DON ANTONIO

lunedì 27 febbraio 2012

SOFFERENZA DI DIO,SOFFERENZA DELL’UOMO



Il tema di questo nuovo anno pastorale 2009 - 2010, “Sofferenza di
Dio, sofferenza dell’uomo”, mantiene un legame con i temi trattati
negli anni precedenti. Dio sostiene la ‘nostra fragilità’ di uomini
redenti dal Cristo, con la ‘sua Parola’ che ci consola e ‘ci risana’. Dio
ha voluto manifestare il suo grande amore donandoci suo Figlio,
Gesù, che ci salva sulla croce.

Questo tema è in sintonia con la Chiesa di Torino che nel 2010
celebrerà una esposizione straordinaria della Sindone e vedrà la visita
di Papa Benedetto XVI. In questo anno, 2009, ricorre inoltre il
venticinquesimo anniversario della lettera apostolica di Papa
Giovanni Paolo II, “Salvifici Doloris”, sul senso cristiano della
sofferenza umana. Tutto questo richiama fortemente il tema di questo
nuovo anno pastorale.

Premessa

Da sempre la sofferenza e il dolore costituiscono una grande domanda per l’umanità, ancora di più il
dolore innocente.

Sant’Agostino soleva dire che ogni uomo in quanto tale è “una grande domanda”. Ciò significa che nel
cuore dell’uomo vi è l’interrogativo della sofferenza e del dolore.

Perché la sofferenza, perché il dolore? Il grido di dolore accomuna tutti!

Alla sofferenza si può rispondere in maniera diversa:

con ‘disfattismo’, cioè con la ricerca della morte, del suicidio, dell’eutanasia;
con ‘ribellione’ nel tentativo di contrastarla o allontanarla;
con ‘accettazione’, nella fede dell’Amore di Dio per noi.

Come si è comportato Gesù nei confronti della sofferenza?

Gesù di fronte al soffrire

Gesù è il buon samaritano che non perde occasione per trarre fuori dal baratro della sofferenza chi
incontra sulla sua via. Il teologo Piero Coda, nel suo libro dal titolo: “Quando a soffrire è il Figlio
dell’uomo” (1), si sofferma su due pagine del Vangelo di Marco, la prima sulla guarigione del paralitico
(Mc 2,1-12) e la seconda sulla morte di Gesù in croce (Mc15).

Trovandosi di fronte il paralitico che gli viene calato innanzi, Gesù prima gli rimette i peccati,
annunciandogli in questo modo che Dio lo ama, e poi lo guarisce.

Scegliendo di andare liberamente incontro alla morte in croce, invece, Gesù si cala dentro la sofferenza.
La figura profetica del Servo di Jahwéh (cf Is capp. 42-53) preannuncia la missione di Gesù. Ancora Piero
Coda precisa: “Dio salva in questo modo: attraverso il giusto suo servo che adempie fino in fondo la
missione che gli è stata confidata, rispondendo con ferma adesione alla volontà di Dio al rifiuto,
all’ingiustizia, all’oppressione” (2). Il culmine del suo soffrire sta nel grido: “Dio mio, Dio mio, perché mi



hai abbandonato?” (Mc 15,14).

Il grido di Gesù, attraverso l’interrogativo ‘perché’?, manifesta il significato ultimo del suo patire. Il grido
ci dice che il suo patire non è solamente fisico e psichico, derivante dall’essere stato inchiodato sulla
croce, e questo basterebbe già di per sé. Il soffrire di Gesù è lancinante, perché vissuto anche moralmente
e spiritualmente come un fallimento della sua missione: viene condannato dall’autorità religiosa giudaica, i
suoi discepoli si disperdono e Lui si sente abbandonato dal Padre suo!

Giovanni Paolo II, nella Lettera Apostolica “Salvifici Doloris”, al n° 18, spiega che queste parole di Gesù
sul Golgota: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, “nascono sul piano dell’inseparabile
unione del Figlio col Padre, e nascono perché il Padre “fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti” (Is
53,6) e sulla traccia di ciò che dirà San Paolo “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò
da peccato in nostro favore (2 Cor 5,21). Insieme con questo orribile peso, misurando ‘l’intero’ male di
voltare le spalle a Dio, contenuto nel peccato, Cristo, mediante la divina profondità dell’unione filiale
col Padre, percepisce in modo umanamente inesprimibile questa sofferenza che è il distacco, la ripulsa
del Padre, la rottura con Dio. Ma proprio mediante tale sofferenza egli compie la Redenzione, e può
dire spirando “Tutto è compiuto” (Gv 19,30).

Gesù non ha conosciuto peccato, ma ha provato prendendole su di sé, le conseguenze dolorose del
peccato che il Papa Giovanni Paolo II indica con le parole ‘distacco’, ‘ripulsa’ e ‘rottura’ con Dio.

L’affidamento di Gesù al Padre

L’affidamento di Gesù al Padre si esprime concretamente attraverso la sua preghiera nell’orto del
Getsemani, durante l’arresto che avviene in un clima di violenza da parte degli uomini, con risposte nel
segno dell’amore non violento da parte di Gesù.

Il senso profondo dell’avvenimento della croce è vissuto da Gesù in ossequio alla volontà di Dio
sperimentando la sua impotenza: si consegna inerme agli uomini; e provando il non intervento di Dio che
potrebbe salvarlo.

Il grido di Gesù sulla croce “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, non è un grido di
disperazione, ma un grido che esprime l’affidarsi a Dio nella prova estrema della morte. Dio non può
essere sordo al grido del Figlio e lo accoglie e attraverso lo Spirito Santo lo trasmette a tutta l’umanità.

Il valore universale della sua morte è sottolineata dal centurione romano, da uno che dunque non è sotto la
Legge, che esclama: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio” (Mc 15,39).

Gesù sceglie liberamente e consapevolmente di donare la sua vita per la salvezza degli uomini (cf Gv
10,18). Si identifica con l’agnello pasquale che, sacrificato, salva la vita degli uomini, che prende su di sé i
peccati della moltitudine e li espia con la sua sofferenza redentrice. Naturalmente questo in obbedienza e
nella fedeltà al volere del Padre che si esprime in un grande amore per l’uomo fino a dare la vita.

Il volto di Dio come Padre e il dolore del mondo

Nella preghiera al Getsemani, Gesù provando tristezza, paura, e angoscia si rivolge a Dio con questa
espressione: “Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che
voglio io, ma ciò che vuoi tu” (Mc 14,36).

E’ molto importante che Gesù ci faccia conoscere Dio come Padre: questo ci conforta e ci dà forza per
affrontare i nostri momenti difficili. Ma la sofferenza a volte è così intensa, pesante da sembrarci priva di
senso al punto da mettere in dubbio che Dio sia veramente Padre! Che Padre è, se permette una
sofferenza così atroce?

Questo è l’interrogativo ricorrente durante i secoli ogni qual volta l’uomo si trova di fronte e dentro la
sofferenza; è l’interrogativo affrontato da tanti scrittori, filosofi e teologi e mai risolto, se non quando si



giunge all’accettazione della sofferenza come ‘mistero’ che ci riguarda tutti, di un mistero che trova senso
pieno non solamente nella morte in croce di Gesù, ma nella sua risurrezione. Solo con Lui abbiamo la vita
nuova, la vita eterna!

La fecondità dell’umana sofferenza

“Perché mi hai abbandonato?”: una domanda filiale che ha come risposta il silenzio paterno. Non una
domanda senza risposta, osserva il card. Angelo Scola, perché anche il silenzio è una risposta!

Non è forse questa l’esperienza di ognuno di noi di fronte alla sofferenza altrui? Il restare zitti, il non
sapere che cosa dire!

Gesù non ha cercato di cancellare il dolore attraverso una teoria più brillante delle altre, ma ha compiuto
un’opera di totale immedesimazione nella sofferenza illuminandone il significato profondo: la
collaborazione alla Sua redenzione del mondo.

La sofferenza di Cristo sulla croce ci salva e dà senso anche alla nostra sofferenza. S. Paolo così scrive ai
cristiani di Colossi: “Ora io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che,
dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1, 24).

E’ chiaro che la sofferenza va combattuta! La scienza medica è chiamata a tentare ogni via per far
regredire il più possibile la malattia, la sofferenza e anche la morte, che mantengono però un significato
nell’economia della vita umana.

Il Papa Benedetto XVI ci ricorda nell’Enciclica “Spe Salvi”, che la sofferenza fa parte del mistero stesso
della persona umana e che “eliminarla completamente dal mondo non sta nelle nostre possibilità
semplicemente perché…nessuno di noi è in grado di eliminare il potere del male, della colpa che – lo
vediamo - è continuamente fonte di sofferenza” (Spe Salvi n° 36).

Nella sofferenza, lieti!

Chi può eliminare il potere del male è solo Dio!

Proprio per il fatto che Gesù Cristo è venuto nel mondo per rivelarci il disegno divino della nostra
salvezza, ancora il Papa Benedetto XVI ci suggerisce che la fede ci aiuta a penetrare il senso di tutto
l’umano e quindi anche del soffrire. Esiste quindi un’intima relazione fra la Croce di Gesù – simbolo del
supremo dolore e prezzo della nostra vera libertà – e il nostro dolore che si trasforma e si sublima quando
è vissuto nella consapevolezza della vicinanza e della solidarietà di Dio.

Il Santo Cottolengo, parlando ai suoi figli in più occasioni ribadisce come Lui si sarebbe stupito se nella
Piccola Casa non ci fossero delle difficoltà, delle contrarietà; nello stesso tempo ricorda loro l’importanza
della sofferenza unita a quella di Gesù in croce. Così ad esempio, leggiamo in “Detti e pensieri”:
“…accettate con calma i dolori e le croci che Dio vi manda…” (3), dice loro: “…sono prove, sono
carezze della sua mano” (4). Sulla malattia afferma: “Se il Signore ci visita con malattie e tribolazioni,
siamone contenti e rassegnati; queste, sono segno che Iddio è contento di noi” (5).

Il nostro Santo dà dei suggerimenti molto pratici nell’ aiutare a cogliere il senso delle contrarietà e delle
difficoltà. Così leggiamo sempre in “Detti e pensieri”: “Nelle perplessità, dubbi, o malinconie non state
a gemere, o sospirare; ma portatevi avanti al Santissimo Sacramento; qui, qui, qui, sforzate il vostro
cuore. Egli saprà consolarvi più che tutte le creature insieme”(6). Se questo non era possibile, suggeriva:
“…portatevi col pensiero e col cuore dal luogo in cui vi trovate, e mandate via ogni affanno che fa
torto alla vostra professione” (7).

Conclusione



La regola d’oro per vivere bene da figli di Dio nella Piccola Casa, il Cottolengo la sintetizza in questo
motto:

“Croce e Divina Provvidenza,Divina Provvidenza e croce, sono due cose che combinano” (8).

Gesù che è l’espressione dell’amore misericordioso di Dio ci salva dando la vita per noi. Egli invita anche
noi ad amare nello stesso modo; per questo ci conduce per mano sulla via della sofferenza e della croce
perché accanto alla sua, anche la nostra sofferenza, sia segno di amore per i fratelli. In questo anno
pastorale sforziamoci di camminare in questa direzione, nella ricerca gioiosa della volontà di Dio, nella
certezza che Dio, Padre buono e Provvidente ci vuole comunque sempre bene!

Torino, Piccola Casa, 2 settembre 2009

Padre Aldo Sarotto

1) P. Coda: “Quando a soffrire è il Figlio dell’uomo”, ed. Camilliane, Torino 2009, pp. 112
2) P. Coda, o.c. p. 61
3) Giuseppe Cottolengo: “Detti e pensieri”, Edilibri Milano 2005, pp.176, n° 294
4) Giuseppe Cottolengo, o.c., n° 60
5) Giuseppe Cottolengo, o.c., n° 208
6) Giuseppe Cottolengo, o.c., n° 117
7) Giuseppe Cottolengo, o.c., n° 261
8) Giuseppe Cottolengo, o.c., n° 66.

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