DON ANTONIO

lunedì 23 aprile 2012

I due discepoli di Emmausa CARLO MARIA MARTINI



Ed ecco, in quello stesso giorno, due di loro erano in
cammino per un villaggio di nome Emmaus, distante
circa sette miglia da Gerusalemme e conversavano di
tutto quello che era accaduto.
Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in
persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro
occhi erano incapaci di riconoscerlo.
Ed egli disse loro: “Che sono questi discorsi che state
facendo fra voi durante il cammino?”. Essi allora si
fermarono, con il volto triste. Uno di loro, di nome
Cleopa, gli disse: “Tu solo sei così forestiero a
Gerusalemme a non sapere quel che vi è accaduto in
questi giorni”? Gesù domandò: “Che cosa”? Gli
risposero: “Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno che
fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a
tutto il popolo; come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo
hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi
lo hanno crocifisso! Noi speravamo che fosse lui a
liberare Israele; con tutto ciò sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma
alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro e non avendo
trovato il suo corpo, sono venute a dirci di avere avuto anche una visione di angeli, i quali
affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come
avevano detto le donne, ma lui non lo hanno visto”.
Ed egli disse loro: “Stolti e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il
Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?” E cominciando da Mosè e
da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più
lontano. Ma essi insistettero: “Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino”.
Egli entrò per rimanere con loro.
Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Ed
ecco si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero
l’un l’altro: “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino,
quando ci spiegava le Scritture?”
E partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli
altri che erano con loro, i quali d icevano: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone”.
Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come lo avevano riconosciuto nello
spezzare il pane.
“I discepoli di Emmaus”: un brano che ha sempre affascinato.
Vangelo in miniatura, è un racconto dove fede ed emozione, ragione e sentimento,
dolore e gioia, dubbio e certezza si fondono, toccando le corde più profonde del lettore, sia
esso credente o soltanto in ricerca, creando profonde risonanze al desiderio di mettersi in
cammino verso Colui che offre la pienezza della felicità.
Di esso sono state offerte numerose letture: quella propriamente biblica, quella
catechetica, quella liturgica…ognuna da approfondire. Ora ci focalizzeremo sulla
interpretazione del racconto.


In cammino verso Emmaus: la vita sconfitta
Gli avvenimenti a Gerusalemme si sono svolti vorticosamente e crudelmente: il processo,
l’agonia, la morte, la sepoltura. Due dei discepoli di Gesù, che hanno assistito a tutto ciò, se ne
vanno da Gerusalemme verso un villaggio di nome Emmaus e parlano di tutti gli avvenimenti
che si sono susseguiti davanti ai lori occhi… hanno subito lo scacco delle loro proiezioni…
E’ LA FUGA DAL CROCIFISSO.
Tra le tante chiavi di lettura del brano, sono interessanti i temi della “strada” e della “parola”.
Gesù ed i due discepoli parlano camminando ed il parlare camminando è importante
nell’opera lucana. Infatti è propria di questo evangelista la sezione del “grande viaggio”, ben
dieci capitoli (9,51-19,27) nei quali viene raccontato il viaggio di Gesù e dei discepoli verso
Gerusalemme, all’interno del quale sono inseriti importanti parabole e discorsi del Maestro.
I due discepoli non riescono ad attribuire significato al momento della morte di Gesù. Per
loro la croce è ancora un incomprensibile scandalo. Sulla croce è svanito il sogno di poter
realizzare con Gesù un cambiamento concreto nel loro paese (“noi speravamo che fosse lui a
liberare Israele”).
E’ vero, continua il racconto, che si è sparsa la voce, alimentata da alcune donne, che egli
è vivo, ma i discepoli, in fin dei conti, Gesù non lo hanno visto…
I due hanno dato sfogo a tutto quello che avevano dentro. In loro si vede la differenza tra il
sapere ed il credere: hanno proclamato un perfetto credo in Gesù di Nazareth, riconoscendone
la qualità di profeta, fino alla affermazione: “Egli è vivo”….ma restano nell’incomprensione. Tutto
è stato detto, ma tutto resta oscuro. Tutto è razionalmente raccontato, ma di tutto sfugge il
senso profondo.
La Parola interpreta la vita
Ora Luca imprime una svolta al racconto. Pone di fronte alla comunità l’ostacolo che non
riusciva a superare: la morte di Gesù. Luca dà il senso totale del Cristo attraverso la
spiegazione delle Scritture e la frazione del pane.
La pietra d’inciampo dei discepoli era la croce. Con essa sembravano morte tutte le loro
speranze. Allora Luca inserisce in bocca a Gesù un verbo tipico di tutta la teologia lucana della
croce: “Non bisognava che….”. Cosa vuol farci capire l’evangelista?
Ad un primo livello, si può dire che la morte di Gesù è il naturale epilogo della sua prassi di
profeta. Il conflitto instaurato con le guide religiose del popolo, il contrasto su aspetti
fondamentali della religione (il sabato, la purità, la legge, il tempio…) lo conduce inevitabilmente
ad una morte violenta.
Ma il martirio di Cristo-Profeta è solo una delle chiavi di lettura. Il verbo “bisognava” sottrae
la morte di Gesù alle leggi del fato, della natura o della politica per assumerla direttamente nella
decisione libera, sovrana, gratuita di Dio.
Quello che era il punto di inciampo, lo scacco insormontabile, ora è rivissuto in termini
salvifici: la morte è il massimo momento rivelativo di Dio, è il passaggio obbligato per poter
entrare nella gloria del Padre.
E’ ora Gesù stesso che spiega ciò che nelle letture si riferisce a lui e si pone come senso,
compimento, chiave di lettura della storia di Israele. Non una minuziosa ricerca di possibili
anticipazioni del futuro, ma una rilettura dell’intero destino umano alla luce del progetto di Dio,
come manifestatosi nella persona di Gesù.
Questa “catechesi biblica” segna profondamente l’esperienza dei due discepoli. Il groviglio
inestricabile nel quale si dibattevano inizia a districarsi.
Il Pane spezzato e condiviso
Dopo la Parola, il Pane: siamo al secondo, grande segno rivelatore del Signore Gesù.
I due discepoli insistono con il Signore: “Resta con noi…”, ed egli entra “per rimanere con
loro”.
I due discepoli di Emmaus riconoscono nel pasto un Gesù che ben conoscevano: il Gesù
che si dona nella comunione della mensa, il Gesù del pane donato a tutti che mangia con i
peccatori, con i farisei, con gli amici, che chiede al Padre il pane quotidiano, che si consegna
alla memoria degli amici nel pane spezzato.
Nel segno della frazione del pane, Gesù si rende riconoscibile ai discepoli; e non solo
riconoscibile, ma sacramentalmente presente nella comunità cristiana.
Il verbo utilizzato da Luca per la frazione del pane è un imperfetto e non un passato ed
andrebbe pertanto tradotto non “lo diede loro”, ma “lo dava loro”. Un modo in più, per Luca, di
indicare che la promessa di Gesù di entrare “per rimanere con loro” viene mantenuta oltre ogni
aspettativa. L’imperfetto, indicando una azione continuata, evoca il Cristo che siede alla mensa
degli uomini di tutti i tempi.
Gli occhi si aprono, il cuore è ardente, ma Gesù sparisce dalla vista. Nella magistrale
architettura di Luca, gli occhi dei discepoli prima della frazione del pane non riuscivano a
“vedere” Gesù che pure era presente, mentre lo riconoscono proprio ora che lui sparisce dalla
loro vista.
E’ una nuova economia di salvezza che si apre, con il Cristo presente non più di persona,
ma nei segni sacramentali e nella testimonianza della comunità.
La missione: la vita rinnovata
La decisione è immediata: si rimettono in cammino su quella stessa strada che li aveva visti
sconfitti. E Luca sottolinea “Partirono senza indugio”.
E’ il momento della missione: il Cristo risorto si è consegnato ai discepoli ed essi ne
divengono i testimoni: “Di questo voi siete testimoni” (Lc. 24,48).
Tutti i racconti di resurrezione terminano con l’invio in missione. I due discepoli volevano
fermarsi ad Emmaus, ma il risorto li ha condotti sulla strada della missione.
Torneranno a Gerusalemme e da Gerusalemme la missione continuerà finché ad ogni
uomo sia annunciato il Vangelo : Avrete la forza dello Spirito Santo che scenderà si di voi e mi
sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della
terra” (At. 1,8).
Nella comunità
I due discepoli tornano a Gerusalemme dove è costituita la Chiesa. Luca ha cura di
sottolineare la valenza ecclesiale della conversione dei due discepoli.
Infatti, ancor prima che essi raccontino la loro esperienza fatta sulla strada per Emmaus,
ascoltano dagli undici la professione di fede ecclesiale “Davvero il Signore è risorto ed è
apparso a Simone”.
E’ all’interno di questa ed in sintonia con questa confessione ecclesiale, in cui si nota la
figura di Pietro come simbolo di unità e comunione, che i due discepoli possono poi raccontare
di “come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane
Qualche domanda per riflettere
• Sulla strada di Emmaus ci sono due che sanno (hanno visto), ma non sanno (non hanno
capito). Speravano, ma adesso non sperano più. Hanno vissuto un’esperienza
affascinante ed esaltante, ma ora se ne stanno tornando a casa delusi.
Anche noi abbiamo desideri, progetti, speranze cui ci aggrappiamo con tanta passione,
senza considerare che alcuni accadimenti possono rivelarci che esiste un progetto di
Dio, diverso dal nostro, che naturalmente non possiamo prevedere, più grande dei nostri
pensieri.
Qual è la nostra Emmaus?
Anche noi stiamo rischiando questo “riflusso” verso casa?
Accettiamo che i Suoi progetti non siano i nostri progetti?
Quali sono i punti di riferimento quando lo scoraggiamento, la delusione, la stanchezza
hanno il sopravvento?
Ci accorgiamo di aver come compagno di strada Gesù stesso?
• Mentre i discepoli parlano Gesù li ascolta e li fa parlare. Questo è il compito del vero
educatore: ascoltare e fare i modo che l’altro possa esprimere le proprie ansie e possa
spiegarsi bene.
Abbiamo questa pazienza?
• Non bisognava che il Cristo sopportasse…Gesù è dipinto nell'atto dello spezzare il
pane, ma la posizione delle mani sembra quella di uno che sta per aprire un libro: spiega
le Scritture. Gesù non fa un'esaltazione della sofferenza e il cristianesimo non è la
religione delle persone a cui piace soffrire, secondo la pungente affermazione di
Nietzsche "siccome non sanno godere, fanno della sofferenza una virtù". I NO della vita
e le oscurità che siamo costretti ad attraversare sono una forma di grazia: col senno di
poi! È la vita che ci dice alcuni dei NO che noi non sapremmo darci da soli. Nel vangelo
di Giovanni (16,21-23), Gesù stesso paragona la sua morte alle doglie di una
partoriente: il dolore, l'afflizione e la fatica di oggi, che scompaiono per la gioia della
nuova nascita.
Ripenso alle mie ultime sofferenze che ho sopportato. Come le leggo? Gerusalemme da
cui scappare o una realtà che bisognava sopportare? Perché? Qual è stata la gloria che
ne è derivata?
• Prego il Signore perché resti con me, illumini il mio cammino, mi apra gli occhi e il cuore
alla Sua Parola, spezzi il pane per me?
• I due di Emmaus hanno sentito che il loro cuore “si scaldava” nell’ascolto della Parola. E
poi l’Eucaristia è la chiave di svolta. Di colpo balzano in piedi, lasciano la cena a metà e
corrono verso Gerusalemme.
Il nostro cuore è tiepido o ardente grazie all’incontro con la Parola?
L’Eucaristia, l’averlo riconosciuto, ci spinge con forza “sulla strada”?
Preghiera conclusiva
"Signore Gesù, grazie perché ti sei fatto riconoscere nello spezzare il pane. Mentre stiamo
correndo verso Gerusalemme e il fiato quasi ci manca per l’ansia di arrivare presto, il cuore ci
batte forte per un motivo ben più profondo.
Dovremmo essere tristi, perché non sei più con noi. Eppure ci sentiamo felici. La nostra gioia e
il nostro ritorno frettoloso a Gerusalemme, lasciando il pasto a metà sulla tavola, esprimono la
certezza che tu ormai sei con noi.
Ci hai incrociati poche ore fa su questa stessa strada, stanchi e delusi. Non ci hai abbandonati
a noi stessi e alla nostra disperazione. Ci hai smosso l’animo con i tuoi rimproveri. Ma
soprattutto sei entrato dentro di noi. Ci hai svelato il segreto di Dio su di te, nascosto nelle
pagine della Scrittura. Hai camminato con noi, come un amico paziente. Hai suggellato
l’amicizia spezzando con noi il pane, hai acceso il nostro cuore perché riconoscessimo in te il
Messia, il Salvatore di tutti.
Quando, sul far della sera, tu accennasti a proseguire il tuo cammino oltre Emmaus, noi ti
pregammo di restare.
Ti rivolgeremo questa preghiera, spontanea e appassionata, infinite altre volte nella sera del
nostro smarrimento, del nostro dolore, del nostro immenso desiderio di te. Ma ora
comprendiamo che essa non raggiunge la verità ultima del nostro rapporto con te. Per questo
non sappiamo diventare la tua presenza accanto ai fratelli.
Per questo, o Signore Gesù, ora ti chiediamo di aiutarci a restare sempre con te, ad aderire alla
tua persona con tutto l’ardore del nostro cuore, ad assumerci con gioia la missione che tu ci
affidi: continuare la tua presenza, essere vangelo della tua risurrezione.
Signore, Gerusalemme è ormai vicina. Abbiamo capito che essa non è più la città delle
speranze fallite, della tomba desolante. Essa è la città della Cena, della Croce, della Pasqua,
della suprema fedeltà dell’amore di Dio per l’uomo, della nuova fraternità. Da essa muoveremo
lungo le strade di tutto il mondo per essere autentici "Testimoni del Risorto". Amen".

Carlo Maria Martini, Partenza da Emmaus

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