DON ANTONIO

venerdì 4 maggio 2012

Commento alle letture 6 maggio 2012 (G.Bruni)



Giancarlo Bruni, (1938) appartiene all'Ordine dei Servi di Maria e nello stesso tempo è monaco della Comunità ecumenica di Bose. Risiede un po’ a Bose e un po’ all’eremo di San Pietro alle Stinche (FI).




Letture: At 9,26-31; 1Gv 3,18-24; Gv 15,1-8.
«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore»
1. «Uomo, dove sei?» (Gen 3,9). Importante è la domanda della collocazione, da essa infatti dipende la propria consistenza, vale a dire la propria saldezza, il proprio orientamento e la propria sussistenza.
Domanda soggetta a molteplici risposte sia di tipo personale che collettivo, ciascuno e ogni società di fatto sono chiamati a dire a se stessi e agli altri le ragioni su cui poggia il proprio modo di intendere la vita. Ragioni che ci abitano e nelle quali dimoriamo, e questo avanti ogni valutazione critica su di esse. Il cristiano non è esente né dalla domanda né dall’abitare un mondo estremamente variegato a proposito delle motivazioni fondative dell’esistere, semplicemente è provocato ogni giorno di più a uscire dal vago e a rendere conto a se stesso, alle Chiese e a ogni uomo della speranza che è in lui (1 Pt 3,15). Speranza il cui nome è detto con estrema chiarezza nel capitolo 15 del vangelo di Giovanni: «Rimanete in me-le mie parole rimangano in voi-rimanete nel mio amore» (Gv 15,4.7.9). Il discepolo di Gesù, individuo e comunità, alla domanda «dove sei» risponde nell’amicizia del mio Signore, nella sua parola e nel suo amore; da questa collocazione, sua vera e unica patria, egli legge e vive la realtà nella consapevolezza di trovarsi di fronte non a un discorso per anime pie e elette ma semplicemente al «principio costitutivo essenziale di ogni vita cristiana» (R.E.Brown). Ciò che definisce il cristiano è l’imprescindibile relazione con Gesù il risorto-vivente e con i doni della sua parola e del suo amore, rapporto che l’evangelista Giovanni descrive e esemplifica facendo ricorso a una formula di immanenza: «Rimante in me e io in voi» (Gv 15,4) spiegata dall’immagine della vite e dei tralci, cara al retroterra biblico profetico e salmodico che ama leggere Israele in termini di vigna di Dio (Os 10,1; Is 5,1-7; Ger 2,21; Ez 15,1-8; 19,10-14; Sal 80,9-19).
2. L’immagine inizia con il presentare i soggetti in questione, sullo sfondo il Padre: «Il Padre mio è il vignaiolo», al centro il Signore Gesù: «Io sono la vera vite», a valle i discepoli: «Io sono la vite, voi i tralci» (Gv 15,1.5). E l’ intenzione in questione: «Che portiate molto frutto» (Gv 15,8). Il problema sotteso al brano evangelico è l’operare dell’uomo, se e quali frutti produce, il che dipende da dove il suo mondo interiore dimora, se in un terreno buono lo saranno anche i frutti, diversamente sarà il contrario. La cosa sta molto a cuore al Padre di Gesù, un Dio nel dolore a motivo del dolore che l’uomo arreca all’uomo e a sé; per questo, nel suo amore ferito ma non risentito, decide di inviare come sua ultima risorsa il Figlio la cui compagnia, ove accolta, e la cui parola, ove osservata, generano la nuova soggettività capace del compimento del bene, l’amare come amati da lui in Cristo (Gv 13,34). Questo è il frutto desiderato dal Padre che glorifica il Padre (Gv 15,8), lo manifesta cioè come desiderio di fioritura e di fruttificazione dell’essere, pienamente condivisi dal Figlio. Dio per questa ragione merita il grazie e la lode dell’uomo, vale a dire l’onore. Il resto è conseguenza. Lo è l’esortazione a «rimanere in lui e nella sua parola» come i tralci nella vite, ad aderire cioè al Tu di nome Gesù e al suo messaggio senza tentennamenti ma fermi e perseveranti in una amicizia e in una parola che restituiscono alla tavola della vita come uva pregiata. Lo è l’esortazione a non recidersi da lui, dalla sua parola e dal suo amore, simili a tralci staccati dalla vite, pena lo scivolamento nella impotenza: «Senza di me non potete far nulla» (Gv 15,7). Sono molte le cose che l’uomo fa e può fare, ma il discepolo sa che solo in-con-per Gesù è possibile dire Abbà-Padre, è possibile amare come il Padre ci ama in Gesù, è possibile proclamare che nell’amare come amati sta la vita eterna. Un già in cammino verso il non ancora della sua adempiuta fruttificazione. Infine lo è l’esortazione a lasciarsi potare dal Padre-vignaiolo (Gv 15,2), indice di una cura tesa alla creazione di discepoli evangelicamente affinati, portatori dei frutti buoni della adorazione (Gv 4,23), dell’amore e della speranza della vita eterna.
3. «Uomo, dove sei?». La comunità cristiana è chiamata là ove essa dimora a risvegliare la domanda e a raccontare con la vita e con l’annuncio la propria esperienza, l’essere stati incontrati da un Tu la cui compagnia genera grappoli di uva buona e coppe di vino squisito per la gioia di una umanità non privata di melodie al cielo e di atti di amore alla terra. Un’ alta qualità della vita per raccontare la sorgente che la genera.

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