DON ANTONIO

venerdì 6 aprile 2012

Venerdì santo 2012 (Manicardi) Monastero di Bose





Is 52,13-53,12; Sal 30; Eb 4,14-16; 5,7-9; Gv 18,1-19,42


Il mistero della passione e della morte di Gesù è contemplato attraverso il cosiddetto “quarto canto del Servo del Signore”, la cui vicenda di innocente ingiustamente condannato a morte diviene anche la storia della conversione del gruppo di coloro che lo accusavano e ingiuriavano e ora, a cose fatte, a morte avvenuta, ricordando e ripensando a quanto successo, prendono coscienza della loro colpevolezza ed entrano nella verità (I lettura).
Quindi tale contemplazione avviene grazie alla Lettera agli Ebrei che presenta Gesù quale sommo sacerdote perché ha condiviso radicalmente la condizione umana eccetto il peccato (essendo il peccato ciò che rompe la solidarietà, Gesù non ha peccato in quanto non ha mai abbandonato la solidarietà con i peccatori vivendo la comunione con Dio) ed è stato reso sommo sacerdote non attraverso riti, ma attraverso una consacrazione avvenuta nella carne e passata attraverso la sofferenza e la morte (II lettura). Infine, la contemplazione è guidata dal racconto della passione e morte di Gesù secondo Giovanni. Un racconto che mostra la passione di colui che è il rivelatore del Padre in ogni suo gesto e atto sicché la passione appare un’intronizzazione regale, la crocifissione un innalzamento, e la morte un evento glorioso (vangelo).
Poniamo la nostra attenzione sui pochi versetti che riguardano l’evento centrale del Venerdì santo: la morte di Gesù. Una morte narrata da Giovanni in maniera assolutamente originale rispetto ai racconti dei vangeli sinottici.
Dopo questo, Gesù, sapendo che tutto era ormai compiuto, affinché si compisse la Scrittura, dice: “Ho sete”. C’era là un vaso pieno di aceto. Avendo dunque messo una spugna piena di aceto attorno a (una canna di) issopo, (la) portarono alla sua bocca. Quando dunque ebbe preso l’aceto, Gesù disse: “È compiuto”, e chinato il capo, consegnò lo spirito” (Gv 19,28-30).
Gesù vive la sua morte non come fine, ma come compimento: compimento delle Scritture (v. 28); compimento della propria missione (“È compiuto”: v. 30), cioè dell’opera di rivelazione del Padre; compimento della sua obbedienza e della sua libertà, come appare dal gesto con cui Gesù, diversamente da come dovrebbe normalmente avvenire, reclina il capo prima di spirare, quasi a esprimere un assenso, un’obbedienza, un atto di libertà (espresso dal verbo “sapere”: v. 28). La morte è per Gesù anche il compimento del suo desiderio, della sua sete (v. 28) che non sarà estinta da una bevanda, ma dall’abbraccio con il Padre di cui ha sempre fatto la volontà. La morte di Gesù appare infine compimento dell’amore: la croce è il sigillo di una vita donata sino alla fine. Il morire di Gesù non è un evento subìto, ma un atto di cui egli è soggetto: Gesù dona la sua vita. Il verbo che Giovanni utilizza per indicare il morire di Gesù designa l’atto di un vivente. Giovanni non dice che Gesù “spirò”, ma che “consegnò lo spirito” (v. 30). Si tratta del gesto cosciente e libero di un vivente. L’ultimo gesto di Gesù è ancora un donare: dopo aver donato se stesso, dopo aver fatto il bene per tutta la sua vita, giunto all’estremo del suo cammino terreno, Gesù ancora dona. E lo spirito che egli dona può essere inteso come riferimento allo Spirito santo. La morte di Gesù, da evento di isolamento e di non relazione, diviene transitivamente evento di vita. La morte, come consegna dello Spirito santo, diviene una pentecoste, evento che trasmette il principio della vita spirituale all’esistenza del cristiano. Così si definisce ulteriormente la concezione della morte di Gesù nel quarto vangelo: la morte è gloria. La gloria dell’amore vince la morte e la risignifica facendone l’occasione di un dono. Gesù appare come un re (si pensi alla corona di spine: Gv 19,2-3), e la sua via crucis è in verità un corteo di intronizzazione regale. La croce è innalzamento e giudizio sul mondo, è un andare al Padre, è un esodo verso il Padre. Una Pasqua, un passaggio da questo mondo al Padre. Nella croce, per Giovanni, è insita l’interezza del mistero pasquale.
LUCIANO MANICARDI
Comunità di Bose

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