DON ANTONIO

mercoledì 22 febbraio 2012

CUORI CRISTIANI




Ci ha scelti prima della creazione del mondo,
per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità,
predestinandoci ad essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo. (Ef 1,4-5)

[799] Chiamato a vivere in comunione con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, l’uomo viene rinnovato nell’essere e nell’agire. Con la sua libera cooperazione, il germe della vita nuova può crescere fino alla perfezione della carità.

1. Chiamata di Dio e risposta dell’uomo
CCC, 1701-1715

Vocazioni particolari e vocazione comune CdA, 508-509

[800] Molti ritengono che la vita sia un’avventura solitaria, un farsi da sé, contando unicamente sulle proprie risorse. Secondo la fede cristiana, la vita è dialogo, risposta a una vocazione, dono che diventa compito. Il concetto di vocazione è tipico della rivelazione biblica. Dio, soggetto trascendente e personale, entra liberamente, come una novità inaspettata, nell’esistenza delle persone. Ad alcuni, come Abramo, Mosè, Amos, Isaia, Geremia, Ezechiele, rivolge direttamente la sua parola. Ad altri, come Aronne e David, fa pervenire la sua chiamata attraverso mediazioni umane. Nell’Antico Testamento, dirette o mediate, le vocazioni particolari si collocano nell’ambito della comune vocazione degli israeliti ad essere il popolo dell’alleanza. La vocazione comporta sempre un disegno di amore da parte di Dio, una missione da compiere e una forma di vita corrispondente. Attende una risposta libera e fiduciosa di obbedienza da parte dell’uomo. Ancora maggiore è il rilievo che la vocazione ha nel Nuovo Testamento. Sono chiamati i Dodici, Paolo, i cristiani tutti; alcuni purtroppo rimangono sordi. Le vocazioni a particolari servizi e forme di vita stanno dentro la comune chiamata alla fede, alla santità, alla missione, alla gloria celeste.
CdA, 366

Alla luce della chiamata rivolta al popolo di Dio e ai suoi singoli membri, l’esistenza umana come tale viene interpretata come vocazione. Creato a immagine di Dio, l’uomo è chiamato a dialogare con lui, a conoscerlo, amarlo, incontrarlo, per condividere infine la sua vita nell’eternità. “La ragione più alta della dignità dell’uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio. Fin dal suo nascere l’uomo è invitato al dialogo con Dio: non esiste, infatti, se non perché, creato per amore da Dio, da lui sempre per amore è conservato, né vive pienamente secondo verità se non lo riconosce liberamente e se non si affida al suo Creatore”.

Liberi per poter rispondere CCC, 1730-1742

[801] La chiamata di Dio si inscrive nelle fibre del nostro essere. Anzitutto ci mette in grado di dargli una vera risposta: un sì o un no. Ci dona la libertà, che è padronanza interiore dei propri atti, autodeterminazione, capacità di scelte consapevoli, non soggette agli istinti spontanei o alle pressioni esteriori. Ci affida a noi stessi: “Se vuoi, osserverai i comandamenti; l’essere fedele dipenderà dal tuo buonvolere” (Sir 15,15).Ma una scelta non è positiva solo perché è una scelta o perché dà un piacere immediato: molti delitti sono decisioni volontarie, molte esperienze piacevoli sono distruttive. La libertà arbitraria o che cerca solo un facile appagamento non fa crescere, non va in nessuna direzione, si agita soltanto. Il piacere non è un valore in sé, né un criterio legittimo di azione; è solo conseguenza di un obiettivo raggiunto e va considerato buono o cattivo secondo la qualità morale dell’obiettivo stesso. Contrariamente a quanto viene suggerito dalla mentalità edonistica, individualistica e nichilistica, siamo liberi per aderire alla verità e per attuare il bene: “La vera libertà è nell’uomo segno altissimo dell’immagine divina. Dio volle, infatti, lasciare l’uomo in mano al suo proprio consiglio, così che egli cerchi spontaneamente il suo Creatore, e giunga liberamente, con l’adesione a lui, alla piena e beata perfezione”.Una scelta è ragionevole solo se contribuisce alla definitiva realizzazione della persona. Noi da sempre siamo alla ricerca di una pienezza per la nostra vita. Possiamo realizzarci davvero, solo se rispettiamo l’ordine oggettivo dei beni, posto dalla divina sapienza, rimanendo sempre orientati al Bene infinito, l’unico che può appagare il nostro cuore, incapace di trovare riposo nelle soddisfazioni parziali e provvisorie. La nostra incessante ricerca “è ultimamente un appello del Bene assoluto che ci attrae e ci chiama a sé, è l’eco di una vocazione di Dio, origine e fine della vita dell’uomo”.

Risposta decisiva CCC, 2002

[802] Con la sua chiamata interiore Dio suscita la nostra libertà e si offre come meta alla nostra ricerca. Intanto ci viene incontro pubblicamente nella storia, inviando il suo Figlio Gesù Cristo a invitare tutti gli uomini alla festa della vita eterna. “Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione”.L’iniziativa del suo amore ci interpella. Accettare il suo dono con “la fede che opera per mezzo della carità” (Gal 5,6) significa realizzare se stessi; rifiutare il suo dono con il peccato significa perdere se stessi. “Dio ci ha dato la vita eterna e questa vita è nel suo Figlio. Chi ha il Figlio, ha la vita; chi non ha il Figlio di Dio, non ha la vita” (1Gv 5,11-12). La risposta che daremo risulterà decisiva per la nostra riuscita o per il nostro fallimento. A ognuno di noi il Signore Gesù ripete l’appello rivolto al giovane ricco: “Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti... Se vuoi essere perfetto,... vieni e seguimi” (Mt 19,17.21). Se vuoi vivere, devi fare il bene. L’urgenza della salvezza fonda l’obbligazione morale.

Risposta implicita CCC, 1954-1960

[803] L’appello di Dio risuona anche nel cuore dei non credenti. Anche loro infatti avvertono l’imperativo morale fondamentale: fa’ il bene, evita il male. Lo avvertono come obbligatorio e non solo come ragionevole. Anche quando non c’è un vantaggio personale verificabile, anche quando si tratta con uomini tutt’altro che amabili, si deve fare il bene e non il male. Implicitamente tutti intuiscono che i valori morali sono oggettivi e sono situati nella prospettiva del Bene assoluto che esige obbedienza. Se obbediscono, seguono la chiamata di Dio e accolgono la grazia di Cristo, anche senza saperlo, perché “la vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina”.Il cristiano nutre sincera stima per tutti gli uomini di buona volontà; vede in loro dei compagni di viaggio verso la stessa mèta; è disposto a costruire con loro una convivenza giusta e fraterna. Egli rimane però sempre fedele alla propria identità; anzi sollecita con rispetto l’onestà morale a svilupparsi nella direzione della fede esplicita e consapevole.

[804] Insieme a tutti gli uomini siamo chiamati alla vita eterna. Come cristiani siamo chiamati a camminare insieme verso di essa nella Chiesa e a pregustarne un anticipo. La risposta che daremo a Cristo è decisiva per la nostra salvezza.

2. Introdotti nella vita trinitaria
CCC, 1265-1266; 1709; 1996-1999

L’antica alleanza CCC, 62-64; 2060

[805] Chiamati a prendere parte alla vita di Dio, dobbiamo renderci consapevoli di che cosa comporti propriamente questa partecipazione. Nelle diverse religioni il rapporto con Dio a volte assume la forma della distanza e della quasi estraneità; altre volte la forma della identificazione e dell’assorbimento totale. Nella Bibbia è inteso come alleanza e comunione, cioè come unità nell’alterità. La forma arcaica da cui si parte è quella di un patto di vassallaggio. Con questa figura, presa dall’esperienza sociale e giuridica, si vuole indicare una speciale reciproca appartenenza tra Dio e Israele. Dio fa dono di una sua particolare presenza e promette benedizione, prosperità, pace: “Camminerò in mezzo a voi, sarò vostro Dio e voi sarete il mio popolo” (Lv 26,12). Israele da parte sua si obbliga a rispondere con la fede e il culto esclusivo, con l’obbedienza alla legge: “Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!” (Es 19,8). Il patto, stabilito mediante Mosè, viene rinnovato nei momenti cruciali con Giosuè, David, Giosìa, Esdra e Neemìa.
CdA, 730

Al di là dei doni di Dio, le grandi anime religiose cercano Dio stesso, il suo volto: “La tua grazia vale più della vita” (Sal 63,4); “Il mio bene è stare vicino a Dio” (Sal 73,28). Sono soprattutto i profeti a mettere in evidenza il contenuto più spirituale dell’alleanza: l’amore reciproco, sponsale. Mentre esaltano la fedeltà di Dio, essi lamentano l’infedeltà del popolo e annunciano una nuova e definitiva alleanza, che comporterà una nuova abbondante effusione dello Spirito.

La nuova alleanza CCC, 610-611; 1965

[806] Gesù Cristo attua la nuova alleanza, che è unione sponsale con la Chiesa, reciproco dono di sé e comunione di vita in virtù dello Spirito Santo. I credenti vi partecipano mediante i sacramenti, specialmente il battesimo e l’eucaristia: in loro, come in un tempio, viene ad abitare Dio.

Il tempio vivo CCC, 797-798

[807] Nelle religioni il tempio è uno spazio terrestre, coperto dal tetto o spalancato al cielo, riservato alla divinità; un luogo santo, dove Dio si fa presente in modo speciale e gli uomini vanno ad onorarlo con gesti e parole rituali, diversi da quelli ordinari. I primi cristiani, esclusi dal tempio di Gerusalemme e senza templi propri, non esitano a dichiarare che il tempio della definitiva presenza di Dio è il corpo risorto di Cristo e con lui la Chiesa e ognuno dei suoi membri personalmente. Sono consapevoli che non solo i riti religiosi, ma tutti gli impegni della vita quotidiana si svolgono al cospetto dell’Altissimo come “sacrificio vivente, santo e gradito a Dio” (Rm 12,1).

Abitati dalla Trinità CCC, 260CdA, 348; 744

[808] Questa nuova presenza interiore, che i teologi chiamano “inabitazione”, viene attribuita innanzitutto allo Spirito Santo. Ma con lui vengono ad abitare nell’uomo anche il Figlio e il Padre: “Noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23). Il Padre è nel Figlio e il Figlio è nei discepoli, mediante lo Spirito, perché diventino una sola cosa e siano perfetti nell’unità. Entriamo così in una dimensione misteriosa e sublime, la comunione trinitaria. Elevati dallo Spirito Santo e assimilati a Dio nell’essere e nell’agire, partecipiamo alla sua conoscenza e al suo amore; ci apriamo alle divine persone con una esperienza ancora oscura, ma già protesa alla visione beatifica. La loro presenza, quando nei mistici diventa luminosa e trasparente, si manifesta come una realtà meravigliosa e inebriante, che nessuna parola può descrivere. Che cosa sarà allora l’ultimo compimento di questa alleanza nuziale dell’Agnello con la Chiesa, sua sposa? Siamo chiamati a entrare in relazione non solo con le persone e le cose di questo mondo, ma anche e soprattutto con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, già adesso e poi nell’eternità. Sta qui la nostra più alta dignità e il valore inaudito del nostro faticoso cammino.

[809] La nostra sublime vocazione è vivere in comunione di amore con Dio Padre e Figlio e Spirito Santo, prima nell’oscurità della fede e poi nello splendore della visione. Le divine persone si comunicano a noi interiormente e stabiliscono in noi una nuova meravigliosa presenza.

3. Camminare secondo lo Spirito
CCC, 733-741; 1099; 1987-1989

Vita spirituale CCC, 1997-1999CdA, 338

[810] L’uomo nuovo nasce e si sviluppa nella comunione con Dio, uno e trino. Per vivere consapevolmente questa sua condizione, occorre che stabilisca un rapporto non solo genericamente con Dio, ma propriamente con ciascuna delle Persone divine, pur nell’unità con le altre. Così l’esistenza cristiana diviene “vita spirituale, ossia vita animata e guidata dallo Spirito verso la santità o perfezione della carità”, un vivere o camminare secondo lo Spirito. Sant’Ireneo di Lione ha questa incisiva espressione: “Tutti coloro che temono Dio, credono nella venuta del suo Figlio e per mezzo della fede ospitano nei loro cuori lo Spirito di Dio, meritano di essere chiamati puri, spirituali e viventi per Dio, perché hanno lo Spirito del Padre, che purifica l’uomo e lo eleva alla vita di Dio”.


[811] Gli effetti sono sorprendenti. Lo Spirito fa riconoscere Gesù come Signore. Ci unisce e ci assimila a Cristo: lo forma in noi. Ci fa partecipare alla sua vita filiale e ci fa dire con lui: “Abbà, Padre!” (Rm 8,15). “Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio” (Rm 8,14). Coloro che accolgono la carità di Dio, si amano anche gli uni gli altri; anzi aprono il cuore a tutti gli uomini.

Cooperare con la grazia CCC, 2000-2005

[812] Lo Spirito rende giusto l’uomo peccatore; anima e sostiene interiormente l’uomo nuovo. Accompagna il nostro cammino di santificazione dal principio alla fine: prepara la nostra giustificazione, la realizza, la mantiene, la perfeziona fino alla gloria celeste. Agisce nell’intimo con le sue mozioni, tradizionalmente dette “grazie attuali”: illumina l’intelligenza, attrae le tendenze spontanee, opera il bene insieme con noi, dà gioia e pace. I nostri buoni comportamenti sono i suoi frutti. Il nostro agire virtuoso non è solo nostro; “è Dio infatti che suscita in voi il volere e l’operare secondo i suoi benevoli disegni” (Fil 2,13).

[813] Tuttavia siamo liberi e responsabili: ciascuno riceverà “la ricompensa delle opere compiute finché era nel corpo, sia in bene che in male” (2Cor 5,10). La priorità dunque appartiene alla grazia; siamo noi però che crediamo, amiamo e operiamo in una personale vicenda storica. Lo Spirito sostiene il cammino, ma è l’uomo che cammina. La nostra libertà non è meno autentica per il fatto che ci è donata: “Siamo opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo” (Ef 2,10).Noi cooperiamo con la grazia e ci disponiamo ad accoglierla ancora fino al compimento ultimo della vita eterna. Rimane però esclusa ogni possibilità di vanto. Si acquistano meriti davanti a Dio accogliendo i suoi doni, in modo da essere preparati a riceverne altri. I nostri meriti sono suoi doni e la ricompensa della vita eterna è il dono supremo.

Umiltà, docilità e fiducia CCC, 2006-2011

[814] Se vivere da figli di Dio è cooperare con lo Spirito, la nostra attenzione a lui si sostanzia di umiltà, docilità e fiducia. Umili, perché senza di lui “niente è nell’uomo, niente senza colpa”; docili, perché è lui che conosce i “benevoli disegni” (Fil 2,13) del Padre; fiduciosi, anzi audaci, perché possiamo confidare in una riserva infinita di energia: “L’umile trova tutto il coraggio nella sua incapacità: più si sente debole e più diventa intraprendente, perché tutta la sua fiducia è riposta in Dio, che si compiace di manifestare la sua potenza nella nostra debolezza”. Credere nello Spirito è credere nella sua inesauribile creatività e nelle possibilità del nostro futuro.

[815] “Che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per volontà di Dio” (Gal 4,6-7).

4. Seguire Cristo
CCC, 519-521; 1987-1988; 2053

Rapporto personale CdA, 633

[816] La vita cristiana è relazione personale con Cristo, un dialogo e un cammino con lui. Si tratta non solo di accettare il suo insegnamento, ma “di aderire alla persona stessa di Gesù, di condividere la sua vita e il suo destino, di partecipare alla sua obbedienza libera e amorosa alla volontà del Padre”. Lo Spirito Santo unisce e rende conformi a lui, muove a seguirlo.

[817] “Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mc 8,34). Il discepolo di Gesù deve assumere il suo atteggiamento filiale di obbedienza al Padre e al divino disegno di salvezza, che lo ha condotto alla croce e alla risurrezione. “Pur essendo Figlio, imparò tuttavia l’obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono” (Eb 5,8-9).Camminare dietro a Cristo significa camminare nella carità, avere i suoi medesimi sentimenti, amare come egli ha amato, fino a dare la vita per i fratelli: “Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli... Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità” (1Gv 3,16.18).Ma è impossibile amare come Cristo ha amato, se egli stesso non ama in noi; è impossibile andargli dietro, se egli stesso non viene a vivere dentro di noi. Ebbene, comunicandoci lo Spirito Santo, egli entra nella nostra esistenza e la vive con noi, sì che ogni cristiano può dire come Paolo: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). Egli perciò non rimane un modello esteriore; anzi, viene interiorizzato in virtù dello Spirito.

Configurati a Cristo CdA, 607-608

[818] I mezzi ordinari e certi, con cui il Signore ci assimila a sé, sono la Parola e i sacramenti, soprattutto il battesimo e l’eucaristia. “Il battesimo configura radicalmente il fedele a Cristo nel mistero pasquale della morte e risurrezione, lo riveste di Cristo... La partecipazione poi all’eucaristia, sacramento della nuova alleanza, è vertice dell’assimilazione a Cristo, fonte di vita eterna, principio e forza del dono totale di sé”. Ascoltando la Parola e ricevendo i sacramenti con fede, il cristiano viene trasfigurato a immagine di Cristo; diventa sua irradiazione e riflesso speculare, come egli è l’immagine perfetta del Padre e lo manifesta nel mondo.

Nelle diverse esperienze

[819] Come ben dimostra l’esperienza dei santi che sono i più vicini al divino modello, ciò non reca pregiudizio all’originalità e creatività personale. Non si tratta infatti di ripetere meccanicamente quello che Gesù ha fatto, ma di comportarsi come egli si comporterebbe adesso al nostro posto. La prassi cristiana comprende: il dialogo diretto con il Signore mediante la preghiera e i sacramenti; il dialogo con gli altri mediante la solidarietà umana e la condivisione della fede; il dono di sé mediante l’azione e la sofferenza. Tutto questo però con misura e modalità diverse per ciascuno, secondo la varietà dei carismi e delle situazioni. Le diverse esperienze si integrano e si sostengono reciprocamente all’interno della comunità. La sequela in concreto avviene nella Chiesa e attesta che in essa Cristo è sempre vivo e presente.“Nulla assolutamente anteponiamo a Cristo e così egli ci condurrà tutti alla vita eterna” . “L’amore di lui rende felici, la contemplazione ristora, la benignità ricolma. La soavità di lui pervade tutta l’anima, il ricordo brilla dolce nella memoria” . “Se con lui soffrirai, con lui regnerai; se con lui piangerai, con lui godrai; se in compagnia di lui morirai sulla croce della tribolazione, possederai con lui le celesti dimore nello splendore dei santi” .

[820] L’esistenza cristiana, plasmata dall’ascolto della Parola e dai sacramenti, è un rapporto personale con Cristo, un cammino dietro a lui sulla via della croce e della risurrezione, amando come egli ha amato, fino al dono totale di se stessi, nella concretezza e varietà delle esperienze personali.

5. Andare al Padre
CCC, 2012-2016; 2779-2785

Rivolti alla meta CdA, 328-334

[821] Il Signore Gesù ha detto: “Io sono la via” (Gv 14,6); “Io sono la porta” (Gv 10,7). La meta alla quale conduce, la dimora in cui fa entrare è il Padre. “La porta è il Figlio... la chiave della porta è lo Spirito Santo... la casa è il Padre... Se la chiave non apre..., la porta non viene aperta; ma se la porta non si apre, nessuno entra nella casa del Padre”.I cristiani, “mossi” dallo Spirito Santo, “seguono Cristo povero, umile e carico della croce”, obbedendo a Dio Padre, “che adorano in spirito e verità”. La loro esistenza è camminare secondo lo Spirito, seguire Cristo, andare al Padre: “Coloro che hanno ricevuto e portano lo Spirito di Dio vengono condotti al Verbo, cioè al Figlio, e il Figlio li accoglie e li presenta al Padre, e il Padre dona loro l’incorruttibilità”.

Come figli amati

[822] La Pasqua di Gesù è stata un passaggio “da questo mondo al Padre” (Gv 13,1); tutta la sua vita terrena è stata un anelito verso il Padre, nella lode, nella gratitudine, nell’obbedienza filiale. In questo continuo esodo si è espresso lo slancio eterno, con cui il Figlio da sempre è rivolto verso il Padre. I suoi seguaci ricevono lo Spirito per poter partecipare alla sua vita filiale. Sono consapevoli di essere amati come è amato il Figlio unigenito e di essere rigenerati a sua immagine in virtù dello Spirito.

Accettando sé e gli altri CdA, 169-170

[823] A ciascuno di loro, come a Gesù, il Padre ha detto nel battesimo “Tu sei il mio figlio” (Lc 3,22). In ciascuno ha posto una meravigliosa possibilità di vita e null’altro vuole se non che cresca. Accompagna con premura paterna ogni umana avventura, anche la più umile e nascosta. Veglia perché tutto, anche il male e la sofferenza, possa concorrere al bene dei suoi figli. Dobbiamo dunque accettare noi stessi, accogliere la nostra esistenza come un germoglio carico di promesse, quali che siano i nostri limiti: “Niente ti turbi, niente ti spaventi. Tutto passa, Dio non cambia. La pazienza ottiene tutto. Chi ha Dio non manca di nulla. Dio solo basta”.

[824] Il comune Padre ci costituisce fratelli e ci affida gli uni agli altri, intrecciando le singole esistenze nel tessuto di una storia comune. Siamo dunque chiamati ad accogliere gli altri come fratelli, senza discriminare nessuno, ad accettarli così come sono, aiutandoli a valorizzare la loro possibilità di crescita umana e cristiana.

Grati e obbedienti

[825] Il Padre è assolutamente disinteressato. Gli sta a cuore unicamente la nostra riuscita, la nostra salvezza. Dobbiamo allora cercare, amare e compiere la sua volontà in ogni cosa, come Gesù: “Sia dunque che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio” (1Cor 10,31). Dio è glorificato quando riceviamo i suoi doni con commosso stupore davanti alla ricchezza inesauribile del suo amore gratuito e misericordioso.

[826] Configurato a Cristo in virtù dello Spirito Santo, il cristiano è rivolto al Padre in un atteggiamento di adorazione, lode, gratitudine, fiducia e obbedienza filiale.

6. Rinnovati nell’essere e nell’agire
CCC, 1804-1832; 1987-2005

La grazia santificante CCC, 1266 [827] Chiamato al dialogo con le persone divine, l’uomo viene abilitato a questo rapporto mediante una trasformazione di tutta la sua personalità: anima, intelligenza, volontà, affettività, corporeità. Viene purificato, santificato e rigenerato; diventa “nuova creatura” (Gal 6,15), un “uomo nuovo” (Ef 4,24).

CdA, 341; 354-355; 743; 812

[828] Riceviamo innanzitutto un nuovo modo di essere, per cui diventiamo “partecipi della natura divina” (2Pt 1,4), siamo “chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!” (1Gv 3,1). Questa radicale elevazione alla vita divina si chiama tradizionalmente “grazia santificante”. Così la parola “grazia”, già impiegata per indicare l’amore gratuito e misericordioso di Dio, il dono dello Spirito Santo, le sue mozioni sull’agire umano, acquista un quarto significato teologico: la vita divina diventata nostra, la bellezza spirituale che ci è data per essere degni di stare al cospetto di Dio, in una relazione senza paragone più perfetta e intima di quella creaturale.
Le virtù teologali

[829] Al nuovo modo di essere consegue un nuovo modo di agire. La vita filiale si esprime attraverso il dinamismo delle “virtù teologali”: fede, speranza e carità; energie che rendono capaci di comunicare personalmente con Dio e di unire a lui.

CdA, 86-93

[830] La fede ci fa partecipare alla luce della conoscenza divina; ci apre ad accogliere l’amore di Dio e il suo disegno di salvezza, rivelato nella Pasqua di Cristo. Consapevoli della nostra povertà, ma persuasi di essere amati, ci affidiamo senza riserve, pronti a ubbidire e a rischiare. Dando ferma adesione alla verità rivelata, riceviamo nuove prospettive sulla realtà, nuovi criteri di giudizio e motivi di azione. La fede “opera per mezzo della carità” (Gal 5,6); altrimenti è come morta. Tuttavia rimane importante anche nei peccatori, perché li prepara alla giustificazione. Alcuni peccati, come l’incredulità, l’apostasia e l’eresia la contraddicono direttamente e giungono a distruggerla.

CdA, 1170-1183

[831] La speranza applica le prospettive della fede all’esistenza personale del credente: “In essa infatti noi abbiamo come un’àncora della nostra vita, sicura e salda” (Eb 6,19). È il desiderio fiducioso e arduo, fondato sull’Amore onnipotente e misericordioso e sulla sua fedeltà alle promesse, di giungere alla vita eterna nell’esperienza immediata di Dio e nella gloriosa risurrezione, ricevendo durante il cammino tutti gli aiuti necessari. Si tiene ugualmente lontana dalla presunzione come dall’abbattimento. Lotta coraggiosamente contro il male e coltiva ogni germe di bene. Sa che per la misericordia di Dio anche una vita sciupata, come quella del ladrone pentito, può essere rigenerata in un istante: san Giuseppe Cafasso, il prete che assisteva i condannati a morte, era persuaso che perfino un assassino poteva entrare subito in paradiso se accettava umilmente la sua pena.

CdA, 840-842; 868; 898-899; 951

[832] La carità, riflesso in noi dello Spirito Santo, ci fa partecipare alla forza e alla bellezza dell’amore con cui Cristo ha amato il Padre e i fratelli nel suo sacrificio pasquale. Suppone e porta a compimento la fede e la speranza: amiamo perché siamo stati amati e abbiamo creduto all’amore, come i bambini nei confronti dei genitori. La carità è la nostra amicizia con Dio, per cui lo amiamo sopra ogni cosa a motivo della sua bontà infinita e siamo pronti a fare la sua volontà e ad amare gli altri come egli li ama. Essa segue una sua dinamica: nasce come compiacenza per la bellezza e la bontà di Dio intraviste nelle sue opere meravigliose e soprattutto nel suo Figlio Gesù; si sviluppa come dedizione alla causa del suo regno e come desiderio di incontrarlo faccia a faccia; si compirà nella visione beatifica come gaudio, in cui tutto il nostro essere troverà riposo.

Le virtù umane

[833] La carità si incarna nell’etica: unifica, sostiene ed elèva le virtù umane, energie operative buone che abilitano a compiere il bene sotto vari aspetti specifici. Quattro di esse si chiamano “virtù cardinali”, perché fanno da sostegno e riferimento a numerose altre. Sono la prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza. Tra le molte virtù, che si collegano a queste, si possono ricordare: semplicità, onestà, sincerità, lealtà, fedeltà, cortesia, rispetto, generosità, riconoscenza, amicizia, coraggio, audacia, equilibrio, umiltà, castità, povertà, obbedienza. Le buone qualità particolari danno concretezza alla perfezione cristiana. Danno alla carità un corpo e un volto.

I sette doni

[834] Per facilitare l’esercizio e la crescita delle virtù teologali e umane, riceviamo i sette doni dello Spirito Santo che, sulla base di un testo profetico, vengono tradizionalmente così individuati: sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà, timor di Dio. Al di là del numero e delle precisazioni, si tratta di doni abbondanti per la santificazione personale. Mentre i carismi riguardano direttamente l’utilità del prossimo e perciò sono variamente distribuiti, questi doni, che si possono chiamare mistici, riguardano lo sviluppo della vita cristiana e perciò sono concessi a tutti, anche se con accentuazioni diverse. Sono attitudini che rendono docili allo Spirito Santo anche nelle azioni più ordinarie; dispongono a lasciarsi muovere da lui come vele spiegate al vento. Rendono le virtù facili, stabili e attraenti; le portano a maturazione, come “frutto dello Spirito” (Gal 5,22), frutti saporosi per chi li possiede e poi anche per il prossimo.

L’intenzione fondamentale CCC, 1752-1753

[835] La vita spirituale si sviluppa come un organismo unitario e complesso. Alla radice c’è la grazia santificante, alla quale si accompagnano, come dotazioni stabili, le virtù teologali. La decisione del cristiano di attuare la propria vita nella fede, speranza e carità, costituisce l’intenzione fondamentale, che dà la sua impronta e il suo orientamento ai vari atteggiamenti e alle singole azioni. Un’intenzione fondamentale può essere positiva o negativa e si esprime in comportamenti corrispondenti: “Ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi” (Mt 7,17). Dalla fede, speranza e carità deriva l’osservanza di tutti i comandamenti della legge di Dio; viceversa dal cuore malvagio, cioè dall’egoismo, escono tutti i comportamenti malvagi. L’intenzione fondamentale ci identifica come giusti o come peccatori. È l’orientamento profondo verso il fine ultimo, Dio o un idolo, intorno al quale si costruisce un progetto globale di vita. Non si tratta di una decisione accanto alle altre, ma di un atteggiamento personale implicito, che si attua e si manifesta mediante le decisioni particolari. Non è sperimentabile direttamente in se stessa; se ne può avere solo una conoscenza indiretta e indiziaria, attraverso i comportamenti concreti in ogni ambito dell’esperienza. Coincide praticamente con la vita di grazia o con la situazione di peccato mortale, di cui il soggetto può avere solo una certezza prudenziale.

[836] Se è vero che l’atteggiamento profondo si esprime attraverso le azioni, è anche vero che compiendo singole azioni la persona plasma se stessa, decide che cosa vuole essere, sviluppa virtù o vizi e, quando le scelte sono importanti e pienamente responsabili, come un atto impegnativo di carità o un peccato mortale, forma in sé un’intenzione fondamentale, la rafforza o la cambia, realizzando una conversione o una perversione. Nel bene e nel male sono decisivi gli atti umani, in cui l’intenzione fondamentale si forma e si esprime. Sono i singoli atti che costruiscono la fisionomia spirituale della persona; non viceversa. Perciò l’intenzione fondamentale non è rilevante per stabilire la moralità oggettiva dei singoli atti; può tuttavia essere utile tenerla presente per valutare l’imputabilità soggettiva. Infatti, per essere gravemente responsabile nel bene o nel male, un atto deve essere capace di generare un’opzione fondamentale positiva o negativa. Da qui la necessità di essere cauti nel giudicare la piena responsabilità. Si possono valutare più facilmente i singoli comportamenti nella loro moralità oggettiva che non il cuore delle persone.

[837] Per poter vivere in comunione con Dio Padre e Figlio e Spirito Santo, l’uomo viene elevato alla vita di grazia e riceve mirabili energie spirituali, come le virtù teologali: fede, speranza e carità.

7. Comune vocazione alla santità
CCC, 823-829; 2012-2016

Un germe da sviluppare

[838] Nel battesimo è già dato oggettivamente ciò che costituisce la vita cristiana: lo Spirito Santo, la configurazione a Cristo morto e risorto, l’inabitazione della Trinità, la grazia santificante, le virtù teologali. Ma tutto è dato come una caparra, come un germe e una capacità da sviluppare con l’ascolto della Parola, la grazia dell’eucaristia e degli altri sacramenti, le mozioni dello Spirito Santo e la libera cooperazione personale.

[839] “Tutti i cristiani, cioè i discepoli di Gesù Cristo, in qualunque stato e condizione si trovino, sono chiamati alla perfezione: perché tutti sono chiamati al vangelo, che è legge di perfezione”. A tutti Gesù dice: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). L’apostolo Paolo gli fa eco: “Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione” (1Ts 4,3). Il concilio Vaticano II commenta: “I seguaci di Cristo... col battesimo della fede sono stati fatti veri figli di Dio, resi partecipi della natura divina, e perciò realmente santi. Con l’aiuto di Dio essi devono quindi mantenere e perfezionare, vivendola, la santità che hanno ricevuta”.

La perfezione della carità

[840] Possiamo domandarci in che cosa consista la perfezione cristiana, che cosa occorra per essere santi. Sono indispensabili esperienze straordinarie di ascesi e di contemplazione, profonde conoscenze, potere di fare miracoli, oppure basta l’amore concretamente vissuto nella storia di ogni giorno? Gesù, nel discorso della montagna, indica i contenuti della santità cristiana, presentando una serie di comportamenti paradigmatici ispirati alla carità. L’apostolo Paolo pone la carità al di sopra di ogni altro valore: “Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli... e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza... ma non avessi la carità, non sono nulla” (1Cor 13,1-2). Dà importanza alla sofferenza accettata con amore non meno che alle visioni celesti, ai rapimenti mistici, ai miracoli compiuti. Esorta a sviluppare il dialogo con Dio nella concretezza e nella totalità della vita: “Tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre” (Col 3,17). Con lui concordano altri testi del Nuovo Testamento, secondo cui l’esperienza di Dio si incarna nell’incontro con i fratelli in ogni situazione: “Chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore” (1Gv 4,7-8). “Ad immagine del Santo che vi ha chiamati, diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta” (1Pt 1,15).Il recente magistero della Chiesa addita insistentemente la comune vocazione alla santità da attuare nella perfezione della carità in ogni ambito di esperienza: “Tutti i fedeli cristiani, di qualsiasi stato o ordine, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità: santità che promuove un tenore di vita più umano anche nella società terrena”. I cristiani sono “abilitati e impegnati a manifestare la santità del loro essere nella santità di tutto il loro operare”.

Dialogo costante con Dio CdA, 951; 987-989

[841] Dio “è tutto amore; con tutto se stesso ama e vuole essere amato; perciò vorrebbe che i suoi figli fossero interamente trasformati in lui per amore”. La santità consiste nella carità e la carità, nel dialogo con Dio, può assumere e valorizzare qualsiasi realtà. Per questo è una possibilità reale e un appello per tutti. Non occorrono esperienze straordinarie di conoscenza, di contemplazione, di ascesi e di fuga dal mondo. Basta la vita ordinaria: preghiera, relazioni familiari e sociali, lavoro, riposo, sofferenza, apostolato. Dio ci chiama in ogni cosa, continuamente. È presente come creatore che comunica l’essere e la vita, come salvatore e Padre che tutto fa cooperare per il bene dei suoi figli. Tutto è voluto o almeno permesso da lui. Ogni persona, cosa o avvenimento è una sua parola, un dono e un compito. Da parte nostra dobbiamo rispondere a Dio in ogni situazione: cercare sempre la sua volontà rivolgendo spesso a lui anche un’attenzione consapevole; accettare, come una possibilità di bene che viene offerta, se stessi, la propria storia, gli altri, le realtà della natura, gli eventi piccoli o grandi, favorevoli o tristi; fare il bene “con cura, spesso e con prontezza”, non come coloro che “mangiano senza gusto, dormono senza riposare, ridono senza gioia, si trascinano invece di camminare”.La vita intera diventa dialogo con Dio, preghiera diffusa, atto di amore continuato. Ogni esperienza diventa cooperazione al suo regno; si unifica e si integra in un solo progetto. Le energie dell’intelligenza, della volontà, dell’affettività, della corporeità si orientano sempre di più a lui. Si realizza un’esperienza di Dio incarnata nella storia, una comunione sempre più perfetta.

Santi e santificatori

842] L’uomo nuovo, che cresce nella santità, è anche santificatore. Amando gli altri in Dio e con il suo stesso amore, edifica la comunità cristiana, promuove una convivenza civile giusta e pacifica, con un tenore di vita più umano.Purtroppo per molti la religione resta confinata sullo sfondo. La vita quotidiana segue la logica del piacere e dell’interesse immediato. Si fa riferimento a Dio solo in alcuni momenti marginali, specialmente nelle difficoltà. Molti considerano la spiritualità un lusso, utile al più per chi ne sente il bisogno. Non mancano però tendenze contrastanti: fioriscono numerosi movimenti di spiritualità; è avvertita largamente un’esigenza di interiorità. L’esperienza religiosa, se è autentica, fa sentire il suo benefico influsso in ogni ambito. L’interiorità si incarna; la presenza nel mondo si spiritualizza. La vocazione alla santità si esprime in molte vocazioni particolari; è una possibilità reale offerta a tutti, perché ogni realtà sia liberata e ricondotta a Dio.

Conoscenza mistica

[843] La perfezione cristiana, identificata con la perfezione della carità, non coincide con la contemplazione mistica. Questa, però rimane pur sempre un dono meraviglioso, che rende sperimentalmente manifesta la ricchezza ricevuta nel battesimo e anticipa in certo modo la visione beatifica delle Persone divine nell’eternità; un dono “che nessuno conosce se non chi lo riceve. Lo riceve solo chi lo desidera; non lo desidera se non colui che viene infiammato dal fuoco dello Spirito Santo”.

[844] Tutti i cristiani sono chiamati alla santità, che consiste nella perfezione della carità, raggiunta accogliendo la volontà di Dio nelle diverse situazioni e forme di vita.

Per l’itinerario di fede
RIFLETTERE E INTERROGARSI
Il messaggio cristiano sulla vocazione fondamentale dell’uomo alla comunione di vita con Dio costituisce una sfida davanti alla diffusa tentazione di autosufficienza o alla esasperata rivendicazione di libertà, fino alla emarginazione e al rifiuto di Dio. Soprattutto è un messaggio di speranza che porta luce sulla dignità e sul progetto di vita di ciascuno, riscattando dal rischio della solitudine e del non senso. Riconoscere che Dio ci chiama ad un rapporto di intimità profonda con lui, apre orizzonti sconfinati alle nostre attese.
L’appello alla santità riguarda tutti. È sollecitazione a impegnare ogni giorno la nostra libertà per il Regno.

• Cosa evoca nella tua esperienza e nel tuo ambiente il termine “vocazione”? Cosa significa e comporta in una prospettiva cristiana?
• L’essere cristiano in quale misura e in quali modi influisce nel pensare e attuare i tuoi concreti progetti di vita?
• Come si può meglio rispondere alla propria vocazione? Come meglio manifestare nelle scelte concrete la presenza e la vita dello Spirito in noi?

ASCOLTARE E MEDITARE LA PAROLA
Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo.
In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo,
per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità,
predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo,
secondo il beneplacito della sua volontà.
E questo a lode e gloria della sua grazia,
che ci ha dato nel suo Figlio diletto.
(Ef 1,4-6)

Si può leggere anche:
(Mc 8,34-38) Seguire Cristo, prendere la croce.
(Rm 8,1-17) Animati e guidati dallo Spirito.
(Gal 5,16-26) Le opere dell’egoismo e il frutto dello Spirito.

La carità è cosa per se stessa così sublime, che in alcun modo non può germinare né dalla volontà dell’uomo, né da quella della carne. Ma essendo Cristo nato ab aeterno da Dio Padre, come suo natural Figliuolo, da Dio con la natura divina trasse ab aeterno la carità; e noi, formando con lui un solo corpo, partecipiamo, per adozione, di quella sua generazione sempiterna e, insieme con lui, volontariamente e liberamente, della medesima carità... Rallegriamoci dunque, ed esultiamo in spirito: noi possiamo con un santo ardire, che agli occhi ciechi della natura suol parer temerario, per cui ne mormora il mondo, intraprendere l’opera grande, anzi sovrumana, di votarci a quella carità, che è di tanto superiore all’umanità stessa, quanto Iddio è all’uomo. Poiché vive in noi Cristo, e il suo spirito ama in noi.
(ANTONIO ROSMINI, Discorso sulla carità, 3)

PREGARE E CELEBRARE
O Signore, nostro Dio,
quanto è grande il tuo nome su tutta la terra:
sopra i cieli si innalza la tua magnificenza.
Con la bocca dei bimbi e dei lattanti
affermi la tua potenza contro i tuoi avversari,
per ridurre al silenzio nemici e ribelli.
Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissate,
che cosa è l’uomo perché te ne ricordi,
il figlio dell’uomo perché te ne curi?
Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli,
di gloria e di onore lo hai coronato:
gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,
tutto hai posto sotto i suoi piedi;
tutti i greggi e gli armenti,
tutte le bestie della campagna;
gli uccelli del cielo e i pesci del mare,
che percorrono le vie del mare.
O Signore, nostro Dio,
quanto è grande il tuo nome su tutta la terra.
(Sal 8,1)

[Padre Santo], tu hai creato l’uomo nel Cristo tuo unigenito
e gli hai elargito il dono singolare di essere libero;
tu stesso infondi nei cuori l’anelito
a vivere secondo la dignità dei tuoi figli
e il nativo diritto dei popoli.
Nella tua provvidenza ci chiami non alla schiavitù
che avvilisce in noi la tua immagine viva,
ma alla libertà che esalta il tuo disegno mirabile
di creatore e Padre di tutti gli uomini.
Così, sciolta ogni ingiusta oppressione,
ci comandi di camminare
con operosità sempre più matura e concorde
verso la perfezione a noi assegnata dalla tua sapienza
e che, pienamente compiuta, regna nei cieli,
dove speriamo di elevare, senza fine, l’inno della tua lode.
(Liturgia ambrosiana, Prefazio della Messa per le libertà civili)

PROFESSARE LA FEDE
• Cristo svela “pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione” (CONCILIO VATICANO II, Gaudium et spes, 22).

• Il cristiano vive la sua esistenza come relazione di amore con la Trinità. All’amore del Padre corrisponde da figlio nel Figlio Gesù, intimamente orientato e sostenuto dalla forza dello Spirito Santo.
• Il cristiano viene rinnovato interiormente mediante la fede, la speranza e la carità, le virtù morali e i doni dello Spirito Santo, perché possa attuare la sua vocazione alla santità.
• Chi crede in Cristo diventa figlio di Dio. L’adozione filiale lo rende capace di seguire Cristo, di agire rettamente e di compiere il bene. La vita morale, maturata nella grazia, sboccia in vita eterna, nella gloria del cielo.

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