DON ANTONIO

domenica 22 aprile 2012

LA VITA OLTRE LA MORTE



Il mese di novembre ci trova tutti con il cuore un po' addolorato e triste, ripie­gato sul pensiero rivolto ai nostri cari di cui non godiamo più la presenza, dopo aver segnato col loro amore un tratto forse molto lungo della nostra vita. La nostra fede cristiana combatte con il pensiero umano di non vederli più. A volte siamo incerti su dove si possano trovare, quale sia la loro condizione, se possiamo vera­mente essere in comunione con loro al di là della barriera della morte, del tempo e dello spazio.


Sulla scia dell'Anno paolino che si è chiuso nello scorso mese di giugno vogliamo soffermarci su alcune pagine delle lettere di san Paolo per ricavarne alcuni spunti di riflessione sulla vita che attende i cristiani oltre la morte. Il gran­de apostolo vuol rafforzare nella fede le sue comunità, e così sarà anche per noi. San Paolo non descrive la condizione concreta nella quale si trovano i nostri morti, come non lo aveva fatto Gesù stesso, ma mostra una fede incrollabile nella risurrezione di Gesù che porta con sé la certezza che anche i nostri cari sono custoditi con amore fin d'ora dal Signore Risorto, in attesa del compimento glo­rioso di ogni cosa, uomini e creato insieme.


SAREMO SEMPRE CON IL SIGNORE
Nel 51 dopo Cristo, a pochi anni dalla morte e risurrezione di Gesù, Paolo scri­ve la Prima lettera ai Tessalonicesi (1Ts), il più antico scritto del Nuovo Testamento. La comunità di Tessalonica era fortemente preoccupata della sorte dei fratel­li cristiani che erano morti prima che il Signore Gesù Risorto fosse tornato nella sua gloria. La sua venuta era attesa da tutti, Paolo compreso, come una realtà molto vici­na. Inizialmente anche Paolo pensava proba­bilmente di parteciparvi ancora da vivo. In 1Ts 4,13-18 Paolo rassicura la comunità sul fatto che i viventi al momento della venuta di Gesù non avranno alcun vantaggio su coloro che si sono già "addormentati". La loro situazione è diversa da coloro che sono ancora vivi, ma la loro condizione è uguale: sono "morti in Cristo" (v. 16). Appartenevano a Cristo in vita per mezzo del battesimo. Anche nella morte sono di Cristo, come sono di Cristo coloro che sono ancora in vita. La condizione cri­stiana è eguale per tutti. Tutti siamo proprietà di Cristo Risorto. I morti si sono "addormentati" in Cristo e al raduno universale forale, annunciato dalla tromba di Dio e alla voce dell'arcangelo, risorgeranno per primi. Il Signore stesso scenderà dal cielo e verrà incontro ad essi. Poi anche coloro che a quel momento si trove­ranno in vita saranno "rapiti insieme con loro nelle nubi, per l'incontro con il Signore nell'aria; e così saremo per sempre con il Signore". San Paolo usa il lin­guaggio del suo tempo, chiamato apocalittico, per esprimere la certezza che tutti i cristiani saranno per sempre con il Signore Risorto, nel mondo di Dio ("nubi", "aria"). La comunità si ritroverà nuovamente riunita e tutti godranno della vita continua con Cristo ("saremo sempre con il Signore"). Questa deve essere la cer­tezza con cui i cristiani devono "confortarsi" vicendevolmente nella fede (1 Ts 4,18). Paolo non spiega come sarà concretamente la condizione dei corpi dei risorti. Tenterà di balbettare qualche cosa nelle sue lettere successive, soprattutto nella Prima e nella Seconda lettera ai Corinzi. Fin d'ora esprime però la sua cer­tezza incrollabile che coloro che sono vissuti e si sono addormentati in comunio­ne con Gesù morto e risorto parteci­peranno per sempre della sua vita di Figlio di Dio risorto dai morti.


Nella Seconda lettera ai Tessalonicesi (2Ts) si afferma però con forza che la venuta di Gesù Risorto non è imminente come alcuni pensavano, abbandonandosi all'ozio e a una vita sregolata. In 2Ts 2,1-12 Paolo afferma che il cammino sarà ancora lungo, segna­to dalla lotta contro colui che si contrappone a Dio e fomenta il male e l'apostasia dei credenti. L'annuncio del vangelo contrasterà l'opera del Maligno, che alla fine sarà distrutto dal soffio della parola che esce dalla bocca del Signore Gesù risorto. Ancora una volta Paolo afferma la certezza del destino vittorioso e positivo dell'avventura cristiana nella storia, anche se dovrà essere segnata dall'aspro combattimento con Colui che vuole allontanare i cristiani dal loro Signore. Cristo ha il potere sulla storia, e l'ultima parola non sarà quella del male, ma quella del Signore della vita.


I MORTI RISORGERANNO INCORRUTT1B1LI E NOI SAREMO TRASFORMATI


Il brano in cui Paolo si sofferma più a lungo sulla certezza della risurrezione e sul tentativo di illustrare la condizione dei cristiani risorti è rappresentato dal capitolo 15 della Prima Lettera ai Corinzi (1Cor 15), scritta alla comunità di Corinto verso il 54-55 dopo Cristo. È un testo indubbiamente difficile nei suoi par­ticolari, ma è un brano nel quale Paolo afferma chiaramente due realtà importan­ti: la certezza della risurrezione di Gesù e la sorte gloriosa dei cristiani risorti.


Paolo è un convinto trasmettitore della tradizione ricevuta. Il vangelo, la buona notizia, consiste soprattutto nella morte di Gesù secondo il piano di Dio, la sua sepoltura, la sua risurrezione e la sua apparizione a moltissimi cristiani, nel cui lungo elenco c'è anche Paolo.


Paolo si meraviglia ed è esterrefatto che mentre la Chiesa annuncia con forza la risurrezione di Gesù, esperimentata da così tanti testimoni qualificati, alcuni della comunità, forse spinti da forze esterne, negano la risurrezione dei morti. Questo è un controsenso, perché le due realtà vanno insieme: la risurrezione di Gesù è fondamento della fede cristiana, e se lui non è risorto, allora sì che nean­che i cristiani risorgeranno ed è vano l'annuncio cristiano, vana la fede, falsi i testimoni dell'opera di Dio, immersi nei peccati i cristiani, perduti per sempre i loro morti. Se i cristiani hanno sperato in Cristo solo in questa vita, senza la spe­ranza nell'altra, sono da compiangere più di tutti gli uomini, che possono vivere spensierati e senza dover lottare e soffrire per una fede che non garantisce una vita oltre la morte. Ma come in Adamo tutti muoiono per la loro condizione umana, così anche nel Cristo tutti saranno vivificati. Cristo è molto superiore a chi rap­presenta l'umanità nella sua fragile consistenza. Gesù risorto è l'inizio, la primi­zia, di un raccolto abbondante della stessa qualità: i cristiani risorti per la sua potenza vivificante.


Cristo è davvero risorto dai morti, primizia di quelli che sono morti. Questo è l'annuncio gioioso, evangelico, trasmesso dagli apostoli. I morti "di Cristo", appartenenti a lui, risorgeranno alla sua venuta. Allora sarà la fine, il dominio pieno del Signore risorto su tutta la realtà, morte compresa. Tutto sarà sottoposto alla signo­ria di Gesù, ed egli consegnerà tutto il suo dominio al Padre che lo ha inviato nel mondo a riscat­tare gli uomini. Allora Dio sarà tutto in ogni cosa, pervaderà con la sua presenza vivificate e san­tificante ogni realtà, uomini e cose comprese.


Nella seconda parte del capi­tolo (1Cor 15,35-58) Paolo tenta di dire qualche cosa sulla condizione nella quale si trove­ranno i cristiani dopo la morte: "Come risorgono i morti? Con quale corpo vengono?" si domanda qualcuno. Paolo risponde illustrando la continuità ma anche la discontinuità tra la nostra condizione umana che viene sepolta al momento della morte e la modalità di vita glorio­sa, trasfigurata, con il Signore. Paolo si serve di immagini, di paragoni, di meta­fore, per far capire quello che probabilmente anche lui sente come qualcosa di impossibile da descrivere con parole umane. Nella creazione Dio ha dato diversi­tà di corpi agli uomini e alle cose, con diversità di gloria, cioè di partecipazione alla vita divina. Al momento della morte, nella terra viene come seminato un chic­co nudo, una vita umana fragile, mortale, corruttibile, fatta di terra, a immagine della prima umanità, chiamata Adam. Nella risurrezione ci sarà una fioritura di qualche cosa che è in continuità ma anche in discontinuità con quello che si è seminato. Si risorgerà nella gloria, nella forza, nell'incorruttibilità, si porterà l'immagine piena dell'Uomo che viene da Dio, dal cielo, Gesù che è già risorto. Egli sta ogni giorno imprimendo nel cristiano la sua immagine grazie al lavorio dello Spirito Santo. Alla sua venuta finale Gesù risorto darà la pienezza di vita a quelli che erano stati sepolti come discendenti di Adam, "un essere vivente", uomini segnati dalla naturalità fragile e corruttibile.


Nei vv. 51 e seguenti Paolo riconosce che è un "mistero", una rivelazione profetica del piano salvifico di Dio quello che sta per affermare. Noi erediteremo il regno di Dio, la vita divina non per le nostre forze e meriti umani, ma per grazia di Dio. Tutti coloro che al momento della venuta di Gesù risorto saranno morti risorgeranno, ma trasformati. Paolo usa un'altra metafora per indicare la trasfor­mazione: il nostro essere corruttibile sarà rivestito di incorruttibilità e di immortalità. La metafora del vestito, che Paolo userà anche in 2Cor, indica una trasformazione profonda dell'essere. Non ci sarà un semplice passaggio. Ci sarà una nuova creazione, in cui per grazia la morte sarà ingoiata nella vittoria dalla vita, e non pungerà più col suo pungiglione. Dio ci dà per grazia la vitto­ria per mezzo di Cristo Gesù. A Dio Padre deve andare il ringraziamento di tutti i cristiani (v. 57).


RIVESTITI DELLA DIMORA CELESTE
Paolo riprende la sua riflessione sulla certezza di una vita gloriosa dopo la morte nella Seconda Lettera ai Corinzi (2Cor) scritta verso il 56 dopo Cristo. Nel brano 2Cor 4,16 - 5,10 riprende con le immagini dell'abitazione celeste e del vestito rinnovato le riflessioni. Anche in questo brano Paolo non parla di anima separata dal corpo fisico. Noi viviamo in un corpo, cioè in un'esistenza umana completa ma fragile e corruttibile, da cui desideriamo andare in esilio per essere con il Signore. Noi non andiamo al Signore con la nostra pura anima ma con tutto noi stessi. Paolo chiama questa nuova realtà un essere rivestiti da una dimora celeste, una tenda non fatta da mani d'uo­mo, ma ricevuta da Dio, eterna, celeste. La realtà umana "è ingoiata dalla vita" (5,4). Dio ci ha plasmati proprio per que­sto, donandoci la caparra dello Spirito (5,5). Lo Spirito lavora a fondo nei cri­stiani, per imprimere giorno per giorno l'immagine di Gesù nella loro vita.


Quello che ci attende è una nuova creazione, che san Paolo esprime balbet­tando attraverso immagini e metafore. Anche se impossibile da descrivere a parole, la condizione di risorti è gloriosa e vivificata dallo Spirito di Gesù risorto. Mentre siamo vivi siamo in comunione con quelli che sono "morti nel Cristo", per la medesima condizione di cristiani sigillati col battesimo e la fede. Al momento della risurrezione sperimenteremo una trasformazione radicale della nostra esistenza, che però si pone in continuità trasfigurata con la nostra umanità segnata dalla fragilità sperimentata nella nostra vita quotidiana attuale.


Conquistati da Cristo, corriamo verso di lui per conquistarlo nella pienezza della risurrezione. "La nostra patria invece è nei cieli e di là aspettiamo come sal­vatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per con­formarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose" (Fil 3,20-21). Questo scrive Paolo dalla prigione alla comunità dei Filippesi. Questa è pure la nostra fede, la nostra speranza certa e la nostra conso­lazione sicura. Per questo viviamo nella serenità cristiana anche il periodo che maggiormente ci ricorda i nostri cari che pensiamo già essere col Signore, sotto il suo potere di vita, di luce e di gioia. (p. Roberto Mela)


http://www.preghiereagesuemaria.it/sala/la%20vita%20oltre%20la%20morte.htm

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