DON ANTONIO

giovedì 19 aprile 2012

Riflessioni sulle letture 22 aprile 2012 (Manicardi) Monastero di Bose



At 3,13-15.17-19; Sal 4; 1Gv 2,1-5a; Lc 24,35-48


L’apparizione del Risorto ai suoi discepoli (vangelo) è l’evento centrale che caratterizza la terza domenica di Pasqua, domenica in cui l’annuncio pasquale risuona ancora nelle parole del discorso di Pietro tratto dagli Atti (I lettura). La seconda lettura prosegue la lectio semicontinua della Prima lettera di Giovanni che caratterizza le domeniche di Pasqua nell’anno B e presenta il Risorto come colui che ottiene la remissione dei peccati per il mondo intero.


Il vangelo mostra il Risorto che si presenta “in mezzo” ai suoi e fa regnare la pace tra loro (Lc 24,36). Cristo sta in mezzo ai suoi “come colui che serve” (Lc 22,27) e il servizio che il Risorto fa alla sua comunità è la pace. L’esperienza della presenza del Risorto nella comunità è esperienza di pace e di comunione, realtà che nello spazio cristiano non sono psichiche, affettive o frutto di compromessi, ma teologali, connesse alla fede.
Il gruppo degli Undici e degli altri che erano con loro (cf. Lc 24,33), come ogni comunità cristiana reale, unisce confessione di fede (v. 34) e dubbio (v. 38), gioia e incredulità (v. 41). Non basta che Gesù sia visto, ascoltato, toccato e che mangi davanti a loro perché i discepoli giungano alla fede: occorrerà ancora l’apertura della loro mente all’intelligenza delle Scritture. Senza le Scritture non si dà fede pasquale. Non è sufficiente toccare il corpo del Risorto: Cristo deve essere incontrato nel corpo scritturistico e allora nasce la fede pasquale che lo confessa quale realizzatore del disegno di salvezza del Padre. Scrive Ugo di san Vittore: “La parola di Dio rivestita di carne umana è apparsa una sola volta in modo visibile e ora questa medesima Parola viene a noi nascosta nella pagina scritturistica e nella voce umana che la proclama”.
Se le Scritture si sintetizzano nel mistero pasquale e tale mistero è il compimento delle Scritture, in verità anche la missione e la predicazione della chiesa sono vitalmente innestate nella testimonianza delle Scritture, nel Primo Testamento: “Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme” (Lc 24,46-47). Fondata sull’evento pasquale, la chiesa trova nelle Scritture, nell’Antico Testamento, la testimonianza e la profezia di quell’evento e anche del suo stesso essere. “Di questo voi siete testimoni”: di questo e non di altro, si potrebbe aggiungere. Ma essere testimoni del Risorto significa anche essere testimoni delle Scritture. Il termine mártys (testimone) proviene da una radice che significa “pensare”, “ricordarsi”, “essere preoccupato”. Il testimone è anzitutto colui che medita e ricorda la Scrittura che parla di Cristo (“le cose scritte su di me nella Legge…”). Da lì nasce la missione come connotata da richiesta di conversione e annuncio della misericordia di Dio e della remissione dei peccati (cf. Lc 24,47).
Il Risorto mostra ai suoi discepoli le mani e i piedi, gli arti segnati dalla trafittura, la carne umana ferita. L’incarnazione ha dato a Dio l’esperienza della sofferenza, del patire e del morire. E ormai il Risorto va incontrato nella carne dei sofferenti, toccato nei corpi delle vittime del male. Il Cristo non è uno spirito o un fantasma (v. 37) e il cristianesimo non è un’alienazione o uno spiritualismo quando prende sul serio il dolore del mondo, quando confessa il Risorto mentre cura il bisognoso, quando discerne il Risorto mentre tocca la carne piagata e ferita dell’uomo. “Toccatemi”, dice Gesù, e questo toccare la carne umana ferita per confessare il Risorto, questo incontro del mistero del Risorto con l’enigma del male, rende la fede una ricerca umile, a tastoni, esattamente come la ricerca dei pagani, dei non credenti che cercano Dio “andando come a tentoni” (At 17,27). Il paradosso del Dio crocifisso diviene il paradosso del Crocifisso in Dio, del Risorto che ha un corpo piagato e segnato dal male subìto. Corpo che può essere incontrato nei corpi dei sofferenti che sono tra noi. È il sano materialismo cristiano.

LUCIANO MANICARDI
Comunità di Bose
Eucaristia e Parola
Testi per le celebrazioni eucaristiche - Anno B
© 2010 Vita e Pensiero

Fonte: monasterodibose

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