DON ANTONIO

venerdì 20 gennaio 2012

Perché il dolore? La risposta della Bibbia. La risposta dell'Antico Testamento.Dal Monastero di Bose

Torino, 17 novembre 2011 C. Peschiera – Dott. Miglietta Il male e la Parola di Dio 1
Torino, 17 novembre 2011
Corso Peschiera
Perché il dolore? La risposta della Bibbia
Relatore Dott. Carlo Miglietta
Voglio cominciare con una citazione. Sono le parole di Epicuro tra il quarto e terzo secolo a.C. Dio
o vuol togliere il male e non può, o può e non vuole, o vuole e può. Se vuole e non può, è un Dio
debole. Se può e non vuole, è un Dio ostile. Se non vuole e non può, è ostile e debole. Se vuole e
può, e solo questo si addice e Dio, da dove allora proviene il male? E perché Dio non lo elimina?
In queste tragiche parole Epicuro sintetizzava l’angosciosa domanda che ha travagliato e travaglia
tutti gli uomini di tutti i tempie di tutta la terra. Perché esiste il male?
E se c’è un Dio che sia buono, perché lo permette? Perché Dio non lo elimina, se ci vuole bene?
Perché la malattia, perché la sofferenza, perché soprattutto il dolore del giusto? I patimenti del
bambino innocente. La classica reazione dei miei pazienti quando annuncio loro qualche patologia
importante: ma che male ho fatto io per meritarmi questo!!! E se Dio c’è, perché non mi guarisce!
Perché non ascolta le mie preghiere! E perché poi la morte che tutti ci attende!
Che distrugge i nostri sogni e le nostre attese, i nostri amori, le opere, che stronca ogni nostra
felicità! Dopo Auschwitz, dopo Hiroscima, dopo i campi di sterminio nel ex Kosovo, dopo le stragi
degli indigeni in America Latina, è ancora possibile credere? Vedete che tutti gli uomini hanno
sempre cercato una risposta a questo problema. La soluzione o meno di questo problema, dipende
se la nostra vita ha un senso oppure no.
Se la possiamo vivere con speranza ed ottimismo, oppure se è soltanto una tragica illusione, un
orribile scherzo di cui siamo tutti vittime impotenti. E nella storia son stati vani i tentativi di
risposta a questo atroce dilemma sull’origine del male.
La prima soluzione, è la cosiddetta soluzione dualistica. Cioè, fin dall’antichità molti hanno pensato
che come c’è un’ origine del bene, così ci sia un’ origine del male. Quindi hanno pensato che
esistano due divinità: un fonte del bene, e una fonte del male. Per esempio già i culti mesopotamici,
avevamo un dio buono Marduk, a cui si contrapponevano delle divinità malvagie .
Per gli egizi: Osiride era il dio della fecondità, il dio della bellezza, il dio della vita, contrapposto a
suo fratello Set che era il dio del disordine, il dio della disgrazia, il dio della morte. Per i persiani
abbiamo Mazda il dio del bene, a cui si contrappone il dio del male. E guardate che questa
posizione, arriva anche nell’ambito cristiano. Pensate per esempio a Marcione, che scrive alla fine
del primo secolo, e contrappone il Dio buono del Nuovo Testamento, il Dio Misericordioso, il Dio
datore di vita, al dio cattivo dell’Antico Testamento, al dio vendicativo assetato di giustizia.
Pensate a Mani, da cui deriva il famoso manicheismo. Siamo all’inizio del terzo secolo, che
contrappone due principi primordiali: da una parte il signore della luce, e dall’altra il signore delle
tenebre da cui emana satana. Questa è una posizione molto presente ai nostri giorni. Pensate a tutte
le sette sataniche che vanno moltiplicandosi. Pensate a tutti gli eccessi, alle arti divinatorie, alla
magia, ai tarocchi, alle scienze occulte.
Basta ricordare la chiesa di satana di S. Francisco, il tempio di Set, la chiesa di liberazione satanica,
l’ordine del lupo mannaro. Qui a Torino abbiamo la chiesa di satana come organizzazione pubblica;
a Roma la confraternita di Efrem ,a Bologna i bambini di satana Sono ideologie ancora presenti.
Nella psicanalisi Junghiana, in Dio stesso viene posta questa duplicità.
Si afferma che in Dio esiste sia la fonte del bene che la fonte del male. E’ la posizione più corrente!.
Quando devo dire a un paziente lei ha un cancro, la prima risposta è: perché Dio mi manda questo!
Dio viene considerato l’origine del male. Considerare Dio l’origine del male è la roccaforte
dell’ateismo contemporaneo. Se Dio è Colui che permette la sofferenza dell’innocente, se Dio è
Colui che permette i campi di sterminio, se Dio è Colui che permette gli stupri etnici che i militari
del sesto plotone di frontiera, fanno sulla popolazione Yanomani in Roraima, allora è meglio
rifiutarlo, e cercare la salvezza non in Lui, ma nei nostri sforzi e nei nostri mezzi.
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Seconda linea ideologica, quello che è chiamato il pessimismo metafisico, che dice che in fondo
tutta questa vita, per dirlo alla Fantozzi, è una boiata pazzesca. È tutto male! Già l’epopea sumera o
di Astra Aziz, il Noè mesopotamico, diceva che gli uomini sono stati creati per essere schiavi degli
dei. Nella cosmogonia babilonese, l’uomo è creato col sangue di Kimbù il dio malvagio. Quindi
l’uomo è qualche cosa di negativo.
Per il mondo greco e romano la storia è frutto delle irresponsabili decisioni del fato. Anche per
Platone la materia è intrinsecamente cattiva.. Per il buddismo, il velo di Maja, copre una realtà tutta
negativa. Tutto è dolore. Questa è un’altra posizione anche molto frequente ai nostri giorni, specie
fra i giovani: la vita non ha un senso, la vita non ha un fine, è inutile che io lotti per dei valori
che non esistono, è inutile che io mi impegni per cambiare le cose, tanto vale che mi faccia i
fatti miei, che mi cerchi i miei paradisi artificiali, una musica assordante, nella droga,
nell’alcool, negli psicofarmaci.
C’è la corrente opposta. del cosiddetto ottimismo metafisico. Cioè coloro che dicono: il male in sé
non esiste. Siamo noi che diciamo che certe cose sono male. Questo è affermato da tutte le
ideologie panteistiche. Cioè, lo stoicismo, il bramanesimo, lo gnosticismo. Dicono che esiste solo
l’Assoluto, e siamo noi che consideriamo male alcune cose, che in realtà magari sono anche bene.
Pensate a Nietzsche. Nietzsche dice che il male appartiene all’etica degli schiavi. Bisogna dir di sì
alla vita in tutte le sue forme, bisogna essere dei super uomini. È la linea di quelli che cercano il
potere ad ogni costo. È la linea di quelli che cercano il successo sempre. È la linea di quelli che non
si curano di nessuna etica, pur di passare sopra gli altri. Ma questa linea è presente anche nel
cattolicesimo. Insigni miei maestri spirituali, tra cui anche Don Ottaviano, persona che io amavo
moltissimo, oltre ad essere mio paziente, è stato uno dei miei maestri spirituali, Lui diceva: il male
in sé non esiste. Io dico di avere un cancro, ma magari agli occhi di Dio questo cancro è un bene per
me.
Quindi io dico che certe cose sono male. In realtà magari sono un bene. Questa è una posizione
secondo me, molto pericolosa, perché non è certo facile di fronte a certe atrocità, o a certe tragedie,
credere che queste siano oggettivamente per noi positive. Chi si sentirebbe di dire agli ebrei dei
campi di concentramento in Germania, o ai musulmani nei campi di pulizia etnica dell’ex
Iugoslavia, che questo era il vero bene per loro…
Io non mi sento di dire a un mio paziente che ha un cancro: oh, che bello! Guardi che è solo
un’impressione che il cancro sia un male, perché magari agli occhi di Dio è una grande benedizione
per lei. Nella linea dell’evoluzionismo, noi comprendiamo tutte quelle ideologie che dicono che il
mondo va verso un superamento del male, verso una società perfetta, che la storia sta cambiando
verso una perfezione.
Pensate al marxismo. Il marxismo tramite il materialismo dialettico affermava che l’uomo con la
scienza, sarebbe diventato padrone della natura, sarebbe diventato un demiurgo del creato, e quindi
alla fine della storia, sarebbe riuscito a liberare l’uomo da tutti i bisogni naturali, diventando
padrone di sé, eliminando tutti i limiti, le sofferenze, le angosce.
Il positivismo che è così in auge nei nostri pensieri di oggi, dice che il progresso ci porterà
all’eliminazione di ogni malattia, di ogni sofferenza, all’eliminazione della stessa morte. Anche la
moderna psicanalisi, afferma che qualunque comportamento umano o psichico, anche assurdo, può
essere spiegato, basta fare una terapia corretta, e sufficientemente prolungata. Credo questo
l’atteggiamento più diffuso ai nostri giorni, in cui tutti pensano che le scoperte scientifiche
elimineranno i mali dell’uomo, ed elimineranno la stessa morte.
Il modello di uomo e di donna, che la pubblicità ci presenta sempre. un uomo sempre bello, sempre
giovane, sempre sano, sempre felice, che trova nel prodotto, nel consumo la soddisfazione del suo
bisogno E qualche volta noi geriatri spaventiamo la gente quando diciamo che c’è un orologio
biologico, cioè ciascuno di noi è programmato per una serie di mitosi, di ricambi cellulari, che se
vai proprio bene, cioè se non ti capita nessun inquinamento prima, non finisci sotto un’auto prima,
ecc. ti possono portare al massimo a 120 anni, ma dopo di che l’orologio biologico si spegne.
E la gente a questo punto si agita, e si spaventa. Allora ecco l’esistenzialismo ateo che nasce dalla
sfiducia verso la metafisica, cioè l’interrogarsi sulle grandi domande dell’uomo, e che dice: è
impossibile arrivare a una risposta sui grandi problemi dell’essere. Allora accontentiamoci di
esserci. Ma se io guardo il mio esserci, concludo come Heidegger che io sono per la morte, che io
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vivo per la morte, che dal momento in cui nasco comincio a morire. Allora di fronte a questo
dramma, a questa angoscia, nasce dice Jasper, l’esperienza dello scacco.
Sartre: La nausea. Mi viene la nausea perché se vivo per morire, se sto andando verso la morte, se
non c’è una soluzione, non posso che vivere in questa dimensione di naufragio,
E allora, l’uomo è passione inutile. Camus conclude con una frase molto forte: c’è un solo problema
veramente importante per la filosofia: il suicidio. Cioè decidere se valga la pena di vivere o se è
meglio ammazzarsi. Perché tanto la vita è un andare verso la morte, Questo è l’atteggiamento di
buona parte dei nostri contemporanei, preferiscono non pensarci. Assistiamo soprattutto oggi, a
questa carenza di pensiero. Il santo Padre Benedetto XVI fa una crociata in questo senso,
invitando gli uomini alla ragione, alla ricerca del senso, a riusare la testa, a cercare di nuovo il
pensiero. Invece di fronte alla difficoltà di trovare un senso al vivere e al morire si preferisce
rimuovere il problema e cogliere quel poco che la vita quotidiana ci può offrire.
È la filosofia del carpe diem, cogli l’attimo, vivi l’oggi e poi chi vivrà vedrà. Quando ero ragazzo, ,
il grande problema era la «salvezza». Tutti ci si diceva, dovevamo pensare alla nostra salvezza
eterna. Adesso trovate qualcuno in giro che pensi alla sua salvezza? L’unico problema è: la salute!
Il problema della salute ha sostituito il problema della salvezza.
E allora le chiese sono in crisi, i confessionali si svuotano, i Sacramenti son sempre meno
frequentati, ma abbiamo il boom, della palestra, del beautycenter, dell’Istituto di bellezza, della
moda, della chirurgia estetica, ecc. Un modello televisivo è quello delle telenovela, degli spot, con
gente sempre bella, sempre sana, piena di voglia di vivere. Il problema del dolore viene rimosso, se
uno è ammalato lo si ritira nel centro specializzato, se è vecchio lo si segrega nella casa di riposo, se
è vicino alla morte, lo si porta spegnersi nell’ospedale.
Io faccio il medico da 34 anni. Mi ricordo che i primi anni della mia carriera, la richiesta che mi
veniva fatta di fronte all’anziano in casa, in fase terminale, era: Dottore, faccia di tutto perché possa
morire nel suo letto. Sono 15 anni che non me lo dice più nessuno Anzi, come l’anziano si aggrava,
mi dicono: dottore, vorrà mica che muoia in casa, eh? faccia il foglio di ricovero!
Dico: ma guardi che in ospedale non gli fanno più niente. Ah, no, no, vuol mica che i bambini
vedano un nonno morire! Ma come, non vedere un nonno morire!?… la morte fa parte della vita!
Una volta la morte era presentata come magistra vitae. Fin da piccoli ci veniva insegnato a
confrontarci con questo momento, a pensare ad essa per avere conforto adesso e nell’ora della
nostra morte. Come diciamo sempre nell’Ave Maria.
La morte fa parte della vita.
Anzi bisogna fin da piccoli portare i nostri bambini al confronto con questa realtà che fa parte della
vita Ma non il confronto di tipo mediatico proposto dagli spettacoli televisivi. Il dolore che diventa
spettacolo.
Questa sera, di fronte all’insufficienza delle risposte umane al problema fondamentale del dolore,
vogliamo rivolgere la nostra attenzione alla divina Rivelazione. Sapendo che la divina Rivelazione
ci dà delle risposte
Ma alla fine la risposta è una sola, rappresentata anche con diverse sfaccettature. Teniamo conto che
c’è una progressione di Rivelazione, tra l’Antico e il Nuovo Testamento. E quindi soltanto nel
Nuovo Testamento abbiamo la completezza di questa risposta.
Aprendo la Bibbia, e quindi il Libro della Genesi. La S. Scrittura, è subito preoccupata di non dare
al male un’origine cosmologica, un’origine metafisica, come nei miti babilonesi, come nei miti
cananei che abbiamo prima fugacemente accennato.
Il libro della Genesi dice; no, Dio non è la causa del male del mondo! E fin dalle prima pagine della
Bibbia si avanza un postulato. Si dice: è l’uomo con il suo peccato che si è procurato la malattia, la
sofferenza, la morte. Questa è una proposta che vedremo percorre buona parte dei Libri del
cosiddetto Pentateuco, i primi libri della Scrittura, continua nei libri storici, e troveremo poi in molti
testi anche Neotestamentari, soprattutto paolini.
Che cosa ci dice la Genesi? La Genesi ci dice che Dio voleva un mondo bello, Dio crea il mondo
senza male e senza dolore. Ogni giorno della creazione è scandito dalla visione di questo Padre
Eterno che si frega le mani soddisfatto dicendo: è cosa buona! È cosa buona! È cosa buona! E
quando arriva addirittura a creare l’uomo, dice: cosa molto buona! E in questa bontà, in questa
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bellezza, l’uomo vive in armonia con Dio, chiacchiera con Lui nella brezza della sera, vive in
armonia con la natura di cui è il signore ed il custode.
Vive un’armonia di coppia meravigliosa. I due addirittura, si dice in termine poetico, erano nudi e
non ne provavano vergogna. C’era una completa unione, un completo rispetto, erano davvero un
aiuto uno per l’altro reciproco. L’uomo viveva immortale, non conosceva la morte. Ma a una certo
momento la Bibbia incomincia a interrogarsi: se Dio ha fatto un mondo così perfetto da dove viene
il male?
Allora viene introdotta quella strana figura che è la figura del serpente. Ma attenzione, il testo che ci
presenta la figura del serpente, è di tradizione molto antica, anno 1000 circa, tradizione Jahvista.
Cap. 3 della Genesi: «il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore.
Questo capitolo è sicuramente debitore a molte culture orientali. Il serpente come mostro
primordiale, era presente sia nei racconti babilonesi della creazione, sia nell’epica sumerica di
Gilgames, ed è sempre stato messo in contatto, in relazione con la magia, con l’occultismo, con la
divinazione, ecc.
Attenzione però: per la Bibbia il serpente non è una divinità, non è il principio metafisico del male,
si dice subito con forza che è una bestia. Era una bestia selvatica, una creatura. Noi sappiamo oggi
che questa è la lettura corretta di questo genere letterario. Voi sapete che spesso la Bibbia cerca di
porre alle origini dei fenomeni, di cercare nelle origini primordiali dei fenomeni che vediamo
quotidianamente realizzati tra noi. Ed è un fatto comune che il serpente alla più parte della
popolazione faccia schifo, e soprattutto alle donne.
E allora si va a vedere, perché questo animale fa così schifo? E si pensa che all’inizio ne abbia
combinata qualcuna di grossa. Ma è un animale del campo. Il male è demitizzato, è rappresentato
come un essere del campo, appartiene alla realtà delle cose. Non è Dio. Però il male è presentato,
non è spiegato. È presenza improvvisa che era già lì, che precede l’uomo. Chi l’ha posto? Qual è la
sua origine? In queste pagine non viene detto.
Il serpente è il prototipo della creatura che liberamente usa della propria libertà, contro la Parola di
Dio. E’ l’opposizione alla Parola!
È la possibilità di dire di no a Dio, quella possibilità che l’uomo e la donna conoscono da sempre,
l’eventualità della disobbedienza a Dio. Non per niente nella Tradizione diventerà il diavolo dal
greco «diavallo», cioè divisore, colui che mi divide da Dio, e quindi ci divide tra di noi. Questo è il
cosiddetto peccato delle origini, il primo peccato.
L’uomo mangia dell’albero della conoscenza del bene e del male. È il desiderio di autonomia etica.
Dio gli aveva detto: guarda, se tu vuoi essere felice, fai quello che ti dico io, perché ti amo talmente
tanto, che non posso che proporti di vivere in felicità, in pienezza, di realizzazione. Se invece fai di
testa tua, ne porti poi le conseguenze. L’uomo vuole essere lui quello che decide ciò che è bene e
ciò che è male per sé. Non accetta che sia Dio a decidere per lui, Tant’è vero che l’atto in sé, della
prima trasgressione nella Bibbia, non è raccontato, non si parla né di peccato sessuale, né di rifiuto
a procreare, né di golosità, o di altre amenità che sono state tirate fuori nei secoli successivi.
Sicuramente come l’uomo fa una scelta per conto suo diversa da quella di Dio, perde la sua armonia
con Dio, e lo vediamo nascondersi agli occhi del Signore, perde la sua intimità con il Creatore,
perde la capacità di vivere nel piano della festa del Paradiso, al punto che starà fuori.
Perde l’armonia con la natura. Se prima il lavoro era il lavoro bello del giardiniere, adesso noi
sappiamo: maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo, e spine e cardi produrrà
per te, e mangerai l’erba campestre. Ma perde anche l’armonia di coppia. I due s’accorgono di
essere nudi, la sessualità diventa una cosa sporca, l’unità tra i due è disgregata. Verso tuo marito
sarà il tuo istinto, viene detto alla donna, ma egli ti dominerà.
Non siete più aiuto l’un per l’altro simile. La fecondità che prima era partecipazione al piano stesso
di Dio, avviene nella tribolazione: partorirai con dolore. Ma soprattutto perdo la vita. Ecco che
allora entra nel mondo la morte. E’ una dottrina questa molto chiara secondo me, ai tempi d’oggi.
Che il male sia frutto del peccato, lo comprendiamo con molta facilità. Le scienze moderne
sottolineano come tante malattie, sono frutto di un dissennato uso dei beni naturali da parte
dell’uomo.
Tutti noi sappiamo il rapporto che c’è tra il fumo di sigaretta e i tumori dell’apparato respiratorio.
Tra l’abuso dell’alcool e la cirrosi epatica. Tra le esposizioni alle polveri di asbesto e il mesotelioma
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pleurico. Tra certi coloranti, pensate al processo di Ciriè, l’anilina e il carcinoma della vescica. Tutti
sanno che se mangiamo troppo ci sale il colesterolo, i trigliceridi, la pressione.
Sul giornale di oggi si racconta la strage dei miei amici indios a Roraima, perché si è impennato il
prezzo dell’oro nella crisi internazionale, 1500 Garimpeiros hanno invaso le aree indigene. Gli
indigeni non hanno anticorpi contro le nostre malattie, e muoiono a migliaia. Ma muoiono a
migliaia non perché Dio li fa morire perché sono cattivi, o perché sono pagani, ma perché gli
uomini per la sete dell’oro, vanno là e portano le loro malattie.
E per di più per potere estrarre l’oro dai bordi fluviali, fanno getti di mercurio tremendi, il mercurio
inquina il fiume, muoiono tutti gli animali, e muoiono tutte le persone che bevono i derivati
mercuriali. Ma lì non è Dio che sta ammazzando gli Yanomani, è la nostra cupidigia, è la sete
dell’oro!
Anche tante catastrofi naturali, che vediamo sempre di più: terremoti, lo tsunami, le alluvioni, ecc.
Spessissimo dietro a questo c’è una causa umana, perché abbiamo voluto edificare fin sul ciglio del
torrente per avidità, perché abbiamo estratto tutto il petrolio che c’era nelle falde acquifere dei
deserti, per cui le falde acquifere sono precipitate. La desertificazione aumenta, e quindi il clima
cambia e aumenta l’effetto serra. Ecc. ecc.
Spessissimo troviamo delle cause umane al male dell’uomo. Spessissimo vediamo come siamo noi
che provochiamo queste cose. Così la tragedia di Auschwitz, dei campi di sterminio, non è Dio che
ha fatto morire gli ebrei, è stata la crudeltà di un fanatico e della sua parte politica, è stata la crudeltà
di quelli che hanno inventato questi mezzi assurdi di distruzione di massa
Capiamo molto bene che la Bibbia ha ragione, quando ci dice che buona parte del male del mondo,
deriva dalla cattiveria degli uomini, dalle scelte che noi continuamente facciamo. La Parola di Dio
ci richiama con forza alle nostre responsabilità collettive nei riguardi del creato, nei riguardi
dell’ambiente. Ma ci dice anche un’altra cosa, il mito del racconto del peccato originale: ogni nostra
azione individuale, anche se compiuta nel segreto della mia stanza, ricade in male verso tutta
l’umanità, verso tutto il creato, verso tutto il cosmo.
Così il bene, ha delle ridondanze in positivo, verso tutta l’umanità, verso tutta la terra, verso tutto il
cosmo. Questo è il senso del peccato originale. Il peccato originale è che io con le mie azioni,
produco del male o produco del bene a tutto il creato. E a mia volta nasco in un mondo già segnato
dal peccato degli altri. Questo è un valore molto importante che responsabilizza l’uomo. Il
messaggio della Genesi è di estrema valorizzazione delle possibilità umane, perché presenta l’uomo
come capace nel retto utilizzo della sua libertà, di collaborare con Dio a un mondo migliore, a una
umanità migliore. Ma ricorda anche all’uomo, la possibilità di operare un male, che
misteriosamente non si ritorce solo contro di lui, ma anche contro tutti i sui simili, contro tutto il
creato, contro tutto il cosmo.
Sono gli svolti meravigliosi e terribili della libertà umana. Ma se la Genesi quindi ci spiega direi
buona parte del male del mondo, tanto male del mondo resta però ancora senza significato. Le
sofferenze del giusto, i patimenti dell’innocente, a chi saranno da ascrivere? Spesso non è visibile in
tante afflizioni o tormenti dell’uomo, un collegamento diretto tra un peccato e le sue conseguenze.
Il male, la catastrofe, piombano talora improvvisi, su bambini, su donne, su anziani, su persone
assolutamente innocenti.
Il bambino che muore di leucemia a 4 anni, che colpe ne ha? Quello che nasce malformato, che cosa
ne può? E spesso che cosa ne possono i suoi genitori? Il sanitario che si infetta curando un malato di
AIDS, o il missionario che si prende la lebbra durante il suo apostolato… a chi devono dir grazie?
Anzi, rispondere che è il peccato degli altri che provoca questo, non ci soddisfa. Perché devo pagare
io delle colpe altrui? Un Dio che permette che io paghi le colpe degli altri, è un Dio ingiusto.
Guardate che anche Gesù si è ribellato a questa concezione. Vi leggo un brano molto interessante,
Luca 13, 1 – 5. Quel giorno Gesù apre la gazzetta di Gerusalemme e legge due notizie in prima
pagina.
Gli si presentarono alcuni a riferirgli di quei galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello
dei loro sacrifici. Prendendo la parola Gesù rispose: credete che quei galilei fossero più peccatori di
tutti i galilei per aver subito tale sorte? No, io vi dico. L’altra notizia era di quei 18 sui quali rovinò
la torre di Siloe e li uccise. Gesù dice: credete forse che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di
Gerusalemme? No, io vi dico!
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E quando i discepoli passano davanti a quel tale che era cieco dalla nascita, e gli chiedono proprio
questo: Signore, chi ha peccato lui o i suoi genitori perché egli nascesse cieco? Gesù rispose: non ha
peccato né lui né i suoi genitori, anzi se foste ciechi, non avreste nessun peccato
.Anche la tradizionale teologia dell’espiazione, pone molti problemi alla sensibilità moderna.
Che cos’è la teologia dell’espiazione? Voi sapete che nella grande tradizione cristiana, è nata una
corrente che diceva: ecco, Adamo ed Eva hanno compiuto il primo peccato, il Padre eterno se l’è
legata qui, e non c’è stato verso di essere più amico degli uomini! Gliene ha mandate dietro di tutti i
colori. Questi poveri uomini chiedevano pietà, facevano sacrifici, pregavano, han costruito il
tempio, ma il Padre eterno è diventato irremovibile.
Gli avevano preso la famosa mela si diceva al catechismo ai bambini. Perché? Perché l’offesa fatta
a Dio che è infinito, è infinita, e pertanto esige una riparazione infinita. E qual’era il succo di questa
cosa? Che questo Dio, si placava solo massacrando Suo Figlio sulla croce. Allora poi era contento.
Oh, come era contento questo Dio d’aver ammazzato Suo Figlio sulla croce! Era proprio
soddisfatto, e si riconciliava con gli uomini. Questa teologia, secondo me è pericolosissima! È una
teologia profondamente atea, assolutamente anti evangelica! Perché questo Dio, che per un senso
assoluto di giustizia, diventa vendicativo e sanguinario, giudice crudele, pronto a chiederti conto dei
tuoi debiti fino all’ultimo centesimo, contrasta vivamente con Dio Padre, anzi, Abbà, il Dio papà
presentatoci da Gesù Cristo!
Il Dio che prova più gioia per un peccatore che si pente che per 99 giusti che non hanno bisogno di
penitenza! Il Dio amore rivelatoci da Gesù Cristo. Allora, la concezione che il male nel mondo
deriva dal peccato dell’uomo, da una parte ci sottolinea sicuramente delle rivelazioni importanti.
Dall’altra, ci lascia irrisolti molti problemi. Allora cerchiamo altre risposte nella vita.
La seconda grande risposta che la Bibbia dà, è quella che ho chiamato la Teologia della
retribuzione. Questa teologia trova come fondamento, l’esperienza dell’Esodo,l’esperienza
fondante della fede di Israele.
Voi sapete che Israele è un popolo di schiavi in Egitto, e a un certo momento si accorge per la prima
volta nella storia, che c’è un Dio che non è il dio del sovrano, il dio del potente di turno, il dio del
faraone. Ma è il Dio dei poveretti, il Dio dei disperati, il Dio degli oppressi, il Dio degli schiavi.
Questo Dio sente la miseria del suo popolo, e scende a liberarlo. E allora capisce che questo Dio è il
Dio della vita! È il Dio che dà la vita ai poveri! È il Dio che dà la gioia agli afflitti, è il Dio che dà la
salute ai malati; è il Dio che dà la libertà agli oppressi, è il Dio Goel, cioè Redentore! Salvatore!
Colui che mi redime! Che mi riscatta!
In questo contesto, viene elaborata quella che viene chiamata nella Bibbia, la Teologia delle due
vie. Avessimo tempo di leggere anche solo Deuteronomio 28 e Deuteronomio 30, capiremmo la
bellezza di questa Teologia! Che cosa dice questa Teologia? Se Dio è la vita, è l’amore, è la
pienezza, è la meraviglia, è la felicità, se io sto dalla parte di Dio, avrò vita, avrò pienezza, avrò
felicità, avrò realizzazione.
Se io mi allontano da Dio, se io dico di no a Lui, vado verso la morte, vado verso l’infelicità, vado
verso la tristezza, vado verso il dolore. Sono capitoli molto belli in cui il Signore dice: se mi amerai,
e osserverai la mia Parola, starai sempre bene, avrai buona salute, vincerai sui tuoi nemici, i tuoi
campi fruttificheranno 10 volte, la tua vacca partorirà 2 volte l’anno, avrai abbondanza di frutti, non
ci sarà mai la siccità, i tuoi figli saranno numerosi, vivrai un rapporto coniugale stupendo. Ma se ti
allontani da Me, ti verrà la malattia, la sofferenza, l’unghia incarnita, la broncopolmonite,
l’arteriosclerosi, la tachicardia, ti verrà tutto un trattato di patologia, e inoltre i nemici verranno
nella tua città, te la distruggeranno, ti faranno schiavo, ti porteranno in esilio, vivrai un’esperienza
dolorosa con i figli, una esperienza coniugale terribile, ecc. ecc.
La Teologia delle due vie. Cioè, chi sta dalla parte del Signore, è nella felicità. Chi si allontana da
Lui, è invece votato verso la morte. E allora ecco, in tale contesto, nasce questo meccanismo: se tu
sei buono, Dio ti premia. Se sei cattivo, sei tu che ti allontani dalla Fonte della vita e ti auto castighi.
Questo è un grande concetto. Nel libro dei Re, il teologo deuteronomista fa della storia di Israele,
un’analisi non sui successi politici, militari, economici di questi re, ma li giudica soltanto alla luce
della Parola di Dio.
Torino, 17 novembre 2011 C. Peschiera – Dott. Miglietta Il male e la Parola di Dio 7
Cioè, se sono stati fedeli al Signore, ecco queste sono delle persone felici. Se si sono allontanati dal
Signoreper quel motivo avete perso la guerra, vi hanno fatto schiavi, vi hanno deportati in Babilonia
vi hanno distrutto la città. Tutta la storia è letta alla luce di questa Teologia della retribuzione: il
bene premia, il male castiga.
Ma questo è un discorso, che funziona anche qui fino a un certo punto. Perché tutti noi, abbiamo
presente continuamente, che ci sono tanti empi che prosperano, che ne combinano di tutti i colori, a
livello politico, sociale, ma sono sempre in auge. E invece ci sono tanti poveretti che sono brava
gente, onesta, fedele al suo Signore, e che invece portano delle croci terribili.
Allora vedete che Israele cerca di modulare questa teologia, e si passa da quella che è la cosiddetta
retribuzione immediata personale, cioè, se sono buono starò bene, se sono cattivo vado a finir male,
( visione che per esempio è molto presente nel Protestantesimo, che fonda un po’ il capitalismo
americano). I protestanti dicono: se io sono fedele al Signore, sarò ricco. Ma, ci sono tanti che sono
fedeli al Signore e sono molto poveri. E’ una teologia che non funziona molto bene.
Si pensa allora alla cosiddetta retribuzione collettiva: ecco, tu magari soffri, ma i tuoi figli
staranno bene, il tuo popolo starà bene, la tua comunità avrà un giovamento. Altrimenti la sanzione
è differita alle soglie della vita. Cioè: si, adesso sto male, e invece l’empio prospera, ma vedrai che
prima della fine della vita, il Signore farà ribaltamento delle sorti, e prima della fine della vita il
giusto sarà premiato, e l’empio sarà castigato. Anche questa non funziona.
E allora si arriva alla cosiddetta retribuzione escatologica, cioè lentamente si fa strada in Israele,
l’idea che questo Dio a un certo momento, proprio perché è un Dio buono, e giusto, ti darà una
ricompensa o un castigo che sono magari al di là della tua vita .Nasce confusamente in Israele l’idea
di un al di là, perché anche l’idea della morte, che tanto tutti appiattisce, non è soddisfacente.
Tutti ricorderete la famosa A livella di Totò, in cui Totò dice: è vero tutti adesso stiamo diventando
vermicelli, ma intanto tu te la sei goduta tutta la vita, ricco sfondato, e io che facevo lo spazzino, ho
tirato la cinghia tutta la vita. La giustizia non c’è! Non è vero che la morte è una livella, o per lo
meno se lo è, viene dopo percorsi di ingiustizia in cui gli empi hanno prosperato, e magari i giusti
hanno molto sofferto.
Altre volte la Bibbia, non si interroga sull’origine del male, ma si interroga sul suo scopo. Il
dolore, come pedagogia divina. Il dolore può essere talora il metodo pedagogico con cui Dio, Padre
e Maestro educa l’uomo, lo distoglie dal male, lo avvia al bene, lo mette alla prova per saggiarne la
fede, per fortificarne la fede, per introdurlo più intimamente al mistero dell’unione con Dio.
È l’esperienza del deserto. E’ importante per Israele l’esperienza del deserto. Dio talora ti toglie i
beni di questo mondo, per farti capire che Lui è il solo bene. È l’esperienza della prova, tutti i
grandi Patriarchi d’Israele, pensate ad Abramo, pensate ad Ezechia, pensate a tanti giusti, hanno
subito spesso la prova. Ecco il dolore può diventare momento di purificazione, può diventare
momento di crescita, può anche essere un tempo di grazia e di benedizione.
Il dolore si, può chiudermi nella disperazione, nell’angoscia, ma può essere anche un’occasione in
cui invece io divento più capace di cogliere l’unico bene assoluto che è Dio, nel momento in cui i
miei beni terreni o di salute, si sciolgono. Oppure divento più capace di capire gli altri, divento più
capace di essere solidale con gli altri. C’è quel famoso Salmo 49 che io amo molto, che ripete come
ritornello: l’uomo nella prosperità non comprende è come gli animali che periscono.
E allora può essere davvero un momento in cui nel deserto della vita, noi diventiamo capaci di
ascoltare Dio, di trovare il Signore, di capire di più i fratelli, di amarli di più. Allora ecco che il
credente, è colui che anche nella prova, anche nella sofferenza, arriva a dire con S. Paolo nella
lettera ai Romani: «per chi ama Dio, tutto va a finir bene», o come diceva il grande Manzoni che io
amo molto, nel suo capitolo ottavo: «Dio non turba mai la gioia dei suoi figli se non per prepararne
loro una più certa e più grande.».
Ecco, sono varie posizioni che nell’Antico Testamento, cercano di dare una risposta, in qualche
modo, un senso al tema del dolore. Ma ho lasciato per ultimo, quella che credo sia davvero la
grande rivelazione che comincia nell’Antico Testamento e in maniera chiara e troverà la sua
completezza nel Nuovo, la Teologia della creaturalità. E’ la lettura che soprattutto i Padri greci,
fanno dell’Antico e Nuovo Testamento. Questa concezione, parte da una riflessione: Dio ha creato
l’uomo per amore. Dio non aveva bisogno degli uomini. Il Dogma cristiano della creatio è divino,
cioè la creazione dal nulla è perché Dio gratuitamente ci crea. Dio crea l’uomo perché vuole avere
Torino, 17 novembre 2011 C. Peschiera – Dott. Miglietta Il male e la Parola di Dio 8
un amato, vuole avere una relazione amorosa, vuole avere un altro in cui riversare il Suo amore.
Vuole avere un partner dell’amore.
Ma essendo Dio infinito, illimitato, ed eterno, per creare un altro che fosse “altro” da Lui, ha dovuto
creare il finito, il limitato, il mortale. Allora Dio è infinito, vuole creare qualcuno con cui
relazionarsi, deve creare qualcuno che sia “altro” da Lui, e l’altro dell’infinito è “il finito”.
Allora attenti: il male, la malattia, la morte, non sono una punizione mandata da Dio, ma fanno
parte dell’ordine creazionale. Fanno parte dell’ordine biologico. Fanno parte del fatto che io non
sono Dio. Fanno parte del fatto che io non sono Creatore, ma che sono “non Dio”, ma che sono una
“creatura”.
Guardate che questa idea, che la morte non è frutto del peccato dell’uomo, ma preesiste all’uomo
stesso è un’idea che è confermata anche dal punto di vista scientifico. Al giorno d’oggi,
l’evoluzione ci dice che il big bang primordiale è avvenuto circa 15 miliardi di anni fa; 400 milioni
di anni fa compaiono i primi vertebrati; 2 milioni di anni fa compare l’homo sapiens. Ma tra i 400
milioni di anni fa in cui compaiono i primi vertebrati e i 2 milioni di anni fa in cui compare il primo
homo sapiens, passano 398 milioni di anni. E in questi 398 milioni di anni la morte c’era già, tanti
animali sono morti! Tante specie si sono addirittura estinte pensate ai dinosauri: i dinosauri
preesistono ai primi uomini, eppure c’erano, eppure sono morti. Allora vuol dire che la morte non è
colpa del peccato del primo uomo, ma la morte fa parte del limite creaturale.
Io qualche volta chiamo un po’ scherzosamente questa riflessione “Giurassic Teologia”, Teologia
dei dinosauri, eh! Però ci porta ad affermare che il peccato dell’uomo non può essere stato la causa
della morte fisica. Cioè, l’invecchiare, l’ammalarsi, il morire fanno parte del fatto che siamo
creature, siamo “altri” da Dio, siamo diversi da Lui.
Guardate che questo non è una Teologia di qualche innovatore, ma è la Teologia del Catechismo
della Chiesa cattolica. E vi leggo proprio i brani: n. 302: «La creazione ha sì una propria bontà e
perfezione ma non è uscita dalle mani del Creatore interamente compiuta, è stata creata in statu
viae, cioè “in stato di via” verso una perfezione alla quale Dio l’ha destinata, ma che deve ancora
essere raggiunta.»
Paragrafo 310: «Perché Dio non ha creato un mondo a tal punto perfetto da non potervi essere alcun
male? Nella Sua infinita potenza, Dio potrebbe creare sempre qualche cosa di migliore. Tuttavia
nella Sua sapienza e nella Sua bontà infinite, Dio ha liberamente voluto creare un mondo (ripete la
stessa frase) in stato di via, verso una perfezione ultima. E questo divenire, nel disegno di Dio
comporta con la comparsa di certi esseri, la scomparsa di altri; con il più perfetto, il meno perfetto;
con le costruzioni della natura, anche le distruzioni. Quindi, insieme con il bene fisico, esiste anche
il male fisico finché la creazione non avrà raggiunto la sua perfezione.» Ho letto il Catechismo della
Chiesa cattolica, paragrafi 302 e paragrafo 310.
Attenzione! Dio crea “l’altro” da Lui, ma Dio sa che far sorgere un altro da Lui, cioè un non Dio,
significa creare l’imperfetto, significa creare l’incompleto. Ma fa questa scelta, perché per Lui il
valore supremo è coinvolgere la creatura in una relazione amorosa con Lui. La cosa più importante,
è che noi diventiamo gli amanti, i fidanzati, gli sposi, sono termini perfettamente biblici, di Dio.
Ecco che Dio per avere una relazione amorosa con noi dice: “la cosa più importante è che tu sia il
mio amante, e che tu abbia una relazione amorosa con Me!”
Allora l’importanza della vita umana non è che la vita umana non abbia handicap, siamo tutti in
salute, stiamo tutti bene; l’importanza della vita umana è che è il luogo della mia relazione amorosa
con Dio. Allora anche la vita di un handicappato grave, anche la vita di un malato grave, di un
malato terminale, sono vite degne di essere vissute perché sono il luogo della mia relazione amorosa
con Dio!
E’ uscito un documento bellissimo sui bambini decerebrati, fatto dalla Congregazione della Dottrina
della Fede alcuni anni fa, in cui si dice che anche il bambino decerebrato non è uno scarto da buttar
via, perché se il Signore lo ha messo all’interno della creazione è perché, in maniera misteriosa,
questo bambino decerebrato potrà avere una relazione amorosa con Lui. Quello che conta nella vita
non è che abbiamo 2 gambe, non è che abbiamo 2 braccia, non è che ci vediamo, è che abbiamo una
relazione amorosa con Dio!
Ecco che allora il dono più grande che Dio ci fa, è proprio questa diversità da Lui! Perché mi
permette di diventare l’amante di Dio, mi permette di essere in relazione con Lui! Io mi arrabbio di
Torino, 17 novembre 2011 C. Peschiera – Dott. Miglietta Il male e la Parola di Dio 9
trovarmi finito, limitato, mortale, ma nel piano di Dio questo è il dono più grande che poteva fare!
Perché io posso fare l’amore con Lui, come dice l’Antico e il Nuovo Testamento, conoscere Dio!
Voi sapete che il verbo conoscere, indica addirittura la conoscenza carnale, il diventare una cosa
sola. E quando in Giovanni si dice che lo scopo della vita è conoscere Dio, non vuol dire andare al
Corso biblico, o sapere il Catechismo a memoria, ma vuol dire avere una relazione amorosa,
intensa, nuziale con Lui!
Questo è lo scopo della vita di tutti gli uomini! Proprio perché Dio mi ha fatto diverso da Lui, io
sono persona che si relaziona con Lui. Io sono Carlo Miglietta, di fronte a Colui che E’! Guardate
che roba! Dio è Colui che E’, e io sono io perché sono diverso da Lui, perché sono limitato, perché
sono finito. Quindi la diversità da Lui, l’essere altro da Lui è il dono più grande che poteva farci!
Perché ci costituisce suoi interlocutori, ci dà la possibilità di essere Suoi partner dell’amore.
Ma attenzione!
Punto uno: Dio è infinito, per amore crea l’altro da Lui, quindi crea il finito.
Punto due: questa finitudine è il dono più grande che poteva farci, e che dobbiamo comprendere nel
tempo della malattia, dell’handicap, della sofferenza, perché è in ogni caso il luogo in cui io mi
rapporto in relazione d’amore con Lui.
Ma, punto tre: Dio soffre nel vedere il suo amato sottomesso alla finitudine, sottomesso alla morte.
Il Dio dei cristiani non è il “motore immobile” di aristotelica memoria! Il Dio dei cristiani è un Dio
che soffre, che si commuove, è un Dio misericordioso, è un Dio pietoso, ricco di grazia! E allora
Dio si commuove profondamente per la nostra creaturalità, e nel momento stesso in
cui ci crea finiti, limitati, mortali, pensa al modo di farci diventare infiniti, illimitati, immortali.
Per questo, nel momento stesso in cui Dio crea, progetta l’Incarnazione del Figlio per mezzo della
quale Egli stesso, l’infinito, si farà finito. Prenderà su di sé il limite dell’uomo, prenderà su di sé il
limite del creato fino alla morte, e per il Mistero della Sua Resurrezione porterà la nostra finitudine,
la nostra angoscia, la nostra sofferenza, la nostra morte, nell’eternità, nell’immensità della Sua vita
divina.
Come dice brillantemente Sant’Atanasio nel “De Incarnatione Verbi”: «Dio si è fatto Uomo,
perché l’uomo diventi Dio». Allora, vedete, in quest’ottica l’Incarnazione del Figlio non è un
incidente di percorso dovuto al peccato dell’uomo. Cioè, nella vecchia Teologia dell’espiazione,
Dio si era arrabbiato per il peccato dell’uomo, aveva rotto i ponti, l’unico modo per saldare questo
dissidio insanabile, era l’Incarnazione del Figlio
No! Anche se l’uomo non avesse peccato ci sarebbe stata l’Incarnazione! Perché? Ma perché ce lo
dice con chiarezza tutta la Scrittura quando nel prologo Giovanni ci dice: «In principio era il
Verbo!» E il Verbo è Gesù Cristo. «E il Verbo era Dio e tutto è stato fatto per mezzo di Lui. E senza
di Lui nulla è stato fatto di ciò che esiste». Paolo nella lettera ai Colossesi dice: «In Lui tutte le cose
sono state create, e tutte sussistono in Lui», in Efesini dice: «in Lui ci ha scelti prima della
creazione del mondo».
Allora, l’Incarnazione non è frutto del peccato dell’uomo. L’Incarnazione è un gesto creazionale! Il
creato è completato soltanto in Cristo, il progetto di Dio trova la sua definizione soltanto in Cristo.
Cristo che è Dio: “l’infinito che si fa finito per farci infiniti”.
Ecco che allora, voi direte: «Ma la Genesi?», la Genesi ci ha presentato un inizio tutto rose e fiori
ma, fratelli e sorelle, la Genesi non ci dice come eravamo, la Genesi ci dice come saremo!
Quando io faccio i corsi biblici, l’introduzione all’Antico Testamento, parto dall’Esodo che è
l’esperienza di Dio che libera, e alla fine per ultimo pongo la Genesi. Perché la Genesi (e guardate,
lo dice molto bene Sua Eminenza il Cardinal Ravasi) non ci dice come era l’uomo all’inizio, ma ci
dice qual è il fine dell’uomo, qual è la fine e il fine dell’uomo. La Genesi è la vera Apocalisse, cioè
la Rivelazione della creazione completa, una creazione che può avvenire soltanto in Cristo.
Il giardino dell’Eden non è un luogo geografico, è una situazione di rapporto comunionale con Dio.
E questo rapporto comunionale con Dio avviene soltanto in Cristo, per Cristo e con Cristo. Perché
soltanto in Cristo, con Cristo e per Cristo che la finitudine umana viene portata dell’infinito di Dio.
Allora il Paradiso di cui parla la Genesi è Cristo! E’ Cristo! Cristo è il luogo della nostra comunione
con il Padre; Cristo è Colui che ci fa vedere il Padre; che ci fa passeggiare con Lui nella brezza
della sera, come dicevano i Padri che dicevano: «Creavit Deus Adam et posuit eum in Paradiso,
Torino, 17 novembre 2011 C. Peschiera – Dott. Miglietta Il male e la Parola di Dio 10
idest in Christo … Dio creò l’Adam, e lo pose in Paradiso, cioè lo pose nel Cristo». È Cristo il
compimento della creazione.
La Chiesa in questo ha sempre una logica stringente. Il Concilio di Trento, tra le sue scomuniche,
aveva detto, attenzione: «Chi neghi che la morte, intesa come disfacimento corporeo, sia frutto del
peccato “anatema sit”!». Allora che cosa vuol dire questo? Rahner aveva fatto un bellissimo testo su
questa piccola definizione. Il peccato sicuramente ha peggiorato le cose, ha portato che cosa? Ha
portato il disfacimento corporeo. Ma la morte ci sarebbe sempre stata lo stesso perché la morte fa
parte del nostro essere creature. Il peccato, se volete, ha rovinato le cose, e ha portato anche al
disfacimento corporeo. Tant’è vero che Maria Santissima, che noi consideriamo Immacolata, senza
peccato originale, è soggetta alla morte.
Chi va a Gerusalemme, sa che ci sono almeno due o tre Chiese che si contendono il luogo della
Dormitio Mariae, cioè dove Maria è morta. Ma la Chiesa ci dice: «Sì, Maria è morta, ma non
avendo avuto il peccato originale, non ha visto il disfacimento corporeo». Ecco il Dogma
dell’Assunzione col corpo. Vedete? Quindi la morte fa parte del nostro essere “non Dio”, la morte
fa parte del nostro essere creature.
Il male fa parte del fatto che non siamo perfetti come il Creatore. Il peccato ci aggiunge del suo,
sicuramente. Ma sicuramente la prima motivazione del perché il dolore, è: “perché sono limitato, è
perché sono creatura, e perché sono altro da Dio”.
Quando un mio paziente mi dice: «Ma perché Dio mi manda questo?» Io gli rispondo: «Non è Dio
che gli manda questo, ci viene la malattia grave, ci viene il tumore, ci viene la sofferenza, ci viene
la morte, proprio perché non siamo Dio! Proprio perché siamo altri da Lui! Proprio perché siamo
diversi da Lui! Ma Dio che ci ama alla follia, che cosa fa? Scende dai Suoi cieli, viene a prendere
su di sé la mia malattia, la mia sofferenza, la mia morte, e le trasfigura nella Sua vita divina».
E allora ecco, e concludo, c’è un libro nella Bibbia, nell’Antico Testamento, meraviglioso, che io
amo tantissimo, che è la grande risposta (già nell’antico Testamento) di Dio a questo tema, ce è il
Libro di Giobbe.
Voi sapete che nel Libro di Giobbe Dio raccoglie questa sfida dell’uomo che gli chiede: «Ma
perché il dolore?», e per un libro intero tratta di questo, e lo tratta nel Libro di Giobbe. Giobbe che
è prototipo di ogni sofferenza, Giobbe nostro contemporaneo. Kierkegaard diceva che ciascuno di
noi dovrebbe avere sempre sul comodino da notte il Libro di Giobbe e leggerne una pagina tutte le
sere. Nostro contemporaneo, contemporaneo degli uomini di tutti i tempi e di tutta la terra! L’uomo
che grida contro Dio! L’uomo che si ribella a Dio! L’uomo con l’ansia di guarigione, pieno di
contraddizioni! In preda a una schizofrenia spirituale tra disperazione e speranza, maledizione
invocazione, lotta e rassegnazione! Giobbe siamo noi! Giobbe sono io! Tutti siamo passati o
passeremo nelle sue vesti, provati nella nostra carne, o nella carne dei nostri cari, dei nostri amici,
dei nostri famigliari.
Voi sapete che in origine era una leggenda, un’antica storia folcloristica del secondo millennio
avanti Cristo, che parlava di uno sceicco arabo, di un certo Iov del paese di Udom, forse in Edom, a
sud est del Mar Morto, il quale viene messo alla prova dal suo dio, e viene premiato per la sua
fedeltà nonostante tutte le disgrazie.
Voi sapete, prima gli arrivano i predoni e gli portano via tutti i greggi, poi gli casca la casa sui suoi
figli, e muoiono tutti i suoi dieci figli. Poi lui stesso diventa un vero e proprio trattato di patologia
medica. Io nel mio libro “Sul perché il dolore”, mi sono anche divertito a fargli le diagnosi: aveva di
tutto! Insomma, aveva dal cancro all’angina pectoris, all’osteoporosi, all’impetigine, alle malattie
infettive, Giobbe è il prototipo di ogni sofferenza, ogni sofferenza è in lui! E allora Giobbe in
questo mucchio di cenere o di letame come lo raffigura la Tradizione, a un certo momento alza i
pugni contro Dio e dice: «Dio io non accetto la Teologia della retribuzione!»
I suoi amici gli vengono a dire: «Eh, sei finito così perché chissà cosa avevi fatto! Sembravi tanto
buono, eh! Sembravi tanto pio, eh! Ma se sei finito così e perché ne avevi combinata una e Dio ti ha
castigato». E lui osa alzarsi e alzare i pugni al Signore e dice: «Io non ho fatto niente! Sei Tu Dio,
che sei un Dio leopardo, sei un Dio che ci attacca, sei un Dio arciere! Sei un Dio che ci colpisce!
Sei un Dio che non hai pietà degli uomini! Vieni a dirmi perché io che sono sempre stato un giusto,
devo soffrire in questa maniera!»
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E allora abbiamo questo grande finale in cui questo Dio viene a dirglielo. Questo Dio scende dai
cieli, in realtà non è una teofania, è una “logofania”, è la Parola che si rivela! E questo Dio gli fa un
discorso bellissimo, dice: «Io sono Amore, Io sono Provvidenza, Io penso ai parti delle camosce,
sulla Ciamarella, sul Gran Paradiso e sul Monte Bianco, Io penso ai piccoli del corvo, Io penso
all’asino selvatico nel deserto, Io penso a tutte le creature, Io amo questo creato! Io amo tutte le
cose che ho creato!».
Qui c’è già un discorso che anticipa quello che dirà Gesù quando ci presenterà a Dio come il Padre
amoroso che pensa e provvede agli uccelli del cielo e ai gigli del campo, che vigila sulla sorte dei
passerotti. Ecco all’uomo che chiede a Dio perché il dolore, Dio risponde dicendo: «Io sono
AMORE! Io sono PROVVIDENZA, io voglio bene al creato, io voglio la felicità di tutti!»
E allora Giobbe si sente smarrito e dice: «Signore, ora la mia fede non si basa più sul sentito dire,
ora Ti ho sperimentato, ora so chi Tu sia! E a questo punto taccio, e accetto il Tuo piano! Il Tuo
Mistero!». Ecco Giobbe ha capito che Dio è Amore perché Dio gli ha parlato, e gli ha spiegato la
Sua Presenza amorosa nel creato. Giobbe è uscito per un attimo dal suo dolore, dalla sua
disperazione, ed è diventato capace di contemplare la creazione, e ha scoperto nella creazione lo
stile, l’orma di un Dio che è Amore. Ma soprattutto Giobbe ha incontrato personalmente Dio. Di un
Dio che, guardate bene, non è venuto a guarirlo, ma è sceso dall’alto dei cieli e si è venuto a mettere
lì, accanto a Giobbe, a fianco a fianco, sul suo letamaio. E’ un Dio che viene a sedersi sul letamaio
vicino a Giobbe, e me lo immagino così, abbracciati uno con l’altro, eh! Uno con la testa appoggiata
alla spalla dell’Altro che chiacchierano.
Ecco, vedete, Giobbe ha capito la presenza di “Dio al mio fianco nel momento del dolore”. Giobbe
ha capito che Dio scende dai cieli per ascoltare la sofferenza degli uomini, per prendere su di sé la
sofferenza degli uomini. Giobbe sta facendo l’esperienza dell’Emmanuele, del Dio con noi, che
vedrà proprio la massima espressione nell’Incarnazione del Figlio per la quale Dio stesso non solo
verrà al nostro fianco, ma si farà uno di noi. Scenderà, scusatemi, nei nostri letamai, nei nostri
mucchi di cenere.
E il dolore diventa allora il luogo dell’esperienza più profonda. Voi sapete che originariamente il
Libro di Giobbe finiva qui. Quella che noi vediamo la cosiddetta “happy end” (il lieto fine), che
Giobbe a questo punto viene risanato, viene reintegrato di tutto il suo patrimonio, ha di nuovo figli e
figlie, diventa di nuovo il più potente sceicco d’Arabia, è un’aggiunta posteriore. È un’aggiunta
posteriore!
Dal punto di vista esegetico, gli ultimi versetti non fanno parte del Libro di Giobbe. Sono segno
dello “scandalo” dell’uomo che non sopporta questa idea di un Dio che non è il tappabuchi della
nostra debolezza, dei nostri limiti, ma il Dio che si fa uno di noi. Il Dio che soffre con noi per
un’insondabile economia d’amore. E sarà il grande mistero che contempleremo nel prossimo
incontro.
Questo grande scandalo di un Dio che non è Colui che con la bacchetta magica fa sparire il male,
ma rispetta l’alterità del creato, e l’unico modo per superare l’alterità del creato che è in prova, è
quello di entrare Lui nella finitudine del creato, fino alla morte, fino alla morte di Croce, fino alla
discesa agli inferi, per raschiare davvero fino in fondo la sofferenza degli uomini, per prendere su di
sé, ogni male, ogni angoscia, ogni nostra paura, e trasfigurarla nella vita divina.
Sarà il grande annuncio di Gesù Cristo che contempleremo nell’incontro di giovedì prossimo.
Domanda: .. sull’homo sapiens, .. su come evolve e si forma la coscienza dell’esistenza di Dio…
sulla morte che nella Genesi è legata al peccato…anche la lettera apostolica di Paolo afferma
proprio questo…sul darwinismo…
Risposta: mi pone tante domande! Rispondo alle interessantissime cose che sono state chieste: ci
sono tre ordini di cose. Primo, già nel 1943 la Divino Afflante Spiritu ci diceva che dobbiamo usare
nella lettura della Bibbia la conoscenza del metodo storico-critico. Cioè di capire che Dio ha parlato
agli uomini attraverso la cultura del loro tempo, attraverso le loro modalità espressive, attaverso la
mentalità e le conoscenze che allora avevano. Questa è una cosa molto vecchia, eh, già nel ’43!
Quindi non è come qualcuno dice: «Ah, la Chiesa ha accettato il darwinismo solo dopo il
Concilio!», no! Già nel ‘43 Pio XII aveva fatto questa bellissima Enciclica con cui invitava a
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scoprire i cosiddetti “generi letterari”, cioè a capire che la Bibbia è una collezione di libri che
viaggiano per un periodo che probabilmente è di 1.200 anni dai testi più antichi attorno all’anno
mille fino agli inizi del secondo secolo dopo Cristo. E che quindi in milleduecento anni si parla con
cultura diversa, con modi simbolici diversi, con espressione differente. Compito dell’esegeta e del
credente è, come dirà molto bene Giovanni XXIII nella sua lettera della Quaresima del ’57 quando
era ancora Patriarca di Venezia, è: «Scoprire il tesoro della verità sotto il velo delle parole». Ecco,
questa è la posizione dei cattolici!
Guardate, ho tanti amici “riformati” che invece sono fondamentalisti, cioè che leggono la Bibbia
alla lettera, e quando io come medico, come scienziato, gli dico: «Ma questo non concorda con la
scienza», loro mi parlano del “diluvionismo” cioè dicono: «Ah, ma il diluvio ha cancellato tutti i
dati scientifici, li ha sconvolti, eccetera..», oppure parlano del cosiddetto “concordismo”, cioè i sei
giorni della creazione più il settimo, sarebbero in realtà differenti ere geologiche.
La posizione dei cattolici attualmente invece, no! La posizione dei cattolici pur rispettando anche
quelli che fanno questo tipo di lettura è che possiamo pienamente (ecco il grande lavoro che fa
Benedetto XVI) conciliare fede e ragione proprio perché quello che la scienza attualmente ci porta a
dire cioè che ci sia stata questa evoluzione dal “big bang” primordiale all’uomo, è qualcosa che è
pienamente compatibile con i testi biblici, a patto che ovviamente si colga il tesoro della verità sotto
il velo delle parole. Quale è il tesoro della verità che i testi della Genesi ci dicono?
Ci dicono, primo che questo creato non si è fatto da solo, ma che ha avuto un’origine “altra” da lui.
Questa origine “altra da Lui” è quella che noi chiamiamo Dio, è quella che noi chiamiamo il
Creatore. questa è la prima grande rivelazione.
Secondo, fra tutti gli esseri della Terra, fra tutti gli animali ce n’è uno solo che “Selem Demut” è “a
immagine e somiglianza” di Dio. questa immagine e somiglianza di Dio è l’Adam. Solo l’Adam è
immagine e somiglianza di Dio.
Quindi classicamente la Chiesa dice, la rivelazione ci dice che sicuramente c’è stato l’intervento
primordiale di Dio che non ha creato un mondo come adesso c’è ma, se volete, ha immesso i semi
del creato nel cosmo con questa capacità evolutiva, a un certo momento è intervenuto per dare a
quel tipo di scimmia la Sua immagine e la Sua somiglianza. In termini greci potremo parlare di
anima, potremo parlare di spirito, potremo chiamare come volete, ma il fatto che noi abbiamo una
capacità di pensiero, di relazione, di amore, di dire di sì al Suo amore, che il ratto non ha, che il
cane non ha, che il passerotto non ha, eccetera, pur essendo anche queste creature amatissime dal
Signore. Ecco, questa è la grande rivelazione!
In questo c’è l’altro problema: quando l’uomo ha incominciato a capire che c’era un Dio? Io credo
nel momento in cui l’uomo che ha dentro di sé l’immagine e somiglianza di Dio si relaziona con
l’Essere Superiore. Lo dice molto bene Paolo nel secondo capitolo della lettera ai Romani, quando
dice che Dio ha posto nel cuore di ogni uomo l’orma incancellabile della Sua presenza.
Addirittura Paolo si arrabbia e dice: «Sono quindi inescusabili coloro che non ammettono
l’esistenza di Dio perché Dio ha radicato nel cuore dell’uomo l’orma della Sua presenza». Questo
possiamo dire: che nel momento in cui Dio fa quell’uomo a sua immagine e somiglianza gli pone
dentro la capacità di relazionarsi con Lui.
Per me è un discorso abbastanza facile, perché io vado quasi tutti gli anni giù in Roraima vado tra
gli Yanomàmi, un popolo che è considerato “il più antico della Terra”, attualmente fino a una civiltà
del 12.000 avanti Cristo. Sono popoli che non hanno ancora conosciuto l’età della pietra. Non sono
ancora all’età della pietra: sono all’età del legno. Ma se c’è un popolo che ha una spiritualità
meravigliosa, sono gli amici Yanomàmi, tant’è vero che i Missionari della consolata sono in dialogo
interreligioso (questo è vero, eh! Lo dicono loro!) con queste popolazioni, perché sono popolazioni
che hanno il senso della presenza del Creatore, Ogni giorno fanno due ore di lectio divina, eh! Sulle
amache lo sciamano dalle due di notte alle quattro di notte racconta i miti: è la loro lectio divina! E
gli Yanomàmi pregano, pregano tantissimo, tant’è vero che loro immaginano il mondo come una
grande cupola, una grande volta che (dicono loro) si schiaccerebbe sulla Terra e ci ammazzerebbe
tutti se gli Yanomàmi non tenessero su la volta con le loro preghiere. Le preghiere degli Yanomàmi
tengono su la volta del cielo!
Quindi, vedete, un popolo che non ha ancora scoperto la pietra perché sono ancora all’età del legno,
il popolo più primitivo attualmente presente nel mondo, ha un senso di Dio, magari confuso perché
Torino, 17 novembre 2011 C. Peschiera – Dott. Miglietta Il male e la Parola di Dio 13
è una zona ancora politeista, anche se all’interno di questo politeismo c’è un Dio vero, che poi è la
storia di Israele,!
Io sto facendo un corso sul libro dei Re e stiamo scoprendo che Israele arriva a capire che c’è un
solo Dio nel quarto secolo avanti Cristo, durante l’Esilio, quinto – quarto secolo, perché prima è il
Dio di Israele! Cosa vuol dire che è il Dio di Israele? Vuol dire che è Dio solo per Israele, ma
l’Egitto ha il suo Dio i Fenici hanno il loro Dio, i Mesopotamici hanno il loro Dio.
All’ inizio si ha una “monolatria”, non un “monoteismo”. Israele dice, e anche i Profeti: «Voi
dovete adorare il Dio di Israele, gli altri dei non li dovete adorare», ma non si dice che non esistono!
Solo lentamente si capisce che il Dio salvatore, il Dio dell’esodo, il Dio liberatore è anche l’unico
Dio creatore del cielo e della Terra e si passa dalla monolatria al monoteismo. È un cammino che
Israele fa con difficoltà. E sicuramente al tempo di Davide, al tempo di Salomone, al tempo dei Re
non c’era questo concetto di un Dio unico. Dio era un dio più forte degli altri dei, al limite, ma era
un Dio che tutte le volte se la giocava, perché gli altri dei c’erano.
Lentamente, si fa presente alla fine di questo cammino “ ma se Dio è così forte che mi libera
eccetera, è l’unico Dio, è colui che ha fatto il cielo e la Terra” e allora si passa dalla monolatria cioè
“c’è un Dio ma ce ne sono anche altri”, al monoteismo: « Professo che c’è un solo Dio, che non
avrai altro Dio al fuori di me!». Ma non avrai altro Dio fuori di me , nel senso che non c’è altro Dio,
non nel senso che “ce n’è tanti ma tu adori anche me”, perché all’inizio Israele lo capisce in quella
maniera.
Questo processo che noi vediamo molto bene nella Bibbia era un processo che vedo nei miei
Yanomàmi ma che vedo tranquillamente come realizzato nel primo uomo. Il primo uomo ha dentro
di sé quest’orma del divino, e lentamente comincia a capire che questo divino si relaziona con lui;
fino ad arrivare poi a delle chiamate esplicite che diventeranno la chiamata di Abramo, che
diventeranno poi la storia di Israele, la storia della salvezza così come la conosciamo noi.
In questo dove si situa il peccato? Nel momento che l’uomo è immagine e somiglianza di Dio,come
dio diventa libero cioè capace di amare, quindi capace di dirgli di sì o capace di dirgli di no. Questa
capacità di dirgli di sì o di no sicuramente può migliorare o peggiorare il creato. Peggiorare il
creato: la morte.
La morte però come è stata specificata dal Concilio di Trento, non come il fatto che se non ci fosse
stato il peccato non sarebbero morti, ma la morte intesa come disfacimento corporeo, questo è il
dogma della fede cristiana. Cioè gli uomini sarebbero egualmente morti ma sarebbero stati tutti
assunti in cielo (stiamo parlando per assurdo, ma è per capire) se l’uomo non avesse mai peccato
tutti noi alla nostra morte anche corporalmente saremmo stati assunti in cielo come l’unica che non
ha mai peccato, la Beatissima Vergine Maria, che è stata direttamente assunta in cielo. E questa è
anche la lettura corretta di Paolo, cioè Paolo nella Lettera ai Romani, quando fa questo grande
discorso, dovete sempre intendere che parla della morte “intesa come disfacimento corporeo”. Su
questo c’è un pronunciamento ufficiale della Chiesa nel Concilio di Trento.
Domanda:..sul peccato, Paolo, lettera ai Romani 8…. Homo sapiens o Adamo ed Eva, nel
linguaggio simbolico della Genesi i progenitori erano una sola coppia?...La Teologia deve dare
una risposta sul monogenismo o sul poligenismo….
Risposta: la Chiesa su questo non dice nulla, dice solo: «Dio può averlo fatto ad una coppia umana
da cui sono derivate altre o.. »
La Santa Romana Chiesa, non ha sposato il darwinismo! Dice che la fede cattolica è compatibile
anche con il darwinismo, punto uno!
Punto due, se uno vuol essere fondamentalista anche nell’ambito del cattolicesimo la Chiesa lo
permette; sembra difficilmente sostenibile, perché allora il discorso del rapporto fede - scienza va a
farsi benedire! Ma se lei vuol essere fondamentalista e pensare che Dio abbia preso due pupazzetti e
poi soffiato sopra è liberissimo, nella Chiesa! Però sul fatto del monogenismo resta il mistero. Cioè
noi non sappiamo se Dio ha preso due scimmie e da allora ha dato lo Spirito (chiamiamo noi) e la
capacità (quella che chiamiamo anima) e noi siamo derivati da questi, la Bibbia non dice nulla su
questo! Ed è una curiosità..
Torino, 17 novembre 2011 C. Peschiera – Dott. Miglietta Il male e la Parola di Dio 14
Interlocutrice: mi sembra di capire che se la Bibbia non dice nulla, la Teologia non può dare
risposta..
Risposta: La Bibbia ci lascia liberi.
C’è una citazione molto bella in una lettera di Galileo a Baronio:: «La Chiesa ci insegna ad andare
in cielo e non come funziona il cielo». Su queste meccanicità, se il Signore ha infuso l’ anima a due
da cui poi siamo nati tutti o ha infuso a dei gruppi, sono curiosità che dalla Bibbia non riusciamo a
estrapolare, quindi la Santa Romana Chiesa dice: « in questi brani la Rivelazione dice: che Dio è
creatore e che Dio ha fatto gli uomini a sua immagine e somiglianza, cioè capaci di una relazione
personale con Lui», questa è Rivelazione, sul come non ci dice niente!
Ci dice “che”, ma non “come”; il resto sono curiosità che sono apertissime alle nostre discussioni,
alle nostre elucubrazioni, eccetera, ma noi come credenti dobbiamo avere questa Rivelazione: “che
c’è un Dio creatore e che questo Dio creatore mi ha fatto”, se poi ha fatti due da cui sono nati tutti
gli altri o se ha fatto due gruppi all’inizio da cui poi ….
Ha fatto l’uomo a sua immagine e somiglianza, cioè capace di amore come Lui, perché Dio è
amore. Allora che cosa vuol dire essere immagine e somiglianza di Dio? Vuol dire essere capaci di
amore e amore vuol dire dire di sì o dire di no, voler bene o non voler bene. Questo è il
grandissimo mistero della nostra vita, questa è anche la grande dignità, la nostra grande ricchezza,
noi sappiamo che abbiamo un Dio che si relaziona con noi e che ci ha fatti capaci di relazione.
Sicuramente Dio ama tutto il creato, questo è un discorso molto bello, perché un discorso veramente
di Apocalisse cioè di rivelazione finale, perché pensare che tutto il creato, quindi il mondo vegetale,
il mondo minerale, il mondo animale, anch’essi sono trasfigurati da Cristo. Che Cristo nel momento
in cui prende su di sé la finitudine dell’uomo prende su di sé anche la finitudine del creato per cui
Paolo in questa visione poetica vede tutto il creato che verrà trasfigurato nella vita divina, per cui a
volte io lo dico senza scandalizzare nessuno: «Se amate il vostro gatto, il vostro cagnolino, questi in
qualche misura, misteriosamente li potremo trovare nella vita di Dio, perché Dio ama la pianta, ama
il girasole, e ama la roccia. È un Dio che ama tutto il creato!», questa è cosa molto bella!
La Rivelazione di Paolo, Romani 8, è veramente la fine del platonismo, dello gnosticismo, di quelli
che dicevano: «La materia è peccato, la materia è male, bisogna allontanarsi da..», no, questa
materia è ravvivata dallo Spirito Santo, tutto esiste per il soffio dello Spirito, perché: «Signore, Tu
ci hai creato e rendi questa creazione viva tramite il Tuo Spirito, se per un istante Tu togliessi il Tuo
Spirito dal creato, tutto crollerebbe!», quindi tutta la creazione ve e palpita della presenza di Dio. La
creazione è un atto che non è stato fatto una volta per tutte (qui ci sarebbero da dire tante cose), è
una creazione continua, Dio continuamente ci crea. Lo dice il libro della Sapienza “se Tu togliessi il
Tuo Spirito tutte le cose cesserebbero di esistere”, non soltanto l’uomo ma anche l’albero, anche il
fiume, anche la roccia eccetera, Dio è continuamente colui che crea e richiama la creazione: ecco le
due grandi rivelazioni!
Sul come concreto ci sono state pagine intere, libri interi, eccetera. La Chiesa non ti dice le cose che
la Scrittura non ti dice. La Chiesa ti dice quali sono le Rivelazioni, poi dal punto di vista scientifico
lascia aperto il dibattito. Che è apertissimo anche per i darwiniani, se l’uomo si è evoluto da una
sola coppia, da più coppie, eccetera, eccetera. Ma la Chiesa dice: «Nel momento in cui pensi che
Dio è creatore, tu ti puoi relazionare con Lui , e oggi questo… », questa è la grande e più bella
rivelazione! Sul come studiamo, vediamo, gli scienziati e i biologi si diano da fare…
Interlocutrice: in uno dei nostri incontri si diceva che fede e scienza sono compatibili ma il
conflitto viene quando una delle due discipline vuole invadere il campo dell’altra.
Volevo avvisare che sarebbe previsto uno o più incontri con un Professore biologo che tratterà i
problemi dell’origine della vita dal punto di vista scientifico; come è venuto il Professor Tartaglia,
e verrà ancora, a parlarci dell’origine dell’universo. Chiaramente è un discorso di scienza che può
aiutarci e accompagna e affianca noi nel discorso della fede: mi sembra di aver capito così, ma la
fede ci parla della nostra salvezza, del cammino della salvezza.
Risposta del Relatore: però io credo che tutto quello che è scienza, tutto quello che è conoscenza,
è una lode al Creatore; se guardate, i grandi scienziati erano spesso Gesuiti, Barnabiti, sacerdoti,
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persone che più studiavano. Pensate alle famose leggi di Mendel, la genetica è nata per studi di
religiosi, che più studiavano i misteri della genetica e più lodavano Dio per la bellezza del creato.
Quindi tutto quello che può essere il progresso scientifico è visto come una benedizione.
D’altra pare il Signore ci rende co-creatori. Adesso io non ho fatto l’esegesi di quel brano, ma
quando il Signore pone l’Adam nel giardino perché lo coltivasse e lo custodisse, sono due termini
molto belli. Sono due termini che traduciamo a volte un po’ banalmente, ma indicano proprio il
“coltivasse” la gentilezza del giardiniere più raffinato e il “custodisse” la pastoralità del pastore che
tiene il gregge, cioè era un uomo che doveva amare il creato e farlo più bello. Ed è bello che il
Signore ci renda partecipi della sua capacità creativa, cioè nel momento in cui Dio fa l’uomo lo
rende capace della sua fecondità, lo chiama ad essere concreatore, lo chiama a fare un creato sempre
più bello, come ci ha detto il Catechismo, più che altro che è in “stato di via” verso la perfezione.
E ciascuno di noi è chiamato già qui a portare la sua pietra, il suo mattone per un mondo più bello,
per un mondo più perfetto che compia davvero il sogno di Dio.
Domanda: …perché cerchiamo sempre di sapere chi abita su al piano alto senza saper chi abita al
nostro piano,....cerchiamo sempre troppo altro senza andare un po’ più in basso?
Risposta: attenzione, io credo che per capire a che piano siamo dobbiamo capire quanti piani ha la
casa: è il grande problema di questi tempi in cui la gente crede che siamo sempre tutti al pian
terreno o in cantina e non capiscono che invece questa casa ha tanti piani. È un problema, secondo
me, davvero drammatico!
Io quello che vedo attorno a me (e in questo mi sento pontificio al mille per mille, cioè io amo
molto questo Pontefice che dice: «Pensate, ragionate, cercate il perché delle cose!») il grande
dramma soprattutto dei giovani è che non si interrogano. È che non si interrogano, che non trovano
un senso alla vita, e allora la sprecano questa vita. Il tema per esempio della vocazione nei giovani
non esiste più perché? Perché (adesso esagero, poi c’è sempre, no?, ma come discorso di massa)
non c’è più questa ricerca di grandi domande: « Chi sono? Da dove vengo? Dove vado?», questo è
il discorso della vocazione, no? Cioè: «Io son chiamato a che cosa?», e questo dà tanta
disperazione!
Sarà per il mestiere che faccio, io vedo spesso attorno a me dei depressi, dei depressi, dei depressi…
vedo solo più depressi, Voi sapete che nell’ambulatorio del medico di famiglia il 67% dei pazienti
che affluiscono sono per malattie psicosomatiche: è una cosa drammatica, cioè i due terzi quasi!
Perché? Perché non c’è più il senso del vivere, e io il senso del vivere lo trovo quando capisco
anche il senso del morire! Perché la morte, in fondo che cosa è? “Un sunto di tutte le mie paure”
diceva molto bene Freud: «Tutta la nostra vita è questa lotta tra il thanatos e la vita, la morte e la
vita», noi aneliamo alla vita ma abbiamo sempre la paura di morire e questa paura è quella che ci
attanaglia tanto, perché? Perché la gente pensa; « Ah, non c’è soluzione!».
Io credo invece che la Scrittura per prima e poi tutta la grande Rivelazione ci dice: «No, la
soluzione c’è, il senso c’è: questo senso e questa meravigliosa relazione con Dio che ti ha chiamato
e che vuole che tu diventi Suo amante e Suo sposo», questa cosa non dobbiamo mai stancarci di
predicarla al tempo opportuno e inopportuno. Ecco perché è vero che dobbiamo avere la massima
solidarietà con quelli del nostro piano, ma dobbiamo anche capire che esiste anche un piano di
sopra e che quando viene l’allagamento, lo tsunami, l’inondazione possiamo sempre salire a questo
piano di sopra.
Domanda:…. perché non si è sempre in grado di conoscere la nostra dimensione?, … sulla
semplicità di amare: “siate semplici…”, perché non siamo capaci di imparare ad amare? Che
cos’è che ci manca? ….io penso che non vi dovete preoccupare se l’homo sapiens, eccetera,…..
voglio dire l’importante è l’essere semplici e riconoscere le cose semplici. Gesù dice: “amatevi
come io amo voi”
Risposta: sono domande molto belle, ha pienamente ragione: “se non diventerete come bambini
non entrerete nel regno dei cieli, ti ringrazio Padre che hai nascosto queste cose ai saggi e ai sapienti
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e le hai rivelate agli umili”, però la bellezza della nostra fede è che anche il sapiente, anche
l’intelligente, anche il super-razionale è chiamato alla relazione con Dio, e questa è la bellezza.
Cioè, io sono veramente curioso, io capisco, io a volte sono veramente razionale, spacco il capello
in ventidue parti, eccetera; però vedo che questo è anche utile, anche se questo non è la fede, non è
la fede cristiana. La fede cristiana è poi il momento in cui dico: «Dio ti amo» e Lui mi dice: «Ti
amo», e viviamo un rapporto di relazione amorosa, questa è la fede. Però è anche bello come dice
Pietro nella sua prima lettera di “saper rendere ragione della speranza che è in voi”, cioè noi
dobbiamo saper rendere ragione, noi dobbiamo sapere che di fronte a tutti gli uomini noi davvero
abbiamo avuto il dono della conoscenza della verità, dono che non è da tutti.
Paolo nella lettera a Tito dice” Non di tutti è la fede”. Però noi abbiamo questo dono che poi
dobbiamo partecipare agli altri, voi sapete che (io lo dico sempre non dobbiamo scandalizzare
nessuno; ogni tanto qualcuno si scandalizza) il Battesimo non è tanto per la salvezza, quasi che se
uno non fosse battezzato non si salverebbe! I miei Indios che non hanno mai visto un bianco, nella
mia area ci sono nove gruppi che non hanno mai visto i bianchi. E di questi sicuramente almeno tre
non ne hanno neanche sentito parlare.
Se andate sul mio sito www.giemmegi.org vedete questo video che ha fatto Rete Globo sulla
invasione dei Garimpeiros e son passati con l’elicottero e hanno trovato una tribù che non si sapeva
che esistesse e questa tribù, quando sono stato nel 2006 alla FUNAI al Ministero per gli Affari
Indigeni a Brasilia, e ho parlato con il direttore della FUNAI mi diceva che sicuramente in Brasile
ci sono ancora 54 tribù che non hanno mai visto bianchi. E nella mia area ce ne sono sicuramente 9
perché noi lo sappiamo dai nostri indigeni che ci dicono che là c’è una tribù che non ha mai visto i
bianchi.
Lì la foresta è immensa, le dimensioni sono migliaia di chilometri.. Ecco questi qui che non hanno
mai avuto il Battesimo, si dannano? Ma neanche per idea! Come dice Paolo “ se questi vivono
secondo coscienza” cioè hanno questa relazione con Dio così come lo hanno capito, continuano
nella preghiera, nella solidarietà della vita comunitaria, questi vanno in Paradiso.
Allora qual è la differenza tra me che sono battezzato e loro? Il Battesimo non è tanto per la
salvezza, il battesimo è per la missione! Il Battesimo mi fa missionario, se io ho avuto la
conoscenza del Signore tramite la Sua Rivelazione, tramite la Scrittura, il mio impegno è: non a
crogiolarmi soltanto nell’amore di Dio, ma infiammare, infuocare la Terra dell’amore di Dio, ma
annunciarlo agli altri. Ecco perché il Decreto Dennis nel capitolo due diceva” nel momento in cui la
Chiesa prende coscienza di sé, si scopre per sua misura non dice “salvata”, ma “missionaria” perché
ha salvato anche l’indios, che non ha mai conosciuto il bianco e quindi non ha conosciuto il
Vangelo e quindi non ha potuto essere battezzato. Ma noi siamo chiamati per chiamare, siamo -
come dice Paolo - consolati per consolare, evangelizzati per evangelizzare, questo è il senso del
nostro Battesimo. Quindi è proprio vero quello che dice cioè che nel momento in cui noi
incontriamo la verità, a un certo momento siamo quelli che poi la raccontano a tutti quelli che sono
nel loro piano, e la trasfondono e la portano. E la bellezza di iniziative come questa, come il Centro
Chicercatrova è proprio questa, di essere un luogo dove ai lontani soprattutto si parla di annuncio, si
fa il Kerigma, si dà una speranza, si indica davvero la via di una salvezza, ma intesa nel senso pieno
che non è non andare all’inferno ma è qualcosa di molto più profondo, è trovare la felicità, è
trovare la gioia, trovare il senso dell’esistere, insomma.
Buona sera.
Grazie
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