Ci sono stati, nella storia, due modi fondamentali di rappresentare la croce e il crocifisso. Li chiamiamo, per comodità, il modo antico e il modo moderno. Il modo antico, che si può ammirare nei mosaici delle antiche basiliche e nei crocifissi dell'arte romanica, è un modo glorioso, festoso, pieno di maestà. La croce, spesso da sola, senza il crocifisso sopra, appare punteggiata di gemme, proiettata contro un cielo stellato, con sotto la scritta: "Salvezza del mondo, salus mundi", come in un celebre mosaico di Ravenna.

Nei crocifissi lignei dell'arte romanica, questo stesso tipo di rappresentazione si esprime nel Cristo che troneggia in vestimenti regali e sacerdotali dalla croce, con gli occhi aperti, lo sguardo frontale, senza ombra di sofferenza, ma irraggiante maestà e vittoria, non più coronato di spine, ma di gemme. E' la traduzione in pittura del versetto del salmo "Dio ha regnato dal legno" (regnavit a ligno Deus). Gesù parlava della sua croce in questi stessi termini: come del momento della sua "esaltazione": "Io, quando sarò esaltato da terra, attirerò tutti a me" (Gv 12, 32).

Il modo moderno comincia con l'arte gotica e si accentua sempre di più, fino a diventare il modo ordinario di rappresentare il crocifisso, in epoca moderna. Un esempio estremo è la crocifissione di Matthias Grünewald nell'Altare di Isenheim. Le mani e i piedi si contorcono come sterpi intorno ai chiodi, il capo agonizza sotto un fascio di spine, il corpo tutto piagato. Anche i crocifissi di Velasquez e di Salvador Dalì e di tanti altri appartengono a questo tipo.

Tutti e due questi modi mettono in luce un aspetto vero del mistero. Il modo moderno - drammatico, realistico, straziante - rappresenta la croce vista, per così dire, "davanti", "in faccia", nella sua cruda realtà, nel momento in cui vi si muore sopra. La croce come simbolo del male, della sofferenza del mondo e della tremenda realtà della morte. La croce è rappresentata qui "nelle sue cause", cioè in quello che, di solito, la produce: l'odio, la cattiveria, l'ingiustizia, il peccato.

Il modo antico metteva in luce, non le cause, ma gli effetti della croce; non quello che produce la croce, ma quello che è prodotto dalla croce: riconciliazione, pace, gloria, sicurezza, vita eterna. La croce che Paolo definisce "gloria" o "vanto" del credente. La festa del 14 Settembre si chiama "esaltazione" della croce, perché celebra proprio questo aspetto "esaltante", della croce.

Bisogna unire, al modo moderno di considerare la croce, quello antico: riscoprire la croce gloriosa. Se al momento in cui la prova era in atto, poteva esserci utile pensare a Gesù sulla croce tra dolori e spasimi, perché questo ce lo faceva sentire vicino al nostro dolore, ora bisogna pensare alla croce in altro modo. Mi spiego con un esempio. Abbiamo di recente perso una persona cara, forse dopo mesi di grandi sofferenze. Ebbene, non continuare a pensare a lei come era sul suo letto; in quella circostanza, in quell'altra, come era ridotta alla fine, cosa faceva, cosa diceva, torturandosi magari il cuore e la mente, alimentando inutili sensi di colpa. Tutto questo è finito, non esiste più, è irrealtà; così facendo non facciamo che prolungare la sofferenza e conservarla artificialmente in vita.

Vi sono mamme (non lo dico per giudicarle, ma per aiutarle) che dopo aver accompagnato per anni un figlio nel suo calvario, una volta che il Signore l'ha chiamato a sé, si rifiutano di vivere altrimenti. In casa tutto deve restare com'era al momento della morte del figlio; tutto deve parlare di lui; visite continue al cimitero. Se vi sono altri bambini in famiglia, devono adattarsi a vivere anch'essi in questo clima ovattato di morte, con grave danno psicologico. Ogni manifestazione di gioia in casa sembra loro una profanazione. Queste persone sono quelle che hanno più bisogno di scoprire il senso della festa di domani: l'esaltazione della croce. Non più tu che porti la croce, ma la croce che ormai porta te; la croce che non ti schiaccia, ma ti innalza.

Bisogna pensare la persona cara come è ora che "tutto è finito". Così facevano con Gesù quegli antichi artisti. Lo contemplavano come è ora: risorto, glorioso, felice, sereno, seduto sullo stesso trono di Dio, con il Padre che ha "asciugato ogni lacrima dai suoi occhi" e gli ha dato "ogni potere nei cieli e sulla terra". Non più tra gli spasimi dell'agonia e della morte. Non dico che si possa sempre comandare al proprio cuore e impedirgli sanguinare al ricordo di quello che è stato, ma bisogna cercare di far prevalere la considerazione di fede. Se no, a che serve la fede?


don Giovanni Berti
Il piedistallo di Gesù

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Oggi come cristiani celebriamo l?esaltazione della Santa Croce?
A volte le parole ci fregano e siamo così abituati a certe frasi fatte che non riusciamo più a comprenderne il significato.
Se oggi dicessi in Chiesa che come cristiani celebriamo l?esaltazione della Fucilazione o l?esaltazione della Camera a Gas, la cosa suonerebbe davvero strana e molti avrebbero tutte le ragioni per scadalizzarsi. Come si fa a esaltare uno strumento di tortura e di morte?
Ci siamo un po? dimenticati che in fondo la croce è solo uno dei tanti modi per uccidere che l?uomo ha inventato e utilizzato nel corso della storia. La croce la possiamo riprodurre in legno, oppure in metalli preziosi e ornarla in molti modi. La possiamo appendere alla parete di casa o al collo o anche all?orecchio o tatuarcela sul corpo. Ma rimane un segnale di sofferenza, non dobbiamo dimenticarlo.
Purtroppo l?abitudine al vederla ci fa perdere il suo significato e il messaggio che essa contiene. E? la stessa cosa che accade quando alla televisione mandano l?ennesimo servizio televisivo di persone che muoiono di fame o di guerra: siamo così abituati che più di tanto non ci badiamo e cambiare canale verso l?altro programma che più ci interessa è cosa breve, senza emozioni e senza pensieri.
Dovremmo allora fermarci davvero e guardare alla croce per cercare di capire come mai essa è un segno così importante per noi cristiani.
Io credo che la possiamo capire se mentre la guardiamo con sopra il corpo di Gesù ci mettiamo a pensare alle tante sofferenze concrete che incontriamo nella nostra vita, a cominciare dalle nostre personali per passare a quelle di persone vicine che conosciamo, fino ad arrivare alle sofferenze dei poveri del mondo.
Ci vuole del tempo per fare questo, ma sono sicuro che alla fine la croce non sarà solo un segno superficiale ?della nostra cultura cattolica occidentale? (come mi pare a volte sia ridotta e difesa) ma diventerà un segno vero, legato alla vita vera.
Ma perché Gesù ha scelto questo piedistallo per mostrarsi al mondo?
Di solito un piedistallo innalza e separa e vuole rimarcare la differenza tra chi sta sopra e chi guarda dal basso. Tutti siamo sempre alla ricerca di piedistalli, e ognuno cerca il proprio in modo da stare sempre più in alto di qualcun altro. Può esser piedistallo del potere o della ricchezza. Anche un?auto più potente o un vestito possono fare da piedistallo. Anche una carica sociale o nella chiesa ecclesiale può servire da piedistallo per esser visto più in alto e trovare così la propria realizzazione umana a scapito di altri.


Gesù ha scelto il piedistallo sul quale stare. Tutta la sua vita è un cammino verso la salita sulla croce. Ha scelto il piedistallo della fragilità e della sofferenza che tutti noi vorremmo evitare.
Eppure è proprio li che vediamo il nostro Dio: innalzato sulla croce. E lo ha fatto perché ci ha amati fino a morire. Il Dio della vita non sceglie la morte come atto eroico fine a se stesso. Ma sceglie la croce come modo estremo di amore.
Mentre guardo la croce allora non vedo solo sofferenza senza speranza (come tante volte siamo portati a fare quando la sofferenza è grande e umanamente impossibile da capire). Vedo una scelta decisa fatta da Gesù, una scelta che coinvolge anche le mie scelte. Gesù sceglie la via dell?amore definitivo.
Quando guardo alla croce ripenso quindi a quanto costa amare veramente. E il vero amore so che non mi porta su piedistalli di potere e di successo, ma mi porta a scendere accanto all?altro, agli altri.
Guardo alla croce e ripenso allora a tutti coloro che nel corso della vita si sono sacrificati per me e mi hanno fatto sentire il loro amore. Guardo alla croce e vedo che anch?io quando ho amato veramente sono stato pronto anche a pagare e a sacrificarmi.
La croce quindi prende vita e diventa davvero un punto di riferimento, non tanto perché sta sulla punta del campanile, alle pareti delle scuole o sul mio collo come pendaglio. La croce di Gesù diventa un programma di vita e un modo per leggere quello che mi capita come presenza di Gesù.

http://www.lachiesa.it/calendario/Detailed/20110914.shtml

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