DON ANTONIO

martedì 17 aprile 2012

Seconda lettera ai Corinzi



2Corinzi 1
(2 Co 1, 1-4) Sia benedetto Dio Padre del Signore
[1] Paolo, apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio, e il fratello
Timòteo, alla chiesa di Dio che è in Corinto e a tutti i santi dell'intera Acaia:
[2] grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo. [3] Sia
benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre
misericordioso e Dio di ogni consolazione, [4] il quale ci consola in ogni
nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si
trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo
consolati noi stessi da Dio.
(CCC 2626) La benedizione esprime il moto di fondo della preghiera cristiana:
essa è incontro di Dio e dell'uomo; in essa il Dono di Dio e l'accoglienza dell'uomo
si richiamano e si congiungono. La preghiera di benedizione è la risposta dell'uomo
ai doni di Dio: poiché Dio benedice, il cuore dell'uomo può rispondere benedicendo
colui che è la sorgente di ogni benedizione. (CCC 2627) Due forme fondamentali
esprimono questo moto: talvolta la benedizione si eleva, portata, nello Spirito Santo,
da Cristo verso il Padre (lo benediciamo per averci benedetti) [Ef 1,3-14; 2Cor 1,3-7;
1Pt 1,3-9]; talvolta implora la grazia dello Spirito Santo che, per mezzo di Cristo,
discende dal Padre (lui che ci benedice) [2Cor 13,13; Rm 15,5-6.13; Ef 6,23-24].
(2 Co 1, 5-7) Sofferenti e consolati in Cristo
[5] Infatti, come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per
mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione. [6] Quando
siamo tribolati, è per la vostra consolazione e salvezza; quando siamo
confortati, è per la vostra consolazione, la quale si dimostra nel sopportare
con forza le medesime sofferenze che anche noi sopportiamo. [7] La nostra
speranza nei vostri riguardi è ben salda, convinti che come siete partecipi
delle sofferenze così lo siete anche della consolazione.
(CCC 2734) La fiducia filiale è messa alla prova - e si manifesta - nella
tribolazione [Rm 5,3-5]. La difficoltà principale riguarda la preghiera di domanda,
nell'intercessione per sé o per gli altri. Alcuni smettono perfino di pregare perché,
pensano, la loro supplica non è esaudita. Qui si pongono due interrogativi: Perché
riteniamo che la nostra domanda non sia stata esaudita? In che modo la nostra
preghiera è esaudita, è “efficace”? (CCC 2735) Una costatazione dovrebbe innanzi
tutto sorprenderci. Quando lodiamo Dio o gli rendiamo grazie per i suoi benefici in
generale, noi non ci preoccupiamo affatto di sapere se la nostra preghiera gli è
gradita. Invece abbiamo la pretesa di vedere il risultato della nostra domanda. Qual
è, dunque, l'immagine di Dio che motiva la nostra preghiera: un mezzo di cui servirci
oppure il Padre del Signore nostro Gesù Cristo? (CCC 556) Alla soglia della vita
pubblica: il battesimo; alla soglia della pasqua: la trasfigurazione. Col battesimo di
Gesù “declaratum fuit mysterium primae regenerationis - fu manifestato il mistero
della prima rigenerazione: il nostro Battesimo”; la trasfigurazione “est sacramentum












secundae regenerationis - è il sacramento della seconda rigenerazione: la nostra
risurrezione” [San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, III, 45, 4, ad 2]. Fin d'ora
noi partecipiamo alla risurrezione del Signore mediante lo Spirito Santo che agisce
nel sacramento del corpo di Cristo. La trasfigurazione ci offre un anticipo della
venuta gloriosa di Cristo “il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per
conformarlo al suo corpo glorioso” (Fil 3,21). Ma ci ricorda anche che “è necessario
attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio” (At 14,22): “Pietro non
lo capiva ancora quando sul monte desiderava vivere con Cristo” [Lc 9,33]. Questa
felicità Cristo te la riservava dopo la morte, o Pietro. Ora invece egli stesso ti dice:
Discendi ad affaticarti sulla terra, a servire sulla terra, a essere disprezzato, a essere
crocifisso sulla terra. È discesa la vita per essere uccisa; è disceso il pane per
sentire la fame; è discesa la via, perché sentisse la stanchezza del cammino; è
discesa la sorgente per aver sete; e tu rifiuti di soffrire? [Sant'Agostino, Sermo 78,
6: PL 38, 492-493].
(2 Co 1, 8-11) Egli ci ha liberato e ci libererà
[8] Non vogliamo infatti che ignoriate, fratelli, come la tribolazione che ci
è capitata in Asia ci ha colpiti oltre misura, al di là delle nostre forze, sì da
dubitare anche della vita. [9] Abbiamo addirittura ricevuto su di noi la
sentenza di morte per imparare a non riporre fiducia in noi stessi, ma nel Dio
che risuscita i morti. [10] Da quella morte però egli ci ha liberato e ci
libererà, per la speranza che abbiamo riposto in lui, che ci libererà
ancora, [11] grazie alla vostra cooperazione nella preghiera per noi, affinché
per il favore divino ottenutoci da molte persone, siano rese grazie per noi
da parte di molti.
(CCC 1748) “Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi” (Gal 5,1). (CCC
1741) Liberazione e salvezza. Con la sua croce gloriosa Cristo ha ottenuto la
salvezza di tutti gli uomini. Li ha riscattati dal peccato che li teneva in schiavitù.
“Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi” (Gal 5,1). In lui abbiamo comunione
con “la verità” che ci fa “liberi” (Gv 8,32). Ci è stato donato lo Spirito Santo e, come
insegna l'Apostolo, “dove c'è lo Spirito del Signore c'è libertà” (2Cor 3,17). Fin d'ora
ci gloriamo della libertà dei figli di Dio (Rm 8,21). (CCC 1742) Libertà e grazia. La
grazia di Cristo non si pone affatto in concorrenza con la nostra libertà, quando
questa è in sintonia con il senso della verità e del bene che Dio ha messo nel cuore
dell'uomo. Al contrario, e l'esperienza cristiana lo testimonia specialmente nella
preghiera, quanto più siamo docili agli impulsi della grazia, tanto più cresce la nostra
libertà interiore e la sicurezza nelle prove come pure di fronte alle pressioni e alle
costrizioni del mondo esterno. Con l'azione della grazia, lo Spirito Santo ci educa
alla libertà spirituale per fare di noi dei liberi collaboratori della sua opera nella
Chiesa e nel mondo: “Dio grande e misericordioso, allontana ogni ostacolo nel
nostro cammino verso di Te, perché, nella serenità del corpo e dello spirito,
possiamo dedicarci liberamente al tuo servizio” (Domenica XXXII del Tempo
Ordinario, Colletta, Messale Romano). (CCC 2854) Chiedendo di essere liberati dal
male, noi preghiamo nel contempo per essere liberati da tutti i mali, presenti, passati
e futuri, di cui [il maligno] è l'artefice o l'istigatore. In quest'ultima domanda la
Chiesa porta davanti al Padre tutta la miseria del mondo. Insieme con la liberazione
dai mali che schiacciano l'umanità, la Chiesa implora il dono prezioso della pace e












la grazia dell'attesa perseverante del ritorno di Cristo. Pregando così, anticipa
nell'umiltà della fede la ricapitolazione di tutti e di tutto in colui che ha “potere
sopra la morte e sopra gli inferi” (Ap 1,18), “colui che è, che era e che viene,
l'Onnipotente!” (Ap 1,8) [Ap 1,4]. “Liberaci, o Signore, da tutti i mali, concedi la
pace ai nostri giorni e con l'aiuto della tua misericordia vivremo sempre liberi dal
peccato e sicuri da ogni turbamento, nell'attesa che si compia la beata speranza e
venga il nostro Salvatore Gesù Cristo” [Riti di Comunione (Embolismo): Messale
Romano].
(2 Co 1, 12-18) La nostra parola non è “sì” e “no”
[12] Questo infatti è il nostro vanto: la testimonianza della coscienza di
esserci comportati nel mondo, e particolarmente verso di voi, con la
santità e sincerità che vengono da Dio. [13] Non vi scriviamo in maniera
diversa da quello che potete leggere o comprendere; spero che
comprenderete sino alla fine, [14] come ci avete già compresi in parte, che
noi siamo il vostro vanto, come voi sarete il nostro, nel giorno del Signore
nostro Gesù. [15] Con questa convinzione avevo deciso in un primo tempo di
venire da voi, perchè riceveste una seconda grazia, [16] e da voi passare in
Macedonia, per ritornare nuovamente dalla Macedonia in mezzo a voi ed
avere da voi il commiato per la Giudea. [17] Forse in questo progetto mi sono
comportato con leggerezza? O quello che decido lo decido secondo la carne,
in maniera da dire allo stesso tempo "sì, sì" e "no, no,"? [18] Dio è testimone
che la nostra parola verso di voi non è "sì" e "no".
(CCC 1065) Gesù Cristo stesso è l'“Amen” (Ap 3,14). Egli è l'“Amen”
definitivo dell'amore del Padre per noi; assume e porta alla sua pienezza il nostro
“Amen” al Padre: “Tutte le promesse di Dio in lui sono divenute “sì”. Per questo
sempre attraverso lui sale a Dio il nostro “Amen” per la sua gloria” (2Cor 1,20):
“Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te, Dio Padre onnipotente, nell'unità dello Spirito
Santo, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli. Amen!”. (CCC 2153) Gesù ha
esposto il secondo comandamento nel Discorso della montagna: “Avete inteso che
fu detto agli antichi: "Non spergiurare, ma adempi con il Signore i tuoi giuramenti!".
Ma io vi dico: non giurate affatto […]. Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il
di più viene dal maligno” (Mt 5,33-34.37) [Gc 5,12]. Gesù insegna che ogni
giuramento implica un riferimento a Dio e che la presenza di Dio e della sua verità
deve essere onorata in ogni parola. La discrezione del ricorso a Dio nel parlare
procede di pari passo con l'attenzione rispettosa per la sua presenza, testimoniata o
schernita, in ogni nostra affermazione.
(2 Co 1, 19-20) Cristo realizzò tutte le promesse
[19] Il Figlio di Dio, Gesù Cristo che abbiamo predicato tra voi, io,
Silvano e Timoteo, non fu "sì" e "no", ma in lui c'è stato il "sì". [20] E in
realtà tutte le promesse di Dio in lui sono divenute "sì". Per questo
sempre attraverso lui sale a Dio il nostro Amen per la sua gloria.
(CCC 1063) Nel profeta Isaia si trova l'espressione “Dio di verità”,
letteralmente “Dio dell'Amen”, cioè il Dio fedele alle sue promesse: “Chi vorrà
essere benedetto nel paese, vorrà esserlo per il Dio fedele” (Is 65,16). Nostro Signore
usa spesso il termine “Amen” [Mt 6,2.5.16], a volte in forma doppia [Gv 5,19], per












sottolineare l'affidabilità del suo insegnamento, la sua autorità fondata sulla verità
di Dio. (CCC 215) “La verità è principio della tua parola, resta per sempre ogni
sentenza della tua giustizia” (Sal 119,160). “Ora, Signore, tu sei Dio, e le tue parole
sono verità” (2Sam 7,28); per questo le promesse di Dio si realizzano sempre [Dt
7,9]. Dio è la stessa Verità, le sue parole non possono ingannare. Proprio per questo
ci si può affidare con piena fiducia alla verità e alla fedeltà della sua Parola in ogni
cosa. L'origine del peccato e della caduta dell'uomo fu una menzogna del tentatore,
che indusse a dubitare della parola di Dio, della sua bontà e della sua fedeltà. (CCC
422) Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da
donna, nato sotto la Legge, per riscattare coloro che erano sotto la Legge, perché
ricevessimo l'adozione a figli” (Gal 4,4-5). Ecco la Buona Novella riguardante Gesù
Cristo, Figlio di Dio (Mc 1,1): Dio ha visitato il suo popolo [Lc 1,68], ha adempiuto
le promesse fatte ad Abramo ed alla sua discendenza [Lc 1,55]; ed è andato oltre
ogni attesa: ha mandato il suo Figlio prediletto (Mc 1,11). (CCC 1061) Il Credo,
come pure l'ultimo libro della Sacra Scrittura [Ap 22,21], termina con la parola
ebraica Amen. La si trova frequentemente alla fine delle preghiere del Nuovo
Testamento. Anche la Chiesa termina le sue preghiere con Amen. (CCC 1062) In
ebraico, Amen si ricongiunge alla stessa radice della parola “credere”. Tale radice
esprime la solidità, l'affidabilità, la fedeltà. Si capisce allora perché l'“Amen” può
esprimere tanto la fedeltà di Dio verso di noi quanto la nostra fiducia in lui.
(2 Co 1, 21-24) Dio conferma con unzione e sigillo
[21] È Dio stesso che ci conferma, insieme a voi, in Cristo, e ci ha
conferito l'unzione, [22] ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra
dello Spirito Santo nei nostri cuori. [23] Io chiamo Dio a testimone sulla
mia vita, che solo per risparmiarvi non sono più venuto a Corinto. [24] Noi
non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori
della vostra gioia, perchè nella fede voi siete già saldi.
(CCC 695) L'unzione. Il simbolismo dell'unzione con l'olio è talmente
significativa dello Spirito Santo da divenirne il sinonimo [1Gv 2,20.27; 2Cor 1,21].
Nell'iniziazione cristiana essa è il segno sacramentale della Confermazione,
chiamata giustamente nelle Chiese d'Oriente “Crismazione”. Ma per coglierne tutta
la forza, bisogna tornare alla prima unzione compiuta dallo Spirito Santo: quella di
Gesù. Cristo (“Messia” in ebraico) significa “unto” dallo Spirito di Dio. Nell'Antica
Alleanza ci sono stati alcuni “unti” del Signore [Es 30,22-32], primo fra tutti il re
Davide [1Sam 16,13]. Ma Gesù è l'unto di Dio in una maniera unica: l'umanità che il
Figlio assume è totalmente “unta di Spirito Santo”. Gesù è costituito “Cristo” dallo
Spirito Santo [Lc 4,18-19; Is 61,1]. La Vergine Maria concepisce Cristo per opera
dello Spirito Santo, il quale, attraverso l'angelo, lo annunzia come Cristo fin dalla
nascita [Lc 2,11] e spinge Simeone ad andare al Tempio per vedere il Cristo del
Signore [Lc 2,26-27]; è lui che ricolma Cristo [Lc 4,1], è sua la forza che esce da
Cristo negli atti di guarigione e di risanamento [Lc 6,19; 8,46]. È lui, infine, che
risuscita Cristo dai morti [Rm 1,4; 8,11]. Allora, costituito pienamente “Cristo” nella
sua umanità vittoriosa della morte [At 2,36], Gesù effonde a profusione lo Spirito
Santo, finché “i santi” costituiranno, nella loro unione all'umanità del Figlio di Dio,
l'“uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo” (Ef 4,13):
“il Cristo totale”, secondo l'espressione di sant'Agostino [Sant'Agostino, Sermo 341,












1,1: PL 39, 1493; Ib., 9, 11: PL 39, 1499]. (CCC 698) Il sigillo è un simbolo vicino a
quello dell'unzione. Infatti su Cristo “Dio ha messo il suo sigillo” (Gv 6,27), e in lui
il Padre segna anche noi con il suo sigillo [2Cor 1,22; Ef 1,13; 4,30]. Poiché indica
l'effetto indelebile dell'unzione dello Spirito Santo nei sacramenti del Battesimo,
della Confermazione e dell'Ordine, l'immagine del sigillo (sphragis) è stata utilizzata
in certe tradizioni teologiche per esprimere il “carattere” indelebile impresso da
questi tre sacramenti che non possono essere ripetuti. (CCC 1296) Cristo stesso si
dichiara segnato dal sigillo del Padre suo [Gv 6,27]. Anche il cristiano è segnato con
un sigillo: “E' Dio stesso che ci conferma, insieme a voi, in Cristo, e ci ha conferito
l'unzione, ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri
cuori” (2Cor 1,21-22) [Ef 1,13; 4,30]. Questo sigillo dello Spirito Santo segna
l'appartenenza totale a Cristo, l'essere al suo servizio per sempre, ma anche la
promessa della divina protezione nella grande prova escatologica [Ap 7,2-3; 9,4; Ez
9,4-6]. (CCC 1107) La forza trasformatrice dello Spirito Santo nella liturgia affretta
la venuta del Regno e la consumazione del mistero della salvezza. Nell'attesa e nella
speranza egli ci fa realmente anticipare la piena comunione della Santissima Trinità.
Mandato dal Padre che esaudisce l'epiclesi della Chiesa, lo Spirito dona la vita a
coloro che l'accolgono, e costituisce per essi, fin d'ora, “la caparra” della loro
eredità [Ef 1,14; 2Cor 1,22]. (CCC 735) Egli dona allora la “caparra” o le
“primizie” della nostra eredità [Rm 8,23; 2Cor 1,21]; la vita stessa della Santissima
Trinità che consiste nell'amare come egli ci ha amati [1Gv 4,11-12]. Questo amore (la
carità di 1Cor 13) è il principio della vita nuova in Cristo, resa possibile dal fatto
che abbiamo “forza dallo Spirito Santo” (At 1,8).


2Corinzi 2
(2 Co 2, 1-5) Tristezza, afflizione e gioia
[1] Ritenni pertanto opportuno non venire di nuovo fra voi con tristezza.
[2] Perché se io rattristo voi, chi mi rallegrerà se non colui che è stato da me
rattristato? [3] Perciò vi ho scritto in quei termini che voi sapete, per non
dovere poi essere rattristato alla mia venuta da quelli che dovrebbero
rendermi lieto, persuaso come sono riguardo a voi tutti che la mia gioia è
quella di tutti voi. [4] Vi ho scritto in un momento di grande afflizione e col
cuore angosciato, tra molte lacrime, però non per rattristarvi, ma per farvi
conoscere l'affetto immenso che ho per voi. [5] Se qualcuno mi ha
rattristato, non ha rattristato me soltanto, ma in parte almeno, senza voler
esagerare, tutti voi.
(CCC 1762) La persona umana si ordina alla beatitudine con i suoi atti liberi:
le passioni o sentimenti che prova possono disporla a ciò e contribuirvi. (CCC 1763)
Il termine “passioni” appartiene al patrimonio cristiano. Per sentimenti o passioni si
intendono le emozioni o moti della sensibilità, che spingono ad agire o a non agire in
vista di ciò che è sentito o immaginato come buono o come cattivo. (CCC 1764) Le
passioni sono componenti naturali della psicologia umana; fanno da tramite e
assicurano il legame tra la vita sensibile e la vita dello spirito. Nostro Signore indica
il cuore dell'uomo come la sorgente da cui nasce il movimento delle passioni [Mc
7,21]. (CCC 1765) Le passioni sono molte. Quella fondamentale è l'amore












provocato dall'attrattiva del bene. L'amore suscita il desiderio del bene che non si ha
e la speranza di conseguirlo. Questo movimento ha il suo termine nel piacere e nella
gioia del bene posseduto. Il timore del male causa l'odio, l'avversione e lo spavento
del male futuro. Questo movimento finisce nella tristezza del male presente o nella
collera che vi si oppone. (CCC 1766) “Amare è volere il bene di qualcuno” [San
Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, I-II, 26, 4]. Qualsiasi altro affetto ha la sua
sorgente in questo moto originario del cuore dell'uomo verso il bene. Non si ama che
il bene [Sant'Agostino, De Trinitate, 8, 3, 4: PL 42, 949]. “Le passioni sono cattive se
l'amore è cattivo, buone se l'amore è buono” [Sant'Agostino, De civitate Dei, 14, 7:
PL 41, 410]. (CCC 1767) Le passioni, in se stesse, non sono né buone né cattive. Non
ricevono qualificazione morale se non nella misura in cui dipendono effettivamente
dalla ragione e dalla volontà. Le passioni sono dette volontarie “o perché sono
comandate dalla volontà, oppure perché la volontà non vi resiste” [San Tommaso
d'Aquino, Summa theologiae, I-II, 24, 1]. E' proprio della perfezione del bene morale
o umano che le passioni siano regolate dalla ragione [Ib., I-II, 24, 3]. (CCC 1768)
Non sono i grandi sentimenti a decidere della moralità o della santità delle persone;
essi sono la riserva inesauribile delle immagini e degli affetti nei quali si esprime la
vita morale. Le passioni sono moralmente buone quando contribuiscono ad un'azione
buona; sono cattive nel caso contrario. La volontà retta ordina al bene e alla
beatitudine i moti sensibili che essa assume; la volontà cattiva cede alle passioni
disordinate e le inasprisce. Le emozioni e i sentimenti possono essere assunti nelle
virtù, o pervertiti nei vizi. (CCC 1769) Nella vita cristiana, lo Spirito Santo compie la
sua opera mobilitando tutto l'essere, compresi i suoi dolori, i suoi timori e le sue
tristezze, come è evidente nell'agonia e nella passione del Signore. In Cristo, i
sentimenti umani possono ricevere la loro perfezione nella carità e nella beatitudine
divina. (CCC 1770) La perfezione morale consiste nel fatto che l'uomo non sia
indotto al bene soltanto dalla volontà, ma anche dal suo appetito sensibile, secondo
queste parole del Salmo: “Il mio cuore e la mia carne esultano nel Dio vivente” (Sal
84,3).
(2 Co 2, 6-10) Far prevalere carità e perdono
[6] Per quel tale però è già sufficiente il castigo che gli è venuto dai più,
[7] cosicché voi dovreste piuttosto usargli benevolenza e confortarlo, perché
egli non soccomba sotto un dolore troppo forte. [8] Vi esorto quindi a far
prevalere nei suoi riguardi la carità; [9] e anche per questo vi ho scritto, per
vedere alla prova se siete effettivamente obbedienti in tutto. [10] A chi voi
perdonate, perdono anch'io;
(CCC 2608) Fin dal discorso della montagna, Gesù insiste sulla conversione
del cuore: la riconciliazione con il fratello prima di presentare un'offerta sull'altare
[Mt 5,23-24], l'amore per i nemici e la preghiera per i persecutori [Mt 5,44-45], la
preghiera al Padre “nel segreto” (Mt 6,6), senza sprecare molte parole [Mt 6,7], il
perdono dal profondo del cuore nella preghiera [Mt 6,14-15], la purezza del cuore e
la ricerca del Regno [Mt 6,21.25.33]. Tale conversione è tutta orientata al Padre: è
filiale. (CCC 986) Secondo la volontà di Cristo, la Chiesa possiede il potere di
perdonare i peccati dei battezzati e lo esercita per mezzo dei vescovi e dei sacerdoti
normalmente nel sacramento della Penitenza. (CCC 987) «I sacerdoti e i sacramenti
sono gli strumenti per il perdono dei peccati; strumenti per mezzo dei quali Gesù












Cristo, autore e dispensatore della salvezza, opera in noi la remissione dei peccati e
genera la grazia» (Catechsmo Romano, 1, 11, 6). (CCC 1694) Incorporati a Cristo
per mezzo del Battesimo [Rm 6,5], i cristiani sono “morti al peccato, ma viventi per
Dio, in Cristo Gesù” (Rm 6,11), partecipando così alla vita del Risorto [Col 2,12].
Alla sequela di Cristo e in unione con lui [Gv 15,5], i cristiani possono farsi imitatori
di Dio, quali figli carissimi, e camminare “nella carità” (Ef 5,1), conformando i loro
pensieri, le loro parole, le loro azioni ai “sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Fil
2,5) e seguendone gli esempi [Gv 13,12-16].
(2 Co 2, 10-11) Per non cadere in balìa di satana
[10] Perché quello che io ho perdonato, se pure ebbi qualcosa da
perdonare, l'ho fatto per voi, davanti a Cristo, [11] per non cadere in balìa
di satana, di cui non ignoriamo le macchinazioni.
(CCC 414) Satana o il diavolo e gli altri demoni sono angeli decaduti per
avere liberamente rifiutato di servire Dio e il suo disegno. La loro scelta contro Dio è
definitiva. Essi tentano di associare l'uomo alla loro ribellione contro Dio. (CCC
415) “Costituito da Dio in uno stato di giustizia, l'uomo però, tentato dal maligno, fin
dagli inizi della storia abusò della sua libertà, erigendosi contro Dio e bramando di
conseguire il suo fine al di fuori di Dio” [Conc. Vat. II, Gaudium et spes, 13]. (CCC
394) La Scrittura attesta la nefasta influenza di colui che Gesù chiama “omicida fin
dal principio” (Gv 8,44), e che ha perfino tentato di distogliere Gesù dalla missione
affidatagli dal Padre [Mt 4,1-11]. “Il Figlio di Dio è apparso per distruggere le
opere del diavolo” (1Gv 3,8). Di queste opere, la più grave nelle sue conseguenze è
stata la seduzione menzognera che ha indotto l'uomo a disobbedire a Dio. (CC 395)
La potenza di Satana però non è infinita. Egli non è che una creatura, potente per il
fatto di essere puro spirito, ma pur sempre una creatura: non può impedire
l'edificazione del regno di Dio. Sebbene Satana agisca nel mondo per odio contro
Dio e il suo regno in Cristo Gesù, e sebbene la sua azione causi gravi danni - di
natura spirituale e indirettamente anche di natura fisica - per ogni uomo e per la
società, questa azione è permessa dalla divina provvidenza, la quale guida la storia
dell'uomo e del mondo con forza e dolcezza. La permissione divina dell'attività
diabolica è un grande mistero, ma “noi sappiamo che tutto concorre al bene di
coloro che amano Dio” (Rm 8,28). (CCC 550) La venuta del Regno di Dio è la
sconfitta del regno di Satana [Mt 12,26]: “Se io scaccio i demoni per virtù dello
Spirito di Dio, è certo giunto fra voi il regno di Dio” (Mt 12,28). Gli esorcismi di
Gesù liberano alcuni uomini dal tormento dei demoni [Lc 8,26-39]. Anticipano la
grande vittoria di Gesù sul “principe di questo mondo” (Gv 12,31). Il regno di Dio
sarà definitivamente stabilito per mezzo della croce di Cristo: “Regnavit a ligno Deus
Dio regnò dalla croce” [Venanzio Fortunato, Inno “Vexilla Regis”: PL 88, 96]. (CCC
636) Con l'espressione “Gesù discese agli inferi”, il Simbolo professa che Gesù è
morto realmente e che, mediante la sua morte per noi, egli ha vinto la morte e il
diavolo “che della morte ha il potere” (Eb 2,14). (CCC 2853) La vittoria sul
“principe del mondo” (Gv 14,30) è conseguita, una volta per tutte, nell'Ora in cui
Gesù si consegna liberamente alla morte per darci la sua Vita. Avviene allora il
giudizio di questo mondo e il principe di questo mondo è “gettato fuori” [Gv 12,31;
Ap 12,10]. Egli “si avventò contro la Donna” (Ap 12,13) [Ap 12,13-16], ma non la
poté ghermire: la nuova Eva, “piena di grazia” dello Spirito Santo, è preservata dal












peccato e dalla corruzione della morte (concezione immacolata e assunzione della
santissima Madre di Dio, Maria, sempre Vergine). “Allora il drago si infuriò contro
la Donna e se ne andò a far guerra contro il resto della sua discendenza” (Ap 12,17).
E' per questo che lo Spirito e la Chiesa pregano: “Vieni, Signore Gesù” (Ap
22,17.20): la sua venuta, infatti, ci libererà dal male.
(2 Co 2, 12-16) Partecipiamo al trionfo in Cristo
[12] Giunto pertanto a Troade per annunziare il vangelo di Cristo,
sebbene la porta mi fosse aperta nel Signore, [13] non ebbi pace nello spirito
perché non vi trovai Tito, mio fratello; perciò, congedatomi da loro, partii per
la Macedonia. [14] Siano rese grazie a Dio, il quale ci fa partecipare al suo
trionfo in Cristo e diffonde per mezzo nostro il profumo della sua
conoscenza nel mondo intero! [15] Noi siamo infatti dinanzi a Dio il
profumo di Cristo fra quelli che si salvano e fra quelli che si perdono; [16]
per gli uni odore di morte per la morte e per gli altri odore di vita per la vita.
E chi è mai all'altezza di questi compiti?
(CCC 1241) L'unzione con il sacro crisma, olio profumato consacrato dal
Vescovo, significa il dono dello Spirito Santo elargito al nuovo battezzato. Egli è
divenuto un cristiano, ossia “unto” di Spirito Santo, incorporato a Cristo, che è unto
Sacerdote, Profeta e Re [Rito del battesimo dei bambini, 71]. (CCC 1242) Nella
liturgia delle Chiese Orientali, l'unzione post-battesimale costituisce il sacramento
della Crismazione (Confermazione). Nella liturgia romana, essa annunzia una
seconda unzione con il sacro crisma che sarà effettuata dal Vescovo: cioè il
sacramento della Confermazione, il quale, per così dire, "conferma" e porta a
compimento l'unzione battesimale. (CCC 1289) Per meglio esprimere il dono dello
Spirito Santo, ben presto all'imposizione delle mani si è aggiunta una unzione di olio
profumato (crisma). Tale unzione spiega il nome di “cristiano” che significa “unto”
e che trae la sua origine da quello di Cristo stesso, che “Dio consacrò [ha unto] in
Spirito Santo” (At 10,38). Questo rito di unzione è rimasto in uso fino ai nostri
giorni sia in Oriente sia in Occidente. Perciò in Oriente questo sacramento viene
chiamato Crismazione, unzione con il crisma, o myron, che significa “crisma”. In
Occidente il termine Confermazione suggerisce che questo sacramento nel medesimo
tempo conferma il battesimo e rafforza la grazia battesimale. (CCC 1294) Questi
significati dell'unzione con l'olio si ritrovano tutti nella vita sacramentale. L'unzione
prima del Battesimo con l'olio dei catecumeni ha il significato di purificare e
fortificare; l'unzione degli infermi esprime la guarigione e il conforto. L'unzione con
il sacro crisma dopo il Battesimo, nella Confermazione e nell'Ordinazione, è il segno
di una consacrazione. Mediante la Confermazione, i cristiani, ossia coloro che sono
unti, partecipano maggiormente alla missione di Gesù Cristo e alla pienezza dello
Spirito Santo di cui egli è ricolmo, in modo che tutta la loro vita effonda il
“profumo di Cristo” (2Cor 2,15 ).
(2 Co 2, 17) Mossi da Dio parliamo di Cristo
[17] Noi non siamo infatti come quei molti che mercanteggiano la parola
di Dio, ma con sincerità e come mossi da Dio, sotto il suo sguardo, noi
parliamo in Cristo.












(CCC 53) Il disegno divino della Rivelazione si realizza ad un tempo “con
eventi e parole” che sono “intimamente connessi tra loro” [Conc. Ecum. Vat. II, Dei
Verbum, 2] e si chiariscono a vicenda. Esso comporta una “pedagogia divina”
particolare: Dio si comunica gradualmente all'uomo, lo prepara per tappe a ricevere
la rivelazione soprannaturale che egli fa di se stesso e che culmina nella Persona e
nella missione del Verbo incarnato, Gesù Cristo. Sant'Ireneo di Lione parla a più
riprese di questa pedagogia divina sotto l'immagine della reciproca familiarità tra Dio
e l'uomo: “Il Verbo di Dio […] pose la sua abitazione tra gli uomini e si è fatto Figlio
dell'uomo, per abituare l'uomo a comprendere Dio e per abituare Dio a mettere la sua
dimora nell'uomo secondo la volontà del Padre” [Sant'Ireneo di Lione, Adversus
haereses, 3, 20, 2: PG 7, 944; 3, 17, 1: PG 7, 929; 4, 12, 4: PG 7, 1006; 4, 21, 3: PG
7, 1046]. (CCC 2) Affinché questo appello risuonasse per tutta la terra, Cristo ha
inviato gli Apostoli che aveva scelto, dando loro il mandato di annunziare il
Vangelo: “Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre
e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho
comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt
28,19-20). Forti di questa missione, gli Apostoli “partirono e predicarono
dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro e confermava la parola con
i prodigi che l'accompagnavano” (Mc 16,20). (CCC 3) Coloro che, con l'aiuto di
Dio, hanno accolto l'invito di Cristo e vi hanno liberamente risposto, a loro volta
sono stati spinti dall'amore di Cristo ad annunziare ovunque nel mondo la Buona
Novella. Questo tesoro ricevuto dagli Apostoli è stato fedelmente custodito dai loro
successori. Tutti i credenti in Cristo sono chiamati a trasmetterlo di generazione in
generazione, annunziando la fede, vivendola nell'unione fraterna e celebrandola
nella liturgia e nella preghiera [At 2,42].


2Corinzi 3
(2 Co 3, 1-4) Siete una lettera di Cristo
[1] Cominciamo forse di nuovo a raccomandare noi stessi? O forse
abbiamo bisogno, come altri, di lettere di raccomandazione per voi o da parte
vostra? [2] La nostra lettera siete voi, lettera scritta nei nostri cuori,
conosciuta e letta da tutti gli uomini. [3] È noto infatti che voi siete una
lettera di Cristo composta da noi, scritta non con inchiostro, ma con lo
Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne
dei vostri cuori. [4] Questa è la fiducia che abbiamo per mezzo di Cristo,
davanti a Dio.
(CCC 700) Il dito. “Con il dito di Dio” Gesù scaccia “i demoni” (Lc 11,20). Se
la Legge di Dio è stata scritta su tavole di pietra “dal dito di Dio” (Es 31,18), “la
lettera di Cristo”, affidata alle cure degli Apostoli, è “scritta con lo Spirito del Dio
vivente, non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei […] cuori” (2Cor
3,3). L'inno “Veni, Creator Spiritus” invoca lo Spirito Santo come “dexterae Dei tu
digitus - dito della mano di Dio” (Domenica di Pentecoste, Inno ai I e II Vespri).
(2 Co 3, 5-11) Apostoli ministri dello Spirito
[5] Non però che da noi stessi siamo capaci di pensare qualcosa come
proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio, [6] che ci ha resi












ministri adatti di una Nuova Alleanza, non della lettera ma dello Spirito;
perché la lettera uccide, lo Spirito dà vita. [7] Se il ministero della morte,
inciso in lettere su pietre, fu circonfuso di gloria, al punto che i figli d'Israele
non potevano fissare il volto di Mosè a causa dello splendore pure effimero
del suo volto, [8] quanto più sarà glorioso il ministero dello Spirito? [9]
Se già il ministero della condanna fu glorioso, molto di più abbonda di gloria il
ministero della giustizia. [10] Anzi sotto quest'aspetto, quello che era glorioso
non lo è più a confronto della sovraeminente gloria della Nuova Alleanza. [11]
Se dunque ciò che era effimero fu glorioso, molto più lo sarà ciò che è
duraturo.
(CCC 859) Gesù li unisce alla missione che ha ricevuto dal Padre. Come “il
Figlio da sé non può fare nulla” (Gv 5,19.30), ma riceve tutto dal Padre che lo ha
inviato, così coloro che Gesù invia non possono fare nulla senza di lui [Gv 15,5],
dal quale ricevono il mandato della missione e il potere di compierla. Gli Apostoli di
Cristo sanno di essere resi da Dio “ministri adatti di una Nuova Alleanza” (2Cor
3,6), “ministri di Dio” (2Cor 6,4), “ambasciatori per Cristo” (2Cor 5,20), “ministri di
Cristo e amministratori dei misteri di Dio” (1Cor 4,1). (CCC 860) Nella missione
degli Apostoli c'è un aspetto che non può essere trasmesso: essere i testimoni scelti
della Risurrezione del Signore e le fondamenta della Chiesa. Ma vi è anche un
aspetto permanente della loro missione. Cristo ha promesso di rimanere con loro sino
alla fine del mondo [Mt 28,20]. La “missione divina, affidata da Cristo agli Apostoli,
dovrà durare sino alla fine dei secoli, poiché il Vangelo che essi devono trasmettere
è per la Chiesa principio di tutta la sua vita in ogni tempo. Per questo gli Apostoli
[...] ebbero cura di costituirsi dei successori” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium,
20].
(2 Co 3, 12-18) Dov’è lo Spirito di Gesù c’è libertà
[12] Forti di tale speranza, ci comportiamo con molta franchezza [13] e
non facciamo come Mosè che poneva un velo sul suo volto, perché i figli di
Israele non vedessero la fine di ciò che era solo effimero. [14] Ma le loro
menti furono accecate; infatti fino ad oggi quel medesimo velo rimane, non
rimosso, alla lettura dell'Antico Testamento, perché è in Cristo che esso
viene eliminato. [15] Fino ad oggi, quando si legge Mosè, un velo è steso
sul loro cuore; [16] ma quando ci sarà la conversione al Signore, quel velo
sarà tolto. [17] Il Signore è lo Spirito e dove c'è lo Spirito del Signore c'è
libertà. [18] E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la
gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine,
di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore.
(CCC 702) Dalle origini fino alla “pienezza del tempo” (Gal 4,4), la missione
congiunta del Verbo e dello Spirito del Padre rimane nascosta, ma è all'opera. Lo
Spirito di Dio va preparando il tempo del Messia, e l'uno e l'altro, pur non essendo
ancora pienamente rivelati, vi sono già promessi, affinché siano attesi e accolti al
momento della loro manifestazione. Per questo, quando la Chiesa legge l'Antico
Testamento [2Cor 3,14], vi cerca [Gv 5,39.46] ciò che lo Spirito, “che ha parlato per
mezzo dei profeti” (Simbolo niceno-costantinopolitano: DS 150), vuole dirci di
Cristo. Con il termine “profeti”, la fede della Chiesa intende in questo caso tutti
coloro che furono ispirati dallo Spirito Santo nel vivo annuncio e nella redazione dei












Libri Sacri, sia dell'Antico sia del Nuovo Testamento. La tradizione giudaica
distingue la Legge [i primi cinque libri o Pentateuco], i Profeti [corrispondenti ai
nostri libri detti storici e profetici] e gli Scritti [soprattutto sapienziali, in particolare i
Salmi] [Lc 24,44]. (CCC 1094) Proprio su questa armonia dei due Testamenti [Conc.
Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 14-16] si articola la catechesi pasquale del Signore [Lc
24,13-49] e in seguito quella degli Apostoli e dei Padri della Chiesa. Tale catechesi
svela ciò che rimaneva nascosto sotto la lettera dell'Antico Testamento: il mistero di
Cristo. Essa è chiamata “tipologica” in quanto rivela la novità di Cristo a partire dalle
“figure” (tipi) che lo annunziavano nei fatti, nelle parole e nei simboli della prima
Alleanza. Attraverso questa rilettura nello Spirito di verità a partire da Cristo, le
figure vengono svelate [2Cor 3,14-16]. Così, il diluvio e l'arca di Noè prefiguravano
la salvezza per mezzo del Battesimo [1Pt 3,21], come pure la Nube e la traversata del
Mar Rosso; l'acqua dalla roccia era figura dei doni spirituali di Cristo [1Cor 10,1-6];
la manna nel deserto prefigurava l'Eucaristia, “il vero Pane dal cielo” [Gv 6,32].
(CCC 1741) Con la sua croce gloriosa Cristo ha ottenuto la salvezza di tutti gli
uomini. Li ha riscattati dal peccato che li teneva in schiavitù. “Cristo ci ha liberati
perché restassimo liberi” (Gal 5,1). In lui abbiamo comunione con “la verità” che ci
fa “liberi” (Gv 8,32). Ci è stato donato lo Spirito Santo e, come insegna l'Apostolo,
“dove c'è lo Spirito del Signore c'è libertà” (2Cor 3,17). Fin d'ora ci gloriamo della
libertà dei figli di Dio (Rm 8,21). (CCC 693) Oltre al suo nome proprio, che è il più
usato negli Atti degli Apostoli e nelle Lettere, in san Paolo troviamo gli appellativi:
“Spirito […] promesso” [Ef 1,13; Gal 3,14], “Spirito da figli adottivi” [Rm 8,15; Gal
4,6], “Spirito di Cristo” (Rm 8,9), “Spirito del Signore” (2Cor 3,17), “Spirito di Dio”
(Rm 8,9.14; 15,19; 1Cor 6,11; 7,40) e, in san Pietro, “Spirito della gloria” (1Pt 4,14).


2Corinzi 4
(2 Co 4, 1-4) Cristo che è immagine di Dio
[1] Perciò, investiti di questo ministero per la misericordia che ci è stata
usata, non ci perdiamo d'animo; [2] al contrario, rifiutando le dissimulazioni
vergognose, senza comportarci con astuzia né falsificando la parola di Dio,
ma annunziando apertamente la verità, ci presentiamo davanti a ogni
coscienza, al cospetto di Dio. [3] E se il nostro vangelo rimane velato, lo è per
coloro che si perdono, [4] ai quali il dio di questo mondo ha accecato la
mente incredula, perché non vedano lo splendore del glorioso vangelo di
Cristo che è immagine di Dio.
(CCC 1701) “Cristo […], proprio rivelando il mistero del Padre e del suo
amore, svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima
vocazione” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 22]. E' in Cristo,“immagine del
Dio invisibile” (Col 1,15) [2Cor 4,4 ] che l'uomo è stato creato ad “immagine e
somiglianza” del Creatore. E' in Cristo, Redentore e Salvatore, che l'immagine
divina, deformata nell'uomo dal primo peccato, è stata restaurata nella sua bellezza
originale e nobilitata dalla grazia di Dio [Gaudium et spes, 22].
(2 Co 4, 5-7) La potenza straordinaria è da Dio
[5] Noi infatti non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore;
quanto a noi, siamo i vostri servitori per amore di Gesù. [6] E Dio che disse:












Rifulga la luce dalle tenebre, rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la
conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo. [7] Però noi
abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa
potenza straordinaria viene da Dio e non da noi.
(CCC 298) Dio, poiché può creare dal nulla, può anche, per opera dello
Spirito Santo, donare ai peccatori la vita dell'anima, creando in essi un cuore puro
[Sal 51,12], e ai defunti, con la risurrezione, la vita del corpo, egli “che dà vita ai
morti e chiama all'esistenza le cose che ancora non esistono” (Rm 4,17). E, dal
momento che, con la sua Parola, ha potuto far risplendere la luce dalle tenebre [Gen
1,3], può anche donare la luce della fede a coloro che non lo conoscono [2Cor 4,6].
(CCC 1420) Attraverso i sacramenti dell'iniziazione cristiana, l'uomo riceve la vita
nuova di Cristo. Ora, questa vita, noi la portiamo “in vasi di creta” (2Cor 4,7).
Adesso è ancora “nascosta con Cristo in Dio” (Col 3,3). Noi siamo ancora nella
“nostra abitazione terrena” (2Cor 5,1), sottomessa alla sofferenza, alla malattia e
alla morte. Questa vita nuova di figlio di Dio può essere indebolita e persino perduta
a causa del peccato. (CCC 2583) Dopo aver imparato la misericordia nel suo ritiro
presso il torrente Cherit, Elia insegna alla vedova di Zarepta la fede nella Parola di
Dio, fede che egli conferma con la sua preghiera insistente: Dio fa tornare in vita il
figlio della vedova [1Re 17,7-24]. Al momento del sacrificio sul monte Carmelo,
prova decisiva per la fede del popolo di Dio, è per la sua supplica che il fuoco del
Signore consuma l'olocausto, “all'ora in cui si presenta l'offerta della sera”:
“Rispondimi, Signore, rispondimi!” (1Re 18,37); queste stesse parole di Elia sono
riprese dalle liturgie orientali nell'epiclesi eucaristica [1Re 18,20-39]. Infine,
riprendendo il cammino nel deserto verso il luogo dove il Dio vivo e vero si è
rivelato al suo popolo, Elia, come Mosè, entra “in una caverna” finché “passi” la
presenza misteriosa di Dio [1Re 19,1-14; Es 33,19-23]. Ma è soltanto sul monte della
trasfigurazione che si svelerà colui di cui essi cercano il volto: [Lc 9,28-36] la
conoscenza della gloria di Dio rifulge sul volto di Cristo crocifisso e risorto [2Cor
4,6].
(2 Co 4, 8-15) Tribolazioni e ferma speranza
[8] Siamo infatti tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo
sconvolti, ma non disperati; [9] perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma
non uccisi, [10] portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di
Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. [11]
Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo esposti alla morte a causa di
Gesù, perché anche la vita di Gesù sia manifesta nella nostra carne mortale.
[12] Di modo che in noi opera la morte, ma in voi la vita. [13] Animati tuttavia
da quello stesso spirito di fede di cui sta scritto: Ho creduto, perciò ho parlato,
anche noi crediamo e perciò parliamo, [14] convinti che colui che ha
risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà
accanto a lui insieme con voi. [15] Tutto infatti è per voi, perché la grazia,
ancora più abbondante ad opera di un maggior numero, moltiplichi l'inno di
lode alla gloria di Dio.
(CCC 1821) Noi possiamo, dunque, sperare la gloria del cielo promessa da
Dio a coloro che lo amano [Rm 8,28-30] e fanno la sua volontà [Mt 7,21]. In ogni
circostanza ognuno deve sperare, con la grazia di Dio, di perseverare “sino alla












fine” [Mt 10,22; Concilio di Trento: DS, 1541] e ottenere la gioia del cielo, quale
eterna ricompensa di Dio per le buone opere compiute con la grazia di Cristo. Nella
speranza la Chiesa prega che “tutti gli uomini siano salvati” (1Tm 2,4). Essa anela
ad essere unita a Cristo, suo Sposo, nella gloria del cielo: “Spera, anima mia, spera.
Tu non conosci il giorno né l'ora. Veglia premurosamente, tutto passa in un soffio,
sebbene la tua impazienza possa rendere incerto ciò che è certo, e lungo un tempo
molto breve. Pensa che quanto più lotterai, tanto più proverai l'amore che hai per il
tuo Dio e tanto più un giorno godrai con il tuo Diletto, in una felicità ed in un'estasi
che mai potranno aver fine” [Santa Teresa di Gesù, Exclamaciones del alma a Dios,
15, 3]. (CCC 989) Noi fermamente crediamo e fermamente speriamo che, come
Cristo è veramente risorto dai morti e vive per sempre, cosi pure i giusti, dopo la loro
morte, vivranno per sempre con Cristo risorto, e che egli li risusciterà nell’ultimo
giorno [Gc 6,39-40]. Come la sua, anche la nostra risurrezione sarà opera della
Santissima Trinità: “Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in
voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi
mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi” (Rm 8,11) [1Ts 4,14; 1Cor 6,14;
2Cor 4,14; Fil 3,10-11].
(2 Co 4, 16-18) Le cose invisibili sono eterne
[16] Per questo non ci scoraggiamo, ma se anche il nostro uomo
esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno. [17]
Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione, ci procura una
quantità smisurata ed eterna di gloria, [18] perché noi non fissiamo lo
sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono
d'un momento, quelle invisibili sono eterne.
(CCC 42) Dio trascende ogni creatura. Occorre dunque purificare
continuamente il nostro linguaggio da ciò che ha di limitato, di immaginoso, di
imperfetto per non confondere il Dio “ineffabile, incomprensibile, invisibile,
inafferrabile” [Liturgia bizantina. Anaphora sancti Joannis Chrysostomi: PG 63,
915] con le nostre rappresentazioni umane. Le parole umane restano sempre al di qua
del mistero di Dio. (CCC 50) Per mezzo della ragione naturale, l'uomo può conoscere
Dio con certezza a partire dalle sue opere. Ma esiste un altro ordine di conoscenza a
cui l'uomo non può affatto arrivare con le sue proprie forze, quello della rivelazione
divina [Concilio Vaticano I: DS 3015]. Per una decisione del tutto libera, Dio si
rivela e si dona all'uomo svelando il suo mistero, il suo disegno di benevolenza
prestabilito da tutta l'eternità in Cristo a favore di tutti gli uomini. Egli rivela
pienamente il suo disegno inviando il suo Figlio prediletto, nostro Signore Gesù
Cristo, e lo Spirito Santo. (CCC 260) Il fine ultimo dell'intera Economia divina è che
tutte le creature entrino nell'unità perfetta della Beatissima Trinità [Gv 17,21-23].
Ma fin d'ora siamo chiamati ad essere abitati dalla Santissima Trinità: “Se uno mi
ama”, dice il Signore, “Se uno mi ama, osserverà la mia Parola e il Padre mio lo
amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23): “O mio
Dio, Trinità che adoro, aiutami a dimenticarmi completamente, per stabilirmi in te,
immobile e serena come se la mia anima fosse già nell'eternità; nulla possa turbare la
mia pace né farmi uscire da te, o mio Immutabile, ma che ogni minuto mi porti più
addentro nella profondità del tuo mistero! Pacifica la mia anima; fanne il tuo cielo,
la tua dimora amata e il luogo del tuo riposo. Che io non ti lasci mai sola, ma che sia












lì, con tutta me stessa, tutta vigile nella mia fede, tutta adorante, tutta offerta alla tua
azione creatrice” [Beata Elisabetta della Trinità, Élévation à la Trinité: Ecrits
spirituels, 50].


2Corinzi 5
(2 Co 5, 1-5) Rivestirci del nostro corpo celeste
[1] Sappiamo infatti che quando verrà disfatto questo corpo, nostra
abitazione sulla terra, riceveremo un'abitazione da Dio, una dimora
eterna, non costruita da mani di uomo, nei cieli. [2] Perciò sospiriamo in
questo nostro stato, desiderosi di rivestirci del nostro corpo celeste: [3]
a condizione però di esser trovati già vestiti, non nudi. [4] In realtà quanti
siamo in questo corpo, sospiriamo come sotto un peso, non volendo venire
spogliati ma sopravvestiti, perché ciò che è mortale venga assorbito dalla
vita. [5] È Dio che ci ha fatti per questo e ci ha dato la caparra dello
Spirito.
(CCC 1420) Attraverso i sacramenti dell'iniziazione cristiana, l'uomo riceve la
vita nuova di Cristo. Ora, questa vita, noi la portiamo “in vasi di creta” (2Cor 4,7).
Adesso è ancora “nascosta con Cristo in Dio” (Col 3,3). Noi siamo ancora nella
nostra abitazione terrena (2Cor 5,1), sottomessa alla sofferenza, alla malattia e alla
morte. Questa vita nuova di figlio di Dio può essere indebolita e persino perduta a
causa del peccato. (CCC 2796) Quando la Chiesa prega “Padre nostro che sei nei
cieli”, professa che siamo il Popolo di Dio, già fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù
(Ef 2,6), nascosti “con Cristo in Dio” (Col 3,3), mentre, al tempo stesso,
“sospiriamo in questo nostro stato, desiderosi di rivestirci del nostro corpo celeste”
(2Cor 5,2) [Fil 3,20; Eb 13,14]. I cristiani “sono nella carne, ma non vivono secondo
la carne. Passano la loro vita sulla terra, ma sono cittadini del cielo” [Lettera a
Diogneto, 5, 8-9]. (CCC 769) “La Chiesa […] non avrà il suo compimento se non
nella gloria del cielo”, [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 48] al momento del
ritorno glorioso di Cristo. Fino a quel giorno, “la Chiesa prosegue il suo
pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio”
[Sant'Agostino, De civitate Dei, 18, 51; Lumen gentium, 8]. Quaggiù si sente in
esilio, lontana dal Signore [2Cor 5,6; Lumen gentium, 6]; “anela al regno perfetto e
con tutte le sue forze spera e brama di unirsi al suo Re nella gloria” [Lumen gentium,
5]. Il compimento della Chiesa - e per suo mezzo del mondo - nella gloria non
avverrà se non attraverso molte prove. Allora soltanto, “tutti i giusti, a partire da
Adamo, "dal giusto Abele fino all'ultimo eletto", saranno riuniti presso il Padre nella
Chiesa universale” [Ib., 2].
(2 Co 5, 6-11) Andare ad abitare presso il Signore
[6] Così, dunque, siamo sempre pieni di fiducia e sapendo che finché
abitiamo nel corpo siamo in esilio lontano dal Signore, [7] camminiamo
nella fede e non ancora in visione. [8] Siamo pieni di fiducia e
preferiamo andare in esilio dal corpo ed abitare presso il Signore. [9]
Perciò ci sforziamo, sia dimorando nel corpo sia esulando da esso, di essere
a lui graditi. [10] Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo,
ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute finché era nel












corpo, sia in bene che in male. [11] Consapevoli dunque del timore del
Signore, noi cerchiamo di convincere gli uomini; per quanto invece riguarda
Dio, gli siamo ben noti. E spero di esserlo anche davanti alle vostre
coscienze.
(CCC 164) Ora, però, “camminiamo nella fede e non ancora in visione” (2Cor
5,7), e conosciamo Dio “come in uno specchio, in maniera confusa [...], in modo
imperfetto” (1Cor 13,12). La fede, luminosa a motivo di Colui nel quale crede,
sovente è vissuta nell'oscurità. La fede può essere messa alla prova. Il mondo nel
quale viviamo pare spesso molto lontano da ciò di cui la fede ci dà la certezza; le
esperienze del male e della sofferenza, delle ingiustizie e della morte sembrano
contraddire la Buona Novella, possono far vacillare la fede e diventare per essa una
tentazione. (CCC 1005) Per risuscitare con Cristo, bisogna morire con Cristo,
bisogna «andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore» (2 Cor 5, 8). In
questo «essere sciolto» (Fil 1, 23) che è la morte, l’anima viene separata dal corpo.
Essa sarà riunita al suo corpo il giorno della risurrezione dei morti [Paolo VI, Credo
del popolo di Dio, 28]. (CCC 1021) La morte pone fine alla vita dell'uomo come
tempo aperto all'accoglienza o al rifiuto della grazia divina apparsa in Cristo [2Tm
1,9-10]. Il Nuovo Testamento parla del giudizio principalmente nella prospettiva
dell'incontro finale con Cristo alla sua seconda venuta, ma afferma anche, a più
riprese, l'immediata retribuzione che, dopo la morte, sarà data a ciascuno in
rapporto alle sue opere e alla sua fede. La parabola del povero Lazzaro [Lc 16,22] e
la parola detta da Cristo in croce al buon ladrone [Lc 23,43] così come altri testi del
Nuovo Testamento [2Cor 5,8; Fil 1,23; Eb 9,27; 12,23] parlano di una sorte ultima
dell'anima [Mt 16,26] che può essere diversa per le une e per le altre. (CCC 1681) Il
senso cristiano della morte si manifesta alla luce del mistero pasquale della morte e
della risurrezione di Cristo, nel quale riposa la nostra unica speranza. Il cristiano che
muore in Cristo Gesù “va in esilio dal corpo per abitare presso il Signore” (2Cor
5,8).
(2 Co 5, 12-14) L’amore di Cristo ci spinge
[12] Non ricominciamo a raccomandarci a voi, ma è solo per darvi
occasione di vanto a nostro riguardo, perché abbiate di che rispondere a
coloro il cui vanto è esteriore e non nel cuore. [13] Se infatti siamo stati fuori
di senno, era per Dio; se siamo assennati, è per voi. [14] Poiché l'amore del
Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono
morti.
(CCC 616) E’ l'amore “sino alla fine” (Gv 13,1) che conferisce valore di
redenzione e di riparazione, di espiazione e di soddisfazione al sacrificio di Cristo.
Egli ci ha tutti conosciuti e amati nell'offerta della sua vita [Gal 2,20; Ef 5,2.25].
“L'amore del Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti
sono morti” (2Cor 5,14). Nessun uomo, fosse pure il più santo, era in grado di
prendere su di sé i peccati di tutti gli uomini e di offrirsi in sacrificio per tutti.
L'esistenza in Cristo della Persona divina del Figlio, che supera e nel medesimo
tempo abbraccia tutte le persone umane e lo costituisce Capo di tutta l'umanità,
rende possibile il suo sacrificio redentore per tutti. (CCC 851) Il motivo della
missione. Da sempre la Chiesa ha tratto l'obbligo e la forza del suo slancio












missionario dall'amore di Dio per tutti gli uomini: “poiché l'amore di Cristo ci
spinge…” (2Cor 5,14) [Conc. Ecum. Vat. II, Apostolicam actuositatem, 6; Giovanni
Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio, 11]. Infatti Dio “vuole che tutti gli uomini
siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità” (1Tm 2,4). Dio vuole la
salvezza di tutti attraverso la conoscenza della verità. La salvezza si trova nella
verità. Coloro che obbediscono alla mozione dello Spirito di verità sono già sul
cammino della salvezza; ma la Chiesa, alla quale questa verità è stata affidata, deve
andare incontro al loro desiderio offrendola loro. Proprio perché crede al disegno
universale di salvezza, la Chiesa deve essere missionaria.
(2 Co 5, 15-16) Cristo è morto e risorto per tutti
[15] Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano
più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro. [16]
Cosicché ormai noi non conosciamo più nessuno secondo la carne; e anche
se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più
così.
(CCC 604) Nel consegnare suo Figlio per i nostri peccati, Dio manifesta che il
suo disegno su di noi è un disegno di amore benevolo che precede ogni merito da
parte nostra: “In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che
ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri
peccati” (1Gv 4,10.19]. “Dio dimostra il suo amore verso di noi, perché mentre
eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm 5,8). (CCC 605) Questo
amore è senza esclusioni; Gesù l'ha richiamato a conclusione della parabola della
pecorella smarrita: “Così il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno
solo di questi piccoli” (Mt 18,14). Egli afferma di “dare la sua vita in riscatto per
molti” (Mt 20,28); quest'ultimo termine non è restrittivo: oppone l'insieme
dell'umanità all'unica persona del Redentore che si consegna per salvarla [Rm 5,18-
19]. La Chiesa, seguendo gli Apostoli [2Cor 5,15; 1Gv 2,2], insegna che Cristo è
morto per tutti senza eccezioni: “Non vi è, non vi è stato, non vi sarà alcun uomo per
il quale Cristo non abbia sofferto” [Concilio di Quierzy (853): DS 624]. (CCC 655)
Infine, la risurrezione di Cristo - e lo stesso Cristo risorto - è principio e sorgente
della nostra risurrezione futura: “Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro
che sono morti […]; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in
Cristo” (1Cor 15,20-22). Nell'attesa di questo compimento, Cristo risuscitato vive nel
cuore dei suoi fedeli. In lui i cristiani gustano “le meraviglie del mondo futuro” (Eb
6,5) e la loro vita è trasportata da Cristo nel seno della vita divina [Col 3,1-3]: “Egli è
morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui
che è morto e risuscitato per loro” (2Cor 5,15).
(2 Co 5, 17) Siamo creature nuove in Cristo
[17] Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose
vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove.
(CCC 1212) Con i sacramenti dell'iniziazione cristiana, il Battesimo, la
Confermazione e l'Eucaristia, sono posti i fondamenti di ogni vita cristiana. “La
partecipazione alla natura divina, che gli uomini ricevono in dono mediante la grazia
di Cristo, rivela una certa analogia con l'origine, lo sviluppo e l'accrescimento della
vita naturale. Difatti i fedeli, rinati nel santo Battesimo, sono corroborati dal












sacramento della Confermazione e, quindi, sono nutriti con il cibo della vita eterna
nell'Eucaristia, sicché, per effetto di questi sacramenti dell'iniziazione cristiana, sono
in grado di gustare sempre più e sempre meglio i tesori della vita divina e progredire
fino al raggiungimento della perfezione della carità” [Paolo VI, Cost. ap. Divinae
consortium naturae, (1971); Rito dell'iniziazione cristiana degli adulti, Introduzione
generale, 1-2]. (CCC 1215) Questo sacramento è anche chiamato il “lavacro di
rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo” (Tt 3,5), poiché significa e
realizza quella nascita dall'acqua e dallo Spirito senza la quale nessuno “può
entrare nel Regno di Dio” (Gv 3,5). (CCC 1265) Il Battesimo non soltanto purifica
da tutti i peccati, ma fa pure del neofita una “nuova creatura” (2Cor 5,17), un figlio
adottivo di Dio [Gal 4,5-7] che è divenuto partecipe della natura divina [2Pt 1,4],
membro di Cristo [1Cor 6,15; 1Cor 12,27] e coerede con lui [Rm 8,17], tempio dello
Spirito Santo [1Cor 6,19]. (CCC 1266) La Santissima Trinità dona al battezzato la
grazia santificante, la grazia della giustificazione che - lo rende capace di credere in
Dio, di sperare in lui e di amarlo per mezzo delle virtù teologali; - gli dà la capacità
di vivere e agire sotto la mozione dello Spirito Santo per mezzo dei doni dello Spirito
Santo; - gli permette di crescere nel bene per mezzo delle virtù morali. In questo
modo tutto l'organismo della vita soprannaturale del cristiano ha la sua radice nel
santo Battesimo.
(2 Co 5, 18) Dio ci ha riconciliati con sé in Cristo
[18] Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé
mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione.
(CCC 981) Cristo dopo la sua risurrezione ha inviato i suoi Apostoli a predicare
«nel suo nome [...] a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati» (Lc 24,
47). Tale «ministero della riconciliazione» (2Cor 5, 18) non viene compiuto dagli
Apostoli e loro successori solamente annunziando agli uomini il perdono di Dio
meritato per noi da Cristo e chiamandoli alla conversione e alla fede, ma anche
comunicando loro la remissione dei peccati per mezzo del Battesimo e
riconciliandoli con Dio e con la Chiesa grazie al potere delle chiavi ricevuto da
Cristo: La Chiesa “ha ricevuto le chiavi del regno dei cieli, affinché in essa si compia
la remissione dei peccati per mezzo del sangue di Cristo e dell’azione dello Spirito
Santo. In questa Chiesa l’anima, che era morta a causa dei peccati, rinasce per
vivere con Cristo, la cui grazia ci ha salvati” (Sant’Agostino, Sermo 214, 11: PL 38,
1071-1072). (CCC 1442) Cristo ha voluto che la sua Chiesa sia tutta intera, nella sua
preghiera, nella sua vita e nelle sue attività, il segno e lo strumento del perdono e
della riconciliazione che egli ci ha acquistato a prezzo del suo sangue. Ha tuttavia
affidato l'esercizio del potere di assolvere i peccati al ministero apostolico. A questo
è affidato il “ministero della riconciliazione” (2Cor 5,18). L'apostolo è inviato “nel
nome di Cristo”, ed è Dio stesso che, per mezzo di lui, esorta e supplica: “Lasciatevi
riconciliare con Dio” (2Cor 5,20). (CCC 1461) Poiché Cristo ha affidato ai suoi
Apostoli il ministero della riconciliazione, [Gv 20,23; 2Cor 5,18] i Vescovi, loro
successori, e i presbiteri, collaboratori dei Vescovi, continuano ad esercitare questo
ministero. Infatti sono i Vescovi e i presbiteri che hanno, in virtù del sacramento
dell'Ordine, il potere di perdonare tutti i peccati “nel nome del Padre e del Figlio e
dello Spirito Santo”.












(2 Co 5, 19) E’ Dio a riconciliare a sé il mondo
[19] È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non
imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della
riconciliazione.
(CCC 433) Il nome del Dio Salvatore era invocato una sola volta all'anno, per
l'espiazione dei peccati d'Israele, dal sommo sacerdote, dopo che questi aveva
asperso col sangue del sacrificio il propiziatorio del Santo dei Santi [Lv 16,15-16; Sir
50,20; Eb 9,7]. Il propiziatorio era il luogo della presenza di Dio [Es 25,22; Lv 16,2;
Nm 7,89; Eb 9,5]. Quando san Paolo dice di Gesù: “Dio l'ha stabilito a servire come
strumento di espiazione... nel suo sangue” (Rm 3,25), intende affermare che nella sua
umanità “era Dio a riconciliare a sé il mondo in Cristo” (2Cor 5,19). (CCC 620) La
nostra salvezza proviene dall'iniziativa d'amore di Dio per noi poiché “è lui che ha
amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati”
(1Gv 4,10). “È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo” (2Cor 5,19).
(CCC 2844) La preghiera cristiana arriva fino al perdono dei nemici [Mt 5,43-44].
Essa trasfigura il discepolo configurandolo al suo Maestro. Il perdono è un culmine
della preghiera cristiana; il dono della preghiera non può essere ricevuto che in un
cuore in sintonia con la compassione divina. Il perdono sta anche a testimoniare che,
nel nostro mondo, l'amore è più forte del peccato. I martiri di ieri e di oggi
rinnovano questa testimonianza di Gesù. Il perdono è la condizione fondamentale
della Riconciliazione [2Cor 5,18-21] dei figli di Dio con il loro Padre e degli uomini
tra loro [Giovanni Paolo II, Lett. enc. Dives in misericordia, 14].
(2 Co 5, 20-21) Lasciatevi riconciliare con Dio
[20] Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio
esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi
riconciliare con Dio. [21] Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio
lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare
per mezzo di lui giustizia di Dio.
(CCC 602) San Pietro può… formulare così la fede apostolica nel disegno
divino della salvezza: “Foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai vostri
padri […] con il sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza
macchia. Egli fu predestinato, già prima della fondazione del mondo, ma si è
manifestato negli ultimi tempi per voi” (1Pt 1,18-20). I peccati degli uomini,
conseguenti al peccato originale, sono sanzionati dalla morte [Rm 5,12; 1Cor 15,56].
Inviando il suo proprio Figlio nella condizione di servo [Fil 2,7], quella di una
umanità decaduta e votata alla morte a causa del peccato [Rm 8,3], “colui che non
aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi
potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio” (2Cor 5,21). (CCC 1422)
“Quelli che si accostano al sacramento della Penitenza ricevono dalla misericordia
di Dio il perdono delle offese fatte a lui e insieme si riconciliano con la Chiesa, alla
quale hanno inflitto una ferita col peccato e che coopera alla loro conversione con la
carità, l'esempio e la preghiera” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 11]. (CCC
1423) E' chiamato sacramento della Conversione poiché realizza sacramentalmente
l'appello di Gesù alla conversione [Mc 1,15], il cammino di ritorno al Padre [Lc
15,18] da cui ci si è allontanati con il peccato. E' chiamato sacramento della












Penitenza poiché consacra un cammino personale ed ecclesiale di conversione, di
pentimento e di soddisfazione del cristiano peccatore. (CCC 1424) E' chiamato
sacramento della Confessione poiché l'accusa, la confessione dei peccati davanti al
sacerdote è un elemento essenziale di questo sacramento. In un senso profondo esso è
anche una “confessione”, riconoscimento e lode della santità di Dio e della sua
misericordia verso l'uomo peccatore. E' chiamato sacramento del Perdono poiché,
attraverso l'assoluzione sacramentale del sacerdote, Dio accorda al penitente “il
perdono e la pace” [Rito della penitenza, 46. 55]. E' chiamato sacramento della
Riconciliazione perché dona al peccatore l'amore di Dio che riconcilia: “Lasciatevi
riconciliare con Dio” (2Cor 5,20). Colui che vive dell'amore misericordioso di Dio è
pronto a rispondere all'invito del Signore: “Va' prima a riconciliarti con il tuo
fratello” (Mt 5,24).


2Corinzi 6
(2 Co 6, 1-3) Ecco ora il giorno della salvezza
[1] E poiché siamo suoi collaboratori, vi esortiamo a non accogliere
invano la grazia di Dio. [2] Egli dice infatti: Al momento favorevole ti ho
esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso. Ecco ora il
momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza! [3] Da parte
nostra non diamo motivo di scandalo a nessuno, perché non venga biasimato
il nostro ministero;
(CCC 1041) Il messaggio del giudizio finale chiama alla conversione fin tanto
che Dio dona agli uomini “il momento favorevole, il giorno della salvezza” (2Cor
6,2). Ispira il santo timor di Dio. Impegna per la giustizia del Regno di Dio. Annunzia
la “beata speranza” (Tt 2,13) del ritorno del Signore il quale “verrà per essere
glorificato nei suoi santi ed essere riconosciuto mirabile in tutti quelli che avranno
creduto” (2Ts 1,10). (CCC 1989) La prima opera della grazia dello Spirito Santo è
la conversione, che opera la giustificazione, secondo l'annuncio di Gesù all'inizio
del Vangelo: “Convertitevi, perché il Regno dei cieli è vicino” (Mt 4,17). Sotto la
mozione della grazia, l'uomo si volge verso Dio e si allontana dal peccato,
accogliendo così il perdono e la giustizia dall'Alto. “La giustificazione […] non è una
semplice remissione dei peccati, ma anche santificazione e rinnovamento dell'uomo
interiore” [Concilio di Trento: DS 1528].
(2 Co 6, 4-10) Ministri di Dio afflitti e sempre lieti
[4] Ma in ogni cosa ci presentiamo come ministri di Dio, con molta
fermezza nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angosce, [5] nelle
percosse, nelle prigioni, nei tumulti, nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni; [6]
con purezza, sapienza, pazienza, benevolenza, spirito di santità, amore
sincero; [7] con parole di verità, con la potenza di Dio; con le armi della
giustizia a destra e a sinistra; [8] nella gloria e nel disonore, nella cattiva e
nella buona fama. Siamo ritenuti impostori, eppure siamo veritieri; [9]
sconosciuti, eppure siamo notissimi; moribondi, ed ecco viviamo; puniti, ma
non messi a morte; [10] afflitti, ma sempre lieti; poveri, ma facciamo ricchi
molti; gente che non ha nulla e invece possediamo tutto!












(CCC 557) “Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal
mondo, si diresse decisamente verso Gerusalemme” (Lc 9,51) [Gv 13,1]. Con questa
decisione, indicava che saliva a Gerusalemme pronto a morire. A tre riprese aveva
annunziato la sua passione e la sua Risurrezione [Mc 8,31-33; 9,31-32; 10,32-34].
Dirigendosi verso Gerusalemme dice: “Non è possibile che un profeta muoia fuori di
Gerusalemme” ( Lc 13,33). (CCC 858) Gesù è l'Inviato del Padre. Fin dall'inizio del
suo ministero, “chiamò a sé quelli che egli volle […]. Ne costituì Dodici che stessero
con lui e anche per mandarli a predicare” (Mc 3,13-14). Da quel momento, essi
saranno i suoi “inviati” [è questo il significato del termine greco “apostoloi”]. In loro
Gesù continua la sua missione: “Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi”
(Gv 20,21; 13,20) [17,18]. Il loro ministero è quindi la continuazione della sua
missione: “Chi accoglie voi, accoglie me”, dice ai Dodici (Mt 10,40) [Lc 10,16].
(CCC 1808) La fortezza è la virtù morale che, nelle difficoltà, assicura la fermezza e
la costanza nella ricerca del bene. Essa rafforza la decisione di resistere alle
tentazioni e di superare gli ostacoli nella vita morale. La virtù della fortezza rende
capaci di vincere la paura, perfino della morte, e di affrontare la prova e le
persecuzioni. Dà il coraggio di giungere fino alla rinuncia e al sacrificio della
propria vita per difendere una giusta causa. “Mia forza e mio canto è il Signore”
(Sal 118,14). “Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il
mondo” (Gv 16,33).
(2 Co 6, 11-13) Aprite anche voi il vostro cuore
[11] La nostra bocca vi ha parlato francamente, Corinzi, e il nostro
cuore si è tutto aperto per voi. [12] Non siete davvero allo stretto in noi; è
nei vostri cuori invece che siete allo stretto. [13] Io parlo come a figli:
rendeteci il contraccambio, aprite anche voi il vostro cuore!
(CCC 2212) Il quarto comandamento illumina le altre relazioni nella società.
Nei nostri fratelli e nelle nostre sorelle, vediamo i figli dei nostri genitori; nei nostri
cugini, i discendenti dei nostri avi; nei nostri concittadini, i figli della nostra patria;
nei battezzati, i figli della Chiesa, nostra madre; in ogni persona umana, un figlio o
una figlia di colui che vuole essere chiamato “Padre nostro”. Conseguentemente, le
nostre relazioni con il prossimo sono di carattere personale. Il prossimo non è un
“individuo” della collettività umana; è “qualcuno” che, per le sue origini
conosciute, merita un'attenzione e un rispetto singolari. (CCC 2220) I cristiani
devono una speciale gratitudine a coloro dai quali hanno ricevuto il dono della
fede, la grazia del Battesimo e la vita nella Chiesa. Può trattarsi dei genitori, di altri
membri della famiglia, dei nonni, di pastori, di catechisti, di altri maestri o amici. “Mi
ricordo della tua fede schietta, fede che fu prima nella tua nonna Lòide, poi in tua
madre Eunice, e ora, ne sono certo, anche in te” (2Tm 1,5).
(2 Co 6, 14-18) Siamo il tempio del Dio vivente
[14] Non lasciatevi legare al giogo estraneo degli infedeli. Quale
rapporto infatti ci può essere tra la giustizia e l'iniquità, o quale unione tra la
luce e le tenebre? [15] Quale intesa tra Cristo e Beliar, o quale collaborazione
tra un fedele e un infedele? [16] Quale accordo tra il tempio di Dio e gli idoli?
Noi siamo infatti il tempio del Dio vivente, come Dio stesso ha detto:
Abiterò in mezzo a loro e con loro camminerò e sarò il loro Dio, ed essi












saranno il mio popolo. [17] Perciò uscite di mezzo a loro e riparatevi, dice il
Signore, non toccate nulla d'impuro. E io vi accoglierò, [18] e sarò per voi
come un padre, e voi mi sarete come figli e figlie, dice il Signore
onnipotente.
(CCC 797) “Quod est spiritus noster, id est anima nostra, ad membra nostra,
hoc est Spiritus Sanctus ad membra Christi, ad corpus Christi, quod est Ecclesia -
Quello che il nostro spirito, ossia la nostra anima, è per le nostre membra, lo stesso
è lo Spirito Santo per le membra di Cristo, per il corpo di Cristo, che è la Chiesa”
[Sant'Agostino, Sermo 268, 2: PL 38, 1232]. “Bisogna attribuire allo Spirito di
Cristo, come ad un principio nascosto, il fatto che tutte le parti del corpo siano unite
tanto fra loro quanto col loro sommo Capo, poiché egli risiede tutto intero nel Capo,
tutto intero nel corpo, tutto intero in ciascuna delle sue membra” [Pio XII, Lett. enc.
Mystici Corporis: DS 3808]. Lo Spirito Santo fa della Chiesa “il tempio del Dio
vivente” (2Cor 6,16) [1Cor 3,16-17; Ef 2,21]. È alla Chiesa che è stato affidato il
“dono di Dio. [...] In essa è stata posta la comunione con Cristo, cioè lo Spirito
Santo, caparra dell'incorruttibilità, confermazione della nostra fede, scala per
ascendere a Dio. […] Infatti, dove è la Chiesa, ivi è anche lo Spirito di Dio e dove è
lo Spirito di Dio, ivi è la Chiesa e ogni grazia [Sant'Ireneo di Lione, Adversus
haereses, 3, 24, 1: PG 7, 966]. (CCC 1179) Il culto “in spirito e verità” (Gv 4,24)
della Nuova Alleanza non è legato ad un luogo esclusivo. Tutta la terra è santa e
affidata ai figli degli uomini. Quando i fedeli si riuniscono in uno stesso luogo, la
realtà più importante è costituita dalle “pietre vive”, messe insieme “per la
costruzione di un edificio spirituale” (1Pt 2,4-5). Il corpo di Cristo risorto è il
tempio spirituale da cui sgorga la sorgente d'acqua viva. Incorporati a Cristo dallo
Spirito Santo, “noi siamo il tempio del Dio vivente” (2Cor 6,16). (CCC 270) Dio è
Padre onnipotente. La sua paternità e la sua potenza si illuminano a vicenda. Infatti,
egli mostra la sua onnipotenza paterna nel modo in cui si prende cura dei nostri
bisogni [Mt 6,32]; attraverso l'adozione filiale che ci dona (“Sarò per voi come un
padre, e voi mi sarete come figli e figlie, dice il Signore onnipotente”: 2Cor 6,18);
infine attraverso la sua infinita misericordia, dal momento che egli manifesta al
massimo grado la sua potenza perdonando liberamente i peccati.


2Corinzi 7
(2 Co 7, 1-7) Santifichiamoci nel timore di Dio
[1] In possesso dunque di queste promesse, carissimi,
purifichiamoci da ogni macchia della carne e dello spirito, portando a
compimento la nostra santificazione, nel timore di Dio. [2] Fateci posto
nei vostri cuori! A nessuno abbiamo fatto ingiustizia, nessuno abbiamo
danneggiato, nessuno abbiamo sfruttato. [3] Non dico questo per condannare
qualcuno; infatti vi ho già detto sopra che siete nel nostro cuore, per morire
insieme e insieme vivere. [4] Sono molto franco con voi e ho molto da
vantarmi di voi. Sono pieno di consolazione, pervaso di gioia in ogni
nostra tribolazione. [5] Infatti, da quando siamo giunti in Macedonia, la
nostra carne non ha avuto sollievo alcuno, ma da ogni parte siamo tribolati:
battaglie all'esterno, timori al di dentro. [6] Ma Dio che consola gli afflitti ci ha












consolati con la venuta di Tito, [7] e non solo con la sua venuta, ma con la
consolazione che ha ricevuto da voi. Egli ci ha annunziato infatti il vostro
desiderio, il vostro dolore, il vostro affetto per me; cosicché la mia gioia si è
ancora accresciuta.
(CCC 714) […] Cristo inaugura l'annunzio della Buona Novella facendo suo
questo testo di Isaia (Lc 4,18-19; Is 61,1-2): “Lo Spirito del Signore è sopra di me,
per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato per annunziare ai poveri
un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista;
per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore”.
(CCC 715) I testi profetici concernenti direttamente l'invio dello Spirito Santo sono
oracoli in cui Dio parla al cuore del suo Popolo nel linguaggio della Promessa, con
gli accenti dell'amore e della fedeltà [Ez 11,19; 36,25-28; 37,1-14; Ger 31,31-34; Gl
3,1-5], il cui compimento san Pietro proclamò il mattino di Pentecoste [At 2,17-21].
Secondo queste promesse, negli “ultimi tempi”, lo Spirito del Signore rinnoverà il
cuore degli uomini scrivendo in essi una Legge nuova; radunerà e riconcilierà i
popoli dispersi e divisi; trasformerà la primitiva creazione e Dio vi abiterà con gli
uomini nella pace. (CCC 716) Il popolo dei “poveri” [Sof 2,3; Sal 22,27; 34,3; Is
49,13; 61,1; ecc.], gli umili e i miti, totalmente abbandonati ai disegni misteriosi del
loro Dio, coloro che attendono la giustizia, non degli uomini ma del Messia, è alla
fine la grande opera della missione nascosta dello Spirito Santo durante il tempo
delle promesse per preparare la venuta di Cristo. È il loro cuore, purificato e
illuminato dallo Spirito, che si esprime nei Salmi. In questi poveri, lo Spirito
prepara al Signore “un popolo ben disposto” (Lc 1,17).
(2 Co 7, 8-11) La tristezza secondo Dio è salvifica
[8] Se anche vi ho rattristati con la mia lettera, non me ne dispiace. E se
me ne è dispiaciuto - vedo infatti che quella lettera, anche se per breve
tempo soltanto, vi ha rattristati - [9] ora ne godo; non per la vostra tristezza,
ma perché questa tristezza vi ha portato a pentirvi. Infatti vi siete
rattristati secondo Dio e così non avete ricevuto alcun danno da parte
nostra; [10] perché la tristezza secondo Dio produce un pentimento
irrevocabile che porta alla salvezza, mentre la tristezza del mondo produce
la morte. [11] Ecco, infatti, quanta sollecitudine ha prodotto in voi proprio
questo rattristarvi secondo Dio; anzi quante scuse, quanta indignazione,
quale timore, quale desiderio, quale affetto, quale punizione! Vi siete
dimostrati innocenti sotto ogni riguardo in questa faccenda.
(CCC 1431) La penitenza interiore è un radicale riorientamento di tutta la vita,
un ritorno, una conversione a Dio con tutto il cuore, una rottura con il peccato,
un'avversione per il male, insieme con la riprovazione nei confronti delle cattive
azioni che abbiamo commesse. Nello stesso tempo, essa comporta il desiderio e la
risoluzione di cambiare vita con la speranza della misericordia di Dio e la fiducia
nell'aiuto della sua grazia. Questa conversione del cuore è accompagnata da un
dolore e da una tristezza salutari, che i Padri hanno chiamato “animi cruciatus
[afflizione dello spirito]”, “compunctio cordis [contrizione del cuore]” [Concilio di
Trento: DS 1676-1678; 1705; Catechismo Romano, 2, 5, 4]. (CCC 1432) Il cuore
dell'uomo è pesante e indurito. Bisogna che Dio dia all'uomo un cuore nuovo [Ez
36,26-27]. La conversione è anzitutto un'opera della grazia di Dio che fa ritornare a












lui i nostri cuori: “Facci ritornare a te, Signore, e noi ritorneremo” (Lam 5,21). Dio ci
dona la forza di ricominciare. E' scoprendo la grandezza dell'amore di Dio che il
nostro cuore viene scosso dall'orrore e dal peso del peccato e comincia a temere di
offendere Dio con il peccato e di essere separato da lui. Il cuore umano si converte
guardando a colui che è stato trafitto dai nostri peccati [Gv 19,37; Zc 12,10].
“Teniamo fisso lo sguardo sul sangue di Cristo, e consideriamo quanto sia prezioso
per Dio suo Padre; infatti, sparso per la nostra salvezza, offrì al mondo intero la
grazia della conversione” [San Clemente di Roma, Epistula ad Corinthios, 7, 4].
(CCC 736) È per questa potenza dello Spirito che i figli di Dio possono portare
frutto. Colui che ci ha innestati sulla vera Vite, farà sì che portiamo il frutto dello
Spirito che “è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza,
dominio di sé” (Gal 5,22-23). Lo Spirito è la nostra vita; quanto più rinunciamo a noi
stessi, [Mt 16,24-26] tanto più lo Spirito fa che anche operiamo (Gal 5,25). “Con lo
Spirito Santo, che rende spirituali, c'è la riammissione al Paradiso, il ritorno alla
condizione di figlio, il coraggio di chiamare Dio Padre, il diventare partecipe della
grazia di Cristo, l'essere chiamato figlio della luce, il condividere la gloria eterna”
[San Basilio Magno, Liber de Spiritu Sancto, 15, 36: PG 32, 132].
(2 Co 7, 12-16) Sollecitudine davanti a Dio
[12] Così se anche vi ho scritto, non fu tanto a motivo dell'offensore o a
motivo dell'offeso, ma perché apparisse chiara la vostra sollecitudine per
noi davanti a Dio. [13] Ecco quello che ci ha consolati. A questa nostra
consolazione si è aggiunta una gioia ben più grande per la letizia di Tito,
poiché il suo spirito è stato rinfrancato da tutti voi. [14] Cosicché se in
qualche cosa mi ero vantato di voi con lui, non ho dovuto vergognarmene,
ma come abbiamo detto a voi ogni cosa secondo verità, così anche il
nostro vanto con Tito si è dimostrato vero. [15] E il suo affetto per voi è
cresciuto, ricordando come tutti gli avete obbedito e come lo avete
accolto con timore e trepidazione. [16] Mi rallegro perché posso contare
totalmente su di voi.
(CCC 1435) La conversione si realizza nella vita quotidiana attraverso gesti di
riconciliazione, attraverso la sollecitudine per i poveri, l'esercizio e la difesa della
giustizia e del diritto [Am 5,24; Is 1,17], attraverso la confessione delle colpe ai
fratelli, la correzione fraterna, la revisione di vita, l'esame di coscienza, la direzione
spirituale, l'accettazione delle sofferenze, la perseveranza nella persecuzione a causa
della giustizia. Prendere la propria croce, ogni giorno, e seguire Gesù è la via più
sicura della penitenza [Lc 9,23]. (CCC 239) Chiamando Dio con il nome di “Padre”,
il linguaggio della fede mette in luce soprattutto due aspetti: che Dio è origine
primaria di tutto e autorità trascendente, e che, al tempo stesso, è bontà e
sollecitudine d'amore per tutti i suoi figli. Questa tenerezza paterna di Dio può
anche essere espressa con l'immagine della maternità [Is 66,13; Sal 131,2], che
indica ancor meglio l'immanenza di Dio, l'intimità tra Dio e la sua creatura. Il
linguaggio della fede si rifà così all'esperienza umana dei genitori che, in certo qual
modo, sono per l'uomo i primi rappresentanti di Dio. Tale esperienza, però, mostra
anche che i genitori umani possono sbagliare e sfigurare il volto della paternità e
della maternità. Conviene perciò ricordare che Dio trascende la distinzione umana
dei sessi. Egli non è né uomo né donna, egli è Dio. Trascende pertanto la paternità












e la maternità umane [Sal 27,10], pur essendone l'origine e il modello [Ef 3,14; Is
49,15]: nessuno è padre quanto Dio. (CCC 886) “I vescovi, singolarmente presi,
sono il principio visibile e il fondamento dell'unità nelle loro Chiese particolari”
[Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 23]. In quanto tali “esercitano il loro pastorale
governo sopra la porzione del Popolo di Dio che è stata loro affidata”, [Ib.]
coadiuvati dai presbiteri e dai diaconi. Ma, in quanto membri del Collegio episcopale,
ognuno di loro è partecipe della sollecitudine per tutte le Chiese, [Conc. Ecum. Vat.
II, Christus Dominus, 3] e la esercita innanzi tutto “reggendo bene la propria Chiesa
come porzione della Chiesa universale”, contribuendo così “al bene di tutto il corpo
mistico che è pure il corpo delle Chiese” [Lumen gentium, 23]. Tale sollecitudine si
estenderà particolarmente ai poveri [Gal 2,10], ai perseguitati per la fede, come
anche ai missionari che operano in tutta la terra.

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